Tanto tuonò che piovve. Non si potrebbe definire
altrimenti la repressione e la censura di cui siamo oggetto in questi ultimi
mesi in rete, specialmente nel sito di Facebook. Viene da pensare, visto tutto
quello che stiamo subendo, che gli appelli che Laura Boldrini lanciava solo
fino a qualche mese fa per chiudere tutti i “siti nazi-fascisti che inneggiano
alla violenza” non siano caduti nel vuoto. Anzi: sono stati ampiamente messi in
pratica. Solo che noi non inneggiamo alla violenza, ma tant’è…
L’attacco è partito già da almeno sei mesi prima delle
elezioni di marzo: le pagine Facebook di Fascismo e Libertà, che fino a quel
momento erano sempre state, bene o male, attive, vengono chiuse con una
sistematicità spaventosa. Ogni contenuto, anche il più vecchio, viene passato
allo scanner, portando a sistematici blocchi di mesi e mesi.
Il profilo personale del sottoscritto, del Segretario
Nazionale Carlo Gariglio e di altri esponenti del Movimento ormai sono sotto
attacco perenne. Il mio profilo personale, che uso anche per tenermi in
contatto con gli amici e gestire le utenze di lavoro, viene bloccato una volta
al mese per un mese. Il sistema di Facebook mi segnala un contenuto, magari
anche datato, a volte di diversi mesi addietro, e scatta puntuale la censura,
ovviamente sempre e solo di un mese. Passati i 30 giorni posso riprendere ad
utilizzare per qualche ora il mio profilo, per essere bloccato di nuovo. Non importa
cosa io inserisca: il sistema di controllo del sito sociale, infatti, a suo
insindacabile giudizio reputa il contenuto non conforme ai suoi standard, e
vengo nuovamente bloccato.
Due giorni fa, per dirne una, il mio profilo è stato
sbloccato dopo un mese. Ho utilizzato il sito giusto per lasciare un commento
su un gruppo musicale e per pubblicare sulla mia bacheca personale una foto di
Mussolini e Hitler in treno, con la mia osservazione: “Fico non si è inventato
nulla”. Un intervento non dico scherzoso, ma nemmeno particolarmente virulento,
ma sta di fatto che non è passato inosservato: blocco di un altro mese. Sembra
che io non possa pubblicare alcunché che non sia la foto di qualche gattino
senza venire pesantemente sanzionato: di fatto il mio profilo personale è
diventato inutilizzabile. Posso accedere a Facebook, vedere cosa pubblicano gli
altri miei contatti, navigare all’interno del sito e sui contenuti esterni che
esso contiene, ma non posso interagire in alcun modo: non posso cliccare “Mi
piace”, non posso commentare, non posso pubblicare alcunché. Posso solo
guardare, essere uno spettatore passivo e assolutamente inerme.
Cercare di avere a che fare con i gestori del sito è pressoché
impossibile, parlare con qualcuno che faccia parte dello staff che si occupa di
moderare i contenuti è semplice utopia: gli stessi meccanismi di reclamo o di
segnalazione errori sono macchinosi e complicati, almeno per chi, come il
sottoscritto, non conosce a fondo la piattaforma. Un contatto faccia a faccia,
o almeno tastiera a tastiera, vista la natura strettamente virtuale della
comunicazione, è da escludersi a priori; di numeri di telefono da poter
chiamare nemmeno a parlarne.
Il funzionamento di Facebook, e le meccaniche di
controllo dei contenuti ad esso legate, sono totalmente prerogativa della
piattaforma, con possibilità di interagire con l’utente ridotte al minimo. Non si
sa come funzioni il meccanismo di sanzionamento. C’è chi sostiene che il sito
applichi tutta una serie di calcoli e di logaritmi in maniera automatica per
stabilire se un contenuto violi il suo codice interno o no; c’è chi sostiene
che invece nella piattaforma operino anche degli operatori appositamente incaricati
di prendere visione delle segnalazioni fatte dagli utenti o delle anomalie dei
contenuti; c’è chi dice che sia un insieme delle due cose. Di fatto non si sa
come Facebook agisca. Il sospetto che applichi due pesi e due misure è, almeno
per noi, sempre più forte. Quando segnaliamo qualche sito di estremisti di
sinistra che incitano palesemente all’omicidio dei fascisti o degli avversari
politici la risposta predefinita di Facebook è sempre la stessa: ti ringraziamo
per la segnalazione, capiamo che la cosa possa aver fatto male al tuo delicato
cuoricino, ma non sono stati violati gli standard della comunità (di recupero!)
e quindi il contenuto da te segnalato può restare tranquillamente dov’è. Amici e
camerati ci segnalano che più volte hanno segnalato siti con chiari contenuti
pedopornografici, è la risposta è esattamente la stessa. Poi io faccio una
battuta con la foto di Mussolini e si scatena il finimondo.
Per carità: ho sperimentato che anche senza Facebook si
vive bene lo stesso. Gli amici che mi scrivono, e che vedono che ho
visualizzato il loro messaggio ma nonostante tutto non rispondo, capiscono che
sono stato bloccato e ne approfittano per inviarmi canzoni partigiane, inni
della Resistenza e simili, contando sulla mia incapacità di reazione. La cosa,
se vogliamo, è anche divertente; ma da una piattaforma che vuole veicolare
anche un messaggio commerciale, e che per fare questo, giustamente, richiede di
essere pagata, ci si aspetta un po’ di professionalità in più: pagare per
pubblicizzare una pagina, e poi essere costretto a non utilizzarla perché Facebook
ha deciso insindacabilmente che il tuo messaggio scherzoso per lui non è stato
scherzoso, non è una grandissima idea di marketing. E, anche a prescindere da
qualunque idea di marketing, da una piattaforma che vuole porsi come punto di
contatto tra persone diverse – come è di fatto Facebook – ci si aspetterebbe un
comportamento un po’ più decoroso che non quello di una Laura Boldrini in
perenne crisi di nervi.
La posizione di monopolio del social network, al
momento, lo rende senza rivali: tutti lo usano, tutti lo chiedono, tutti, bene
o male, lo guardano. La sua forza è tutta qui.
Facebook ricorda molto quel Grande Fratello descritto
da George Orwell nel suo “1984”: una sorta di gigante benevolo con gli amici e
spietato con i nemici, le cui indecisioni vengono calate dall’alto senza alcuna
spiegazione, e quindi senza alcuna legittimità.
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