giovedì 26 novembre 2020

Faraone e l'ennesima finestra di Overton

Davide Faraone, deputato del PD, ci riporta ai bei fasti del regime sovietico: Chi non farà il vaccino non potrà andare al bar o al cinema. […] Stiamo progettando una piattaforma informatica che ci permetterà di sapere come si chiamano le persone che hanno fatto il vaccino e dove lo hanno fatto”. Queste sono state le parole del pidiota espresse in intervento sulla sua pagina Facebook.

L’ennesima finestra di Overton è aperta: una proposta apparentemente illogica viene buttata lì per mera provocazione, ma intanto si vede come reagisce la massa (tantissimi disadattati si sono dimostrati entusiasti della proposta) e si comincia, seppur ai margini del dibattito politico, una discussione sul tema.

Interviene anche Antonio Gassmann, un altro che se non fosse stato per il nome del padre sarebbe stato una totale nullità e che, quindi, ha il costante bisogno di ammanicarsi col potere politicamente corretto (che poi è quello che fa girare i soldi e finanzia i tuoi filmetti del cazzo): “Una volta fatto il vaccino darei una tessera che lo testimoni. Chi non vuole farselo non entra in: ristoranti, bar, cinema, teatri, stadio, negozi, autobus, taxi, treni, e tiene sempre la mascherina… poi vedi che lo fanno”.


Ed allora, finestra di Overton per finestra di Overton, apriamone una anche noi (tanto di questi tempi non costa nulla): impediamo l’accesso ai servizi essenziali agli appartenenti a quella parte politica che ha governato negli ultimi 10 anni e che ha sottratto più di 10 miliardi alla Sanità nazionale (per dirottarli a favore di una politica di accoglienza degli stranieri che ha visto il territorio italiano invaso da centinaia di migliaia di africani, nella stragrande maggioranza dei casi senza alcun diritto di ingresso), facendosi trovare impreparata sia alla prima ondata del Covid19 che alla seconda, e che ha messo in ginocchio l’economia italiana per quella che lo stesso Ministro Sileri, solo qualche giorno fa, davanti alle telecamere de La7 ha definito come un’influenza che si presenta puntuale ogni anno.

mercoledì 18 novembre 2020

Adesso c'è anche il delitto di "sovranismo": l'ennesima sentenza dei magistrati comunisti


Quando parliamo della Magistratura come il vero cancro dell’Italia, puntualmente qualcuno ci accusa di essere troppo pesanti nei giudizi, troppo “estremisti”. Come se il caso Palamara – che ha scoperchiato, seppur in minima parte, la mafia che tutto decide all’interno delle aule di Tribunale – non avesse insegnato alcunché.

Poi, però, arriva qualche sentenza palesemente politicizzata – e quando arrivano le sentenze palesemente politicizzate sono sempre e comunque dirette verso una ed una sola parte politica – a darci puntualmente ragione.

Di cosa parliamo? È presto detto. La sentenza politicizzata arriva dal Gup di Milano, Manuela Cannavale, per la commemorazione che si è svolta il 29 aprile del 2019 per ricordare il martirio di Sergio Ramelli, un ragazzo di destra che nel 1976, dopo una serie incredibile di aggressioni e di umiliazioni (anche avvallate dallo stesso personale della scuola frequentata da Sergio), fu ucciso a colpi di chiave inglese da un kommando di Avanguardia Operaia. Cosa lo portò alla morte? Essere di destra ed aver scritto un tema scolastico contro le Brigate Rosse, allora come oggi considerate dei compagni nel migliore dei casi come “compagni che sbagliano”, nel peggiore come moderni Don Chisciotte che, anziché affrontare i mulini a vento, aggredivano in 5 contro 1 i pericolosi Fascisti a colpi di chiave inglese. Fu proprio dopo essere stato colpito alla testa con una chiave inglese che Sergio Ramelli venne lasciato riverso sull’asfalto, con tanto di vergognoso applauso dai banchi comunali della sinistra milanese non appena si venne a sapere della notizia.

Come viene motivata la condanna del GUP Cannavale per i partecipanti alla manifestazione del 29 aprile 2019 in ricordo di Sergio Ramelli?

“Una manifestazione posta in essere al solo scopo di eseguire riti e gesti del disciolto Partito Fascista, al solo scopo di evocare i tempi del Fascismo con grandissima partecipazione emotiva da parte di tutti i manifestanti, perfetto ordine, pedissequa ripetizione delle frasi, dei gesti, delle ritualità appartenenti al solo Fascismo e ciò allo scopo di provocare adesioni e consensi e di concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni Fasciste”.

Ancora:

La manifestazione è stata fatta con lo scopo di ricostituire il Partito Nazionale Fascista, è la prima affermazione del GUP. Verrebbe da dire che questi Fascisti non siano proprio dei geni di guerra: la commemorazione per Ramelli avviene, puntuale ogni anno, dal ’76 in poi, e la ricostituzione del PNF non è mai avvenuta. Perché dovrebbe avvenire adesso, a più di quarant’anni di distanza? La spiegazione viene data poco dopo, quando il GUP afferma:

“non è stata mai attuale come nel presente momento storico, nel quale episodi di intolleranza e violenza dovuti a motivi razziali sono all’ordine del giorno e si assiste ad una pericolosa deriva sovranista" […] “certamente creano in soggetti che si ritrovano nelle loro idee una suggestione, una forza, una evocazione del passato regime tali da rappresentare un concreto tentativo di proselitismo e, quindi, un concreto pericolo di raccogliere adesioni finalizzate alla ricostruzione di un partito fascista“.

L’impostazione politica di questa sentenza è evidente per due motivi: viene, seppur implicitamente, richiamato un reato che non ci risulta esistere nel Codice Penale, vale a dire quello di “sovranismo”. Per l’ennesima volta assistiamo ad un giudice che, anziché limitarsi a stabilire se una condotta sia legittima o meno in base alla legislazione vigente, pretende di dare patenti di correttezza sanzionando le condotte politiche che magari a lei non piacciono (ed alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi), ma che sono legittime per una certa parte della restante popolazione (anzi: la maggior parte). In questo senso la sentenza serve a “contenere la deriva sovranista”, il cui campanello d’allarme è:

“1.200 persone delle diverse realtà extraparlamentari di destra riunite in modo compatto, che insieme rispondono alla chiamata del presente e alzano il braccio nel saluto romano con orgoglio ed entusiasmo”.

Ecco ciò che preoccupa il giudice: prima si trattava di 4 gatti, ora sono di più, e quindi bisogna fermarli in qualche modo. Forse non ve ne siete accorti, ma è quello che noi di Fascismo e Libertà abbiamo sempre detto ed affermato: la nostra stessa esistenza viene blandamente tollerata perché siamo un Movimento piccolino. Quando e se mai cresceremo in numeri ed in militanti ci schiacceranno come si fa con uno scarafaggio. Né più, né meno. E quale miglior modo di una sentenza politicizzata per fermare le opinioni altrui? A parte il fatto che nei “Presente!” a Sergio Ramelli spesso si sono contate molte più persone delle 1200 dell’anno scorso, preoccupa questa deriva giudiziaria che si arroga unilateralmente il diritto di condannare “derive sovraniste” che, a tutti gli effetti, non costituiscono alcun reato, ma anzi sono idee politiche che trovano piena legittimità e rilevanza all’interno del dettato democratico della Nazione. Dobbiamo aspettarci a breve un giudice od un suo delegato che guarderanno mentre votiamo, per accertarci che il nostro voto vada solo ai partiti di sinistra e non ai pericolosi fascio-leghisti? E se una sentenza palesemente politicizzata dichiara la sua intenzione di voler contenere “le derive sovraniste”, allora anche aggredire o fare del male ad un esponente politico delle stesse potrebbe essere meno grave rispetto all’aggredire un esponente dell’area progressista, proprio perché la sua aggressione è servita a contenere le derive suddette? Vedete? Sono sempre quelli che "Uccidere un Fascista non è reato", oggi come ieri.

Il caso Palamara è solo la punta di un iceberg. È nei Tribunali, ogni giorno, in qualunque parte d’Italia, spesso a telecamere spente, che la Magistratura, con sentenze giudiziarie palesemente politicizzate ed impegnate, interviene cercando di influenzare l’andamento politico della Nazione, quasi come una sorta di garante del verbo illuminato progressista ed antifascista, funzione che, evidentemente, non le compete affatto, essendo il suo scopo quello di sanzionare se una condotta sia legittima o meno, Codice Penale alla mano.

Ieri ridevate, perché la repressione era (ed è) riservata ai bastardi Fascisti. Ridete anche oggi, perché il trattamento è riservato agli analfabeti funzionali negazionisti del Covid-19. Auguratevi di poter continuare a ridere anche domani.

Contrordine, compagnI! Il MES è una ca*ata

Lo avete notato? A coloro come il sottoscritto, avvezzi a guardare i TG ed a leggere i giornali (pur con la debita distanza, sennò la puzza è troppo forte), la cosa è sembrata evidente: “Contrordine, compagni! Il MES non ci piace più”. La fanfara è suonata dalle prime pagine de La Repubblica, che denunciava il grido di allarme di Davide Sassoli: “L’UE cancelli i debiti per Covid e riformi il MES”; della stessa idea Enrico Letta, seguita a ruota dal vice-ministro degli Esteri, Marina Sereni.

Ci sono tutte le fanfare della grancassa mediatica globalista ed antifascista: La Repubblica, Letta, Sassoli. Si tratta di una retromarcia clamorosa: quella che fino a qualche settimana fa era una scelta “doverosa per le sorti del Paese” (loro lo chiamano “paese”, mica Nazione) – e chi non era d’accordo era un populista salviniano fascioleghista – adesso è diventata qualcosa da rivedere, da riformare, da rimettere «nelle mani della Commissione UE» (parole di Sassoli). Fino a qualche giorno fa sembrava che i soldi dell’Europa sarebbero piovuti dal cielo, che ci sarebbe bastato mettere fuori i secchi dalla finestra per raccogliere vagonate di miliardi, che il futuro dell’Italia sarebbe stato roseo e fiorente grazie all’instancabile lavoro della UE e dei nostri “illuminati” governanti. Invece scopriamo che, nemmeno a dirlo, avevamo ragione noi. Prima cosa: i soldi del MES non sono gratis, né ci riempiranno di soldi perché apprezzano le doti da statista di Giuseppe Conte o i congiuntivi di Di Maio. Aderire al MES significa indebitarsi e regalare le chiavi di casa a commissioni sovranazionali che poi potranno mettere bocca su tutto ciò che verrà fatto dall’Italia. 

Ovviamente siamo sicuri che nessuno chiederà conto al PD ed al Governo di questo cambio repentino di idea, quando solo fino a qualche giorno fa i loro esponenti continuavano a sostenere l'esatto opposto. Tutti i giornali che contano sono in mano loro, i giornalisti sono amici loro, i direttori di redazione idem.

Come si fa a fidarsi di gente che il giorno prima giura e spergiura sulla bontà di una proposta politica ed economica palesemente fallimentare per l’Italia, ed il giorno dopo si rimangia tutto con una facilità disarmante? Soprattutto: come si fa a votare un partito politico così tenacemente anti-italiano?