Articolo del Segretario Nazionale del Movimento Fascismo e Libertà Carlo Gariglio
Dato che ormai le fole olocaustiche
hanno raggiunto vertici di comicità ed assurdità mai toccati, voglio
dedicare questo numero scanzonato alle tante favole che ci vengono
propinate come testimonianze “oculari” del presunto sterminio.
Ho trovato una simpatica raccolta di
queste testimonianze oculari su un forum online, il cui autore è
ovviamente anonimo, ma molto ben informato e documentato. Gli articoli
trascritti sono integralmente visibili al seguente indirizzo:
Purtroppo alcuni link indicanti le fonti
sono ormai scomparsi, data la tendenza dei nostri amici della lobby
giudaica di fare chiudere forum, blog e siti che tentano di divulgare la
verità, incarcerandone magari gli autori, ma abbiamo deciso di lasciare
comunque il testo originale… Ivi comprese le battute di spirito con le
quali l’autore accompagna questa carrellata di assurdità. Assurdità che
molti, per stupidità o per paura, continuano a considerare “fatti”
storici!
Carlo Gariglio
***
***
SHLOMO VENEZIA, IL SONDERKOMMANDO ADDETTO ALLE CAMERE A GAS
Testimone oculare delle gasazioni
omicide – ha deciso di raccontare tutto solo nel 1992 quando ha visto
scritte sui muri e naziskin.
Cito il Venezia:
«Per tutti questi anni non abbiamo
parlato, neppure col mio amico, sebbene lui sapesse che il padre
lavorava dove stavo io, ed è stato ucciso. Non avevamo il coraggio di
tornare su questi argomenti. Ma ad un certo punto, di fronte a certi
fatti, abbiamo deciso che era necessario. È stato qualche anno fa,
quando a Roma hanno segnato le stelle di Davide su alcuni negozi, sono
comparse sui muri scritte come “juden raus”, “ebrei ai forni”, e si sono
cominciati a vedere i naziskin. Per qualcuno possono essere ragazzate,
cose di poco conto, ma per noi che le abbiamo vissute, vedere di nuovo insorgere queste cose è inaccettabile. È stata la spinta per incominciare»
“Un giorno, mentre tutti avevano
cominciato a lavorare normalmente all’arrivo di un convoglio, uno degli
uomini incaricati di togliere i corpi dalla camera a gas sentì un rumore
strano. Non era così raro sentire rumori insoliti; spesso l’organismo
delle vittime continuava a liberare gas. Questa volta però sosteneva che
il rumore fosse diverso. Ci fermammo per ascoltare, ma nessuno sentì
niente e pensammo che avesse avuto un’allucinazione. Qualche minuto più
tardi ripeté che questa volta era certo di aver udito un rantolo.
Facendo attenzione, anche noi riuscimmo a percepire il rumore, una sorta
di vagito. All’inizio i gemiti erano intervallati, poi
aumentarono fino a diventare un pianto continuo che tutti identificammo
con il pianto di un neonato. L’uomo che se ne era accorto per primo si
mise alla ricerca del punto da dove proveniva il rumore e scavalcando i
corpi trovò una bambina di due mesi ancora attaccata al seno della
madre, che piangeva perché non sentiva più arrivare il latte. L’uomo
prese il bebé e lo portò fuori dalla camera a gas.”
Shlomo Venezia – Sonderkommando Auschwitz – Ed. Rizzoli
Il Miracolo Termotecnico di Shlomo Venezia
In un’intervista al Giornale Shlomo Venezia affermò quanto segue:
«Sì, ma la prima notte mi adibirono a
questo crematorio all’aperto. Intorno c’era uno scolo in pendenza dove
si raccoglieva l’olio che colava dalla pira. Dovevo raccattarlo e
ributtarlo sui cadaveri per farli bruciare più in fretta. Lei non ha
idea di che combustibile sia il grasso umano»… E nel suo libro:
«Le fosse erano in pendenza; il grasso umano prodotto dai corpi che bruciavano colava lungo il fondo fino a un angolo, dove era stata scavata una specie di conca per raccoglierlo. Quando il fuoco minacciava di spegnersi, gli uomini prendevano un po’ di grasso dalla conca e lo versavano sui corpi per ravvivare la fiamma. Una cosa del genere l’ho vista solo qui, nelle fosse del Bunker 2»
«Le fosse erano in pendenza; il grasso umano prodotto dai corpi che bruciavano colava lungo il fondo fino a un angolo, dove era stata scavata una specie di conca per raccoglierlo. Quando il fuoco minacciava di spegnersi, gli uomini prendevano un po’ di grasso dalla conca e lo versavano sui corpi per ravvivare la fiamma. Una cosa del genere l’ho vista solo qui, nelle fosse del Bunker 2»
(Sonderkommando Auschwitz, p. 77)
Come ci spiega Carlo Mattogno, la
storiella del magico “grasso collante” ha ricevuto la sua sanzione
ufficiale da F. Müller, che l’ha ricamata in modo molto minuzioso.
Secondo lui, tuttavia, le presunte “fosse di cremazione” erano provviste
di due canaletti larghi 25-30 cm che, dal centro della fossa, correvano
in pendenza lungo l’asse centrale e sboccavano in due buche più
profonde nelle quali si raccoglieva il grasso umano liquido, che veniva
raccolto con un secchio e gettato sul rogo.
Queste storielle sono insensate per il fatto che la temperatura di accensione degli idrocarburi leggeri che si formano dalla gasificazione dei cadaveri è di circa 600°C… La temperatura di accensione dei grassi animali è di 184°C… Perciò in un tale impianto il grasso umano brucerebbe immediatamente.
Anche perché la temperatura di accensione del legno stagionato è di 325-350°C.
Queste storielle sono insensate per il fatto che la temperatura di accensione degli idrocarburi leggeri che si formano dalla gasificazione dei cadaveri è di circa 600°C… La temperatura di accensione dei grassi animali è di 184°C… Perciò in un tale impianto il grasso umano brucerebbe immediatamente.
Anche perché la temperatura di accensione del legno stagionato è di 325-350°C.
Inoltre, se – per qualcuno dei tanti
miracoli di cui sono costellate le vite dei “sopravvissuti” del
“Sonderkommando” – il grasso umano liquido avesse potuto colare
attraverso le fiamme sul fondo della fossa, scorrere sulle braci ardenti
e defluire nelle fosse di raccolta laterali, Venezia, insieme a F.
Müller, avrebbe dovuto attingerlo sul ciglio di una “fossa di
cremazione” in cui c’era un immenso rogo che bruciava ad una temperatura
minima di 600°C!
Un’ultima (per il momento) affermazione di Venezia prima di passare ad altro:
«Alcuni sostengono che le SS
portassero maschere antigas, ma io non ho mai visto tedeschi portarne,
né per versare il gas né per aprire la porta»
ELIE WIESEL: «IL PIÙ AUTOREVOLE TESTIMONE VIVENTE» DELLA SHOAH
Sul fatto che Wiesel sia un IMPOSTORE ci
sono davvero pochi dubbi (vedi link alla fine del post), ma vorrei
soffermarmi sulla “testimonianza oculare” che ha fatto piangere milioni
di persone e che troviamo nel suo libro “La Notte” a pag. 37\38.
Piccola premessa: nel libro La Nuit, nel 1958, egli non fa parola delle camere a gas, però… Attenzione: le camere a gas appaiono all’improvviso nella versione tedesca, Die Nacht zu begraben, Elischa, traduzione di Curt Meyer-Clason, pubblicata dalle edizioni Ullstein; ogni volta che nel testo originale appariva il termine «forno crematorio», Meyer-Clason traduceva con «camere a gas».
Wiesel non ha dunque potuto vedere le camere a gas, non più di quanto ne abbia sentito parlare, altrimenti le avrebbe certo menzionate.
Piccola premessa: nel libro La Nuit, nel 1958, egli non fa parola delle camere a gas, però… Attenzione: le camere a gas appaiono all’improvviso nella versione tedesca, Die Nacht zu begraben, Elischa, traduzione di Curt Meyer-Clason, pubblicata dalle edizioni Ullstein; ogni volta che nel testo originale appariva il termine «forno crematorio», Meyer-Clason traduceva con «camere a gas».
Wiesel non ha dunque potuto vedere le camere a gas, non più di quanto ne abbia sentito parlare, altrimenti le avrebbe certo menzionate.
In mancanza delle camere a gas, Wiesel
ha visto qualcosa di molto peggio, ma che… a parte lui… Nessun altro
essere vivente ha visto:
«Non lontano da noi delle fiamme
salivano da una fossa, delle fiamme gigantesche. Vi si bruciava qualche
cosa. Un autocarro si avvicinò e scaricò il suo carico: erano dei
bambini. Dei neonati! Sì, l’avevo visto. L’avevo visto con i miei occhi…
Dei bambini nelle fiamme. […]. Ecco dunque dove andavamo. Un po’ più
avanti avremmo trovato un’altra fossa, più grande, per adulti. […].
Continuammo a marciare. Ci avvicinammo a poco a poco alla fossa da cui
proveniva un calore infernale. Ancora venti passi. Se volevo darmi la
morte, questo era il momento. La nostra colonna non aveva da fare più
che una quindicina di passi. Io mi mordevo le labbra perché mio padre
non sentisse il tremito delle mie mascelle. Ancora dieci passi. Otto.
Sette. Marciavamo lentamente, come dietro un carro funebre, seguendo il
nostro funerale. Solo quattro passi. Tre. Ora era là, vicinissima a noi,
la fossa e le sue fiamme. Io raccoglievo tutte le mie forze residue per
poter saltare fuori dalla fila e gettarmi sui reticolati. In fondo al
mio cuore davo l’addio a mio padre, all’universo intero e, mio malgrado,
delle parole si formavano e si presentavano in un mormorio alle mie
labbra: Yitgaddàl veyitkaddàsh shemé rabbà…Che il Suo Nome sia elevato e santificato…Il mio cuore stava per scoppiare. Ecco: mi trovavo di fronte all’Angelo della morte… No. A due passi dalla fossa, ci ordinarono di girare a sinistra, e ci fecero entrare in una baracca».
Nota mia: che culo!
Oltre che storicamente infondata (non
esiste alcuna prova di quanto asserito da Wiesel), la storia è anche
assurda: se Elie Wiesel si fosse realmente avvicinato fino a due passi
da una vera “fossa di cremazione”, che – per assolvere la sua funzione –
avrebbe dovuto avere una temperatura minima di 600\700°C, si sarebbe
ustionato mortalmente.
La scena dell’autocarro che scarica
bambini in una “fossa di cremazione” fa parte anch’essa
dell’armamentario propagandistico del dopoguerra. Essa fu illustrata da
David Olère in un quadro del 1947 che poi è servito di ispirazione per i
“testimoni oculari” successivi.
Il racconto di Elie Wiesel è dunque falso e assurdo… Ma è anche chiaramente pretestuoso: se egli e suo padre erano stati “selezionati” per il lavoro, perché furono portati in prossimità della “fossa di cremazione”?
Il racconto di Elie Wiesel è dunque falso e assurdo… Ma è anche chiaramente pretestuoso: se egli e suo padre erano stati “selezionati” per il lavoro, perché furono portati in prossimità della “fossa di cremazione”?
Per scoprire il “terribile segreto” di
Auschwitz e svelarlo ad altri detenuti in altri campi? Si tratta –
evidentemente – di un banale artificio per poter giustificare una
“testimonianza oculare” orrida e puramente fittizia.
Per approfondire:
Su Wiesel in Parlamento:
“Illuminanti” le risposte nei commenti ad un oloscettico.
Ultimo appunto: in Legends of Our Time (New York, Avon Books, 1968, pp. 177-78), Elie Wiesel scriveva questo:
«Ogni ebreo, ogni parte di lui, dovrà
procurarsi una zona di odio – un odio sano e virile – per ciò che il
tedesco personifica e per ciò che è trasmesso nel tedesco. Agire
altrimenti sarà tradire i morti».
Nel 1986 Elie Wiesel si vedeva
consegnare il premio Nobel per la pace su proposta, come è noto, di 83
deputati del Bundestag. L’attribuzione di questo premio, pensavano i
parlamentari, avrebbe costituito un grande incoraggiamento per tutti
quelli che si impegnano in favore del processo di riconciliazione.
BELZEC (il campo di sterminio fantasma)
Otto varianti di sterminio sono state “certificate” dai testimoni oculari (fonte: “Olocausto allo Scanner” – di di Jürgen Graf)
Situato in Polonia, il campo di Belzec (da non confondersi con quello
di Bergen-Belsen) fu, secondo la storiografia ufficiale, al terzo posto
fra i campi di sterminio: 600.000 ebrei vi sarebbero stati gassati.
La storia di Belzec è una versione in miniatura dell’insieme della
leggenda dell’Olocausto, per cui vale la pena di presentarla in modo
relativamente particolareggiato.
Belzec fu aperto nel marzo 1942. Esso serviva da campo di transito per
gli ebrei diretti in Russia. Poco dopo l’apertura del campo corsero voci
sui massacri che vi si sarebbero perpetrati. Il revisionista italiano
Carlo Mattogno approfondisce queste voci nel suo studio “Il mito dello
sterminio ebraico”, Sentinella d’Italia, 1985.
Prima variante: gli ebrei erano
spinti in una baracca dove si dovevano tenere in piedi su di una placca
metallica attraverso la quale si faceva passare una corrente
elettrica mortale (riportato nel dicembre 1942 dal giornale del governo
polacco in esilio Polish Fortnightly Review).
Seconda variante: gli ebrei
venivano fucilati, e quelli che non lo erano venivano gassati o uccisi
con l’elettricità (dichiarazione fatta dal comitato d’informazione
interalleato il 19 dicembre 1942).
Terza variante: gli ebrei erano
uccisi dal calore dentro un forno elettrico. È ciò che afferma Abraham
Silberschein (Die Judenausrottung in Polen, Ginevra, agosto 1944).
Quarta variante: descritta da
Stefan Szende (vedi link), dottore in filosofia, nel suo libro Der
letzte Jude aus Polen (Europa-Verlag Zurich/New York, 1945, p. 290 e
segg.):
«La macina per uomini comprende uno spazio di circa sette
chilometri di diametro. Questa zona è protetta da filo spinato e da ogni
tipo di dispositivo di sicurezza. Nessuno ha il permesso di avvicinarsi
a questa zona. Nessuno ha il permesso di lasciare questa zona […]. Si
prende loro tutto […] Gli oggetti erano accuratamente classificati,
inventariati e naturalmente messi al servizio della razza dei signori.
Per sottrarsi a questo lavoro complicato e lungo tutti gli uomini in
fila furono lasciati nudi. Gli ebrei nudi venivano condotti in sale
gigantesche. Queste sale potevano contenere parecchie migliaia di
persone per volta. Esse non avevano finestre, erano in metallo ed il loro pavimento era mobile.
Il pavimento di queste sale scendeva con le migliaia di ebrei dentro un bacino pieno di acqua, posto al di sotto, in modo tale che tuttavia le persone in piedi sulla placca metallica non erano completamente immerse.
Quando tutti gli ebrei in piedi sulla placca metallica avevano già l’acqua ai fianchi, si faceva passare nell’acqua una corrente ad alta tensione. Dopo qualche istante tutti gli ebrei, a migliaia alla volta, erano morti.
Poi il pavimento di metallo si alzava fuori dall’acqua. I cadaveri dei suppliziati vi giacevano sopra. Un’altra linea elettrica veniva attivata e la placca metallica si trasformava in una bara crematoria, scaldata al calor bianco, fino a che tutti i cadaveri erano ridotti in cenere.
Potenti gru sollevavano allora la gigantesca bara crematoria e si evacuavano le ceneri. Dei grandi camini di officina evacuavano il fumo. Il processo era compiuto.
Il treno seguente attendeva già con i nuovi ebrei davanti all’entrata del tunnel. Ciascun treno portava da 3.000 a 5.000 ebrei, talvolta anche di più. C’erano dei giorni in cui la linea di Belzec aveva portato venti di questi treni ed anche di più. La tecnica moderna trionfava nella regia nazista. Il problema dell’esecuzione di milioni di uomini era risolto».
Il pavimento di queste sale scendeva con le migliaia di ebrei dentro un bacino pieno di acqua, posto al di sotto, in modo tale che tuttavia le persone in piedi sulla placca metallica non erano completamente immerse.
Quando tutti gli ebrei in piedi sulla placca metallica avevano già l’acqua ai fianchi, si faceva passare nell’acqua una corrente ad alta tensione. Dopo qualche istante tutti gli ebrei, a migliaia alla volta, erano morti.
Poi il pavimento di metallo si alzava fuori dall’acqua. I cadaveri dei suppliziati vi giacevano sopra. Un’altra linea elettrica veniva attivata e la placca metallica si trasformava in una bara crematoria, scaldata al calor bianco, fino a che tutti i cadaveri erano ridotti in cenere.
Potenti gru sollevavano allora la gigantesca bara crematoria e si evacuavano le ceneri. Dei grandi camini di officina evacuavano il fumo. Il processo era compiuto.
Il treno seguente attendeva già con i nuovi ebrei davanti all’entrata del tunnel. Ciascun treno portava da 3.000 a 5.000 ebrei, talvolta anche di più. C’erano dei giorni in cui la linea di Belzec aveva portato venti di questi treni ed anche di più. La tecnica moderna trionfava nella regia nazista. Il problema dell’esecuzione di milioni di uomini era risolto».
Quinta variante: gli ebrei erano fulminati nelle docce elettriche e poi trasformati in sapone.
Questa versione è fornita da Simon Wiesenthal:
Questa versione è fornita da Simon Wiesenthal:
«Le persone, schiacciate le une
contro le altre, incalzate dalle SS, dei lettoni e degli ucraini,
entravano correndo dalla porta aperta nei “bagni”. Questi potevano
contenere 500 persone alla volta. Il pavimento dei bagni era in metallo e
le docce pendevano dal soffitto. Quando i bagni erano pieni le SS
inviavano una corrente ad alta tensione, 5.000 volt, sulla placca
metallica. Contemporaneamente le docce spruzzavano acqua. Un grido breve
e l’esecuzione era terminata. Un ufficiale medico delle SS, il dottor
Schmidt, constatava la morte delle vittime dalla finestrella, si apriva
la seconda porta, “la squadra dei cadaveri” entrava e portava via rapidamente i morti. C’era di nuovo il posto per i 500 seguenti»
(Der neue Weg, Vienna, n· 19-20, 1946).
Secondo Simon Wiesenthal, i cadaveri
delle vittime non venivano «ridotti in cenere con delle resistenze di
cremazione scaldate al calor bianco» come dichiara Stefan Szende; i
carnefici ne facevano del sapone con la marca RIF, «Rein Judisches
Fett», «puro grasso ebreo».
(N.B.: RIF significava
«Reichsstelle fur industrielle Fettversorgang»: «Servizio di
approvvigionamento industriale di materie grasse del Reich»)
«Nell’ultima settimana di marzo
(1946), la stampa romena annunciò una notizia straordinaria: nella
piccola città di Folticeni si sono solennemente sotterrate al cimitero
giudaico, durante una cerimonia di inumazione conforme alle regole, 20
casse di sapone […] Le casse portavano la marca RIF – Rein Judisches
Fett […] È alla fine del 1942 che fu pronunciata per la prima volta
l’espressione «trasporto di sapone»! Avveniva nel Governatorato Generale
e la fabbrica era in Galizia, a Belzec: 900.000 ebrei furono utilizzati
come materia prima in questa fabbrica dall’aprile 1942 al maggio 1943
[…] Il mondo culturale non può concepire il piacere con il quale i
nazisti e le loro donne contemplavano questo sapone. Essi
vedevano in ciascun pezzo di sapone un ebreo che era stato fatto sparire
per incanto e si era anche impedita la crescita di un secondo Freud,
Ehrlich o Einstein. […] L’inumazione del sapone in una cittadina romena
ha qualcosa di soprannaturale. Il dolore stregato che alberga in questo
piccolo oggetto d’uso quotidiano spacca il cuore già pietrificato
dell’uomo del XX secolo. Nell’era atomica, il ritorno alla oscura cacina
medioevale delle streghe fa l’effetto che può fare un fantasma. E però è
la verità!»
(Der neue Weg, Vienna, n·17/18, 1946).
Sesta variante: gli ebrei erano
assassinati mediante la calce viva. Questa versione è dovuta al polacco,
non ebreo, Jan Karski (foto), autore del libro Story of a Secret State
edito nel 1944 (Houghton Miffling, Boston, The Riverside Press,
Cambridge), pubblicato in francese nel 1948 col titolo Mon Témoignage
devant le monde (edizioni S.E.L.F., Parigi), dal quale estraiamo il
passaggio che segue (cito in R. Faurisson, Réponse à Pierre
Vidal-Naquet, 1982, p. 44):
«Il pavimento del treno [che
trasportava gli ebrei] era stato ricoperto di uno spesso strato di
polvere bianca, calce viva. Tutti sanno quello che succede quando si
versa dell’acqua sulla calce […] Stava arrivando il crepuscolo quando i
45 vagoni (io li avevo contati) furono pieni. Il treno con il suo carico
di carne torturata vibrava e urlava come fosse indemoniato».
Settima variante: gli ebrei erano
uccisi per mezzo dello Zyklon che era introdotto nei locali delle docce
grazie ad un sistema di tubi. È questa versione che decise di
propendere un tribunale tedesco nel 1965, ai tempi del processo di
Belzec, versione seguita anche da Adalbert Rückerl, ex direttore
dell’Ufficio Centrale di Ludwigsburg incaricato dell’informazione sui
criminali nazisti, nel suo libro Nationalsozialistische
Vernichtungslager im Spiegel Deutscher Strafprozesse (Deutscher
Taschenbuchverlag, 1977 p.133). Il tribunale e il signor Rückerl
precisano che in capo a qualche settimana si è poi passati ai gas di
scappamento. É stata necessaria qualche settimana perché le SS si accorgessero che i granuli di Zyklon rifiutavano di passare per i tubi.
Ottava variante: gli ebrei erano
assassinati dai gas di scappamento dei motori Diesel. Noi citiamo qui un
passaggio del Rapporto Gerstein, rapporto che passa, con la
«confessione» di Höss, come la prova più importante dell’Olocausto.
L’ufficiale delle SS del Servizio Sanità Kurt Gerstein si arrese alle
truppe della Prima Armata Francese che occupavano il Wurttemberg
nell’aprile 1945 e, prima di suicidarsi in prigione nel luglio dello
stesso anno, rese la sua confessione, o più esattamente le sue sei
confessioni, poiché, come il francese Henri Roques [nonché, in
precedenza, Carlo Mattogno] ha brillantemente dimostrato nella sua tesi
di laurea, non esistono del Rapporto Gerstein meno di sei versioni, che
divergono talvolta considerevolmente fra loro. Secondo le sue sei
deposizioni, Gerstein visitò Belzec e Treblinka nell’agosto 1942. A suo avviso, secondo una delle versioni della sua «confessione», 25.000.000 di persone[!!??] furono gassate. A Belzec, da 700 a 800 persone si ammucchiavano in una camera a gas di 25 mq, cioè da 28 a 32 persone per metro quadrato (ed è un ingegnere che lo afferma). Il
ricordo di un mucchio di scarpe di detenuti assassinati che poteva
raggiungere, secondo certe versioni, un’altezza da 35 a 40 metri, corona
questa testimonianza, che figura peraltro in pressoché tutti i manuali
scolastici ed in tutti i libri di storia. Ecco un estratto di una delle
sei confessioni (André Chelain, Faut-il fusiller Henri Roques?,
Polémiques, Ogmios Diffusion, 1986, pp. 90-91; il libro di Chelain
contiene il testo completo della tesi di Roques Les «confessions» de
Kurt Gerstein. Etude comparative des différentes versions. Etude
critique):
«Le camere si riempiono, “Caricate
bene”, ha ordinato il capitano Wirth. Essi stanno gli uni sui piedi
degli altri. Da 700 a 800 esseri umani in 25 mq, in 45 metri cubi […] Le
porte si chiudono. Durante questo tempo gli altri attendono fuori nudi
[…] Ma la macchina diesel non si avvia […]. Wirth arriva. Si vede che
gli spiace che ciò succeda proprio oggi quando io sono presente. Si, io
vedo tutto ed ascolto tutto! Il mio orologio ha tutto ben registrato, 50
minuti, 70 minuti – il diesel non parte; le persone attendono in queste
camere invano. Le si sentono piangere e singhiozzare “come alla
sinagoga”, nota il professore Pfannenstiel che ha messo l’orecchio contro la porta di legno […].
Dopo due ore e quarantanove minuti –
il mio cronometro lo ha registrato – il diesel parte. Fino a questo
momento questi esseri umani vivono nelle camere già riempite: 4 camere
per 750 uomini ciascuna, 45 metri cubi ciascuna.
Passano 25 minuti. È vero che molti
sono già morti: si vede attraverso la piccola finestrella illuminando un
istante la camera con la luce elettrica […].
28 minuti più tardi sono rari quelli che vivono ancora. Infine dopo 32 minuti tutti sono morti; […]»
28 minuti più tardi sono rari quelli che vivono ancora. Infine dopo 32 minuti tutti sono morti; […]»
Per inspiegabili ragioni gli storici preferiscono il Rapporto Gerstein alle altre sette varianti.
Il gas di scappamento dei motori diesel
contiene una modesta percentuale di ossido di carbonio (vedere Friedrich
Paul Berg, in Ernst Gauss, Grundlagen zur Zeitgeschichte, Grabert,
1994).
I prigionieri nella camera a gas così affollata sarebbero morti asfissiati molto prima che l’ossido di carbonio avesse esercitato i suoi effetti. Si tralascia inoltre di considerare che un motore a benzina sarebbe stato uno strumento di morte molto più efficiente di un motore diesel. In realtà, se avessero voluto gassare persone in grande numero, i tedeschi non avrebbero evidentemente utilizzato un motore, ma uno dei tanti gas tossici di produzione industriale. Ci si trova dunque di fronte ad una flagrante contraddizione: il genio tecnico che si attribuisce ai tedeschi e che doveva loro permettere di uccidere milioni di persone all’insaputa del mondo e senza lasciare la minima traccia è incompatibile con la stupidità di cui avrebbero dato prova nella messa in opera del criminale progetto scegliendo , fra tutte le armi possibili, la meno efficace.
Ma prescindendo dalle «tecniche di sterminio» quali prove abbiamo dell’assassinio di 600.000 persone a Belzec?
Un’ispezione sul sito del vecchio campo di Belzec non è di alcun aiuto poiché non vi si trova che un prato, e niente altro.
Non possediamo un solo documento al riguardo. Si risponde che i nazisti avrebbero sempre trasmesso oralmente gli ordini concernenti gli assassinii.
Non si sono trovate fosse comuni. Si risponde che i nazisti avrebbero bruciato i cadaveri.
Anche i resti delle 600.000 vittime sono però spariti. Si risponde che i nazisti avrebbero disperso le ceneri. Non ci si spiega però che cosa sia avvenuto delle ossa; la maggior parte delle persone ignora che le ossa, e a maggior ragione i denti, non bruciano che parzialmente, e che essi devono essere macinati.
I prigionieri nella camera a gas così affollata sarebbero morti asfissiati molto prima che l’ossido di carbonio avesse esercitato i suoi effetti. Si tralascia inoltre di considerare che un motore a benzina sarebbe stato uno strumento di morte molto più efficiente di un motore diesel. In realtà, se avessero voluto gassare persone in grande numero, i tedeschi non avrebbero evidentemente utilizzato un motore, ma uno dei tanti gas tossici di produzione industriale. Ci si trova dunque di fronte ad una flagrante contraddizione: il genio tecnico che si attribuisce ai tedeschi e che doveva loro permettere di uccidere milioni di persone all’insaputa del mondo e senza lasciare la minima traccia è incompatibile con la stupidità di cui avrebbero dato prova nella messa in opera del criminale progetto scegliendo , fra tutte le armi possibili, la meno efficace.
Ma prescindendo dalle «tecniche di sterminio» quali prove abbiamo dell’assassinio di 600.000 persone a Belzec?
Un’ispezione sul sito del vecchio campo di Belzec non è di alcun aiuto poiché non vi si trova che un prato, e niente altro.
Non possediamo un solo documento al riguardo. Si risponde che i nazisti avrebbero sempre trasmesso oralmente gli ordini concernenti gli assassinii.
Non si sono trovate fosse comuni. Si risponde che i nazisti avrebbero bruciato i cadaveri.
Anche i resti delle 600.000 vittime sono però spariti. Si risponde che i nazisti avrebbero disperso le ceneri. Non ci si spiega però che cosa sia avvenuto delle ossa; la maggior parte delle persone ignora che le ossa, e a maggior ragione i denti, non bruciano che parzialmente, e che essi devono essere macinati.
Delle camere a gas non è restata neanche
l’ombra. Si risponde che i nazisti avrebbero fatto saltare le camere a
gas ed avrebbero sgomberato le macerie.
Belzec è assolutamente assente dalle statistiche del SIR di Arolsen, nelle quali il campo di concentramento di Neuengamme, per esempio, figura esattamente con 5.780 decessi provati – i morti di Belzec non sono stati registrati da nessuna parte.
Non ci sono più testimoni oculari sopravvissuti. Uno solo dei 600.000 ebrei deportati a Belzec, un certo Rudolf Reder, è sopravvissuto nel campo, ma è deceduto negli anni Sessanta.
Quali prove abbiamo allora dei 600.000 assassinati di Belzec?
Belzec è assolutamente assente dalle statistiche del SIR di Arolsen, nelle quali il campo di concentramento di Neuengamme, per esempio, figura esattamente con 5.780 decessi provati – i morti di Belzec non sono stati registrati da nessuna parte.
Non ci sono più testimoni oculari sopravvissuti. Uno solo dei 600.000 ebrei deportati a Belzec, un certo Rudolf Reder, è sopravvissuto nel campo, ma è deceduto negli anni Sessanta.
Quali prove abbiamo allora dei 600.000 assassinati di Belzec?
Nessuna. Non la minima prova.
L’inesistente camera a gas di
Buchenwald (la storiografia cosiddetta ufficiale ha accettato da anni il
fatto che in Germania non ci furono “campi di sterminio”) certificata
dal testimone oculare e “resistente” Abbé Georges Hénocque… a Parigi e
in tutta la Francia intitolano vie e piazze a questo bugiardissimo
testimone oculare.
Ecco cosa è riuscito ad inventarsi l’abate pinocchio.
Fonte: Abbé Georges Hénocque, Les
Antres de la Bête, G. Durassie et Cie, Parigi, 1947, citato da R.
Faurisson, Mémoire en Défense, 1980, p. 192 e seg.:
«[…] All’interno i muri erano lisciati, senza fessure e come
verniciati. All’esterno si vedevano, al lato dello stipite della porta, 4
bottoni messi uno sopra l’altro, uno rosso, uno giallo, uno verde, uno
bianco.
Tuttavia un dettaglio mi preoccupava: non capivo come il gas potesse scendere dai fori del doccino fino in basso. La stanza in cui mi trovavo era costeggiata da un corridoio. Vi entrai e là vidi un enorme tubo che le mie due braccia non arrivavano a contornare completamente e che era ricoperto, per lo spessore di un centimetro circa, di gomma.
A lato, una manovella che si girava da sinistra a destra, liberava l’arrivo del gas. Con una forte pressione esso discendeva fino a terra così che nessuna vittima poteva sfuggire a quella che i tedeschi chiamavano “la morte lenta e dolce “.
Tuttavia un dettaglio mi preoccupava: non capivo come il gas potesse scendere dai fori del doccino fino in basso. La stanza in cui mi trovavo era costeggiata da un corridoio. Vi entrai e là vidi un enorme tubo che le mie due braccia non arrivavano a contornare completamente e che era ricoperto, per lo spessore di un centimetro circa, di gomma.
A lato, una manovella che si girava da sinistra a destra, liberava l’arrivo del gas. Con una forte pressione esso discendeva fino a terra così che nessuna vittima poteva sfuggire a quella che i tedeschi chiamavano “la morte lenta e dolce “.
Sotto il punto in cui il tubo faceva
gomito per penetrare nella camera a gas, erano sistemati gli stessi
pulsanti esistenti nella porta esterna: rosso, verde, giallo, bianco,
che servivano evidentemente a dosare la discesa del gas.
Tutto era architettato ed organizzato scientificamente. Il Genio del Male non avrebbe potuto fare di meglio.
Rientrai nuovamente nella camera a gas per cercare di trovare quella del forno crematorio.
Tutto era architettato ed organizzato scientificamente. Il Genio del Male non avrebbe potuto fare di meglio.
Rientrai nuovamente nella camera a gas per cercare di trovare quella del forno crematorio.
Ciò che fin dal principio colpì il
mio sguardo fu una sorta di barella girevole in ferro. Questo congegno
perfezionato si manovrava senza fatica e affrontava il contatto
bruciante dei forni. Vi si ammucchiavano i cadaveri raccolti nella
stanza vicina e lo si portava davanti alla fornace.
Quando io feci questa indimenticabile
e inquietante visita, le apparecchiature erano in pieno funzionamento,
con il loro carico completo […].
Dopo aver esaminato ancora una volta questo inferno e proseguendo, in uno spesso e pesante silenzio, la mia lugubre passeggiata, aprii la porta di una terza stanza. Era la camera dei… prenotati.
Dopo aver esaminato ancora una volta questo inferno e proseguendo, in uno spesso e pesante silenzio, la mia lugubre passeggiata, aprii la porta di una terza stanza. Era la camera dei… prenotati.
Là erano ammassati i cadaveri di
quelli che non si erano potuti bruciare il giorno stesso e che si
conservavano per l’indomani. Nessuno potrebbe immaginare, se non
l’avesse visto, l’orrore di questa terza scena. In un angolo della
stanza, a destra, i morti, nudi, spogliati, gettati alla rinfusa, senza
alcun rispetto si ammucchiavano in posizioni bizzarre. Le mascelle erano
state spezzate per strapparne le protesi in oro, senza parlare delle
«perquisizioni» odiose praticate su quei corpi per assicurarsi che non
celassero alcun gioiello capace di aumentare il tesoro dei mostri
nazisti […]
Gettando un ultimo sguardo su quel
luogo di scandalo e di spavento, lessi, al chiarore delle fiamme che
sfuggivano dalla fornace, a 8 o l0 metri d’altezza, la quartina cinica
disegnata sull’edificio del crematorio. Eccone la traduzione:
Il verme disgustoso non deve nutrirsi del mio corpo.
La fiamma pura, è lei che deve divorarlo.
Il verme disgustoso non deve nutrirsi del mio corpo.
La fiamma pura, è lei che deve divorarlo.
Ho sempre amato il calore e la luce. Perciò bruciami e non seppellirmi.
Mi restava, infine, da contemplare lo
spettacolo di cui doveva inorgoglirsi la scienza germanica: su più di
un chilometro di lunghezza e per un’altezza di quasi un metro e
cinquanta, le ceneri accuratamente raccolte nei forni e utilizzate per
concimare i campi di carote e cavoli!
È cosi che centinaia di migliaia di esseri, entrati vivi in questo inferno, uscivano come concime…
È cosi che centinaia di migliaia di esseri, entrati vivi in questo inferno, uscivano come concime…
Ora, grazie alla mia imprudente intrusione, avevo visto tutto quello che volevo vedere.»
P. S.: nessuno di questi sedicenti “testimoni oculari” è MAI
stato accusato, giudicato e punito per aver reso falsa testimonianza…
Nemmeno quando le loro menzogne hanno portato al patibolo degli
innocenti.
LA PRIMA GASAZIONE OMICIDA AD AUSCHWITZ
Carlo Mattogno ricostruisce il “quadro storico” utilizzando le numerose testimonianze sulla prima gasazione omicida avvenuta ad Auschwitz
Carlo Mattogno ricostruisce il “quadro storico” utilizzando le numerose testimonianze sulla prima gasazione omicida avvenuta ad Auschwitz
Fonte: http://vho.org/aaargh/fran/livres7/CMCappuccetto.pdf (pag. 107)
Un giorno, tra la primavera del 1941 e
il novembre-dicembre del 1942, ad Auschwitz, nel vecchio crematorio, o
nello scantinato del Block 11, oppure a Birkenau, fu eseguita la prima
gasazione di persone.
Alcune testimonianze menzionano la
data esatta: il 14 agosto, o il 15 agosto, il 3 – 5 settembre, o il 5 – 6
settembre, o il 5 – 8 settembre o il 9 ottobre 1941.
La gasazione fu eseguita dopo
l’appello serale, durante la chiusura dei blocchi (Blocksperre), in modo
che nessun detenuto potesse vedere ciò che avveniva, oppure in pieno
giorno, davanti agli occhi dei detenuti oziosamente sdraiati al sole.
Già in precedenza le finestre dello
scantinato erano state murate, o ricoperte di terra, o riempite di
sabbia o sbarrate con assi di legno.
Nel seminterrato del Block 11 furono
rinchiusi soltanto prigionieri di guerra russi, che erano solo
ufficiali, o ufficiali e sottufficiali, o soldati semplici, o
partigiani, o commissari politici, oppure non erano affatto russi, ma
polacchi, o erano prigionieri russi e detenuti polacchi.
Le vittime della gasazione furono 60,
o 200, o 400, o 500, o 600, o 680, o 700, o 850, o 1.473 prigionieri
russi e 100 -150, o 190, o 196, o 200, o 220, o 250, o 257, o 260, o
300, o 400, o 1.000 detenuti polacchi.
Quel che è certo, comunque, è che il loro numero totale fu di 200, o 300, o 320, o 350, o 500, o 696, o 800, o 850, o 857, o 980, o 1.000, o 1.078, o 1.400, o 1.663.
Quel che è certo, comunque, è che il loro numero totale fu di 200, o 300, o 320, o 350, o 500, o 696, o 800, o 850, o 857, o 980, o 1.000, o 1.078, o 1.400, o 1.663.
I detenuti malati erano stati selezionati nei blocchi ospedale dal dott. Schwela, o dal dott. Jungen, oppure dal dott. Entress.
Questi malati furono portati nelle celle del Block 11 dagli infermieri, oppure dai detenuti della compagnia di punizione.
Palitzsch da solo, o insieme a un SS soprannominato “Tom Mix”, o insieme a un altro chiamato lo “strangolatore”, oppure Breitwieser, gettarono nel corridoio, o nelle celle tre barattoli di Zyklon B in tutto, oppure 2 barattoli in ogni cella.
Palitzsch da solo, o insieme a un SS soprannominato “Tom Mix”, o insieme a un altro chiamato lo “strangolatore”, oppure Breitwieser, gettarono nel corridoio, o nelle celle tre barattoli di Zyklon B in tutto, oppure 2 barattoli in ogni cella.
Lo Zyklon B fu introdotto attraverso
la porta, o attraverso la presa d’aria di ventilazione
(Lüftlungsklappe), o attraverso aperture al di sopra delle porte delle
celle.
La gasazione fu eseguita nelle celle,
o in una sola cella, o nel corridoio, o nella “camera a gas” e le porte
delle celle erano state chiuse ermeticamente, oppure divelte.
Le vittime morirono immediatamente,
oppure erano ancora vive dopo 15 ore. I cadaveri furono evacuati il
giorno dopo, o la notte dopo, o 1- 2 giorni dopo, o 2 giorni dopo, o 3
giorni dopo, o il quarto giorno, o il sesto giorno, esclusivamente da
infermieri, per l’esattezza oltre 20, o 30, o 80, oppure esclusivamente
da 20 detenuti della compagnia di punizione.
Il lavoro durò un giorno intero, o una notte intera, o 2 notti, o 3 notti.
I cadaveri furono svestiti nel
corridoio del Block 11, o nel cortile esterno, oppure non furono
svestiti affatto. I cadaveri delle vittime furono portati al crematorio e
cremati, oppure portati a Birkenau e inumati in fosse comuni, oppure
parte cremati e parte inumati. (…)
6 MILIONI? Ma nemmeno per sogno! Facciamo 20 milioni?
OK Abraham… Direi che 20 milioni può andare… Se consideriamo i tassi di interesse attuali, 6 milioni nel 1945 possono tranquillamente diventare 20 milioni ai giorni nostri… Anzi… In quasi 70 anni è ancora poco…. Chi offre di più?
OK Abraham… Direi che 20 milioni può andare… Se consideriamo i tassi di interesse attuali, 6 milioni nel 1945 possono tranquillamente diventare 20 milioni ai giorni nostri… Anzi… In quasi 70 anni è ancora poco…. Chi offre di più?
(…) “L’olocausto ha cancellato 20 milioni di ebrei in cinque anni, senza un perchè. Ci uccidevano come insetti: non ci riprenderemo mai da quello che abbiamo perso”. (…)
Abraham Yehoshua (scrittore israeliano), Cortina 14 agosto 2010
L'AMMAZATOIO A PEDALE
Secondo le accuse sovietiche, i tedeschi
hanno assassinato nel campo di concentramento di Sachsenhausen non meno
di 840.000 prigionieri di guerra russi procedendo come segue:
«Nel piccolo locale c’era un’apertura di circa 50 cm. I
prigionieri di guerra si dovevano mettere con la testa all’altezza del
buco ed un tiratore che si trovava dietro il buco gli sparava. Ma questo
dispositivo era in pratica insufficiente, poiché, spesso, il tiratore
non colpiva il prigioniero. In capo ad otto giorni si creò un nuovo
dispositivo. Il prigioniero era piazzato, come prima, presso la parete;
poi si faceva scendere lentamente una piastra di ferro sulla sua testa.
Il prigioniero di guerra aveva l’impressione che si volesse misurare la
sua altezza. C’era nella piastra di ferro un chiodo e affondava
nella nuca del prigioniero. Questi crollava morto sul pavimento. La
piastra di ferro era azionata per mezzo di una leva a pedale che si
trovava in un angolo di questo locale.»
(Processo dei grandi
criminali di guerra davanti al tribunale militare internazionale,
Norimberga, 14 novembre 1945 – 1 Ottobre 1946 – volume VII, pagg.
416-417).
Secondo l’accusa, i cadaveri di 840.000
prigionieri di guerra assassinati in tal modo erano stati inceneriti in
quattro crematori mobili montati sul rimorchio di un camion. Né
l’ammazzatoio a pedale, né i crematori mobili capaci di incenerire
ciascuno 210.000 cadaveri in un tempo record, né gli innumerevoli altri
prodigi tecnici descritti a Norimberga sono stati presentati al
tribunale come corpo del reato. Ma l’assenza del corpus delicti è stata
largamente controbilanciata dalle dichiarazioni scritte di testimoni che
deponevano sotto giuramento.
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