venerdì 30 novembre 2007

Ron Paul, il candidato innominabile

Ron Paul, il candidato innominabile
Maurizio Blondet
23/05/2007

Il candidato alle presidenziali Ron Paul
STATI UNITI - Repubblicano, conservatore, il deputato Ron Paul si è candidato alle presidenziali: ma è un personaggio politico quasi sconosciuto, che siede nella poco importante camera bassa.Fino a ieri: ora è salito in tutti i sondaggi americani.E’ accaduto dopo un dibattito contro Rudy Giuliani, il più probabile candidato presidenziale repubblicano, in South Carolina.Ron Paul - uno dei pochissimi ad essersi pronunciato fin dal 2003 contro la guerra in Iraq - ha detto grosso modo questo: se i musulmani odiano gli Stati Uniti, non è perchè siamo liberi (come dice Bush); è perchè li martoriamo; perchè fra l’altro abbiamo sottoposto l’Iraq a dieci anni di bombardamenti e di sanzioni che hanno portato alla morte migliaia di iracheni.Giuliani lo ha schiacciato: «E’ davvero incredibile sentire, da me che ho vissuto l’11 settembre, che noi ci siamo chiamati quest’attentato perchè attaccavamo l’Iraq. Non ho mai sentito una spiegazione più assurda dell’11 settembre, e sì che ne ho sentite tante. Chiedo al deputato di ritirare la sua frase e dirci quello che intende veramente», ha tuonato. Applausi televisivi.Subito dopo, sulla Fox News, nel talk show notturno «Hannity and Colmes», si procedeva a finire l’assente Ron Paul.Michael Steele, il portavoce del partito repubblicano (cui anche Paul appartiene) ha detto che avrebbe tagliato fuori il deputato da futuri dibattiti; in quel momento, nella striscia scorrente nella parte bassa del video, apparivano i risultati del sondaggio tra il pubblico: gli spettatori (e gli spettatori di Fox News, la più likudnik delle TV) decretavano Ron Paul vincente su Rudy Giuliani, col 230% di vantaggio.Da quel momento, i grandi media hanno spento la luce su Ron Paul, evitando accuratamente di citarlo, farlo apparire e intervistarlo.Ma non è bastato.Ron Paul è diventato la stella di internet.«Il candidato presidenziale repubblicano Ron Paul è di gran lunga il più popolare su internet», ha attestato il 17 maggio Mark Jeffrey, sul sito Huffington.net: «Eppure, nonostante sia al primo posto online, per i media ‘mainstream’ non esiste.Il 14-15 maggio ‘Ron Paul’ è stato il termine più cercato col motore di ricerca Technorati.Nei sondaggi di ABC.com e di MSNBC.com Ron Paul è stato decretato vincitore del dibattito con vasto margine.Il sito di Ron Paul ha ricevuto più visite, la settimana scorsa, di quelli di Hillary Clinton, Barak Obama e John Edwards.I suoi video sono i più guardati su YouTube…E dunque, che cosa succede?Perché c’è una tale sconnessione tra internet e i grandi media?Sia che siate pro o contro Ron Paul, la sua non-copertura sui media è una notizia in se stessa».
E poi: «I cosiddetti media professionali ci hanno miserevolmente tradito negli ultimi anni.Il corpo della stampa ammesso alla Casa Bianca, con qualche notevole eccezione, ha mostrato una evidente mancanza di spina dorsale nel chiedere conto ai nostri leader politici. Invece sono state le voci di internet a farsi avanti con coraggio e senza riverenza a domandare risposte vere. Blog, YouTube, podcast riscuotono già oggi più fiducia che i mezzi di comunicazione mainstream.E’ interessante che questi media ‘selvaggi’ trovino in Ron Paul qualcosa che CNN, Fox, ABC e MSNBC continuano a sottovalutare».Il perché è intuibile.Il partito repubblicano ha con Ron Paul un candidato che può vincere (missione quasi impossibile, dopo la presidenza del repubblicano Bush jr.) ma ne ha una paura verde.Perché Paul dice verità che non devono essere pronunciate.E’ da sempre contro la guerra (uno dei pochi che ha votato contro), ed ora dice che la guerra è stupida e perduta, e che gli USA devono ritirarsi; è contro l’establishment di Washington dove la politica collude con gli affari; dice che l’era del dollaro è tramontata, che il governo federale spende troppo in guerre… ed è sul punto di dire l’indicibile verità sull’11 settembre.Infatti la Fox News gli attribuisce proprio questa tesi: Paul avrebbe detto che gli USA «si sono chiamati» l’attacco di bin Laden, dunque è uno di quei pazzi che sotto sotto stanno dicendo che l’11 settembre è stato un «lavoro interno».Ciò è falso - nemmeno Paul può dire «questa» verità - ma è significativo che la Fox rischi molto per screditarlo proprio su quel punto, e che nonostante tutto Ron Paul, la non-persona, l’uomo da far tacere, continui a dominare i sondaggi.Lo ha confermato il 18 maggio un commento postato sul TheWashingtonNote.com, l’influente sito di gossip politico del giornalista Steven Clemons.Un tale Robert Morrow, un militante occupato nella campagna di Ron Paul, scrive: «Sono qui ad Austin e do una mano a organizzare la raccolta di fondi per Ron Paul, e posso dirvi che stiamo facendo assolutamente man bassa in questi giorni. Ringraziamo gli attacchi dei caporioni repubblicani… è manna dal cielo. Ron Paul è una vera minaccia per l’establishment del partito non solo per le sue posizioni anti-guerra in Iraq, che sono parecchio popolari, ma anche perché è contro la tassazione eccessiva, contro il governo centrale e per la sovranità nazionale USA. Quella gente non attaccherebbe Ron Paul se lui non accumulasse tanto favore… di fatto, Paul è il più forte candidato del partito, ed è ironico che la leadership cerca in tutti i modi di marginalizzarlo o distruggerlo. Lui esercita un forte richiamo sugli elettori indipendenti. E’ il miglior candidato repubblicano possibile contro [la democratica] Hillary Clinton. Il voto libertario aveva abbandonato il partito nel 2006, ma tornerebbe se Ron Paul fosse nominato come candidato. Penso sia un candidato molto più forte di Rudy Giuliani».
A Ron Paul ha dato appoggio Pat Buchanan, il columnist cattolico conservatore che anni fa concorse, senza successo, alla presidenza.Buchanan vede nel deputato sconosciuto (ai media) l’uomo che può strappare ai neo-conservatori il partito repubblicano in nome della vecchia destra americana. (1)Non a caso, come riporta la United Press International (UPI), in USA i «grandi» media hanno licenziato 17.809 persone nel 2006, con un aumento dell’88% rispetto all’anno prima.Nel 200, il New York Times ha già mandato a spasso 200 dipendenti, per lo più giornalisti.I media americani, che si considerano ormai dei meri mezzi di raccolta pubblicitaria, mal sopportano la concorrenza delle notizie incontrollate su internet.«La prima causa dei tagli è il cambiamento epocale di come la gente cerca le informazioni, per non parlare delle ricerche di lavoro, di auto e di prodotti di consumo», hanno spiegato all’agenzia di ricollocamento «Challenger, Gray Christmas», che ha condotto l’indagine sui licenziamenti mediatici.«Giornali e TV continueranno a tagliare fino a quando non escogiteranno un modo di ricavare tanto denaro dai loro servizi internet quanto ne stanno perdendo con la carta stampata. Sarà dura».Maurizio Blondet
Note1) Justin Raimondo, «The Ron paul effect», Antiwar.com, 22 maggio 2007.
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Investigazioni su allevamenti da pelliccia in Eu

Nuove investigazioni in allevamenti "da pelliccia" in Europa mettono a disposizione foto e video che ritraggono questi orrori. Due nuove recenti investigazioni, una anonima in Republica Ceca, e una svolta da una campagna inglese negli allevamenti di conigli in Francia, Italia, Spagna e Danimarca, mettono a disposizione nuove foto - anche in alta risoluzione, per creare dei cartelloni informativi -, video da mostrare al pubblico, e informazioni da divulgare. L'investigazione in Repubblica Ceca Sono state mandate all'associazione neozelandese "Auckland Animal Action", in modo anonimo, svariate foto, scattate in allevamenti di volpi e di visoni in Repubblica Ceca. Le foto mostrano i poveri animali tenuti in nude gabbie, piccole e sporche, mostrano animali malati, con infezioni agli occhi, animali impazziti che mordono le sbarre della gabbia, animali morti di malattia nella loro prigione. E animali uccisi dai loro aguzzini, attraverso l'elettrocuzione (la morte viene provocata con elettrodi infilati in bocca e nell'ano), la rottura del collo, il gas, o il soffocamento. Ecco le foto (molte sono in alta risoluzione, e risultano quindi utili per realizzare cartelloni che mostrino al pubblico l'orrore delle pellicce): http://www.aucklandanimalaction.org.nz/node/1022 Rabbitfur.org - Investigazione sulle pellicce di coniglio Questa campagna e' nata in Gran Bretagna per portare all'attenzione del pubblico il problema delle pellicce di coniglio, che finora e' stato molto poco considerato rispetto alla questione delle pellicce di altre specie animali. Attraverso infiltrati in vari allevamenti in Spagna, Italia, Francia e Danimarca, la campagna CAFT (Coalition to Abolish the Fur Trade - Coalizione per Abolire il Commercio di Pelliccia) ha realizzato un dossier, con foto e video, che documenta un orrendo commercio in cui milioni di conigli sono confinati in piccole gabbie di metallo, tenuti come macchine da riproduzione, sgozzati, scuoiati e poi trasformati in stivali, cappelli, guanti e guarnizioni per i giubbotti. La scusa che le persone usano per comprare tranquillamente capi in pelliccia di coniglio e' che tanto i conigli sono allevati per la carne, e la pelliccia e' solo "uno scarto". In realta' non e' cosi': la carne di coniglio e' molto a buon mercato, e il vero profitto viene spesso dato proprio dalla vendita della pelliccia, tanto che in molti casi senza questa vendita aggiuntiva gli allevamenti sarebbero costretti a chiudere. Quindi e' difficile giudicare quale sia il "prodotto primario" e quello "secondario", tra carne e pelliccia. Inoltre, molte persone si indignano e sono - giustamente - orripilate dall'uccisione di cani e gatti nei paesi asiatici, ma anche in questo caso gli animali vengono uccisi si' per la loro pelliccia, ma anche per la loro carne; e non ci si pone mai il problema se il prodotto primario sia la carne o la pelliccia. Dato che anche i conigli ormai sono animali d'affezione in molti paesi europei, e' strano che i conigli non siano considerati alla stessa stregua di cani e gatti, dalle persone comuni (cioe' non animaliste). Siamo d'accordo con la conclusione della campagna CAFT, che afferma, raccontando di questa loro nuova iniziativa contro le pellicce di coniglio: CAFT lavora per mettere fine al commercio di pellicce, un commercio in cui gli animali vengono macellati per soddisfare i capricci dell'industria della moda. La nostra speranza e' che il risultato delle nostre investigazioni assicuri che quelle aziende che hanno sempre tenuto nascosto l'orrore degli allevamenti di conigli e continuano a vendere pelliccia di coniglio smettano di farlo, e che i consumatori siano schifati dalla pelliccia di coniglio come lo sono da quella di visone, volpe, ecc. (mentre oggi e' molto piu' accettata). Speriamo anche che le informazioni che divulghiamo incoraggino le persone a riflettere sulle crudelta' dell'industria della carne, dove gli animali sono ingabbiati in allevamenti intensivi e macellati per soddisfare il desiderio per la loro carne. Non abbiamo bisogno della pelliccia di altri animali per stare al caldo; ne' abbiamo bisogno della loro carne per avere una dieta salutare e soddisfacente. Foto e video Qui potete trovare foto (ad alta risoluzione) e video da mostrare al pubblico: * Foto di allevamenti: http://rabbitfur.org/rabbitfarms.htm * Foto di macellazioni: http://rabbitfur.org/slaughterhouses.htm * Video di allevamenti e macellazioni: http://rabbitfur.org/expose.htm Fonte: http://www.agireora.org/ Link: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=372 27.11.07

martedì 27 novembre 2007

A che cosa si sono ridotti...

Qualche giorno fa sono incappato in un sito ( eviterò di fare il nome ) che si fa strenuo promotore e sostenitore delle politiche di Israele e dei suoi all... complici. Il sito è gemellato con Informazione Corretta, altro grandissimo sito che fa dell'obbiettività la sua punta di diamante. A suo tempo anche noi del MFL Sardegna polemmizzammo con IC, in quanto scrisse un articolo - esposto nella pagina principale del sito - in cui ci accusava di inventarci la Storia pur di mettere in cattiva luce lo Stato di Israele. La brutta storia che ci saremmo inventati, a loro dire, è quella relativa a Baruch Goldstein, il fanatico israeliano di estrema destra che compì una strage gratuita di civili palestinesi che pregavano pacificamente all'interno di una moschea. Ora, chiunque potrà ricercare da se la veridicità di quanto riportiamo. Chiusa parentesi.
IC a parte, scrivevo, mi sono imbattuto in questo sito qualche giorno fa e solo oggi, leggendolo più attentamente, mi sono accorto di aver avuto una impressione sbagliata. Credendolo un sito onesto, l'avevo salvato nei miei Preferiti in modo da poterlo visionare con più calma. Oggi che ho fatto questa operazione noto che il sito in questione altro non è se non una vera e propria fabbrica di notizie pro-Israele. Fin qui niente di male, e il sito non si distingue per tanti altri che ci sono nella rete. Anzi, filtrando le varie notizie in cui si denuncia che Hamas abbia vietato l'importazione di prodotti agricoli israeliani ( dimenticandosi però di ricordare che Israele ha bloccato il petrolio, l'acqua, il gas e l'energia elettrica ) o quelle anti-iraniane, si può trovare pure qualcosa di interessante, seppur fluttuante tra i vari post di disinformazione. Ad un certo punto, mentre sfogliavo i vari interventi del sito, già abbondantemente disgustato, mi capitava di leggere un post in cui si denunciava ( verbalmente, intendo! Le prescrizioni di Magdi Allam, che vorrebbe incriminati per terrorismo tutti quelli che non si genuflettono ai sionisti, per fortuna non sono ancora state applicate ) l'iniziativa di una parlamentare europea che, insieme ad un'altra quarantina di colleghi, si è recata nei territori palestinesi a verificare le condizioni di vita degli abitanti. All'inizio del post c'è la foto della parlamentare, e ironizzando sullo scarso sex-appeal della stessa sotto la foto si legge "E' più bella che intelligente". Le etichette ( o "tags" ) del post - vale a dire quelle parole chiave che ogni sito/blog permette di associare ad ogni intervento, in modo da poter far rientrare lo stesso in una categoria, o in più categorie, e rendere quindi più agevole la catagolazione degli interventi - sono le seguenti: "porno", "maialina", "eurodeputata" e simili...
Che tristezza. L'odio viscerale di questa gente arriva a tali livelli che, a scarso di argomentazioni, devono ridursi a prendere in giro gli europarlamentari per il loro aspetto fisico e a condire quello che dicono con volgarità e insulti. E ancora protestano per vignette di ottanta anni fa, dove nella propaganda Nazionalsocialista l'ebreo era descritto col naso ampolloso e le basette lunghe. Se questi sono i difensori del "popolo eletto", fossi in loro farei qualche licenziamento e assumerei nuovo personale dipendente. Meno viscerali, quantomeno. Cominciano un pò a scadere verso il basso. Ancora di più, intendo.

domenica 25 novembre 2007

In ricordo di Palladini

Abbiamo sempre espresso - sia pubblicamente che sui nostri giornali telematici e cartacei - il nostro sostegno a tutte quelle popolazioni ( Iraq, Iran, Afghanistan, Palestina ) che si battono contro il mondialismo e contro lo Stato canaglia per eccellenza: gli USA. Ciò nonostante non posso non condividere - a livello personale - il lutto per la morte di un italiano, il maresciallo Daniele Palladini, morto per servire uno Stato, quello italiano, servo e succube delle politiche americane. Al maresciallo Palladini il mio ricordo e il mio cordoglio.

Vivisezione in UE: aumenta il numero degli animali usati

STATISTICHE SULLA VIVISEZIONE IN EUROPA: AUMENTA IL NUMERO DI ANIMALI USATI OGNI ANNO. MENO ANIMALI PER I TEST OBBLIGATORI PER LEGGE SEMPRE PIU' ANIMALI NELLA RICERCA DI BASE.
I COMMENTI DI NOVIVISEZIONE.ORG

Sono state da pochi giorni pubblicate le nuove statistiche sull'uso di animali per la sperimentazione in Europa, che danno indicazioni abbastanza precise su come sta evolvendo la situazione: la risposta breve e' che, purtroppo, stiamo peggiorando, sia a livello europeo che italiano. E non certo perche', come e' stato riportato in questi giorni "il numero di animali usati per i test cosmetici e' raddoppiato". Il problema non e' questo, perche' comunque gli animali usati per i test cosmetici sono lo 0,05% del totale, e il raddoppio e' dovuto a una sola nazione, la Francia, mentre per le altre e' rimasto tutto invariato.
I veri problemi stanno nell'aumento del numero totale di animali usati, e, a fronte di una diminuzione del numero di animali usati nei test obbligatori per legge, nel continuo aumento di quelli usati nella ricerca di base.
I due campi in cui si ha il maggior uso di animali rimangono quelli della "ricerca di base" e della "ricerca e sviluppo" di farmaci, entrambi campi in cui non vi e' obbligo di legge che costringa a usare animali, e quindi si tratta di una libera scelta (purtroppo TROPPO libera) del ricercatore.
Il 44% degli animali usati in Italia si utilizzano nella ricerca di base (33% in UE) e il 27,5% nella ricerca e sviluppo di farmaci (31% in UE).
Ma, mentre per la "ricerca e sviluppo" di farmaci il numero di animali usati rimane negli anni piu' o meno invariato (-15% dal 2000 al 2003, +8% dal 2003 al 2005), e' devastante l'aumento del numero di animali usati nella ricerca di base: gia' dal 2000 al 2003 c'e' stato un aumento di ben il 40% in questo settore, e questo trend tragico non si sta affatto invertendo, l'aumento spaventoso rimane, e anzi, aumenta di un altro 3%!
Per quanto riguarda gli studi sul cancro, per esempio, dal 2000 al 2005 c'e' stato quasi un raddoppio del numero di animali usati, si e' passati da circa 70.000 a circa 124.000! Questi studi servono solo a curare il cancro - artificiale - dei topi e dei ratti, non sono certo utili ai malati umani.
Aumentato molto anche l'uso di animali nelle ricerche sulle malattie cardiovascolari UMANE: un +30% dal 2000 al 2003, un altro +30% dal 2003 al 2005! Sapendo che si tratta di malattie che potrebbero essere quasi del tutto eliminate con la sola prevenzione, soprattutto incentrata su una corretta alimentazione - a base vegetale -, questo sterminio di animali, di tempo, risorse e soldi si rivela ancora piu' ingiustificato.
"Questo aumento della vivisezione nel campo della ricerca di base e' doppiamente vergognoso" affermano i responsabili del progetto NoVivisezione.org. "da un lato perche' non c'e' nessun obbligo di legge, quindi sta aumentando la vivisezione proprio nei campi in cui non e' affatto obbligatoria. Dall'altro perche' questa vivisezione è stata pagata coi nostri soldi. E' stata svolta nelle università - sovvenzionate con denaro pubblico, delle nostre tasse - e presso i laboratori delle associazioni per la ricerca medica che chiedono ogni anno l'aiuto di tutti i cittadini di buon cuore con le loro maratone televisive e altri eventi per raccogliere soldi. Soldi che sempre di piu' vengono spesi non per aiutare i malati, ma per fare 'ricerca' su malattie fasulle create artificialmente su una specie diversa da quella umana."
Mentre da un lato e' incoraggiante che i test obbligatori per legge stiano iniziando a usare altre strade per essere effettuati, ed evolvano verso un minor uso di animali (sperando di arrivare presto a un uso nullo!), e' davvero deprimente che a livello di ricerca di base e applicata permanga la mentalita' che gli studi su animali sono "utili". Quando riusciremo ad eliminare questo "dogma"?
Conclude NoVivisezione.org: "Ciascuno di noi deve essere cosciente del fatto che le donazioni per la ricerca medica vanno quasi sempre a finire - almeno in parte - a finanziare la vivisezione, e informarsi su quali associazioni scegliere per evitare questo spreco, di vite, di risorse, di soldi. E' possibile informarsi attraverso la campagna 'Per una ricerca di base senza animali', ben visibile dalla home page di www.NoVivisezione.org".

Note:
- un articolo di analisi piu' dettagliato e' disponibile alla pagina:
http://www.novivisezione.org/info/stats2007.htm
- il dossier originale con tutte le statistiche della Commissione Europea e' disponibile su: http://ec.europa.eu/environment/chemicals/lab_animals/pdf/staff_work_doc_sec1455.pdf

Comunicato di:
AgireOra Network
http://www.agireora.org - info@agireora.org
23.11.07

mercoledì 21 novembre 2007

Qualche precisazione sui commenti

Il mio sito ha contato in una settimana - da quando cioè è stato attivato il contatore - quasi ottanta visite e più di centosessanta discussioni visitate. Togliendo le cinque volte che mi sono connesso io come utente semplice per alcune "prove tecniche" fanno 75 visite in 7 giorni. Senza contare le visite precedenti, e tenendo presente il poco tempo e il fatto che il sito non è stato pubblicizzato granchè, ritengo che sia un risultato senza dubbio positivo.
Cominciano a diventare un certo numero le persone che mi scrivono in privato, lamentando il fatto che non vedono i loro commenti pubblicati: nessuna forma di censura. A me di commenti non ne arrivano proprio.
Così ho fatto una prova ( una delle cinque menzionate sopra ) e ho scoperto che - perlomeno a me - in questo modo i commenti vengono segnalati. Vi scrivo come ho fatto; magari può esservi utile.
Sotto ogni intervento c'è il numero di commenti per quell'intervento: cliccandoci sopra si apre una finestrella all'interno della quale chiunque può scrivere. Nel riquadro sotto la scritta "Lascia il tuo commento" inserite o incollate il testo che volete inserire; più in basso verificate la parola anti-spam( dovete quindi riscrivere la sequenza di lettere che il programma fornisce autonomamente ), e alla fine scegliete come identità "Anonimo" ( E' quindi sottinteso che dovete firmarvi alla fine del messaggio che scrivete ). Infine, immediatamente più in basso, selezionate il tasto arancione "PUBBLICA COMMENTO". Probabilmente dovrete ripetere la procedura un paio di volte ( perlomeno a me è successo così ) finchè la finestrella non si è aggiornata con un messaggio in verde, in alto, che vi avvisa che il commento è stato inviato e che bisogna attendere il vaglio dell'amministratore per la sua pubblicazione. Se questo messaggio non compare il vostro messaggio non è partito, e perlomeno io ho dovuto fare diversi tentativi ( ripetendo due o tre volte la procedura ) per far si che il procedimento si concludesse positivamente.
La questione è un pò seccante, e sto cercando di far si che tutto funzioni correttamente anche se, anzichè utilizzare "Anonimo", si sceglie un'altra identità. Ma per adesso questo è l'unico modo che mi ha dato risultati. Fatemi sapere.
A Noi.

martedì 20 novembre 2007

Democrazia yankee

Di seguito un filmato in cui si documenta la reazione della sorveglianza ad una domanda - "Skull and Bones" e massoneria - particolarmente scomoda di uno studente a John Kerry, durante un comizio che quest'ultimo ha tenuto in un college americano. D'accordo, d'accordo: lo studente ha tardato un pò a fare la domanda. Ma c'era bisogno di arrivare a tanto?

domenica 18 novembre 2007

Parole profetiche

«L'altra potente forza che assedia e minaccia l'Europa è l'America e più propriamente gli Stati Uniti d'America, incoraggiati in ciò dal pensiero anglosassone (...) La Costituzione americana porta al potere, sotto il falso segno della democrazia, vere e proprie oligarchie capitalistiche, che io chiamo plutocrazie. Sono oligarchie di grandi interessi, più che di idee e di princìpi. Esse hanno bisogno di espansione per aumentare i profitti. Non è difficile prevedere che la dottrina di Monroe, avendo già avuto un primo strappo nel 1917-18, possa venire sostituita da una teoria d'imperialismo. I prodotti americani in crescente misura avranno bisogno di saturare il mondo. Dietro gli affari e a difesa degli affari non sarà poi illogico trovare la torre di una corazzata o le ali di un aeroplano da bombardamento. lo sto molto attento alla espansione dei prodotti americani, non solo, ma anche dei modi americani. È innegabile che fra gli italiani si vanno estendendo certi gusti e certi atteggiamenti degli statunitensi, tutt'altro che consoni al nostro modo di pensare: musiche negriere o troppo yankee, orribili cocktail, i piedi sui tavolini, la gomma da masticare. Sembrano sciocchezze trascurabili, ma incidono nei caratteri e nei gusti (...) A forza di imitare l'americanismo si può perdere la propria personalità. Contro il bolscevismo io ho innalzato i gagliardetti di combattimento fin dal 1919; contro l'americanismo invadente io cercherò di dare un taglio, se sarà necessario, richiamando il popolo italiano a un'autarchia sia economica che spirituale».
Benito Mussolini, 1932

giovedì 15 novembre 2007

Ron Paul, la non-persona

Ron Paul, la non-persona
Maurizio Blondet
15/11/2007

Il candidato repubblicano Ron Paul
STATI UNITI - La prossima volta che vedrete in tv il noto Teodori ripetere che l’America «è la più aperta democrazia occidentale», con «la più libera stampa che esista al mondo», raccontate al vostro figlio o nipote (che potrebbe crederci) la storia del candidato che il popolo vuole e di cui i media tacciono.E’ una storia che si svolge in questi giorni.In USA c’è una non-persona che s’è candidata alla presidenza USA.Che sta avanzando nei sondaggi.Che conduce la sua campagna in economia assoluta.Non ha nulla per piacere: non è nemmeno «un giovane», è un ginecologo settantenne.Questa non-persona è repubblicana: la sua avanzata travolgente ne fa’ anzi, l’unico candidato repubblicano che - dopo il mandato repubblicano di Bush, un disastro di guerra debiti e miseria – abbia una possibilità di prevalere sulla candidata democratica Hillary Clinton.Eppure il suo stesso partito non lo candida.Anzi, gli fa’ il vuoto attorno.Preferisce perdere con Rudy Giuliani, il sindaco delle Twin Towers. Se siete più informati di quanto vi consenta il Corriere, conoscete il nome di questa non-persona.Si chiama Ron Paul.La sua colpa, che lo rende incandidabile nella più grande democrazia del mondo, è questa: fin dal principio è stato contro l’invasione dell’Irak.Contro la demente guerra al terrorismo globale indetta da Bush.Contro le guerre per Israele.E mentre Hillary, Obama, Giuliani, McCain, qualunque altro candidato di cui si può parlare, hanno promesso alla nota lobby che se eletti faranno la guerra all’Iran, Ron Paul ha promesso il contrario. I candidati sono andati in ginocchio alle sedi varie della lobby, per supplicare il sostegno del denaro israelita e fare esaminare le loro credenziali.Il denaro corre e si concentra, la scelta è caduta su Hillary meglio che Obama, è già deciso…Le campagne presidenziali costano, in USA, almeno 200 milioni di dollari a candidato.Ma non è che a Ron Paul manchi il denaro.Solo che lo riceve dalla gente comune.In misura strabiliante.In un solo giorno, il 5 novembre, ha ricevuto dagli americani che lo conoscono via internet 4,2 milioni di dollari.La data è significativa: il 5 novembre 1605 è nel mondo anglosassone il Guy Fawkes Day, memoria del presunto attentato a re Giacomo I, a torto o a ragione passato come un giorno di liberazione inglese dal «papismo» (1). Non è che la memoria storica della gente giunga a tanto.Quelli che hanno scelto il 5 novembre per dare ancor più soldi a Ron Paul hanno in mente il film recente, «V for Vendetta», la storia di un vendicatore mascherato in lotta contro una società d’oggi, dominata da poteri occulti, meccanicisti, nichilisti, radicalmente falsa: la società televisiva in cui viviamo.Il sito di Ron Paul è affollato da donatori in maschera bianca che ripetono lo storico slogan: «Remember, remember the 5 of september».Insomma vedono in Paul il Vendicatore.Il critico radicale di una società che si dice democratica ed è governata da oligarchie occulte; quello che dice la verità nel mezzo della menzogna totale mediatica. Ron Paul è il solo candidato che riceva soldi dalla gente, in questa misura: vuole arrivare a 12 milioni di dollari entro dicembre, e ne ha già 9.Gli altri candidati candidabili ricevono i soldi dalle lobbies e dalle multinazionali.Molti di più, si capisce.Ma Ron Paul fa’ campagna in economia stretta.Non ingaggia maghi della pubblicità da milioni di dollari.Non spara si network spot da miliardi.Non inonda i muri di manifesti colossali.Il gruppo che lo fiancheggia non è composto da centinaia di militanti forniti dal partito repubblicano, ma da cinquanta persone, volontari a rimborso-spese.Come «spin doctors», strateghi della comunicazione, sono con lui due tizi chiamati Kent Snyder e Lew Moore.Sono due professionisti.Ma Snyder è accanto al vecchio ginecologo da quanto era studente e lo sostenne come volontario nella campagna del 1988, dove Ron Paul si presentò come candidato Libertario.Moore è un repubblicano che ha creato campagne per noti sostenitori di cause perse, ma anti-sistema: il deputato Jack Metclaf, che ha il coraggio di proclamare che la Federal Reserve è illegale, e illegale il denaro che crea dal nulla, e fu – all’età di nove anni – uno dei ragazzi che volantinarono per Barry Goldwater nel 1964.Insomma, non due maghi di «ogni» pubblicità, ma due soldati politici e vecchi amici.Il resto gli viene da internet.Dal mezzo non del tutto controllabile, che si conferma ancora una volta il luogo ultimo dove la gente raccoglie le verità che i media non dicono, e dove si organizza per esprimere il suo rifiuto delle oligarchie nascoste. I media americani non hanno parlato di Ron Paul.Mai o quasi, fino ad ora: salvo qualche accenno a quel pazzerello ridicolo, a quel «marginale» strano vecchietto.Mai e poi mai hanno coperto i suoi affollati comizi, dove arriva gente di ogni razza, ceto e convinzione politica, cristiani rinati e gay di San Francisco compresi. Ora però «devono»: quei 4,2 milioni di dollari raccolti dalla base in un solo 5 novembre – qualcosa che la Clinton e Rudy Giuliani nemmeno si sognano – sono una realtà esplosiva.Una realtà pericolosa, a giudizio delle note lobbies.Da neutralizzare.A questo servono i »liberi» media. Una campagna di derisione al limite della denigrazione e della calunnia è in corso (2).Tv e giornali «di destra» e «di sinistra» uniti, dipingono giorno per giorno la caricatura, per rendere Ron Paul inappetibile.«Ron il matto» il poazzo pericoloso, è il tema generale (fecero lo stesso anche a Goldwater).Un fanatico.Il Wekly Standard, la rivista dei neocon, è sul punto di dargli dell’antisemita, e lo ritrae mentre viene salutato da giovani in uniforme, per suggerire che è un nazista. Lì si «deve» arrivare.
Per ora, il messaggio è affidato ad un comico della CNN, Glenn Beck, che (scherzando s’intende) a Ron Paul del «terrorista», uno come Timothy McVeigh, il capo degli attentatorid di Oklahoma City, stragista nero, estrema destra.Poi, i liberi giornali hanno scoperto che fra i donatori alla sua campagna c’è un razzista di notorietà locale, il quale ha versato 500 dollari.Che Rudy e Hillary ricevano milioni di dollari dal complesso militare-industriale e dall’American Israeli Political Committee non pesa altrettanto, nel sistema orwelliano della Verità Autorizzata. David Neiwert, un giornalista, ha cominciato a ricamare su quei 500 dollari neri. «Non sto dicendo che Ron Paul è un razzista, ma che è un estremista che condivide un quadro di convinzioni sostenute dai razzisti e dai fanatici del ’meno stato’. Paul si identifica con le loro cause non solo perché parla con loro, ma perché illustra idee e posizioni – sul sistema fiscale, l’Onu, la copertura aurea e l’istruzione – identiche alle loro. C’è un motivo per cui Ron Paul attrae sostenitori come David Duke (noto neonazista, ndr.) e le bande dello Stormfront: egli parla come loro». Si assapori la tecnica denigratoria per associazione e per allusione.Ron Paul è un libertario, fin troppo liberale in senso radicale su certi temi.E in quanto libertario, «parla» a chiunque, anche a chi «non dovrebbe».Siccome è contro la tassazione spoliatrice, l’ONU come fantomatico governo mondiale, per l’istruzione affidata alla responsabilità dei genitori e (soprattutto) contro una moneta senza copertura – è come David Duke.Parla come lui, l’agitatore di svastiche.E’ un negatore dell’olocausto, dunque.Nel nostro piccolo, abbiamo visto usare questa medesima tattica da Teodori.Evidentemente c’è un manuale, un repertorio prescritto.La realtà è che Ron Paul è un esponente del movimento liberario classico, una frangia di minoranza che è sempre esistita in USA, ancorchè minoritaria.Fa rabbia che sia a destra (è repubblicano e per «meno stato») ma anche a sinistra, contro la guerra e le guerre di Bush.Insomma non è incasellabile nelle gabbiette prescritte dalle lobbies.Rompe gli steccati, attraendo gente dalle due sponde.Dice ciò che a «destra» né »sinistra» deve essere detto, se si vuol farsi eleggere presidenti o senatori. Non dipende dall’AIPAC e non si fa’ dettare il programma dal Jewish Institute for National Security Affairs. Disturba, perché ai liberai americani è data la scelta fra falchi di sinistra che promettono di bombardare l’Iran, e neocon dichiarati come Giuliani, che promettono di bombardare l’Iran. Lo dice David Greenwald, un giornalista prima critico ma oggi attento favorevole osservatore del fenomeno.«La capacità della campagna di Paul di costringere ad un dibattito di cui c’è disperato bisogno, attorno alla devastazione che il dominio imperiale americano porta ad ogni livello, economico, morale, di libertà e sicurezza, la rende di per sé degna di applauso».Strano nazista, uno che apre il dibattito invece di chiuderlo.«Inoltre», aggiunge Greenwald, «a volte sono le circostanze a dettare le priorità politiche. Persone che non sono mai state attratte dalla retorica del ’meno Stato’ e di tutti i relativi sottoprogrammi, oggi capiscono che come ideale questo è necessario oggi, dopo sei anni di espansione del potere statale più intrusivo».E’ così che un ostetrico-ginecologo di 73 anni con idee un po’ radical e un po’ anti-Fed può diventare di colpo un «Guy Fawkes», l’uomo mascherato antisistema, scelto per denunciare la distanza abissale che ormai separa, nella cosiddetta «democrazia», gli elettori dagli eletti, o se vogliamo, il popolo dall’establishment.Ciò che è peggio, è che l’adozione di Ron Paul da parte dei suoi sostenitori ha – come nota Dedefensa – una identificazione col personaggio fittizio di «V per Vendetta»: un sogno filmico, inventato apposta per placare oniricamente (illusoriamente) le insofferenze che covano nella cultura di massa, un «simbolo» che si vende nei supermercati ad Halloween, una invenzione pubblicitaria a sostegno del sistema e del suo moralismo falso, si volge contro il sistema.Il vantaggio della «simbolizzazione» per il sistema era la sommarietà della rivolta cinematografica, che «permette utili deformazioni ed evita di investigare a fondo le politiche fondamentali».Ora, la macchina gira al contrario: chi sia Ron Paul, come la pensi davvero su questo e su quello, importa poco, ora che è il simbolo del candidato-contro, e i suoi sostenitori lo salutano col grido «Remember remember th 5 of november». E’ successo anche in Italia, con Beppe Grillo, le sue idee ecologiste non sono state il motivo del suo successo popolare.Qui tutto sembra rientrato.Anche Ron Paul, forse, non ha reali possibilità di vincere la campagna presidenziale.Ma perché allora questa paura, questa rabbia dell’establishment, delle oligarchie, delle caste che hanno sequestrato la «democrazia»?Perché ritengono necessario gridare alla «anti-politica»?Al neonazista, negazionista per giunta?Perché la menzogna ha da essere totale, da Bertinotti a Fini, o da Hillary a Rudy.Una gabbia senza spiragli.Basta un piccolo buco per mettere in pericolo il pensiero unico; anche perché è esausto, e la sua falsità non può più essere dissimulata.Maurizio Blondet
Note1) «La mission de Ron Paul, V for Vendetta», Dedefensa 14 novembre 2007. 2) Justin Raimondo, «Why are they so afraid of Ron Paul? Neocons and sectarian leftists unite to smear the antiwar republican», AntiWar, 14 novembre 2007.
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Tratto dal sito www.effedieffe.com

Convegno "Sovranità Nazionale e monetaria"

Pubblico qui di seguito il collegamento per poter visionare il filmato del Convegno "Sovranità Nazionale e monetaria" svoltosi a Milano il 27 ottobre scorso. E' importante perchè vengono affrontati gli argomenti fondamentali dei problemi monetari nazionali ed europei: lo strapotere delle banche, la connivenza tra settore privato e interesse pubblico, l'influenza della massoneria e via dicendo.

venerdì 9 novembre 2007

In risposta alla tua ultima

Controrisposta
Caro Andrea, spiace anche a me non essersi visti di nuovo...ma a Natale sono di nuovo lì.Innanzi tutto questo da cui ti scrivo è il mio nuovo indirizzo email (gli altri cancellali pure). Ti ringrazio per il commento al mio post, e ti invito a non farti nessun problema nel caso voglia pubblicare il tuo parere sul mio blog: è uno spazio pubblico e quindi un'opportunità di confronto civile in più. Poi ti incoraggio davvero ad aprire anche tu uno spazio virtuale: oltre wordpress.com esistono numerosissime piattaforme dove puoi fare tutto in modo molto semplice, ad esempio blogger.com, splinder.it, ilcannocchiale.it, tiscali etc.Per quanto riguarda il tuo articolo, come prima cosa mi complimento per la chiarezza espositiva. Il problema della sicurezza è grave. Ed è grave anche che molti dei crimini siano commessi da stranieri. Ma occorre fare una precisazione: il numero di crimini commessi da cittadini immigrati, regolarmente registrati, è pressoché pari a quello commesso da cittadini italiani. Il luogo comune che contraddistingue l'informazione italiana è dovuto al semplice fatto che gli immigrati vengono puniti di più che gli italiani. Tutt'altro discorso vale per gli immigrati clandestini: il numero di crimini da essi commesso è, questo sì, più alto. A mio modestissimo parere, non occorre combattere le conseguenze - che una determinata situazione può arrecare - senza combatterne o prevenirne (laddove possibile) le cause: e questo vale sia per i crimini commessi da cittadini italiani (la maggior parte a base familiare), sia per quelli commessi dai cittadini stranieri. E le cause possono essere innumerevoli: si va dalla psicologia della persona, alla povertà economica; dalla gelosia alla mafia...etc. E per gli immigrati ogni situazione difficile è senza dubbio amplificata dalla loro intrinseca collocazione sociale: un immigrato non occidentale (chiamiamolo così) è svantaggiato in quanto tale. Il problema principale non è la sicurezza. E' la clandestinità e le condizioni di vita degli immigrati. La mancanza di sicurezza è una conseguenza diretta di tali lacune a cui lo stato italiano non pone adeguato rimedio (il che non significa che dovrebbe chiudere le frontiere).La ragione è una sola: gli immigrati fanno comodo. Sono forza lavoro (quasi) gratuita - il numero di 'schiavi moderni' in Italia è sconvolgente -, e costituiscono un facile bersaglio cui puntare l'indice quando le lacune dello stato (in temi di sicurezza, criminalità, carceri piene) divengono più palesi. E' come quando si vuole combattere la prostituzione arrestando le prostitute: se non ci fossero persone disposte a pagare per le prestazioni, il mercato del sesso subirebbe un sicuro declino. Ma chi va a puttane non finisce in galera, e la intera colpa della piaga della prostituzione va alle prostitute e ai rispettivi protettori.Non è sbagliato combattere certi problemi: l'errore sta, nella maggior parte dei casi, nel modo in cui si vogliono combattere.Dico tutto ciò non per affossare la connessione criminalità-immigrazione che sicuramente in tanti casi esiste, ma per evitare le facili generalizzazioni che la stampa italiana (e non solo la stampa) è solita fare.Altro discorso ancora è l'efferatezza di certi crimini, tipo quello di Tor di Quinto: ma lì non si tratta di immigrato o indigeno. Quello è un problema di psiche umana, malata e barbara, alla quale non rivolgo nessuna compassione.Sarà anche vero che in tanti vanno in Italia perché credono nell'impunità: ma chi può dar loro torto se in Parlamento siedono mafiosi, se l'ex premier ha fatto quel che ha fatto, se l'etica pubblica non esiste più? Pare ovvio che chi vuole delinquere sia attratto dalle paradisiache mode criminali italiane.Per quanto riguarda le etnie più o meno criminali c'è da aprire un'altra parentesi: una cosa sono i Rom (una popolazione nomade originaria dell'Est e non per forza della Romania), altra cosa sono i Rumeni. Alcuni clan di Rom fanno della piccola-media criminalità la loro ragione di vita, ed è un qualcosa che appartiene alla loro - contestabile - cultura. Quella dei Rumeni, invece, è una popolazione antica, piena di tradizioni e cultura popolare - rispettabile - come tutti i popoli di questo mondo. Come ben sai la Romania era sotto duro regime comunista sino al 1989, e le conseguenze di quel lungo periodo si fanno ancora sentire. Esattamente come sta succedendo in Russia.Il concetto di democrazia (come lo intendiamo noi) non si è ancora incardinato nelle istituzioni dei paesi ex-comunisti. Ed è fisiologico. Anche l'Italia è ancora considerata una democrazia giovane (nonostante abbia 60 anni), e le prove di questo ce le abbiamo ogni giorno sotto gli occhi. Per la Romania è solo questione di tempo. Per la sicurezza in Italia è questione di risorse: non serve abbattere le baraccopoli. Servono più controlli, più comunicazione, più luoghi di scambio culturale e di convivenza. E per i criminali luoghi di rieducazione: magari adesso vengono espulsi, poi fra qualche anno ritornano e continuano a delinquere. Questa non è la soluzione al problema sicurezza.Le ondate mediatiche non fanno altro che incrementare l'odio e l'intolleranza per certe etnie: è successo agli albanesi, ora ai rumeni, fra poco succederà a qualcun altro.Perdona la disomogeneità del mio discorso ma ho scritto ad intermittenza...
:-)Ricambio stima e affetto, e spero che queste opportunità di scambio possano continuare (tempo permettendo), magari attraverso uno spazio virtuale comune...A presto.Federico

Con gli Italiani

Di seguito la mia risposta
07/11/2007
Caro Federico,
mi avevi detto che partivi il 6 e, purtroppo, non abbiamo fatto in tempo a vederci prima di tale data.
In attesa di incontrarti di persona, e poter stavolta offrire io una buona pinta di birra, volevo esprimerti alcune considerazioni che ho maturato in seguito a tutto il putiferio montato in occasione di quella che viene considerata “l’emergenza rumena”. Ho letto il tuo articolo, pubblicato sul tuo blog, in cui tratti velocemente di questa questione intitolando il tuo intervento molto simbolicamente “Con i Rumeni” e, poiché mi sento, seppur indirettamente, chiamato in causa, volevo esporti per iscritto quanto penso. Ma probabilmente lo avrai già capito: anche il mio titolo rende l’idea, e non vuole togliere niente ai rumeni o ai rom che civilmente vivono nel nostro Paese, nei confronti dei quali sono sempre attento a non generalizzare.
Parto innanzitutto da alcune premesse che ritengo siano utili per sdoganare il discorso dalla contrapposizione Destra-Sinistra che sai non mi appartiene: schieramenti troppo legati tra loro, e senza più alcun appiglio ideologico o culturale, per poter attirare, dall’una o dall’altra parte, il mio voto o la mia simpatia. Questo perché non parlo né per difendere l’attuale maggioranza, né l’attuale opposizione: sono entrambe due facce della stessa patacca ( dire medaglia sarebbe esagerato ).
Come tu ben sai, io sono Fascista. Ma non mi piacciono i generali golpisti; non mi piacciono i buffoni che il 28 ottobre si mettono addosso una camicia nera, piena di patacche trovate in qualche mercatino di provincia, cantando a squarciagola le canzoni del Ventennio, salvo poi tornare a votare per quella coalizione di Destra che attualmente è l’esatto opposto di quello che il Fascismo è stato storicamente, o dovrebbe essere; non mi piacciono i fanatici che, ansiosi di spaccare la testa ad un loro connazionale solo perché “colpevole” di tifare per la squadra avversaria, esibiscono croci celtiche, svastiche o busti del Duce dalle gradinate dello stadio; non mi piacciono i gruppi di picchiatori professionisti che girano per la città con le magliette “WhitePower” ( “PotereBianco” ), nostalgici di teorie di supremazia razziale che oggi non hanno più alcuna ragione di esistere perché abbondantemente smentite dalla Scienza. Gruppi di picchiatori che – permettimi di togliermi questo sassolino – hanno fornito, con la loro spedizione punitiva contro dei pacifici uomini che facevano la spesa in un supermercato di Roma ( sicuramente, nelle loro teste poco astute, per vendicare il massacro barbaro della signora Reggiani ), una bella boccata di ossigeno ad un governo quasi in stato di asfissia. Ancora: non mi piacciono gli stati che si travestono da agnello ma agiscono da lupo per mostrare a tutto il mondo la loro verginità morale, onde poi confiscare le terre ai palestinesi e giocare al tiro al bersaglio con i palestinesi stessi; non mi piacciono quegli stati che, con la scusa di portare la democrazia, invadono un Paese sovrano per depredarlo delle sue risorse e assoggettarlo al loro dominio ( ieri era l’Italia, che bisognava liberare da Mussolini, e oggi è l’Iraq, l’Afghanistan, domani sarà l’Iran, la Siria, la Russia etc… ).
Penso che quanto scritto basti ad evidenziare come sia ben lontano ( e la mia militanza politica nel MFL ben testimonia ciò ) dalla cosiddetta “area neofascista” o di “estrema destra”.
Tuttavia, non posso tacere davanti alle solite argomentazioni trite e ritrite secondo le quali chiunque provi ad invocare un po’ di disciplina, un po’ di sovranità a casa propria, debba sentirsi subissato dalle solite critiche: razzista, estremista, fanatico, fascista, nazista… e perché no, ci stanno sempre bene: antisemita, filoterrorista e ( dulcis in fundi ) negatore dell’Olocausto. ( Per carità, non è questo il tuo/nostro caso. )
Cominciamo dalla fine del tuo intervento: la lista dei crimini commessi dai rumeni nell’ultimo anno che è stata pubblicata da La Repubblica, scelta che tu hai biasimato. I dati di questure, Ministero dell’Interno e simili ci ragguagliano sul fatto che, per quanto riguarda i delitti di strada, nonché omicidi, stupri, rapine in villa, i romeni sono al primo posto come etnia. Lungi da me cercare spiegazioni razziali, biologiche e/o culturali, ma possiamo dire che in Italia l’etnia dei rom è quella che si distingue per la crudeltà e l’efferatezza dei suoi crimini, senza per questo dover essere sommersi dal politicamente scorretto e dall’accusa di razzismo? Io sono ben disposto a comprendere – ma fino ad un certo punto, che ora ti spiegherò – la difficile situazione sociale nella quale può trovarsi l’immigrato: tuttavia questa è stata una giustificazione spesso e volentieri adottata per far si che l’extracomunitario non scontasse tutta la pena inflittali, logica conseguenza del buonismo del politicamente (s)corretto. Se proviamo a leggere bene quella lista noteremo che la maggioranza di quei comportamenti criminali vanno ben oltre la necessità di procurarsi dei soldi, o comunque alleviare la propria precaria condizione: noteremo che spesso e volentieri i crimini – stupri, omicidi, pestaggi – superano, per così dire, la normale violenza che vi è in una rapina, poniamo, per diventare veri e propri accanimenti bestiali di violenza, di rabbia, di gratuita cattiveria e di gratuita provocazione del dolore ai danni di persone indifese come anziani, donne etc. In parole semplici: se io – clandestino rom – devo rapinare una persona anziana che cammina tranquillamente in bicicletta perché ho bisogno di soldi ( mi pare che questa situazione compaia in quella famosa lista, ), mi basta immobilizzarla, magari spaventarla, magari ridurla all’impotenza con qualche schiaffo o calcio, prenderle i soldi, o gli oggetti di valore, e poi darmi alla fuga. Che bisogno ho di accanirmi sulla mia vittima e pestarla fino a ridurla in coma? Questo va oltre la mia urgente necessità di procurarmi i soldi. E, ancora, se nella maggioranza dei crimini in cui gli autori sono rom si registra tale gratuità cattiveria, si potrà parlare di un gruppo – maggioritario o minoritario poco importa – che è socialmente pericoloso? Senza nulla togliere, lo ripeto, ai rumeni o ai rom regolari o agli extracomunitari laboriosi e civili ( e tanti ne conosco, molto più di certi italiani che purtroppo, come tu ben noti le volte che vieni qui, sanno solo pensare a girare sulla loro Mini Cooper con lo stereo a palla e la baldracca sul sedile passeggero ).
Conosco già l’obiezione che subito mi rivolgerebbe un mio ideale interlocutore: “Ma non sono solo i rom che delinquono, e che mostrano il più totale disprezzo per la vita e la persona!” Ci mancherebbe: noi italiani non abbiamo niente da invidiare in questo senso, anzi! Tuttavia la differenza tra l’immigrato e l’italiano c’è, e non è da poco. Mi spiego ancora con degli esempi (. Devi perdonarmi, ma a quest’ora mi risulta un po’ difficile mettere i miei pensieri per iscritto correttamente, e questo modo logico di procedere per situazioni mi aiuta a legare insieme i fili del discorso ).
Esempio 1: il clandestino – magari già conosciuto alle autorità italiane e recidivo – Malil che rapina, violenta e uccide la signora Reggiani;
Esempio 2: la strage di Angelo Spagnoli a Guidonia, ovvero l’ex ufficiale dell’esercito, già conosciuto per i suoi problemi psichici, che è uscito sul balcone di casa sua cominciando a fare il tiro a segno con i passanti sotto casa;
Esempio 3: un italiano qualunque, normalissimo e con una vita regolare come tanti ce ne sono, che violenta una quattordicenne ( Purtroppo non è raro sentire storie di questo genere ).
Che differenza c’è fra questi tre esempi? Semplice: nei primi due lo Stato – intendendo le istituzioni, gli organi e gli uffici competenti – è colpevole in quanto non ha saputo evitare una tragedia che era altamente prevedibile. Nell’esempio 1 lo Stato – con la sua folle politica di accoglienza indiscriminata, la sua incapacità e non volontà di far rispettare le leggi, il suo lassismo – ha permesso che un immigrato irregolare, già conosciuto perché “socialmente pericoloso”, potesse girare tranquillamente a Tor di Quinto a violentare e poi uccidere una donna sola. Nell’esempio 2 lo Stato è colpevole perché ha permesso che un individuo – già conosciuto per i suoi problemi psichici – tenesse in casa un vero e proprio arsenale di armi, bombe a mano, dispositivi antiuomo e via dicendo. Nel terzo caso lo Stato non è colpevole perché, purtroppo, nessuno poteva prevedere alcunché dato che mai si erano avuti segni di cedimento psicologico, irascibilità o altro e l’uomo era incensurato.
In sintesi: non c’è bisogno di essere razzisti per arrivare a capire che una politica di accoglienza indiscriminata porta nel nostro Paese tantissime persone che, consapevoli di farla franca, vengono nel nostro Paese solo per delinquere (http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=217554 ) certi della più totale impunità e sicuri che, qualunque cosa accada, ci sarà sempre un Giordano o un Pecoraro pronti a difenderli. Qui lo Stato è colpevole.
Certo: poi si può discutere dell’ipocrisia di un Veltroni, che passa da quella sua irritante retorica viscida e benpensante a diventare uno sceriffo del Bronx; si può discutere dell’ipocrisia della Destra, che va a visitare le baraccopoli con il seguito di giornalisti e guardie del corpo, quando con la Bossi-Fini ha aperto le porte all’immigrazione clandestina per fare un favore ai padroni del nord; si può discutere dell’irresponsabilità di non applicare, come tutti gli altri stati europei hanno fatto, la moratoria di un anno ( mi pare ) sui cittadini rumeni; si può discutere delle politiche di immigrazione ed economiche degli ultimi decenni, atti a procurare e favorire la più completa circolazione di uomini e di merci per sostenere una economia capitalistica ormai decadente… si può discutere di tante cose.
Tu poi scrivi: “Qualcuno è convinto che ci sarebbe davvero più sicurezza se in Italia non ci fossero immigrati: tutte sciocchezze.” Io dico che su 100 crimini denunciati il 36/40% risulta composto da extracomunitari; ciò vuol dire, ragionando per assurdo, che se domani sparissero tutti gli extracomunitari di colpo anziché 100 crimini in un anno se ne conterebbero 60. Diventa una bella tentazione… che comunque, da persona pragmatica e non fanatica, scaccio immediatamente via dalla mia mente.
Penso di averti detto tutto, almeno per ora, e concludo: mi piacerebbe che per una volta – quando si parla di cose che ci interessano tutti quanti da vicino – si pensasse un po’ più agli italiani: a furia di pensare agli extracomunitari li abbiamo persi di vista. Gli italiani.

Con stima e affetto

Andrea Chessa

Con i Rumeni

Pubblico un articolo apparso su http://ansard.wordpress.com/ del mio già conosciuto amico Federico.
02/11/2007

Riuscire ad indignarsi, in Italia, è ormai privilegio di pochi.
Siamo talmente avvezzi al monotono corso degli eventi che nulla più riesce a sorprenderci o a scandalizzarci: siamo troppo abituati alla politica corrotta, alla nauseabonda burocrazia, alla censura nell’informazione, alle contraddizioni sempre più evidenti del sistema…
Ma in questi giorni ho provato un qualcosa di molto simile alla indignazione.
Condanno aspramente ciò che è successo alla signora romana l’altro ieri, e riconosco la necessità di un forte intervento a favore della sicurezza delle nostre città. Ma basta con i capri espiatori! Basta davvero con le generalizzazioni di comodo!
Occorre certo punire i colpevoli e prevenire i reati, ma occorre di più salvaguardare gli innocenti dalle ondate di merda mediatica che lo tsunami dell’informazione (e della politica) italiana alza facilmente contro determinate categorie!
Da qualche tempo il bersaglio delle condanne preventive è la Romania e il suo popolo, membro a tutti gli effetti dell’Unione Europea. E dopo il fattaccio dell’altro giorno il democratico Veltroni ha lanciato un incredibile j’accuse, e il governo - con una efficacia e una velocità (questa sì sorprendente) - ha approvato un decretino, che Napolitano non ha esitato a firmare. Espulsioni più facili, si dice. Ed oggi pare che i primi 5000 vedranno il cartellino rosso. Le motivazioni del provvedimento sono talmente sbrigative che dubito dell’equità dell’azione. Come dubito dell’efficacia dei vari sgomberi in corso (mi tornano alla mente gli inutili sgomberi ‘cofferatiani’ di Bologna, visti di persona): rimuovere gli aspetti più evidenti (baracche, roulottes e simili) non elimina affatto il problema, ma con probabilità lo accresce. Che poi qual è il vero problema, la sicurezza delle città? E da che cosa è causata tale mancanza di sicurezza? Non si dovrebbe cercare di migliorare le condizioni disperate degli immigrati ab origine? Pura utopia, evidentemente: l’importante è non deludere il mainstream dell’opinione pubblica, l’importante è collezionare un punto di propaganda elettorale in più.
Una nota di demerito, l’ennesima, va agli organi di disinformazione: mi riferisco, ad esempio, alla lista dei crimini commessi da Rumeni nell’ultimo anno, pubblicata da Repubblica.it. Un bel gesto di vergognosa superficialità, che non fa altro che amplificare quegli stati d’animo xenofobi troppo suscettibili e troppo schivi alla vera realtà delle cose.
Qualcuno è convinto che ci sarebbe davvero più sicurezza se in Italia non ci fossero immigrati: tutte sciocchezze. Probabilmente il mondo sarebbe (stato) più sicuro senza qualche italiano…
AnimaSardainCorporeSardo

Federico risponde

Il mio articolo sul dialetto sardo ha creato qualche perplessità ad un mio caro amico, che si è sentito subito in dovere di rispondermi per le rime. Ho qualcosa da rispondere immediatamente a Federico, ma devo ordinare un pò le idee per mettere giù qualcosa di decente. Tra l'altro a Federico non si perdona la prolissità perchè - perlomeno qui dentro - non costituisce reato.
Nel frattempo pubblico qui di seguito la sua risposta.


Non vorrei davvero che si facesse confusione tra aspetto prettamente tecnico, aspetto sociale e aspetto politico della lingua sarda. Mi spiego meglio: come hai ben spiegato tu la lingua sarda è un idioma a tutti gli effetti. Ha una sua grammatica, un suo vocabolario, alcune specificità fonetiche distintive. Hai ben ricordato che esistono tante varianti, dovute essenzialmente all'ampiezza del territorio sardo e alla sua bassa densità di popolazione. I tentativi che si sono fatti (e si stanno facendo) di creare a tavolino un'unica lingua (la cosiddetta limba sarda unificada, o limba de mesanìa) - attraverso la ricerca di aspetti comuni a tutte le varianti - è uno stratagemma politico affinché il sardo possa diventare a tutti gli effetti lingua ufficiale dell'Unione Europea (come è successo recentemente per il Gaelico, lingua parlata in Irlanda da 55mila persone). Personalmente sono poco favorevole a questa forzatura, sarei più propenso a salvaguardare tutte le varianti - anche a costo di non vedere il sardo lingua ufficiale dell'UE. Ma la politica si sa com'è.Per quanto riguarda il rapporto tra lingua sarda e lingua italiana, non vedo assolutamente il contrasto che dalle tue parole emerge. Anzi: la lingua sarda è politicamente riconosciuta, oltre che a livello regionale, dal Codice Civile italiano (come seconda lingua più parlata nel Paese- si calcola che 1.300.000 di persone la parli o la capisca, su un totale di 1.600.000 di abitanti - senza considerare le numerosissime comunità sarde extra moenia, che si aggirerebbero intorno ad un altro milione di teste) e il popolo sardo è considerato a tutti gli effetti una minoranza etnica (anche a livello europeo). La Sardegna fa parte (e deve continuare a fare parte) dell'Italia: chi predica l'indipendenza o cose simili non possiede una corretta visione della realtà. Tuttavia non è neanche giusto delegittimare il concetto di Nazione sarda: la comunanza di lingua - seppure con le sue varianti -, tradizioni, cultura, letteratura, etc., rende la Sardegna una nazione a tutti gli effetti, senza essere uno Stato autonomo. Non bisogna fare confusione tra i concetti di Nazione e di Stato: esistono stati plurinazionali (ad esempio il Belgio o la Svizzera), ed esistono nazioni senza stato (Palestinesi, Curdi e tanti altri). Ed è tutta questione di legami e sentimenti di appartenenza: ti assicuro che la maggior parte di sardi si considera prima 'un sardo', poi un 'italiano', senza per questo essere simpatizzante degli indipendentisti. E quando si vive fuori dalla Sardegna è un qualcosa che risalta ancora di più.Il sardo non è assolutamente una parlata a livello regionale, e non è assolutamente vero che la 'sentono e vedono solamente i sardi': a livello di esempio curioso, uno dei maggiori studiosi di lingua e letteratura sarda è giapponese! (e il sardo viene insegnato anche in qualche università).La sardità vera va sicuramente oltre gli esempi che hai citato (sicuramente reali e talvolta diffusi), e non vedo perché le istituzioni non debbano prodigarsi per salvaguardare questa identità: l'aspetto linguistico è un elemento fondamentale di una comunità, e non esistono affatto lingue di serie A e di serie B. In Sardegna si deve parlare l'italiano, ovviamente; ma non credo che si debba trascurare e far morire la lingua sarda senza almeno fare qualche tentativo per salvarla. Certo, non ci devono essere neanche discriminazioni alla rovescia: la lingua sarda non deve essere requisito fondamentale per i concorsi. Ma è anche vero che la conoscenza di un idioma in più può creare altre possibilità lavorative.Sono fermamente convinto, in conclusione, che riuscire a difendere la propria identità (sebbene piccola e quasi insignificante) a livello locale, sia una base necessaria per poter difendere quella a livello nazionale (a volte lontana e disomogenea).Perdona la prolissità.

AnimaSarda

Alcune considerazioni sul dialetto sardo

06/05/2007
In questi giorni, nel dibattito politico e intellettuale sardo, si assiste ad una diatriba che da sempre, nell’Isola, è oggetto di aspre discussioni e controversie: quello della lingua ( ma meglio sarebbe dire “dialetto” ) sarda. Sintetizzando anni e anni di articoli giornalistici, inchieste, dibattiti, ricerche, incontri e seminari, possiamo affermare che in questa controversia si riconoscono due scuole fondamentali: da una parte coloro che sostengono l’assoluta parità del sardo rispetto all’italiano ( il che presuppone considerare il sardo come una lingua a tutti gli effetti ), e conseguentemente l’insegnamento dello stesso nelle scuole; dall’altra parte, viceversa, coloro che sostengono che il sardo non può essere parificato all’italiano.
Affrontare compiutamente tale questione significherebbe esaminare tantissime branchie del sapere: dall’evoluzione delle lingue al concetto di “lingua per estensione”, passando per il concetto stesso di lingua ( che spesso tende ad essere completamente ignorato ) e alla storia socio-culturale del sardo in Sardegna; sicchè, data l’impossibilità di una analisi compiuta di questa sterminata mole culturale e storico-linguistica, in questa occasione possiamo solamente sfiorare tutti questi argomenti, e magari indicare altre fonti per una loro più precisa trattazione.
Partiamo da un fatto di attualità: mantenendo fede ad uno dei punti del suo programma ( che in verità punta a far presa sui sardi più emotivi, e mi sembra un argomento certamente secondario rispetto a tanti altri problemi più urgenti che la Sardegna si trova a dover affrontare ) la Regione Sardegna, guidata da Renato Soru, prova ad avviare le amministrazioni pubbliche e le scuole ( primi obbiettivi di tutta una serie che comprende anche le manifestazioni sportive, culturali, politiche etc… in pratica tutto ciò che tiene viva e operante una società ) sulla strada dell’utilizzo della “LSC”: Limba sarda comuna. Vale a dire, in parole povere, una comune lingua sarda ( stabilita da una apposita commissione ) che inglobi nella sua essenza tutti i punti di contatto linguistico delle varie parlate locali sarde ( logudorese, campidanese, sassarese etc. ). Il 28 aprile 2006 la Regione ha adottato per la prima volta una delibera in sardo; secondo il progetto tra breve ognuno di noi che debba scrivere o rivolgersi alle amministrazioni o agli uffici pubblici potrà farlo non usando l’italiano, bensì la propria parlata locale. Di fatto mi sembra si sia tracciata la strada per una vera e propria anarchia non solo linguistica in senso stretto, ma anche burocratica e amministrativa.
A ciò si aggiungano le ultime dichiarazioni di Soru che ha candidamente affermato, tra l’applauso dei presenti, che saranno introdotte agevolazioni per chi dimostra di sapere la lingua sarda.
Passiamo ora alle considerazioni più “tecniche” di questo tema. Innanzitutto: che cos’è una lingua? La lingua è un sistema di comunicazione storico-naturale ( storico perché muta e si modifica nel corso del tempo, naturale perché parliamo senza alcuno sforzo apparente ) articolato su più livelli. I parlanti della lingua hanno competenza della stessa su tutti i livelli: morfologico ( che riguarda le parole ), fonologico ( la pronuncia delle parole e più in generale la lingua parlata ), sintattico ( l’organizzazione delle parole in frasi di senso compiuto, o quantomeno comprensibili per il ricevente del messaggio linguistico ) e semantico ( il significato delle parole ). Il punto di partenza di una lingua è per l’appunto la parola. Tralasciando le varie problematiche sulla definizione di parola, possiamo considerare quest’ultima come composta da un significante e un significato. Per significante si intende la realizzazione pratica del segno linguistico ( la parola gatto, pronunciata o scritta ); per significato si intende la definizione, il concetto astratto del segno ( quindi, nel caso di gatto, animale felino a quattro zampe etc. ).
Dal punto di vista strettamente tecnico-linguistico il sardo è quindi una lingua. Essendo di derivazione neo-latina il sardo è pienamente un sistema linguistico che fa parte delle lingue romanze, ossia un dominio linguistico che discende direttamente dalla lingua degli Antichi Romani. Dire quindi che il sardo è un dialetto è, da questo punto di vista, un errore e una inesattezza che non trova alcuna conferma dal punto di vista glotto-linguistico. Il sardo è, dal punto di vista linguistico, glottologico e filologico, pienamente formato allo stesso modo dell’italiano, dell’inglese o del tedesco; in altre parole è pienamente sviluppato e complesso dal punto di vista morfologico, sintattico, semantico e fonologico.
Ma allora: perché il sardo è un dialetto?
La definizione di lingua è molto varia e complessa: richiederebbe pagine e pagine di discussioni e spiegazioni che sono già state scritte da studiosi molto più competenti del sottoscritto. Tuttavia la definizione di lingua non si ferma certo a dire che è un sistema di comunicazione basato su quattro livelli linguistici. Il concetto stesso di “lingua” è strettamente legato al concetto di Nazione: la lingua identifica tutti gli appartenenti ad una comunità sociale, politica e culturale, formata da individui che parlano tra loro la stessa lingua, la quale è quindi l’espressione più immediata della comunità di appartenenza, storicamente identificata nella Nazione.
Per meglio comprendere questo concetto basta richiamare velocemente alla mente come si è formata la lingua italiana. Come si sa l’italiano standard è la diretta evoluzione del fiorentino delle Tre Corone: Dante, Petrarca e Boccaccio. Successivamente alle opere dei tre più importanti e fondamentali artisti e intellettuali del Trecento italiano, la lingua delle Tre Corone veniva ritenuta fonte di massima eccellenza artistica e linguistica. Questo significò che gli artisti che vennero dopo Dante, Petrarca e Boccaccio cominciarono ad usare la loro lingua per esprimersi, e questo non solo dal punto di vista artistico. Il milanese come il siciliano, il romano come il toscano, il sardo come il piemontese iniziarono a scrivere in fiorentino: nacque la lingua italiana, attraverso un lento ma graduale processo di standardizzazione linguistica. In pratica persone e pensatori che distavano tra loro migliaia di chilometri, provenienti da culture ed esperienze artistiche ed umane diversissime tra loro, cominciavano ad utilizzare lo stesso linguaggio, unite non solo da un’esigenza artistica. Il siciliano, il piemontese, il milanese cominciarono a sentire la lingua parlata e scritta a Firenze come loro, assimilandola totalmente. Facendola propria. Certamente ci vollero secoli e secoli di commistione lingua-dialetto perché l’italiano cominciasse ad essere parlato e diffuso anche a livello parlato e popolare, e non solamente nelle corti in cui si faceva aristocratica letteratura. Per diverso tempo ( Cinquecento, Seicento, Settecento ) vi furono, scriviamo così, due “lingue”: una quella dei letterati e della cultura, e l’altra quella del popolo, che rimase in gran parte attaccato al dialetto di appartenenza. Fenomeno, questo, che continua tuttoggi, seppur in misura molto minore (. In Sardegna non è raro incontrare persone, non solo persone anziane, che sanno esprimersi solo in sardo e malamente in italiano ).
In sintesi, perché un dominio linguistico possa essere considerato lingua, la stragrande maggioranza dei parlanti appartenenti alla comunità ( e la comunità di massima estensione politica, culturale e linguistica è quella Italiana ) deve considerarla come tale.
A questa osservazione la maggior parte dei sardi sicuramente obbietterà che la Sardegna, avendo avuto un passato completamente diverso e ricco dal resto della penisola, è una storia a se. E che quindi determinate scelte e valutazioni vanno fatte in modo diverso e separato dal resto dell’Italia. Che la Sardegna abbia una storia ricchissima, che ha visto calcare la sua terra da moltitudini di genti ( i Fenici, i Nuragici, i Cartaginesi, i Greci, i Romani ) diverse per millenni, e che abbia un passato di cultura e di tradizioni millenarie e bellissime è un dato di fatto che nessuno, né tantomeno il sottoscritto, si sente di mettere in discussione. Ma i dati di fatto sono che, dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, la Storia della Sardegna e dell’Italia hanno camminato insieme e di pari passo. Che lo si voglia o no, piaccia o meno ai militanti di Sardigna Natzione o Sardigna Indipendentzia, la Sardegna è una Regione dell’Italia. E le decisioni che prende chi governa in Italia riguardano anche i Sardi e la Sardegna. Volere la Sardegna indipendente da Roma, e quindi Nazione e Stato a se, è un’assurdità che qualunque persona con un minimo di buon senso capisce essere impossibile da realizzare. La Sardegna indipendente, con una sua milizia, un suo esercito, un sistema di governo stabile che garantisca una indipendenza economica e politica da qualunque altra autorità statale, è un qualcosa che è impossibile da realizzare, ancor più in breve termine come magicamente credono di fare gli indipendentisti. Ciò, oltre a cozzare contro l’evidenza dei fatti, è un insulto a chi ha combattuto ed è morto perché l’Italia rimanesse unita, Una e Nazione. Ancor più di tutto questo è ridicolo pretendere che venga riconosciuta come lingua quella che è molto più semplicemente una parlata, peraltro assai diversificata, a livello regionale. La lingua sarda è una cosa che sentono e vedono solamente i sardi ( una parte di loro, tra l’altro ), che non ha alcun riconoscimento politico o culturale per essere considerata lingua, e che conseguentemente non è lingua, nonostante sia pienamente formata dal punto di vista linguistico. Requisito questo che, per quanto importante e fondamentale sia, da solo non basta.
Chi decide se un dominio linguistico è lingua o dialetto? La comunità intesa nel senso più ampio del termine, che, dispiace per i sardisti, è quello nazionale. Sentono gli italiani il sardo come una lingua? Accadrà che un poeta milanese, o piemontese, o fiorentino cominceranno a cercare di parlare o scrivere in sardo? Davvero crediamo che aumentare il punteggio nei concorsi pubblici a chi mostra di sapere il sardo renderà più competitivi i giovani e i lavoratori in genere? Davvero noi sardi siamo così stupidi da esaltarci per questo fuoco di paglia?
L’autocertificazione del sardo come lingua, ad esclusivo uso e consumo dei sardi, non ha alcun fondamento né valore. “La lingua sarda” cozza non solo contro la Storia, il buon senso, e il peso di centocinquanta anni di cammino comune, ma anche contro quelle stesse leggi linguistiche in nome delle quali la si vorrebbe imporre. Certamente, col progetto LSC perlomeno si supererebbe il problema delle diverse varietà del sardo presenti sull’Isola; ma quanti sardi sentirebbero davvero questa sardità ( non solo linguistica, ma anche sociale e politica )? Una sardità vera, che vada oltre il bere solo ed esclusivamente la birra Ichnusa solo perché sarda, il dire le parolaccie in sardo, il tifare Cagliari o il bruciare le automobili di provincie diverse*.

* La sardità intesa nel senso sardo del termine da molti è intesa in questo senso. Fino a qualche anno fa ( e ancora mi capita di sentire storie del genere ) era prassi che in alcuni quartieri di Sassari si bruciassero le macchine targate Cagliari ( quando ancora non erano entrate in vigore le targhe europee ) o viceversa. Ancora oggi, magari in qualche bar di periferia, non è raro sentir parlare degli abitanti di questa o quella città vantare le loro doti rispetto agli abitanti di quell’altra città. Alla faccia della sardità e della memoria condivisa.

Fonti:
- GRAFFI-SCALISE, Le lingue e il linguaggio, Il Mulino, 2002.
- Il Giornale di Sardegna ( sul progetto sardo della LSC )
- BERRUTO, Corso elementare di linguistica generale, Torino, Utet, 1997
- A.A. SOBRERO, Introduzione all’italiano contemporaneo, le strutture, Bari-Roma, Laterza, 1993
Andrea Chessa

L'Iran ha fatto dama

12/04/2007
Sulla scacchiera dello scenario internazionale emerge, negli ultimi giorni, un netto vincitore: l’Iran. Questa vittoria – saranno solo gli avvenimenti futuri che ci daranno la portata reale di questo avvenimento – è stata tanto più netta quanto più i media occidentali hanno fatto di tutto per oscurarla, insabbiarla, camuffarla.
Il 23 marzo scorso la Repubblica Islamica dell’Iran annuncia di aver catturato 15 militari britannici, fra cui una donna, i quali si erano introdotti illegalmente in acque iraniane.
Nelle stesse ore, mentre la notizia viene data in pasto alle varie agenzie di notizie europee, la Gran Bretagna replica che quei militari non si trovavano assolutamente in acque iraniane, bensì pattugliavano i mari iracheni.
Parte quindi l’attacco: subito l’Iran viene dipinto come la Nazione irresponsabile, guerrafondaia, sleale e perfida nell’aver catturato in acque irachene una pattuglia di ricognizione inglese; immediatamente si rinfocola la caricatura dell’Ahmadinejad come di un nuovo Hitler, tutto proteso nella sua jihad contro l’Occidente e accecato dall’ antisemitismo e dall’odio verso Israele.
Nonostante tutti i vari fiumi di inchiostro che si sono spesi su questa vicenda, che per fortuna si è conclusa positivamente, nessun giornalista alla Magdi Allam o alla Giuliano Ferrara è mai riuscito a spiegare come mai l’Iran, che sta subendo con orgoglio e disciplina un’offensiva non solo economica, ma anche politica, e che per di più vede incombere lo spettro di una guerra che l’America, e con lei Israele, vogliono fare di tutto per scatenare, avrebbe dovuto servire così stupidamente su un piatto d’argento il casus belli alla coalizione sionista-americana.
Dico subito che, non essendo né ambasciatori, né politici, né militari, credo che non sapremo mai la verità: non sapremo mai se i militari inglesi si sono introdotti di soppiatto nelle acque iraniane o se viceversa gli inglesi pattugliavano, come da accordo con le forze di occupazione che stanno distruggendo l’Iraq, le acque di quest’ultimo Stato. Ma il problema non sta tanto qui.
Immediatamente, come ho già detto, la stampa, fedele ai suoi padroni, si è scatenata. Dando così un’ennesima prova del suo servilismo.
Intervallandoli tra un giorno e l’altro gli iraniani, proprio per mettere a tacere le calunniose voci sul malvagio trattamento che stavano subendo i prigionieri britannici, rilasciano alcuni filmati. Tutto l’Occidente e il mondo hanno così l’occasione di vedere come gli iraniani trattano i prigionieri che cadono nelle loro mani, e allibiscono: soldati che ridono, che scherzano, che giocano a ping-pong, che mangiano a tavole gustosamente imbandite; soldati che si divertono non in sterili tute carcerarie, ma in abiti civili procurati loro in qualche modo, soldati che guardano in gruppo la tv.
Non essendoci limite alla vigliaccheria e alla disonestà, l’intero Occidente strepita che quei filmati non sono veri, bensì una semplice invenzione propagandistica, un subdolo escamotage degli iraniani per nascondere invece i veri maltrattamenti e le varie sevizie. Torture e sevizie che non hanno mai né dimostrato, né tantomeno ipotizzato, non disponendo di uno straccio di prova.
Nessun giornale si è chiesto – e quelli italiani ovviamente non hanno fatto eccezione – come mai l’Iran avrebbe dovuto aiutare il suo assassino a caricare la pistola. Blair tentenna, ma grida alla propaganda. Dietro di lui la stragrande maggioranza del mondo politico e dell’informazione. Tuttavia i filmati degli iraniani mostrano l’effettiva realtà, certificata anche dall’ambasciatore inglese a Teheran: i prigionieri britannici stanno bene, e sono trattati benissimo.
Molto meglio di quelli che l’Occidente portatore di libertà e democrazia detiene, in totale spregio dei trattati internazionali sui diritti umani e sul trattamento dei civili e dei prigionieri in situazioni di guerra, nelle varie carceri disseminate in Europa, in Medio Oriente, a Guantanamo e ad Abu Ghraib.
Abbiamo visto come gli americani, e i loro degni amici boia, trattano i prigionieri: senza avvocati, senza poter vedere i propri familiari per mesi e anni, incappucciati e crocefissi su una sedia col filo elettrico collegato ai testicoli, con la musica dei Metallica sparata a tutto volume giorno e notte, ottima tecnica di privazione del sonno, con i cani lupo che abbaiano furiosamente, con le varie docce che alternano l’acqua fredda all’acqua gelata, e via dicendo. Torture e privazioni degradanti non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello religioso e psicologico ( come il costringere un musulmano a mangiare carne di maiale, animale che l’Islam considera impuro ). Torture che contrastano con i trattati internazionali e con il corretto trattamento a cui hanno diritto non solo i civili ma anche i prigionieri di guerra.
I prigionieri britannici in mani iraniane, invece, non hanno subito niente di tutto ciò: hanno mangiato, bevuto, riso, scherzato, hanno giocato a ping-pong e a carte, e questo mentre erano detenuti di quello che il regime sionista-americano-massonico vuole far passare per lo Stato canaglia per eccellenza. Tutto questo è poi stato da loro confermato non solo nelle dichiarazioni rilasciate in Iran, ma anche al loro ritorno in Inghilterra; addirittura l’ospitalità che hanno ricevuto è stata talmente tanta che hanno dichiarato di voler tornarci come turisti. E tutto ciò è stato detto nelle interviste rilasciate non sotto prigionia iraniana, ma al loro ritorno nella democratica Inghilterra.
L’Iran si è comportato in questa situazione con intelligenza, e con furbizia. A chi descriveva il regime di Ahmadinejad come sanguinario e terrorista ha fatto vedere l’esatto opposto: una Nazione civile, rispettosa dei diritti dei prigionieri di guerra, disposta al dialogo. Al ciarpame destrorso, sempre pronto a gridare contro i musulmani che vengono in Italia, ma distratto quando siamo noi che, con occupazioni militari ed eserciti di guerra andiamo a buttare giù i loro paesi, la cosa non sarà piaciuta. L’Iran è apparso esattamente come né l’America né Israele volevano che apparisse ( in base al famoso “Non si tratta con i terroristi” ): un interlocutore moderato, rispettoso, uno Stato gentile e furbo che ha trasformato una situazione assai pericolosa ed esplosiva, in quanto poteva essere il via allo scoppio delle ostilità, in una situazione invece favorevole. Una Nazione generosa, dato che l’Iran ha liberato i prigionieri con un gesto di clemenza senza nulla volere in cambio, anzi descrivendolo come un dono all’Inghilterra e agli inglesi in occasione delle festività pasquali. Ahmadinejad è quindi apparso agli occhi dell’opinione pubblica non come un pazzo schizofrenico e guerrafondaio, ma come un onesto capo di Stato, moderato e riflessivo.
In una situazione di totale ostilità nei confronti dell’Islam, in un’opinione pubblica drogata dalla propaganda us-raeliana che grida di un regime con cui non si può trattare, ma che va distrutto a suon di bombe e cannonate, l’Iran ha giocato splendidamente questa occasione. Ha dimostrato di poter interloquire e riflettere, di saper arrivare ad una soluzione civile delle questioni che lo riguardano più direttamente. E, nello scacchiere mediorientale, ha forse ritardato, forse evitato del tutto, l’attacco americano. L’Iran ha fatto dama. Un attacco dell’America sarebbe stato ben compreso dall’opinione pubblica nel caso di un colpo di testa dell’Iran, si sarebbe potuto spacciare come l’ennesimo intervento dei liberatori americani volto a fermare uno Stato folle; ma il colpo di testa non c’è stato, anzi c’è stata la soluzione più positiva che si potesse desiderare. In queste condizioni forse l’opinione pubblica non avrebbe capito una terza guerra che avrebbe ancora più impelagato Bush ( che del resto non ha più niente da perdere, non essendo più rieleggibile, nell’aprire un terzo fronte di guerra, e quindi è molto pericoloso ). Del resto l’America non ha più l’appoggio incondizionato dei democratici alle guerre di Bush: anche Condoleeza Rice, uno dei falchi repubblicani, è tornata sulla via della mediazione. In Israele è sempre più forte il dibattito sulla situazione mediorientale, e sulle angherie che subisce il popolo palestinese. Comincia a scemare l’effetto 11 settembre, e l’adesione incondizionata alle guerre di Bush. Da noi rimangono i soliti vecchi pilastri neocon: Magdi Allam, Ferrara, Mieli, i Luttazzi, la solita destra cialtrona che continua a cantare una canzone vecchia e stonata… ma sono sempre meno. Forse in un lontano futuro si estingueranno.
Andrea Chessa

Vallettopoli? L'è un puttanun!

18/03/2007
Solitamente non mi piace occuparmi di quello che oramai viene definito “gossip”. Preferisco lasciare la spiacevole incombenza a signori come Mentana, Vespa, i professionisti dell’ovvio, e a tutta quella cricca di parassiti della Televisione che fungono da commentatori, opinionisti e così via, ben non sapendo un emerito c****.
In questi giorni invece la cronaca sulle gesta di Fabrizio Corona, e il suo solidale Lele Mora, riempiono non solo i palinsesti televisivi, ma anche le rubriche di informazione e approfondimento di vari giornali e quotidiani, fra i quali anche quelli considerati tra i più “seri” del panorama italiano.
Di quello che è stato definito “Vallettopoli” già si sa, più o meno, tutto.
Si sa tutto delle gesta altamente etiche di Corona. Ha pagato Azouz, il tunisino a cui è stata sterminata la famiglia, per le foto del macellamento dei suoi parenti; ha cercato di mettere la moglie Nina Moric nel camerino di Eros Ramazzotti per poi far fotografare il trapanamento, onde ricattare poi il cantante; ha organizzato feste di puttaneggio con le varie troiette più in voga del momento, con tanto di menù e tariffe ( per la Yespica 5.000 euro, signori. Ma no, è fresca, si fidi di me. L’abbiamo portata da poco in Italia… Come dice? Vuole assaggiare la merce? Prego, si accomodi! ); ha smagnacciato allegramente con politici e giornalisti, vallette, nani e ballerine in concerti di sesso, droga, orgie etero e omosessuali e quant’altro.
Di Lele Mora idem con patate: carriere promesse alle future starlette in cambio di sesso, foto scattate e non pubblicate previo pagamento, prostituzione, corruzione di minorenni e vai che ce n’è…
I nomi coinvolti in “Vallettopoli” sono noti: Francesca Lodo ( della quale già non avevo sentito benissimo in quanto, stando ad alcuni personaggi di mia conoscenza che con lei hanno trascorso qualche giornata di mare al Poetto, si girava tutti i maschietti a turno sul pedalò in alto mare… ma magari sono solo voci… chissà. A vederla non si direbbe ), Aida Yespica ( basta guardarla per capire il tipo di personaggio che i milanesi definirebbero così, allo stesso modo in cui la mamma di Pozzetto, ne “Il ragazzo di campagna”, commentava la notizia che il figliolo Artemio si era fidanzato con una ragazza di città: “l’è un puttanun!”), Lapo Elkann “il rampollo di casa Fiat che ha risollevato le sorti della casa” [ ma quale “rampollo”! Ma quali sorti della casa! L’unica genialata che ha avuto, lodata con gran gaudio dai tanti giornali picciotti, è stata quella di far mettere sopra alcune felpe la scritta”Fiat”… un colpo di genio, non c’è che dire! ], Mora, Corona, Andrea Carboni ( figlio del noto faccendiere degli anni Ottanta ), Riccardo Schicchi, e via dicendo…
Non mi soffermerò sulle varie vicissitudini dei personaggi; i giornali, le televisioni, le radio e internet sono strapieni di dettagli che del resto noi comuni mortali avevamo già bene in mente. Del resto non ci voleva molto genio per capire che le Canalis, le Yespica, le Gregoraci ( quest’ultima si fece dare una ripassata da Sottile, portavoce di un Fini che il giorno dopo lo scoppio dello scandalo tuonava a Ballarò per una maggiore moralità nella politica e dei politici, ricevendo fior fior di applausi ) vallette, schedine, veline, letterine, letteronze e sgualdrinelle varie sono lì per le loro doti di letto e basta; infatti con queste allegre signorine si deve andare per esclusione: vedendo che non sanno fare un bel niente ( recitare, cantare, danzare, presentare, parlare… ) il comune mortale come me, che non ha accesso al Billionaire e che non può promettere carriere folgoranti alle povere donzelle in nome dei suoi saldi legami politici, arriva necessariamente alla conclusione che la ragione di una tale notorietà è una sola. Che è anche ben codificata ( sapete com’è… è il mercato ragazzi! ) in un tariffario della Corona’s e della L.M. Management. E, del resto, non ci vuole molto per capire cosa possano aver fatto le gallette: basta comperarsi un paio di videocassette porno e ci si può fare un’idea abbastanza precisa.
Dicevo che qui non voglio spettegolare sulle varie porcate che ha fatto la Yespica o la Palmas, o le orgie omosessuali con tanto di massaggio ai piedi di Lele Mora. C’è un limite a tutto, e io ho anche da poco finito di mangiare, se permettete…
Quello che qui invece è a mio parere importante analizzare sono i legami politici di questa vicenda; che, come tali, attirano la mia attenzione.
Iniziamo subito col dire che tutto l’opinionismo degli “esperti dell’ovvio”, come ormai mi sono abituato a chiamare tutti quegli incompetenti che, non si sa bene il perché, sono in televisione a darci lezioni di moralità tirando fuori le cose più conosciute e più ovvie sui ogni argomento, ha fatto quadrato su Lele Mora, Corona e chi con loro.
Ieri a Matrix Mentana camminava col freno a mano tirato: “Non generalizziamo, ma non è vero che tutti sono così… bisogna cercare di capire”; ad aiutarlo due di quelle ochette della tv, delle quali non so i nomi ( chiedo umilmente perdono! ), ma una ha partecipato al “La pupa e il secchione” ( trasmissione dove le ragazze si vantano del loro fisico statuario e sulla loro abissale ignoranza anche sulle domande di cultura generale da terza media, applaudite da altri imbecilli come loro ). “Ma non è vero… non siamo tutte così… io non ho mai ricevuto richieste di compromesso… non ho mai ricevuto avances né raccomandazioni…” Addirittura una delle due oche in questione sentenziava sulla moralità del mondo dello spettacolo con una frase meritoria: “Chiunque, anche un panettiere [ si, mi pare abbia detto proprio “panettiere”, o comunque una professione solitamente indicata come modesta ] può corrompere qualcuno per farla lavorare, e non solo nel mondo dello spettacolo”. Ma certo cara… alzarsi la mattina alle quattro per infornare le spianate o andare a letto per compensi di diverse centinaia di migliaia di euro, senza fare niente e senza alzarsi alle quattro di mattina, è proprio la stessa identica cosa. Ovviamente nessuno dei presenti in studio, neanche il Mentana specialista dell’ovvio, ha aperto bocca per contraddire questa frase idiota. Del resto se avessero dovuto aprire bocca per ogni cialtronata detta o pronunciata ci saremmo trovati di fronte ad una vera e propria Babele. Ma tant’è… ho fatto un esempio di una trasmissione tv, ma potrei farne tanti altri.
Il mondo politico fa quadrato sui maiali. Si capisce! Devono difendere la categoria…
Berlusconi ( che ha pagato 20.000 euro per non far pubblicare le foto della figlia ) tuona contro le violazioni della privacy; Mastella manda gli ispettori a Potenza per accertarsi che non ci siano state violazioni; la destra e la sinistra, compatte nel prendere per i fondelli il popolo italiano, discutono e litigano sulle ipotesi del divieto di pubblicare testi di intercettazioni telefoniche a sfondo sessuale, o che riguardino la privacy degli intercettati.
Del resto anche i politici fanno parte di questo calderone. Leggendo alcuni testi di intercettazioni telefoniche di Corona ( si capisce bene il perché non vogliono pubblicarle ) si trovano dialoghi di questo tipo:

Il fotografo Max Scarfone chiama Fabrizio Corona.
Max: A Fabry... io stasera sto a gettà le basi per un gran futuro...
Fabrizio: Cioè?
M: (incomprensibile)... solo che purtroppo mo' mi è scappato..
F: Chi è?
M: Non te lo posso neanche dire per telefono... tu ti rendi conto? Ti dico un personaggio importantissimo... della politica... a transessuali... ti dico solo questa.
F: inizia con la P?
M: (incomprensibile)... no ti devo spiegare tutto quanto Fabry... no adesso purtroppo ci è scappato... abbiamo fatto solo che si è accostato col trans vicino... vicino alla macchina e poi si è dato... perché mi sa che un po' stava ubriaco un po' si è sentito eh... io per dargli un d'aria per non stargli troppo appiccicato... perché se questo mi prende la targa io domani mattina c'ho la Digos che mi smonta casa eh... hai capito, quindi lavoriamoci bene... io domani so dove abita e tutto quanto e ci lavoriamo.

Non si preoccupi Scarfone; la Digos preferisce rompere i maroni a noi del MFL, mica ai politici che vanno a trans. Non per niente questa conversazione che riguardava Sircana, portavoce di Prodi, guarda caso è stata ritrattata, adducendo come motivazione uno scherzo tra amici. Sarà…
Oltre alla sinistra c’è pure la destra: pure Berlusconi avrebbe pagato per evitare gli scatti compromettenti della figlia, che, ubriaca fradicia, si faceva palpeggiare le natiche da un giovanotto.
Pure Mastella, non si sa bene per cosa ( forse atteggiamenti intimi tra lui e il giudeo dell’Anti Defamation League, tal Ruben, mentre preparavano il testo antirevisionista? ) c’è finito dentro. Ma sono solo voci. Come quelle sulla Lodo e sul politico che va a trans.
E questo è quello che è trapelato in pochi giorni di indagini che Woodcock, gliene si dia atto, porta coraggiosamente avanti sollevando un polverone che forse nemmeno lui si aspettava.
Comunque sia, i politici serrano le file. Si è sempre paparazzato su giornalisti, calciatori, modelle, veline e schedine senza che nessuno avesse mai nulla da dire… si faccia su tutti, ma non sui politici. Ora che in mezzo ci sono pure loro si preparano alla nuova legge bipartisan sulla privacy; o meglio, legge anti-paparazzi. Ma non sarà che hanno la coda di paglia? Del resto non è che di questi politici si sia portati a pensare bene: si pippano dalla mattina alla sera ( e qui gli spunti sono tanti: si va dall’inchiesta delle Iene al senatore Colombo, che mandava i finanzieri a comperargli la coca ), sperperano soldi alla facciaccia nostra, saltano da un partito all’altro come fossero sui carboni ardenti, ogni tanto si sentono i loro nomi in inchieste di corruzione, mafia…
Quello che i giornali del regime massonico in cui viviamo si dimenticano di dire è che i politici sono nostri dipendenti. Si, proprio così. Sono nostri dipendenti, allo stesso modo in cui l’operaio è dipendente dell’imprenditore. Vengono pagati da noi – e anche profumatamente! – per fare le leggi e tutto quello che è in loro potere per migliorarci la vita. Se hanno lo status che hanno lo devono a noi, che paghiamo loro lo stipendio. E glielo paghiamo per motivi precisi, non per andare a trans. Né per portarsi a letto delle belle ragazze promettendo alle stesse la bella vita, come è accaduto ( e come prevedo accadrà anche tra poco ) in situazioni precedenti nel nostro Paese. Ovviamente il mio discorso non vale per un Berlusconi che, avendo anche ( anzi prevalentemente direi ) soldi suoi, può impiegarli come meglio gli pare. Io parlo dei politici, quelli di professione; quelli che campano nelle istituzioni e nei palazzi del potere a vita, coi loro ventimila euro tutto incluso, da Palazzo Chigi fino al piccolo Comune con mille abitanti, e che sono pronti a vendere anche la mamma pur di avere i loro privilegi monumentali che, data la loro incompetenza totale, non potrebbero ottenere altrimenti. Il politico è alle nostre dipendenze. E’ nostro diritto-dovere sapere cosa fa con quei soldi. Coi nostri soldi. Ma rassegnatevi: non vedrete né Mentana né nessun altro che si farà portavoce di queste considerazioni. Né inviteranno qualcuno che lo faccia. Gli va troppo bene. Loro, politici, giornalisti, puttane e saltimbanchi, nel fango dell’impunità e della lussuria ci sguazzano, si trovano come a casa loro. Anzi, è casa loro. Diranno che la legge è giusta, che è fatta per il cittadino, e continueranno a drogarsi e a sputtanarsi i nostri soldi a mignotte come hanno sempre fatto. A noi comuni mortali, invece, ci arresteranno solo se osiamo adescare una negra in mezzo alla strada, con tanto di multone. E vi diranno che andare a puttane è immorale, ingiusto, è il favoreggiamento di un reato, è sfruttamento della prostituzione, e in particolar modo di una ragazza bisognosa. Già, una ragazza bisognosa… mica come la Gregoraci.
Poco da dire. C’è da rimanerne nauseati. Vallettopoli? L’è un puttanun!


Fonti:

www.repubblica.it
vistidalontano.blogosfere.it
www.ilsardegna.it
www.ilgiornale.it
Andrea Chessa

giovedì 8 novembre 2007

Relazione per la conferenza di Sassari

Questa è la relazione che sviluppai un po' di tempo fa per un incontro, targato MFL, che doveva tenersi a Sassari, saltata poco prima dell'inizio per una serie di sfortunati eventi. Lo ripropongo. Mi si scusi per la lunghezza.

28/02/2007
Camerati salve a tutti. Come ha poc’anzi spiegato il camerata Mario, uno dei punti fondamentali del Movimento Fascismo e Libertà è per l’appunto quello riguardante la ricerca storica e l’analisi rigorosa di cosa fu veramente il Fascismo e il Nazismo ; Noi ci facciamo propugnatori di una ricerca storica che non sia dettata da qualsivoglia condizionamento di parte, ancor meno dalle ragioni che i vincitori hanno voluto imporci. Noi riteniamo che il popolo italiano sia stato derubato della sua Storia e della sua Tradizione, per meglio essere asservito al sistema di potere che all’epoca andava rafforzandosi e che poi, con la vittoria nella seconda guerra mondiale, ha definitivamente trionfato. Quello che leggiamo nei libri essere stato un periodo esecrabile, difficile, totalitario e tale da augurarsi di non sperimentare mai più, Noi invece pensiamo che sia una delle manifestazioni più mirabili, più illustri, più luccicanti di orgoglio di cui abbia dato prova il popolo italiano nel corso della sua millenaria Storia. Una orgogliosa e vivace reazione contro il materialismo della Società Industriale e del Capitalismo sfrenato : con l’ideologia Fascista, con l’alto spiritualismo e con la disciplina con le quali si formano le classi dirigenti che portano al benessere e alla grandezza i popoli che il Fascismo cercò di ispirare negli Italiani ma non solo, si cercò di reagire a quel materialismo rozzo e ignorante che oggi imperversa invece su qualunque trasmissione televisiva, su qualunque scaffale di qualsiasi centro commerciale, nella maggior parte dei testi o dei libri. L’esatto opposto del Fascismo l’abbiamo adesso, in questo preciso istante, sotto i nostri occhi : sono ragazzini presi dall’ultimo videofonino, dalla voglia di diventare calciatori, dall’ultima macchinetta che deve regalar loro il papà…sono le donne emancipate – questo dicono loro – che vediamo volgarmente esibire le loro carni al miglior compratore, come in una grandiosa gigantesca macelleria, pur di arrivare all’obbiettivo della carriera o ottenere un qualche vantaggio personale. L’opposto del Fascismo è l’impunità con la quale stupratori, ladri, assassini e farabutti vengono trattati da una magistratura asservita e schierata, sempre pronta a scarcerare chicchessia per un qualunque vizio di forma. E’ la schiavitù vigliacca scelta da questo sistema di potere, di questa cultura, di una intera classe dirigente, vergognosamente asservite e complici delle grandi lobby internazionali americano-ebraico-massoniche : le stesse che ci hanno violentemente buttato in questo baratro di insicurezza e instabilità mondiale, che invadono Stati sovrani per prendere le loro ricchezze naturali, che finanziano guerre infami, le loro guerre, e che cercano di trasformare questo mondo in un immenso villaggio globale che non ha più Tradizioni, che non ha più l’orgoglio di essere Nazione. Il Fascismo fu avversario di tutto questo : non stupisce pertanto che esso venga chiamato come “male assoluto” dai potenti di oggi.
Lo so lo so camerati, mi sto dilungando. Ragion per cui cercherò di tagliare dritto verso il punto principale del mio discorso.
Ricerca storica libera e indipendente dunque ; ricerca seria, non viziata da interessi culturali o politici di sorta, che ridia al popolo italiano la seria – e serena – consapevolezza di che cosa fu un tempo. Quando noi di Fascismo e Libertà parliamo di ricerca storica libera e non viziata, automaticamente pensiamo all’unisono uno stesso termine : revisionismo. La ragione è presto detta: parlare di ricerca storica libera indipendente e riferirsi alla Storiografia Ufficiale sono due cose che non possono – a nostro modo di vedere – essere conciliabili tra loro. Questo perché tutta la Storia del primo Novecento, e anche quella attuale, è stata interamente assoggettata alle ragioni dei vincitori. Con la vittoria nella seconda guerra mondiale, le grandi democrazie – se così le vogliamo chiamare – avevano bisogno di legittimare la propria vittoria ; e come accade purtroppo in tutte le epoche storiche, alla normale realtà che portò ad una sanguinosissima guerra quale fu la s. g. m. ne fu sostituita una fittizia che meglio si adattasse a celebrare i liberatori del continente Europeo. La Storia si ripete : sessant’anni fa c’era da liberare l’Europa dal Nazismo e dal Fascismo, da quei cattivoni sanguinari di nome Hitler e Mussolini ; oggi c’è da liberare l’Europa dal terrorismo islamico, dalle armi di distruzione di massa mai trovate, dal terrorismo siriano ( chi sarà il prossimo Stato canaglia in questa colonizzazione globale ad opera degli Usa e di Israele? ), da Saddam, da Bin Laden, e da chiunque sia stato profumatamente pagato dagli Stati Uniti e non ha rispettato alla lettera i dettami di quest’ultimo.
Dicevo quindi revisionismo : con questo termine entro nel vivo del mio discorso. “Revisionismo” è un termine che troviamo utilizzato molto frequentemente – negli anni Venti e Trenta, ma non solo - come insulto nei confronti dei cosiddetti controrivoluzionari, colpevoli di aver messo in dubbio, o contraddetto anche in una minima parte, l’infallibile dogma marxista-leninista dell’Unione Sovietica. In seguito, e in particolare negli ultimi tempi, la corrente revisionista è quella accademia di storici che analizza un determinato fatto storico e sulla base di un lavoro di archivistica, di comparazione delle fonti, di critico vaglio delle testimonianze, cercando di spiegare chiaramente un fatto storico. In questo senso la Storia stessa è revisionista per definizione, in quanto è proprio della Storiografia stessa il continuo tentativo di studiare gli avvenimenti cercando sempre nuove soluzioni e prospettive, nuove prove documentali, nuovi sbocchi grazie ai quali la ricerca possa dare una nuova e diversa interpretazione, permettendo quindi un cambio di prospettiva, dell’oggetto storico in questione. In particolare, col termine “revisionisti” sono indicati tutti quegli storici i quali, cercando di prescindere da una considerazione politica degli avvenimenti, revisionano per l’appunto la storia del Nazismo, del Fascismo, e dei loro più illustri pensatori e creatori quali ovviamente Hitler e Mussolini. Questi storici, inutile dirlo, non fanno parte di nessun circuito accademico che non sia quello revisionista ; la loro competenza professionale viene continuamente messa in discussione, spesso e volentieri negata. Da questo punto di vista Irving è in buona compagnia : quanti conoscono Faurisson? Hardwood? Nolte? Mattogno – per citare un italiano? Per stare solo agli autori più conosciuti di questo filone storico ; ma conosciuti per modo di dire : il monumentale lavoro che questi storici portano avanti – un lavoro difficile perché si infrange contro un muro di falsa informazione che si è solidamente rafforzato nei decenni – è conosciuto solo ai più. Ma neanche tanto : trovare le opere di questi autori è praticamente impossibile ; solo con Internet si può ovviare al problema e consentire una divulgazione ampia di questo materiale che, contrariamente a quanto si voglia far credere, è ampiamente documentato, ricco di prove e di analisi critiche, basato su una close reading che sia quella del fatto storico in questione, e non altro. Essere autore revisionista significa essere scomodo : significa non aver spazio sui giornali per un intervento, non trovare un editore che pubblichi il proprio libro magari contenente una ricerca importante, non trovare delle librerie pronte a mettere in vendita il libro che magari qualche coraggioso editore ha pubblicato, significa essere continuamente bersaglio di violenti attacchi personali volti a ridicolizzare o a sminuire la propria capacità professionale…tutte queste e altre difficoltà sono sconosciute agli storici di regime. C’è una sola cosa che si può dire – e consigliare – a chi, spesso senza neanche entrare nel merito delle questioni storiche e politiche che la corrente revisionista studia, mistifica i revisionisti e li descrive come dei maiali nazisti pronti a giustificare ogni barbarie pur di vedere una rivalutazione del Fascismo o del Nazismo. Questa accusa è stata da più parti rivolta contro un revisionista che in questo periodo sta, purtroppo per lui, conoscendo le luci della ribalta : David Irving. Questo storico, autore di importanti saggi sulle camere a gas, sui campi di sterminio nazisti e più in generale sul NaziFascismo, è stato arrestato in Austria per apologia di Nazismo ; la cosa, in Austria come in Germania, Italia e altri Stati Europei ma non solo, costituisce reato penalmente perseguibile. David Irving ha avuto il pregio o il merito di rimettere in discussione il dogma ormai universalmente accettato secondo il quale nelle camere a gas sarebbero morti circa sei milioni di ebrei : ce ne è abbastanza perché questa stessa Europa che arrogantemente si pone come garante della libertà di parola, affini i suoi artigli democratici sul coraggioso storico. E su tutti quelli che sono stati o saranno.
E di Rassinier che cosa diciamo? Anche lui canagliaccia neo-nazista? E’ stato ridicolo osservare come si sia in tutti i modi cercato di collocare nella zona dell’estrema destra politica Rassinier, un combattente partigiano, deportato nei campi di concentramento ed egli stesso vittima delle persecuzioni naziste, diverse medaglie per i suoi meriti di guerra. Il fatto che Rassinier venga pubblicato da case editrici, molto piccole e comunque fuori dalla grande distribuzione commerciale, spesso appartenenti all’estrema destra e a gruppi neo-fascisti, non inficia minimamente quello che diciamo. E’ logico che Rassinier sia uno degli storici preferiti dell’estrema destra ( Villari o Sabbatucci non sono gli storici preferiti dall’estrema sinistra? ), come è altrettanto logico che chi non riesce a pubblicare il proprio libro da grandi case editrici a causa della damnatio memoriae che la cultura cerca di imporre, si rivolga anche a chi sia politicamente ai suoi antipodi ; distanza che lo stesso Rassinier ha sempre rimarcato.
Proprio l’Olocausto è una delle questioni più aspramente oggetto del dibattere. Vediamo di esaminare insieme, in maniera sintetica per ovvi motivi, quali sono le frecce che alcuni storici hanno al loro arco nel contestare il dogma secondo qui i Nazisti abbiano ordito, con lucida e spietata meccanicità quasi “industriale”, un piano di sterminio di portata mondiale ai danni degli ebrei per cancellare anche l’ultimo di loro dalla faccia della terra.
Di seguito ho provato, pur sinteticamente, ad analizzare una materia importante : i rapporti tra Germania ed Ebrei e lo spostamento di Ebrei e Sionisti voluto dal governo Nazionalsocialista. Ci si chiederà perché la scelta di questo tema, ed è presto detto. Molta Storia, soprattutto quella riguardante il primo Novecento, resta ancora da scrivere, o da riscrivere : i rapporti tra Germania ed Ebrei – specificamente quelli dei primi anni del Nazismo – si prestavano, per la loro natura, ad una trattazione che potesse essere allo stesso tempo sintetica e fondata, tale da poter essere quindi trattata in questo spazio ; questi rapporti sono sempre stati ignorati dalla Storiografia ufficiale in quanto rivalutarli significherebbe porre in una luce completamente diversa questo genere di rapporti, evidenziando una buona dose di responsabilità da attribuire ai dirigenti sionisti ed ebrei riguardo l’intensificazione delle misure repressive da parte Nazista. Quello che facciamo per questa tematica da noi scelta – tematica che comunque non è possibile trattare in tutte le sue sfaccettature – è quello che si dovrebbe fare per l’intero movimento fascista europeo, per il Nazionalsocialismo e per la seconda guerra mondiale, nonché le cause che veramente hanno permesso che quest’ultima si scatenasse. Perché come in seguito evidenzierò degli elementi riguardanti la collaborazione nazista-ebraica, lo stesso può dirsi per tutto quello che hanno sempre cercato di farci credere, ma sul quale è lecito avere più che un dubbio.
In questa sede non è nostro volere né fare una summa di tutto il lavoro revisionista che fin qui è stato prodotto, né sostenere nessuna di queste tesi. Vogliamo solo cercare di far capire, a chi ancora fosse scettico, che molti aspetti della Storia, della nostra Storia, quella che non vogliono che dimentichiamo, debbono ancora essere analizzati a fondo, se non riscritti di tutto punto, e che laddove si danno scontati dogmi assoluti, questi vanno invece dimostrati e verificati.
Perché quindi, all’interno di questo spazio, trattare un argomento revisionista? Cosa c’entra questo con Fascismo e Libertà? C’entra…e molto. Perchè la libertà – per alcuni termine non accostabile al Fascismo – è anche quella di analizzare serenamente la nostra Storia, cercare di capire veramente cosa eravamo una volta e cosa siamo adesso. Affrontare quindi un tema revisionista in questa occasione significa in primo luogo fare cultura, e già di per se quindi è un’azione meritevole ; e in secondo luogo cercare di dimostrare, con un avvenimento che mi è stato più semplice di altri affrontare, come sia lecito e giusto avere dei dubbi. Su questo come su tanto altro.
Cercherò di essere il più breve possibile.

I rapporti tra la Germania Nazista e il Movimento Sionista : una collaborazione per l’esodo
Adolf Hitler e l’ideologia Nazionalsocialista da lui personificata riconoscevano negli ebrei un fattore di decadenza pericoloso per i popoli di razza ariana, e in particolare per quello tedesco ; questa particolare diffidenza nei confronti degli ebrei non si spiega soltanto – come spesso si cerca di far credere, col tentativo nazista di indirizzare in un'unica direzione le delusioni tedesche per la forte crisi economica e la sconfitta nella prima g. m. Il fatto che una buona parte delle leve statali, culturali, politiche o culturali fosse mossa da personalità appartenenti al mondo ebraico, e che diversi esponenti del comunismo fossero ebrei ( Rosa Luxemburg e Karl Marx su tutti ), era ragion sufficiente per vedere negli Ebrei un temibile pericolo. Se quindi da un lato il regime di Adolf Hitler sarà particolarmente ostile nei confronti degli Ebrei, lo stesso si deve poter dire degli Ebrei stessi. Si crede solitamente che non appena arrivò al potere Adolf Hitler incoraggiò subito qualunque azione, lecita e meno lecita, volta a causare dolorosissime sofferenze al popolo ebraico : cominciò quindi da subito la politica di internamento degli Ebrei, per poter procedere in seguito col loro annientamento totale : la Soluzione Finale fu progettata proprio per questo. Questo è quello che solitamente ci viene detto. E’ pur vero che ci furono atti di violenza nei confronti degli ebrei ; ma questa violenza può dirsi comune a tutta l’Europa e non solo… la Russia stessa conosceva già ampiamente i pogrom, persecuzioni a danno di persone appartenenti alla razza ebraica. In Europa l’antisemitismo era un fenomeno già ampiamente presente prima della venuta al potere di Hitler, ed era quindi normale che, in una situazione particolarmente tesa come era quella della Germania del primo dopoguerra, questo antisemitismo tornasse violentemente alla carica come valvola di sfogo. Lo stesso movimento nazionalsocialista, fin dai suoi inizi, fu un prodotto dell’antisemitismo tedesco, e non una causa. Comunque Hitler nel 1933 non era assolutamente quel dittatore dotato di pieni poteri come lo conosciamo : non aveva i pieni poteri né sul Parlamento, né sulle forze armate, né sugli organi di stampa o di informazione ; quindi – questo è un dato accettato anche dagli storici sterminazionisti – nel ’33 la Germania Nazista non aveva ancora il potere di avviare, se mai lo avesse voluto, una qualsivoglia campagna in grande stile contro gli Ebrei o contro qualunque altro gruppo politico o sociale.
Diversa invece la situazione da parte ebraica. Questo il primo dato che le fonti ufficiali si guardano bene dal rendere pubblico, in quanto metterlo in luce significherebbe determinare immediatamente un cambio del punto di vista dei rapporti tra Germania ed Ebraismo : nel ’33 i capi dell’Ebraismo mondiale, cominciarono a muover guerra alla Germania.
Il 12 marzo 1933 il Congresso Giudaico Americano annunciò una clamorosa manifestazione di protesta in Madison Square Garden che si sarebbe tenuta il 27 ; diversi gli appelli al boicottaggio dei prodotti tedeschi : tra i primi ricordiamo il comandante di capo dei veterani di guerra ebrei. Il 23 marzo, nel frattempo, 20.000 ebrei protestavano davanti al municipio di New York chiedendo il boicottaggio dei prodotti tedeschi. Il Daily Express del 24 marzo 1933, riprendendo la grande mobilitazione del giorno precedente, titolava così :“La Giudea dichiara guerra alla Germania. Gli Ebrei di tutto il mondo si coalizzano”, per continuare all’interno dell’articolo in questo modo :“[ La Germania ] viene così confrontata con un boicottaggio internazionale del suo commercio, delle sue finanze e della sua industria…a Londra, New York, Parigi e Varsavia gli uomini d’affari ebrei sono compatti nella loro crociata economica”. Il giornale ebreo Natscha Retsch rincarava la dose :“La guerra contro la Germania verrà condotta da tutte le comunità, conferenze, organismi…da ogni singolo ebreo. Per questo la guerra contro la Germania sarà una rinascita ideologica a sostegno dei nostri interessi, i quali richiedono un annientamento della Germania”. Insomma : mobilitazione non solo ideologica e politica ma anche e sopratutto economica ; e si può ben capire come una dichiarazione di guerra dal punto di vista economico, quale era quella che preparavano gli ebrei europei, non ha niente da invidiare, se così si può dire, ad una dichiarazione di guerra come solitamente noi la intendiamo, vale a dire dal punto di vista militare. Entrambe possono mettere in ginocchio uno Stato, e una conquista militare ha come conseguenza, sempre, anche una sconfitta sul piano dei rapporti inter-commerciali. Pochi i tentativi di cercare di far recedere gli ebrei dai loro propositi : tra le poche va ricordata quella del ministro degli Esteri americano il quale telegrafò al rabbino capo del Congresso Ebraico Americano Stephen Wise ammonendo alla cautela. Nel frattempo ha luogo la manifestazione del 27 marzo della quale abbiamo parlato poc’anzi e non solo al Madison Square Garden, ma anche a Chicago, Boston, Philadelphia, Baltimore, Cleveland e altre diverse località ; il progetto è sempre quello : strangolare economicamente la Germania. La risposta del governo tedesco, che fino ad ora è rimasto a guardare, non si fa attendere e si traduce con il boicottaggio di un giorno dei prodotti ebrei o di negozi gestiti da ebrei. Il 28 marzo 1933 arriva l’ordine di boicottaggio di Hitler. Non quindi una misura di tipo offensivo volta a danneggiare economicamente gli ebrei, ma esattamente il contrario : una Nazione che, vistasi attaccata dal punto di vista finanziario, cerca di rispondere con la stessa misura. Gli attacchi alla Germania e alla sua economia ( di cui una grossa fetta era causata dalle esportazioni che crolleranno ulteriormente del 10%. Edwin Black, The Transfer Agreement – The Untold Story of the Secret Pact between the Third Reich and the Jewish Palesatine ) non accennano a diminuire : ad Amsterdam si costituisce la Federazione Economica Mondiale Ebrea diretta da Samuel Untermyer per meglio coordinare gli attacchi anti-tedeschi. Lo stesso Untermyer, intervistato in seguito, dichiarerà candidamente queste parole che, se pronunciate al giorno d’oggi da un qualunque politico nei confronti di un qualsiasi cittadino israeliano, farebbero gridare allo scandalo : “La Germania si è trasformata da nazione civile in un inferno i bestie crudeli e selvagge. [ … ] Ora o mai più tutte le nazioni del mondo devono far causa comune contro lo sterminio, l’annientamento, le brutali torture, persecuzioni e crudeltà che vengono inflitte quotidianamente a questi uomini, donne, bambini [ … ] Gli Ebrei sono gli aristocratici di questo mondo”. Seguivano dichiarazioni sulle presunte torture indicibili causate dai tedeschi agli Ebrei. Il fatto che simili falsità vengano dette e riportate nel ’33, anno in cui anche la storiografia di regime è concorde nell’affermare che non ci furono ancora a quell’epoca né campi di sterminio né campi di concentramento, la dice lunga sull’arbitrarietà e l’impudenza di dichiarazioni simili. La verità è quindi che la prima azione di guerra, perché di questo si tratta, fu fatta dall’ebraismo internazionale ai danni della Germania. Viene ora da chiedersi quello che presumo molti di voi si saranno chiesti : come mai gli Ebrei europei, non solo tedeschi, volevano un simile stato di cose?
Nei primi mesi del ’33 si assistette ad un incredibile, e direi quasi paradossale, tentativo di accordo tra la Germania hitleriana e il movimento Sionista. Come ormai è generalmente affermato, è proprio in questo periodo che il movimento sionista cerca di muovere i primi passi al fine di favorire lo spostamento degli ebrei europei verso la Palestina, al fine di poter creare un punto di appoggio politico con cui poter creare lo stato di Israele. I capi sionisti pensarono quindi che, creando le condizioni negative alla permanenza degli Ebrei in Europa, si sarebbe potuta attuare quella gigantesca migrazione umana auspicata dagli stessi sionisti per il loro scopo politico. E quale punto di partenza migliore se non quello della Germania Nazista, cercando di indurre in tutti i modi Hitler ad inasprire la sua legislazione antisemita? Lo stesso Hitler lavorò col movimento sionista nel tentativo di liberare quello che - a torto o a ragione – vedeva come un cancro non solo per la Germania, ma anche dell’Europa intera. Si veda anche il libro – pressoché sconosciuto – di Lenni Brennar – Sionismo nell’era dei dittatori, a cui non è stata dedicata la benché minima attenzione. Questo lavoro di collaborazione produsse anche dei risultati proficui : il Trattato di evacuazione di Haavara, stipulato tra Germania e Sionisti per avviare il trasferimento degli Ebrei dall’Europa alla Palestina. Il trattato avviava tra le iniziative più importanti quella di permettere che i capitali degli ebrei potessero affluire solo in Palestina : in questo modo un ebreo che voleva lasciare la Germania non avrebbe avuto altra strada se non quella di emigrare in Palestina. Davvero, se Hitler stesse in questo momento progettando lo sterminio del popolo ebraico, permetterebbe che questo emigrasse completamente per finire sotto l’influenza ebraica?
Le iniziative tedesche però non finiscono qui.
Nel programma del Partito Nazionalsocialista, pubblicato in data antecedente al 1933, figurava il trasferimento degli ebrei tedeschi nell’isola di Madagascar ; già all’epoca non era vista di buon occhio la possibilità di trasferire gli ebrei in Palestina, perché questo avrebbe significato non solo una guerra senza fine, ma anche una lacerazione del mondo arabo. Cosa che, di fatto, è avvenuta dal 1948 in poi. Anche Theodor Herz – uno dei principali ispiratori del sionismo – contemplava questa eventualità nel suo libro “Der Judische Staat” ( “Lo Stato Ebraico”). Nel 1938 fu inviato a Londra il presidente della Reichsbank, Hialmar Schacht, per trattare con i rappresentanti ebraici inglesi ( Reitlinger, La Soluzione Finale, Milano, 1962, pag. 36 ) ; il progetto andò a vuoto perché gli inglesi non approvarono le opzioni di finanziamento. L’anno dopo il ministro degli Esteri francese Gorge Bonnett raccontò a Hitler di aver preso in considerazione un progetto simile, con destinazione Madagascar, per il trasferimento di 10.000 ebrei francesi. In questo stesso anno, per parte tedesca, prevale questo progetto e viene fondato l’Ufficio Centrale di Emigrazione con a capo Heydrich. Questi i risultati degli sforzi che il governo germanico fece per l’evacuazione della popolazione ebraica : 400.000 ebrei tedeschi più altri 410.000 di Austria e Cecoslovacchia. Manvell e Frankl nel loro “SS und Gestapo” affermano addirittura che Eichmann avesse istituito in Austria dei campi di addestramento per poter iniziare gli ebrei ai lavori agricoli. Se Hitler avesse avuto già nel ‘38/’39 l’intenzione di attuare lo sterminio del popolo ebraico, non si capisce perché avrebbe dovuto allora cooperare con i sionisti per l’allontanamento di più di 800.000 ebrei. Questo modo di procedere continuerà anche durante la guerra. La caduta della Francia nel ’40 rese possibile al governo tedesco intraprendere le trattative per il trasferimento nel Madagascar : un memorandum del Segretario di Stato Luther ci informa che questo progetto fu elaborato da Adolf Eichmann e sottoposto allo stesso Hitler, che diede la sua approvazione. Schmidt, l’interprete di Hitler, nel suo libro ( “Hitler’s Interpreter”, Londra, 1951, pag. 178 ) sostiene addirittura che il Fuhrer mise al corrente il Duce del progetto, che comunque in seguito sarà abbandonato. Questo progetto, che i tedeschi cercheranno di sostenere anche nel ’44, quando ormai si profilava all’orizzonte la disfatta delle truppe dell’Asse ( “Die Geschichte von Joel Brand, Colonia 1956 ), ha certamente una sua logica : per sostenere le spese e gli armamenti necessari alla guerra, i tedeschi avevano tutto l’interesse ad avere più manodopera possibile, in modo da poter fronteggiare adeguatamente le commesse militari : privarsi di tutta quella manodopera per la Germania Nazista sarebbe stato controproducente.
Come si è potuto vedere, ce ne è abbastanza. Ce ne è abbastanza perché quello di cui abbiamo trattato adesso è ben diverso da quell’opera di sterminio sistematico che viene attribuita alla Germania Nazista, che sin dall’inizio cercò di collaborare con gli Ebrei, con i Sionisti e come abbiamo visto anche con qualche altro Stato Europeo per l’espulsione degli Ebrei dalla Germania e in generale dall’Europa. E’ paradossale, ma non troppo, che un popolo che ancora oggi si lamenta delle persecuzioni che dovette affrontare a causa di una Nazione, abbia cercato egli stesso di favorire tali persecuzioni per raggiungere i suoi scopi politici, ovvero la fondazione dello Stato di Israele sulle terre di un altro popolo, quello palestinese.

Conclude qui l’accenno storico. E devo subito fare una precisazione : noi non patteggiamo né per l’una né per l’altra parte. Noi cerchiamo solo l’obbiettività e la verità, e ci piacerebbe che nell’ambito della ricerca storica, e più in generale nell’ambito della cultura, a chiunque sia data la possibilità di parlare e di esporre le proprie ragioni. Questo non avviene.
Tirando le somme : che dire? Non bastano certo queste poche righe per manifestare tutto il nostro sdegno e il nostro raccapriccio ; l’intera Storia del Fascismo, del Nazismo e della seconda guerra mondiale andrebbe interamente riscritta. Ma ogni qualvolta qualcuno cerchi di farlo, subito l’apparato repressivo dello Stato – tanto più efficace quanto più invisibile alla maggior parte delle persone, evidentemente troppo prese da Isole di Famosi e cellulari a buon prezzo – subito l’apparato repressivo, dicevo, si mette in moto. E’ senza dubbio curioso come non si perda mai un attimo a cercare di processare – intendo dal punto di vista giudiziario - i vari Faurisson, German Rudolf, Irving, Mattogno e chi più ne ha più ne metta, e non riscontrare la stessa celerità quando si tratta di punire assassini, stupratori, banchieri corrotti e burattinai del mondo politico e dell’alta finanza che muovono invisibili fili di scambi di favori, di connivenze, di corruzioni.
Quello che voglio chiedermi è come mai, quando uno storico osa soltanto rimettere in discussione i dogmi assoluti della Storia della prima metà del Novecento, automaticamente si scateni nei confronti dello storico in questione una vera e propria tempesta non solo mediatica, non solo culturale, ma anche politica e soprattutto giudiziaria. Da questo punto di vista la Storia non è revisionista per definizione : perché non è consentito approcciarsi al Fascismo con la stessa voglia revisionista con la quale si studia il Comunismo, la Rivoluzione Francese, la Storia della Chiesa, l’Impero Romano, Nerone, Caligola, i Greci…e via discorrendo per tutto il sapere storico e culturale che, come abbiamo già detto, sempre propone nuove prospettive e nuovi punti di vista che in precedenza erano invece oscuri o non identificati. Se poi si ritiene che Irving, Faurisson, Nolte o chi dir si voglia siano dei ciarlatani filo-nazisti le cui indagini non hanno il minimo spessore storico e culturale, perché non smontare queste tesi nell’ambito della ricerca storica, come si farebbe per qualunque altra tesi non condivisa? Perché puntare direttamente all’aula del Tribunale? Si ha forse qualche scheletro – nell’armadio dei vincitori e di chi è loro servo – che non si vuole mostrare? Perché tutta questa isteria nei confronti di chi svolge la sua funzione di storico nel vero senso di fare Storia, ovvero cercando ancora nuove soluzioni, nuove prospettive, nuove interpretazioni, cercando di percorrere nuove strade? Uno storico del genere non andrebbe preso ad esempio, non andrebbe lodato, anziché ammanettarlo per un reato di opinione nella democraticissima Europa?
La storia è vecchia, l’abbiamo, ahimè per noi, già sentita tante volte. Costituisce un amaro surrogato chiamato “privazione della libertà di pensiero”, diritto che, a differenza di quanto si sia portati a pensare, in Europa è ben lontano dall’essere garantito. A meno che, ovviamente, il proprio pensiero non coincida con quello dei poteri forti e con quello che essi continuano, da sessant’anni a questa parte, a far passare come una verità certa e inconfutabile.
Siamo stati abituati a vedere, quando le forze politiche hanno ritenuto opportuno farlo, manifestazioni roboanti in cui cagnolini addestrati sbandieravano la loro avversione contro i poteri forti, contro i negatori del libero pensiero e della democrazia ( a loro avviso si intende ) ; non passa giorno in cui, alla tv o nei giornali, non si deprechi l’attività di insabbiamento di informazioni scomode da parte dei poteri forti o di mass-media più o meno conniventi. Ebbene, non ho sentito neanche una sola di queste anime belle pronte a strapparsi le vesti alla prima vista di pericolo anti-democratico parlare a difesa di uno storico ( mi riferisco a David Irving, l’ultimo in ordine di tempo ) che, come tanti altri che sono stati prima di lui e come tanti altri che verranno, si spera, andando controcorrente rispetto alla maggior parte degli storici di regime ( loro si asserviti al potere forte ), da un forte impulso agli studi storici sul Nazismo e sul Fascismo, viziati all’origine da una interpretazione falsa e menzognera che i vincitori hanno voluto imprimere alla Storia. Che è diventata la loro Storia, con la quale guardarsi allo specchio e farsi belli nei documentari di RaiTre. Sarebbe bello anche vedere un documentario sui combattenti della RSI che combatterono contro le truppe partigiane di Tito ; o vedere una strada o una via dedicata a Adolfo Landriani, il maresciallo che non volle urlare “Viva la Jugoslavia” e fu per questo ucciso di colpi. Ma questa è un’altra Storia, ci sarà il tempo e il modo per parlarne.
La Storia la scrivono i vincitori. Questo è stato e sempre sarà. Ma non è detto che i vinti, e chi con coraggio sta dalla parte più scomoda come noi del MFL, debbano ancora subire passivamente.
I libri di storia, l’opinione pubblica, i mass-media in generale, tirannizzano in particolare le giovani generazioni con falsi miti e con una manipolazione continua dei fatti storici molto più potente e capillare di quanto un Goebbels avrebbe mai pensato e potuto fare. Questo si che è un regime, questa si che è una tirannia potente se si può ammanettare uno storico controcorrente nel più assoluto - e vergognoso - silenzio dell’intera opinione pubblica, tranne una qualche sua parte più libera e indipendente.
Non ci vengano a dare lezioni – ne ora ne mai - questi intellettuali borghesi e salottieri, pronti ad intervenire sempre e comunque per difendere il libero pensiero, ma solo di chi la pensa come loro, sulla democrazia e sulla libertà di parola. Da questi signori, ai quali evidentemente manca anche il pur minimo barlume di coerenza che contraddistingue l’uomo dall’animale selvaggio ( a quest’ultimo va il nostro massimo rispetto ), non accettiamo lezioni. C’è un limite a tutto. Un limite che è stato già da tempo oltrepassato.
Ho concluso. Grazie della Vostra attenzione.




Andrea Chessa