giovedì 26 aprile 2018

A Macerata è andato in scena l'antifascismo più genuino



Grazie al 25 aprile scopriamo che, a Macerata, il vero problema non sono le gang di immigrati che imperversano sul territorio, consci della totale impunità che garantisce loro questo Paese; non sono gli ospiti che manteniamo a spese nostre che violentano e macellano le nostre donne; non è lo spaccio di droga, diventato ormai endemico. No. Il vero problema, nemmeno a dirlo, è il Fascismo.

A Macerata, ieri, è andata in scena la più genuina manifestazione antifascista, come la intendono i fanatici del 25 aprile: un manichino di Benito Mussolini appeso a testa in giù, con i bambini – le future leve dell’antifascismo odioso e militante – che gli spaccano la testa a colpi di bastone per collezionare cioccolatini e caramelle. La macabra e oscena esposizione di Piazzale Loreto – quella che fu definita, a ragione, una vera e propria “macelleria messicana”, vent’anni dopo. Sorvoliamo sul buon gusto dei democratici di sinistra: almeno non ci sono Fascisti in carne ed ossa, ma solo manichini di plastica. Visti i tempi, ci sembra già un passo avanti. Con il vicesindaco, Stefania Monteverde, che plaude felice all’iniziativa dei centri sociali e dei teppisti di sinistra, (in)degni organizzatori della manifestazione.

A Macerata, ieri, è stato rappresentato il 25 aprile per come lo intendono questi lugubri personaggi, che si richiamano solo ed unicamente a parole per quegli ideali di democrazia e tolleranza che dovrebbero (e sottolineiamo, dovrebbero) appartenere ai democratici, ma, che in realtà, nascondono tutt’altro: vogliono riservarci lo stesso destino di Benito Mussolini appeso a testa in giù e massacrato già cadavere; o di Sergio Ramelli, lasciato riverso su un marciapiede con la materia celebrale che gli colava sull’asfalto; come Mikis Mantakas, come Terracciani, come Manolis Kapellonis e Yorgos Fundulidis, i due giovani militanti di Alba Dorata massacrati a colpi di mitra; come i fratelli Mattei, bruciati vivi, con tanto di Achille Lollo, uno degli assassini, che se la spassava felice all’estero, grazie agli aiuti di Dario Fo e Franca Rame, ancora oggi lodati come esempio di militanza democratica e sensibilità antifascista. Questi vogliono ammazzarci tutti. Di parlare, di confrontarsi, gli importa come al mio cane interessa Vitruvio.

Sorvoliamo sul rispetto dei morti che ha questi lugubre gentaglia. I loro nonni sparavano alle spalle dei fascisti per poi nascondersi tra i monti; buttavano le donne dei fascisti in mezzo alla strada e le trascinavano sui carri con gli asini, per essere facile bersaglio della cagnara democratica; piazzavano le bombe nelle strade per fomentare le legittime rappresaglie di guerra della controparte, salvo poi piagnucolare per le vittime civili (via Rasella insegna, e dice tutto). Questi qui sono i loro degni nipotini. Ci ammazzerebbero senza fare una piega, anzi, col sorriso sulle labbra. Un intero sistema di potere, che passa per i Bergoglio, attraversa i Severgnini e finisce con Fiano, Saviano e la Boldrini, li ha addestrati, come delle scimmiette da circo, a pensare che i fascisti non hanno alcun diritto di cittadinanza, in questo Paese; che siamo un cancro, una malattia da estirpare. Dei subanimali con l’osso in testa e la clava in mano, che girano per le strade italiane a caccia di immigrati: questa è la rappresentazione che è stata fatta di noi, di quelli che, bene o male, si identificano con le nostre idee (iniziando da Fratelli d’Italia e finendo con Fascismo e Libertà). 

Un intero regime – formato da stampa, politica, magistratura, opinione pubblica (risultato delle prime tre) – auspica, col sorriso sulle labbra, la nostra eliminazione fisica. O, quantomeno, alzerebbe un sopracciglio, casomai ci scappasse il morto. Provate a pensare cosa sarebbe accaduto se si fosse verificato l’esatto contrario: dei manifestanti più o meno simpatizzanti del Fascismo che, in occasione del 25 aprile, appendono un manichino con un fazzoletto rosso e il pugno chiuso in una piazza e lo fanno sventrare da dei bambini di dieci anni, col plauso delle autorità istituzionali. Ve l’assicuro: sarebbe scoppiato il finimondo e il tutto non si sarebbe concluso coi sorrisini sornioni di Stefania Monteverde.

Non lasciamoci ingannare: dagli anni ’20 ad oggi – ed è passato quasi un secolo – la sinistra, e quella comunista in particolare, è rimasta sempre la stessa: violenta, terrorista, eversiva, implacabile. Sono sempre loro: negli anni ’20 sputavano e picchiavano i reduci della prima guerra mondiale o quelli che entravano in fabbrica nonostante i picchetti dei “compagni”; nel ’40 piazzavano bombe come se non ci fosse un domani e sparavano alle spalle – tant’è che il gappismo, sparare alle spalle e poi sparire, è un fiore all’occhiello della “lotta partigiana”; negli anni Settanta prendevano a martellate in testa ragazzini colpevoli di far parte delle MSI o di parlare male delle Brigate Rosse nei temi scolastici, come Sergio Ramelli, la cui morte suscitò un applauso tra i banchi della sinistra del Comune di Milano; oggi i centri sociali aggrediscono in dieci contro uno, come accaduto al nostro fu dirigente della Campania, Raffaele Balsamo, portato in un vicolo di strada con l’inganno e massacrato a calci e pugni. 

Sono sempre loro, sempre gli stessi, perché sempre la stessa è la cultura alla quale fanno riferimento: una cultura scevra da qualunque impulso propositivo o costruttivo, infarcita esclusivamente di morte e di odio.


Siamo sempre più orgogliosi di non far parte della cagnara ch sbraita il 25 aprile. Siamo sempre più fieri di stare dalla parte sbagliata della barricata.

mercoledì 25 aprile 2018

Che cosa avete da festeggiare, oggi, 25 aprile?


Che cosa avete da festeggiare, oggi, 25 aprile? 

Festeggiate forse una sconfitta militare vergognosa, condita dal cambio di casacca dell’ultimo minuto?

Festeggiate forse l’invasione anglo-americana, che ancora oggi ci porta in dote 191 basi di occupazione straniera che limitano del tutto la sovranità della Nazione? 

Festeggiate forse la guerra dei partigiani, vale a dire banditi e terroristi che sparavano contro dei soldati di un esercito riconosciuto come quello della RSI?

Festeggiate forse gli stupri, le esecuzioni sommarie, le stragi dei partigiani? 

Festeggiate forse le Norma Cossetto, i Rolando Rivi, le donne rapate e portate in processione per le strade da criminali che col fazzoletto rosso si credettero eroi?

Festeggiate forse quelli di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki, di Cagliari, di Roma ieri, e della Libia, dell’Iraq, dell’Afghanistan e dell’Iran oggi?

Festeggiate forse la mafia, che ritornò grazie agli anglo-americani, ed è ancora una piaga della Nostra Nazione e del mondo intero che il Fascismo, prima di soccombere, aveva già sradicato?

Festeggiate forse il re villano e traditore, che scappò lasciando l’Esercito Italiano senza alcuna indicazione, alcun ordine, lasciando i soldati completamente inermi davanti alla legittima ira dell’Alleato che si sentì legittimamente e giustamente tradito?

Festeggiate forse il massacro di ventimila vostri connazionali ad opera dei partigiani titini, con la piena e fattiva collaborazione di quelli italiani, che furono buttati nelle fosse carsiche, le foibe, solo per la loro nazionalità?

Festeggiate forse le marocchinate, la terra bruciata che fecero le truppe negroidi del generale francese Juan incendiano, massacrando e stuprando le nostre connazionali, dichiarato bottino di guerra?

Festeggiate forse una classe politica, figlia e degna erede di quell’antifascismo di cui ancora oggi si vanta, che ha ridotto la Vostra Patria ad una latrina a cielo aperto, bivacco preferito di africani, spacciatori, stupratori e clandestini vari?

No, oggi, quelli che festeggiano siamo noi. Si, oggi, come ieri, come l’altro ieri, e come sarà domani, dopo domani e il giorno successivo ancora, siamo noi a festeggiare. I nostri morti. Quelli che lo meritano per davvero, anche se furono dalla parte sbagliata, secondo questi storici e giornalisti di merda.

Festeggiamo tutti coloro che preferirono versare il proprio sangue per dimostrare che gli italiani non erano solo una accozzaglia di traditori e di voltagabbana, ma anche di uomini capaci di rispettare la parola data, e di inciderla nella Storia col proprio sangue.

Festeggiamo gli uomini della Tagliamento, in prima fila per combattere contro l’invasore, partiti in trecento e rientrati in trenta, sfiniti, distrutti e sanguinanti, ma ancora capaci di sparare le ultime pallottole contro l’invasore che avanzava inesorabilmente. Quelle che almeno funzionavano, di pallottole, visto che i partigiani le avevano sabotate nelle fabbriche.

Festeggiamo gli uomini di Stalingrad, che contesero metro per metro il terreno al mostro comunista, per impedire che passasse, che divenisse forte, che si mangiasse tutta l’Europa.

Festeggiamo i ragazzini di quindici anni che mentirono coscientemente sulla propria età per essere arruolati nei battaglioni di combattimento.

Festeggiamo gli adolescenti che morirono davanti agli scalini di Piazza Maria Novella, a Firenze, fucilati da quei partigiani più grandi che potevano essere i loro padri, beffandosi dei loro carnefici con un ultimo “Viva Mussolini!” prima di essere falciati davanti al plotone di esecuzione, mai piegati, mai domi, nemmeno davanti alla Morte.

Festeggiamo i giovani della Hitlerjugend, che davanti al nemico sovietico che impazzava per le strade di Berlino, stuprando tutte le donne dagli otto agli ottanta anni e poi crocifiggendole vive davanti alle porte delle case e dei granai, combattevano con uno scalcagnato panzerfaust in spalla o sul piantone della bicicletta. Perché combattere contro un invasore così crudele e spietato era un diritto, prima ancora che un dovere. 

Festeggiamo i franchi tiratori di Firenze, spesso ragazzini e adolescenti, che accolsero gli invasori a colpi di fucile, ma sempre stando attenti a conservare una pallottola per loro, quella che si sarebbero sparati da sé per non finire vivi nelle mani degli americani.

Festeggiamo i ragazzi della Folgore, che compirono autentici prodigi contro un nemico mille volte più forti in armi, uomini, mezzi.

Festeggiamo i ragazzi di El Alamein, che usavano le scatolette di latta del rancio per confezionare rudimentali ordigni con cui cercare di far saltare in aria i carri nemici, e quando si arresero agli inglesi, quei pochi superstiti, erano perfettamente allineati nei ranghi, tra il sangue, il sudore e la polvere, dopo settimane di combattimenti senza mangiare, senza dormire, senza bere.

Festeggiamo Robert Brasillach, il poeta che non imbracciò mai un’arma ma che fu imprigionato assieme alla madre malata ed anziana, e poi fucilato dopo la sentenza di quel tribunale di venduti e di traditori: aveva solo messo la sua penna al servizio di quella gioventù che aveva combattuto dall’Africa, alla Russia, all’Europa, per una nuova civiltà che non fosse quella dell’usura ebraica e capitalistica. E quando, dopo la lettura della sentenza di morte, qualcuno tra la folla gridò “Ma è una vergogna!”, lui rispose “No, è un Onore”.

Festeggiamo Ezra Pound, il poeta dei Cantos, amico intimo di Mussolini, che cantò contro l’usura bancaria e per questo fu imprigionato come pazzo e malato di mente.

Festeggiamo gli ultimi della SS Charlemagne, venuti a combattere per il Fascismo e per l’Europa dalla Francia, che si fecero massacrare fino all’ultimo uomo per difendere il chilometro quadrato di rovine e di devastazione attorno al bunker del Fuhrer, quell’Adolf Hitler che aveva ignorato tutti i consigli per la sua sicurezza personale ed era rimasto nella capitale, per stare vicino al suo popolo. “Si gettavano addosso ai carri armati con una granata in mano e il pugnale tra i denti”, diranno degli esterrefatti sovietici.

Festeggiamo quel Benito Mussolini che in vent’anni ha fatto più per la Nazione di quanto abbiano mai fatto questi sgherri di regime in ottanta anni, e che si sarebbe potuto ritirare a vita privata come merce di scambio tra le potenze vincitrici, e invece finì appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.

Festeggiamo tutti coloro che non indietreggiarono.

Festeggiamo tutti coloro che non si arresero.

Festeggiamo tutti coloro che non tradirono.

Festeggiamo tutti coloro che non cambiarono divisa all’ultimo momento per compiacere il nuovo padrone.

Non veniteci a parlare di “pacificazione”, di concordia nazionale, di unione tra tutti gli italiani. La vostra pacificazione non la vogliamo. Non ci serve. Perché sappiamo molto bene che differenza passa tra dei codardi e traditori miserabili che sparavano alle spalle per i loro padroni sovietici e dei valorosi combattenti che non indietreggiarono di un solo millimetro mentre il cielo sopra di loro si faceva nero a causa dei bombardieri nemici e la terra si colorava del loro stesso sangue. E nonostante tutto continuarono a cantare, e a marciare, e a combattere. 

Non vi basterebbero 365 feste della Liberazione all’anno per trasformare i nani in giganti e i giganti in nani. Non basterebbero tutti i vostri storici di parte, i vostri magistrati, i vostri politici massoni, i vostri giornalisti conniventi. I giganti rimangono giganti, e i nani rimangono nani. Come voi.

lunedì 23 aprile 2018

E se chiudessimo l'ANPI per apologia del terrorismo?



Il talebano Emanuele Fiano, il deputato PD che avrebbe voluto metterci tutti in galera per i vini e gli accendini del Duce che teniamo in casa, esce dal suo letargo e tenta di rianimare il suo partito dal coma profondo che lo ha colpito dopo le elezioni nazionali di marzo.

A fare arrabbiare il rivoluzionario Fiano ci ha pensato, neanche a dirlo, Antonino Ruggiano, sindaco di Todi, in quota CasaPound, che ha pensato di negare il patrocinio del Comune alla solita caciara filo-terrorista che gli eredi dei partigiani inscenano ogni 25 aprile, per assicurarsi di non essere ancora morti. 

Cosa è successo? Semplice e breve: per una volta ai partigiani è stato impedito di propagandare le loro balle sul Fascismo e sulla seconda guerra mondiale utilizzando i soldi della cittadinanza. Il patrocinio gratuito per la loro pagliacciata, stavolta, non c’è stato. E così i filo-terroristi si sono indignati, anche perché Ruggiano li ha definiti di parte. “Si, siamo di parte e saremo sempre dalla parte dell’antifascismo”, hanno piagnucolato. Talmente forte che i singhiozzi sono arrivati alle orecchie di Emanuele Fiano, che ha lanciato per il 25 aprile una mobilitazione a Todi per dire no. Al Fascismo di CasaPound, ovviamente. 

In una Nazione normale non sarebbe CasaPound sotto accusa, ma l’ANPI. Vale a dire questa organizzazione che da più di 70 anni propaganda l’odio politico di parte – quello stesso odio che li ha portati, anche recentemente, ad inveire contro Sergio Ramelli oppure a difendere lo stupro compiuto dai partigiani ai danni di Norma Cossetto – e che è espressamente portavoce di quelli che, né più né meno, altri non erano se non banditi che sparavano alle spalle. Il tutto sentenziato da una sentenza del Tribunale Supremo Militare del 1954, quindi ben 9 anni dopo la fine del Fascismo, precisamente la n° 747, che riconosceva ai soldati della RSI la qualifica di militari e di combattenti, facenti parte di un governo riconosciuto e legittimo, dotato di una propria organizzazione interna e militare, e che negava tale qualifica ai partigiani, paragonati alla stregua di criminali comuni. In sintesi: banditi e terroristi che sparavano contro soldati in divisa, creando le condizioni ideali per le rappresaglie stabilite dal diritto di guerra. In un Paese normale si prenderebbe atto di ciò e si scioglierebbe questa organizzazione filo-terroristica d’ufficio. Siccome non siamo in un Paese normale questi hanno fatto il bello e il cattivo tempo per settant’anni, propagandando menzogne e odio come da loro decennale abitudine.

A cosa servirà questa ennesima pagliacciata, se non per riesumare qualcuno che si divertiva a nascondersi sui monti per poi sparare alle spalle – in piena tradizione partigiana – non si sa. Supponiamo, però, che la solita pagliacciata si risolverà nella solita figuraccia, come ormai sono abituati dal ’45. Del resto, tra partigiani e sionisti alla Fiano, da quella parte il terrorismo è di casa.

E se invece chiudessimo l'ANPI per il suo sostegno cieco ed incondizionato alle azioni terroristiche che nella seconda guerra mondiale sono state il marchio di fabbrica dei criminali partigiani? Possibile che nessun magistrato ci abbia pensato? Ah, giusto, sono troppo impegnati a denunciare chi fa un saluto romano...

martedì 17 aprile 2018

Cecile Kyenge: dal piagnucolio antirazzista alla figura di cacca. Del suo cane.




Forse voi ci riderete sopra, ma non avete idea di che cosa abbiamo rischiato! Il commissariamento da parte dell’ONU, la messa al bando di tutte le organizzazioni di destra, una censura su internet da far impallidire l’Inquisizione medievale e, forse, anche i roghi sulla pubblica piazza, con tanto di Laura Boldrini che legge le varie pene da applicare ai colpevoli. Il tutto per cosa? Per una cacchetta (che poi tanto cacchetta non sarebbe, a sentire il vicino) di cane. 

Per ore la storiella del gesto razzista (il giardino di casa imbrattato di feci) contro la casa dell’ex Ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, aveva fatto uscire dal sarcofago personaggi come Fassino, che aveva subito espresso solidarietà contro il “vile gesto razzista e xenofobo” (aiuto! Quanto sono pesanti e noiosi: se ci pagano anche un quinto di quello dei loro addetti stampa ci inventeremmo qualcosa di meno soporifero), e ridato fiato a quella sinistra che ritrova compattezza e vigore solo quando si appresta a fare grandissime figure di cacca. Di cane, in questo caso.

Era stato l’ex Ministro a dare il via: sulla sua pagina personale di Facebook pubblica un intervento in cui ci fa sapere che le hanno sporcato il muro della sua casa di popò. “Non capisco che messaggio vogliano lanciarmi”, aveva piagnucolato. Sorvolando sull’acume della Kyenge, passa qualche ora e scopriamo l’amara, amarissima verità: si è trattato di uno dei suoi vicini che, stanco della maleducazione e dell’inciviltà della famiglia della Kyenge, che non si degna di raccogliere la cacca del suo cane durante le passeggiate in giro per la città, ha ben pensato di raccoglierla e fargliela ritrovare dentro casa. Di più: la famiglia dell’ex Ministro è stata ripresa varie volte e tantissimi suoi concittadini sono a dir poco esasperati da questo comportamento. Fino a che qualcuno non ha pensato bene di ripagare la felice famigliola multirazziale della loro stessa moneta.

La sinistra antirazzista? Tace, ovviamente: un’altra figura da geni è stata fatta. Né si può sperare che qualche giornalista od opinionista, spesso e volentieri loro amico, glielo faccia notare.

Si è integrata bene, la Kyenge, non c’è che dire: spiccicata a quei cittadini cafoni e incivili che non si degnano di raccogliere le deiezioni del proprio cane, sporcando il bene pubblico e creando disagio agli altri. Questo è il livello umano di gente che poi viene a darci lezioni di civiltà e di comportamento, col ditino di sinistra puntato sulla nostra faccia di bianchi razzisti: ricordatevelo, se siete stati così minchioni da votare o simpatizzare per questi miserabili.