martedì 13 marzo 2018

La pubblicità della Moby-Tirrenia e le scoreggie di una sinistra in fase terminale




La sinistra, nel suo delirio antirazzista e politicamente corretto, è riuscito, almeno per quanto mi riguarda, in una impresa incredibile: rendermi simpatiche le compagnie di navigazione Moby, Tirrenia, e il loro proprietario Vincenzo Onorato. Si, esatto, proprio loro. Proprio quelle su cui viaggi – le uniche due che collegano la Sardegna alla penisola, appartenenti alla stessa persona – e che, ogni volta che per disgrazia sono costretto a sbarcare a Fiumicino o a Genova con l’auto, se sono da solo non mi costano meno di 300 euro con il passaggio auto e un posto letto; proprio quelle che la cui mensa in cui ti servi da solo non ti costa meno di 30/40 euro con un primo, un secondo e una Coca-Cola, manco fossi da Pomata (noto ristorante cagliaritano).

Cosa è successo? È stata la campagna pubblicitaria congiunta di Tirrenia e Moby a ridare fiato a quella sinistra che ha fatto dell’antifascismo una bandiera e che è stata giustamente e sonoramente sconfitta alle urne.

Questo lo spot: “Navigare italiano non è uno slogan, è un impegno: significa avere 5.000 lavoratori italiani altamente qualificati, per offrirvi un servizio sempre impeccabile. Significa riconoscere il valore e la professionalità dei nostri connazionali e portare lavoro e fiducia nei nostri porti. Significa darvi solo il meglio per trasformare il vostro viaggio in una vacanza”.

Le due compagnie di navigazione, insomma, hanno fatto ciò che dovrebbe essere normale in qualunque Nazione, in qualunque famiglia, in qualunque comunità: privilegiare prima di tutto i propri concittadini. In una situazione di disoccupazione al 30% - addirittura 40% tra i giovani – con un immenso esercito di lavoratori sfruttati e sottopagati quali sono gli immigrati (spesso e volentieri clandestini) questo dovrebbe essere considerato meritorio e lodevole. 

Invece tutto un esercito di disadattati sociali che era finito giustamente nel dimenticatoio ha trovato nuovo vigore. Primo fra tutti quel Saverio Tommasi che, almeno tra le persone di buon senso che utilizzano Facebook, è diventato giustamente famoso per le scempiaggini che “spara” con una cadenza impressionante, una sorta di Cristiano Ronaldo della demenza, famoso per: aver confuso un evento su Facebook fatto apposta per ridicolizzarlo in una spedizione punitiva; per aver polemizzato con la direzione dello scalo aeroportuale di Bologna per i fasciatoi introvabili per i papà, con tanto di cartelli a prova di imbecille disseminati per tutto il terminal; per aver scritto – senza alcun senso del ridicolo – che Carlo Giuliani stava andando al mare (con tanto di passamontagna ed estintore sulla testa per proteggersi dal sole, evidentemente) e quindi “piangiamo tutti un eroico e valoroso combattente antifascista morto per la libertà”; aver strepitato contro il crudele dittatore Boko Haram, dimenticando che Boko Haram non è un dittatore, ma un gruppo terrorista di matrice islamista. E tante altre perle che non mi vengono in mente (tendiamo a dimenticare le cose brutte o ridicole). Ebbene, il nostro sentenzia: “Se pensi che ti debba considerare migliore di un altro in base alla nazionalità dei tuoi dipendenti, sei razzista. Non c'è altro da dire”. Sfugge, a questo tontolone, la differenza tra discriminare una persona in base alle proprie caratteristiche etniche o razziali e scegliere di privilegiare i lavoratori marittimi italiani, da sempre sinonimo di qualità e di alta capacità professionale. Domanda: se è razzista chi, da italiano, assume lavoratori italiani pagandoli in maniera nettamente superiore a quanto vengono pagati dalle altre compagnie i loro omologhi stranieri, come dovremmo chiamare coloro che hanno favorito una immigrazione selvaggia, facendola pagare ai cittadini italiani in aumento della criminalità e della tensione sociale, per far ingrassare le coop rosse e i loro amici?

Anche Selvaggia Lucarelli, che non si sa come è passata dai pettegolezzi da salone di bellezza ad interessarsi di politica, dice la sua: “Cari amici di Moby, il tassista che ieri mi ha rifiutato la corsa sotto la pioggia perché faceva finta di non avere il poss, la tizia della lavanderia che mi ha consegnato il maglione taglia xxs, il tizio che ci impiega 3 giorni per rispondere a una mail di lavoro, quello che mi deve consegnare un pacco ma scrive l’indirizzo sbagliato, il barista sgarbato, l’impiegato che sbuffa perché deve risolvere un problema e non sia mai, sono tutti italiani. Se pensi di convincermi a salire sulle tue navi perché il personale italiano lavora meglio a prescindere, beh, io all’Elba me ne vado a nuoto. P.s. Anche Schettino era tutto italiano.” Il fatto che esistano degli italiani che nel loro lavoro sono poco professionali implicherebbe automaticamente poter assumere tranquillamente gli stranieri infischiandosene dei lavoratori italiani? Dove starebbe il collegamento tra le due cose? Tant’è: il livello è questo qui.

Per finire la nostra carrellata di sinistri non poteva mancare Michela Murgia, la scrittrice sarda famosa per essersi indignata contro il concetto di “Patria” che a suo parere si sarebbe dovuto cambiare in “Matria” (una sorta di Boldrini in formato nuorese, però almeno la Murgia sa scrivere), e che ha avuto il solo pregio di capire che, dopo aver azzeccato l’unico libro in tutta la sua vita, “Accabadora”, le era rimasta, per stare ancora un po’ sulla cresta dell’onda, la strada dell’antifascismo duro e puro, da cesso sociale, per intenderci, solo un po’ più snob (e un po’ più ironico, ché non guasta mai: un punto a suo favore). La perla dal suo profilo Facebook: “Continuità razziale. E i soldi pubblici che prendono dalla Regione Sardegna servono anche a pagare questa roba.”, e sotto l’articolo in cui si parla della pubblicità rassista e fassista. Addirittura “contiguità razziale”… ovvio: dal voler privilegiare i lavoratori italiani con contratti decenti e dignitosi a rinchiudere tutti gli omosessuali e gli ebrei nei (presunti e mai dimostrati) campi di sterminio nasssisti il passo è brevissimo. 

In questo fuoco incrociato di dichiarazioni e di indignazioni a comando c’è ancora Vincenzo Onorato, persona alla quale non manca di certo la grinta, né come imprenditore né come uomo: “Onorato Armatori - è scritto infatti in una nota del gruppo - ha circa 4.750 lavoratori, dei quali meno del 6% è straniero. Ed è proprio questo il messaggio che si vuole lanciare: navigare con il Gruppo Onorato Armatori vuol dire anche difendere il lavoro e la dignità dei nostri connazionali, perché una nave che batte bandiera italiana deve avere marittimi italiani, e non tanti extracomunitari sfruttati e con stipendi da fame”. Continua, Onorato, e le sue sono frasi pesantissime: “Chi ci ha accusato di questo orrendo crimine [essere razzisti, ndr], ha evidentemente perso le puntate precedenti: le compagnie italiane godono, con una vecchia legge del 1998, della quasi totale defiscalizzazione e in più hanno l'esenzione al pagamento di contributi per i propri dipendenti.
A tanta generosità da parte dello Stato sarebbe dovuto corrispondere soltanto l'impegno di impiegare marittimi italiani o comunitari. Gli armatori, con la loro associazione, la Confitarma, hanno disatteso questo impegno imbarcando al posto di marittimi italiani, marittimi extracomunitari a stipendio da fame, nel silenzio colpevole della Triplice che ha firmato con Confitarma accordi liberatori. Morale: i marittimi italiani a casa a fare la fame (e sono circa 60.000) mentre gli extracomunitari la fame la fanno direttamente a bordo”.
 
Siamo sicuri che questa pubblicità raccoglierà i frutti sperati e meritati e ci auguriamo, anzi, che possa essere uno stimolo per altre compagnie – importanti come la Moby-Tirrenia e non – a fare lo stesso: privilegiare l’assunzione di italiani a scapito degli stranieri. Non è razzismo: è buon senso. L’indignazione e lo strepitare a comando di personaggetti conosciuti solo ed unicamente per il loro odio livoroso verso l’Italia e gli italiani, invece, farà la fine di una scoreggia fatta dentro una tromba d’aria: non sentiremo né il rumore né la puzza.

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