mercoledì 30 giugno 2010

L'olocausto dei tedeschi di Polonia

Ricevo e inoltro.

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di: Marc Roland - trad. Alfio Faro


Perchè mai avrebbe dovuto Adolf Hitler rischiare una guerra contro le maggiori potenze militari dell’era moderna – Francia, Gran Bretagna, Unione sovietica – per impadronirsi di un pezzo di Polonia? Gli storici che vanno per la maggiore dicono che i suoi motivi erano psicopatici, cioè, che Hitler era un pazzo incline alla guerra.

Ma questi “storici da cortile” lasciano inspiegato un pezzo di storia: non è forse possibile che la inesplicabile decisione di Hitler di attaccare la Polonia fosse basata su motivi morali? Poteva un uomo come lui stare fermo mentre i suoi concittadini in Polonia venivano assassinati – più di 59.000 solo nel 1939?

L’anno scorso il 70esimo anniversario del Blitzkrieg della Germania nel 1939 ha fornito l’opportunità agli storici che vanno per la maggiore di dipingere ancora una volta la Polonia come vittima innocente dell’aggressione nazista. L’indiscusso paradigma è il fondamento più importante della Seconda guerra mondiale come viene insegnato e pubblicamente presentato a tre generazioni, perchè su di esso hanno costruito la piena responsabilità di Adolf Hitler per quel conflitto durante gli ultimi sette decenni. Secondo la storia convenzionale, egli odiava polacchi e voleva distruggerli come primo passo sulla strada della conquista del mondo. Tuttavia, questa caratterizzazione dell’uomo non regge con le sue reali dichiarazioni ed azioni.

Il suo successo iniziale nella diplomazia internazionale fu la firma di un patto di non aggressione con la Polonia nel 1934. Le relazioni fra quel Paese e la Germania erano tese molto prima che i nazional-socialisti prendessero il potere l’anno avanti. Scontri di frontiera testimoniavano che ciascuno disputava territori all’altro e costavano innocenti vite umane ad entrambi i contendenti fin dalla fine della Prima guerra mondiale, fino agli anni Venti.

Il Patto di non aggressione condusse alla fine di queste violente dispute, grazie in larga misura al rispetto del Fuhrer per Jòzef Klemens Pilsudski. Il capo di stato polacco era un ardente anticomunista, che aveva costruito una forza armata veramente formidabile di armi moderne ed una organizzazione allo scopo di potere eventualmente fronteggiare una resa dei conti con l’Unione sovietica, desiderio segreto di Hermann Goering, che agiva come il più vicino emissario di Hitler e lo confidò a Pilsudski nel marzo 1935.

Due mesi più tardi, il maresciallo polacco moriva di cancro al fegato, e Goering, tornato a Berlino, chiese al Reichstag un momento di silenzio in onore del maresciallo. Hitler disse in quella occasione: “Riconosciamo con comprensione e sentita amicizia di veri nazionalisti lo Stato polacco come la patria di un grande popolo cosciente della sua nazionalità”. Ancora confidando su relazioni più strette come precondizione per una eventuale alleanza contro l’Urss, egli concluse a giugno con la Polonia un accordo commerciale eccezionalmente favorevole.

“Questo trattato”, secondo lo storico Richard M.Watt, “era estremamente importante per la Polonia in quanto la Germania era di gran lunga il più importante sbocco commerciale polacco. In passato, la Germania aveva causato considerevoli danni economici all’economia polacca stabilendo cambi arbitrari sulle tariffe e quote di importazione dalla Polonia. Questo nuovo accordo dava alla Polonia lo status di nazione più favorita, ed appianava un certo numero di dispute economiche fra i due stati”.

Come primo passo verso la collaborazione militare, polacchi e tedeschi formarono equipaggi volontari di volo per, rispettivamente, Wojska Lotnicze i Obrony Powietrznej (l’aviazione polacca) e la Luftwaffe per azioni di combattimento a fianco dei nazionalisti spagnoli di Franco dal 1936 al 1939 ( 6). Il 4 gennaio di quell’anno fatale, Hitler disse a Josef Beck durante la visita del ministro degli esteri polacco a Berchtesgaden “la Germania sarebbe estremamente interessata alla continuazione dell’esistenza di un forte stato nazionalista polacco, a causa di qualcosa che potrebbe accadere in Russia. A parte questo, l’esistenza di un forte esercito polacco alleggerisce considerevolmente il peso della Germania. Le divisioni che la Polonia mantiene sul confine con la Russia risparmiano questo onere alla Germania”.

Molto più tardi, dopo la capitolazione di Varsavia nell’ottobre 1939, il Fuehrer ancora sosteneva una Polonia indipendente, proposta respinta con decisione da Stalin, le cui forze occupavano circa la metà del Paese. Durante le ore di tensione che precedettero lo scoppio della guerra, tre settimane dopo avere conferito con Beck, Hitler annunciò al Reichstag: “L’anno scorso abbiamo visto l’amicizia fra Germania e Polonia alla prova come garanzia di pace nella vita politica europea. Al momento, non vi sono quasi differenze di opinioni fra i nostri amichevoli Paesi sull’importanza di questo strumento (il Patto di non-aggressione germano-polacco del 1934).

Ma quando il suo quinto anniversario fu celebrato a Varsavia, la delegazione partecipante tedesca si trovò di fronte ad una rigida formalità. L’atteggiamento amabile polacco era stato modificato dalle macchinazioni nascoste del portavoce personale in Europa del presidente statunitense Roosevelt. William Christian Bullit jr. - primo ambasciatore statunitense a Mosca - istigò i dirigenti polacchi ad interrompere i contatti con Hitler ed a provocarlo sulla Città libera di Danzica. Se fosse scoppiata la guerra, Francia ed Inghilterra, abbondantemente rifornite dagli Stati Uniti, avrebbero invaso l’Europa dall’Ovest, permettendo così ai polacchi di occupare la Germania orientale fino a Berlino. Così i dirigenti polacchi abbandonarono le loro precedenti posizioni pacifiche con il Reich per le assicurazioni non vincolanti di un diplomatico straniero.

Ignaro delle manovre segrete di Bullit, Hitler fu disorientato ed allarmato dalla inesplicabile ostilità dei polacchi. Essa era espressa per prima cosa dalla politica del governo polacco, e quindi dal sistema educativo polacco e soffiata nell’isteria popolare dalla stampa nazionale. “La Germania deve essere distrutta!”, proclamava il principale giornale polacco, Kurier Polski su titoli a tutta pagina mentre i negoziati con Hitler erano ancora in corso durante l’estate del 1939. Nello stesso tempo, il comandante supremo delle forze armate polacche, Edward Rydzmigly, dichiarava: “La Polonia vuole la guerra con la Germania, e la Germania non potrà evitarla, anche se lo vuole”.

Secondo Hans Schadewalt, investigatore capo della libreria tedesca di informazioni “la campagna intensificata di propaganda antitedesca ebbe una crescente influenza sull’opinione pubblica polacca ed incitava il paese contro la Germania e la minoranza tedesca in Polonia”.

Condizioni di isteria raggiunsero il loro apice in agosto. “Per settimane si sono avuti disordini in Polonia”, ricordava un capitano di U-Boot, Werner Hartmann: “I giornali e i cabaret sbeffeggiavano il popolo tedesco. Cittadini tedeschi venivano accusati, senza motivo, ed arrestati. Tedeschi etnici venivano linciati. Il generale Ironside (capo della stato maggiore imperiale britannico) ispezionò l’esercito polacco. Palloni gonfiati megalomani militari parlavano della battaglia di Tempelhof (Berlino) e di “confine sull’Elba”. Danzica veniva sistematicamente isolata e Gdingen – una formazione schizofrenica fatta di blocchi di calcestruzzo incompleti e steccati di legno lungo il mare - era indicata come destinata a divenire il grande porto dell’Europa orientale. Ogni giorno, titoloni sui giornali riportavano nuovi preoccupanti eccessi di questo crescente sciovinismo. Un giorno, proclamarono che “la flotta polacca avrebbe fatto salami di quella tedesca, e le onde sarebbero diventate rosse di sangue fino alle bianche scogliere di Ruegen”.

Il capitano Hartmann descrive accuratamente la situazione immediatamente prebellica, ma egli decisamente sdrammatizza. In realtà, l’agonia inflitta alla minoranza etnica tedesca in Polonia di un milione e quattrocento mila residenti – molti dei quali bloccati dietro il confine polacco fin da quando era entrato in vigore il trattato di Versailles – fu di tale ampiezza da rivaleggiare con i racconti più crudi sull’ “olocausto”. Questi fatti sono sconosciuti dal mondo esterno, o cinicamente scartati come fantasie della propaganda nazista. Le loro sofferenze sono nondimeno state documentate in modo convincente.

Un rapporto ufficiale tedesco emesso nel 1940 fu, ipso facto, scartato dal mondo esterno come nient’altro che propaganda di atrocità usata per giustificare l’attacco di Hitler alla Polonia. Comunque, gli scettici occidentali hanno omesso di dire che osservatori legali e medici degli Stati Uniti parteciparono alle indagini sui crimini di guerra e verificarono i loro ritrovamenti, come fecero pure patologi legali della croce rossa internazionale. Inoltre, le organizzazioni tedesche che intrapresero queste indagini appartenevano alla Polizia ed amministrazioni civili, non al partito nazista né alla Wehrmacht, ed i risultati furono pubblicati dalla libreria tedesca di informazioni, non dal Ministero della propaganda.

Il rapporto fu attentamente esaminato dopo la guerra da ricercatori antitedeschi intenti a smascherarlo come propaganda. Ma nel 1954, lo storico comunista tedesco Theodor Bierschenk dichjarò, dopo uno studio di quattro anni intitolato “Atti di atrocità polacca contro la minoranza tedesca in Polonia”, che le accuse erano basate esclusivamente su evidenze di fatto. Il suo giudizio fu sfidato da Otto Heike, un giornalista socialdemocratico occidentale tedesco, che fu costretto ad ammettere che le conclusioni di Berschenk erano esatte. Da allora, il rapporto del 1940 è stato del pari verificato dai ricercatori di poche università che si sono prese la briga di esaminarlo per trovare le prove. Davanti a tutti sta lo storico e legale americano Alfred-Maurice de Zayas, attualmente professore di diritto internazionale nella scuola di Ginevra “School of Diplomacy and International Relations”, già legale emerito dell’ufficio delle Nazioni unite High Commissioner for Human Rights. De Zayas si profonde in importanti particolari sull’argomento nel suo libro “The Wehrnacht War Crimes Beareau, 1939-1945”.

Egli è stato coadiuvato dal rinomato e meticoloso storico americano David Leslie Hoggan. Hoggan nota che i documenti “Atti di atrocità polacche contro la minoranza tedesca in Polonia” sono redatti in maniera assolutamente credibile e professionale, come illustrato dai seguenti persuasivi estratti: Fino al 17 novembre 1939, data di chiusura delle prove documentarie, 5.437 omicidi commessi da membri delle forze armate polacche e da civili su uomini, donne e bambini della minoranza tedesca sono già stati provati in modo irrefutabile. Fu evidente che anche se i numeri reali di omicidi di gran lunga superarono questa cifra, e fino al primo febbraio 1940, il numero totale di corpi identificati della minoranza tedesca è salito a 12.857. Indagini ufficiali espletate fin dallo scoppio della guerra germano-polacca hanno mostrato che a questi 12.857 bisogna aggiungere più di 45.000 persone mancanti, le quali debbono essere contate fra i morti dal momento che non è stato possibile trovare traccia di essi.

Quindi, le vittime appartenenti alla minoranza tedesca in Polonia già totalizzano 58.000, Ed anche questa orrenda cifra in alcun modo raggiunge le perdite sostenute dai tedeschi. Questi omicidi furono intenzionali e per la maggior parte compiuti da soldati polacchi, poliziotti e gendarmi, ma anche da civili armati, studenti e apprendisti. Chiese protestanti e parrocchie furono distrutte e incendiate a Bromberg-Schwedenhoehe, a Kopfergarten vicino Bromberg, a Gr. Leistenau vicino Graudenz, a Kl, Katz nei pressi di Gotenhafen.

Il numero di vicariati svaligiati e rapinati non è stato quantificato. Nella chiesa parrocchiale di Bromberg e nella chiesa di San Pietro a Posen, gli altari furono profanati e le luci distrutte, Bibbie e tovaglie d’altare strappate come stracci… Il più anziano assassinato fu l’86enne Peter Rierast di Ciechocinek e la vittima più giovane la bimba di due mesi e mezzo Gisela Rosenau di Lochowo, che morì di fame sul seno della madre assassinata.

Nonostante soprattutto maschi di età militare dai 16 ai 25 anni furono uccisi, più tardi anche donne e ragazze non furono risparmiate e per settimane dopo questi sordidi eventi, gli annunci di morte sulla Deutsche Rundschau a Bromberg come sulla Posener Tageblatt davano un orrendo quadro di come uomini, donne, anziani, invalidi e bambini fossero assassinati per mano dei polacchi, e di come gran parte di essi, mutilata, fosse stata rapinata. Il tipo di ferite (colpi d’arma da fuoco nella nuca, pugnalate nelle cavità orbitali, schiacciamento del cranio con il calcio dei fucili con fuoriuscita di materia cerebrale, colpi d’arma da fuoco sparati a bruciapelo) è stranamente simile in tutte le diverse località dove avvennero gli omicidi. Il numero degli assassinati e degli scomparsi accertato dall’ufficio centrale per la scoperta e l’internamento della minoranza tedesca istituito dal capo della amministrazione civile a Posen ha dovuto aggiornare in aumento le cifre.

Non solo molti più tedeschi uccisi nei dintorni di Posen ed entro il raggio di Blomberg nella “domenica di sangue”, ma anche la Slesia e la Polonia centrale hanno scoperto tali ecatombe di vittime; secondo le ultime cifre disponibili il primo febbraio 1940, il numero degli uccisi o scomparsi della minoranza tedesca ammonta certamente a 58.000, di cui 12.857 sono stati identificati. Il picco della persecuzione ebbe luogo fra il 31 agosto ed il 6 settembre 1939.

Le vittime erano generalmente legate insieme, portate fuori e massacrate in luoghi isolati, in numeri varianti da 39, 48, 53 fino a 104 alla volta, La fossa comune più grande fu rinvenuta a Tarnowa, a nord di Turek, il 14 agosto 1939, contenente 104 corpi, che erano stati portati via in colonna da Schroda e quindi uccisi.

Una fossa comune di 40 tedeschi di Thorn vicino ad Alexandrowo e dintorni conteneva corpi talmente mutilati che solo tre poterono essere identificati.

In quasi tutti i casi sono stati riscontrati orripilanti mutilazioni: (passo omesso per evitare descrizioni impressionanti).

E’ importante puntualizzare che tutte le volte che un polacco interveniva per salvare un tedesco, veniva terrorizzato da minacce di violenza ad un punto tale che doveva mettere da parte gli scrupoli di coscienza. Ciò nonostante, molti polacchi si comportarono civilmente e coraggiosamente. Sono stati riportati casi di padroni di casa e cameriere che proteggevano i tedeschi a rischio della propria vita.

L’isteria antitedesca fomentata dal governo di Varsavia e proseguita fino allo scoppio della violenza dalla stampa nazionale istigava gli elementi umani più deteriori. Ogni popolo ha un ceto criminale i cui istinti violenti emergono con scarsa o senza provocazione, ed i polacchi non erano meno degli altri. Le atrocità commesse da comunisti tedeschi durante gli anni ‘20 ed ai primi del ‘30 contro i propri concittadini si potevano paragonare alle brutalità commesse da criminali polacchi contro tedeschi, inermi.

Come scrisse l’autore del rapporto del 1940, “l’atteggiamento di derisione dei soldati polacchi nei confronti di qualsiasi idea di moralità o diritto, era originato da radici politico-psicologiche, essendo stata creata nelle caserme un’atmosfera ostile contro qualsiasi persona o cosa tedesca, specialmente dopo ripetuti ordini del governo polacco, del clero, di ufficiali subordinati, così come di certi ambienti finanziati dalle autorità, per eliminare qualsiasi traccia di elemento tedesco” (21).

Verso la fine dell’agosto 1939, perfino inglesi e francesi spingevano gli statisti di Varsavia a negoziare con Hitler, ma essi furono irremovibili, confidando nelle assicurazioni di Bullitt.

Nello stresso tempo, Hitler cercò di scongiurare un confronto militare, chiedendo la riedizione di conversazioni dirette con il ministro degli esteri polacco. “In queste circostanze”, Hitler informò Sir Neville Henderson, l’ambasciatore britannico, “il Governo tedesco è d’accordo nell’accettare l’offerta inglese di buoni servizi nell’assicurare il viaggio a Berlino di un emissario polacco con pieni poteri.

Contiamo sull’arrivo del plenipotenziario per mercoledì 30 agosto”. Josef Beck rispose con i gesti, non con parole, quando lui ed il suo collega diplomatico, conte Edward Raczynski si unirono al ministro degli Esteri inglese, Lord Halifax nel firmare un Patto di mutua assistenza, che garantiva l’intervento armato della Gran Bretagna qualora la Polonia fosse stata attaccata “da qualsiasi nemico”(soltanto la Germania era citata in un protocollo segreto non pubblicato fino a dopo la guerra). Da quel momento, la Polonia mobilitava.

“Non più tardi di tre giorni prima dello scoppio della guerra germano-polacca,” Hitler ricordava in seguito, “ho proposto all’ambasciatore inglese a Berlino una soluzione del problema germano-polacco simile a quella della Saar, sotto controllo internazionale. Questa offerta non si può liquidare. Essa fu respinta perchè i circoli responsabili della politica inglese volevano la guerra, un po’ perché si aspettavano vantaggi in affari, e un po’ per l’influenza della propaganda internazionale ebraica”.

Come furono forzati ad ammettere gli estensori della “Marshall Cavendish Illustrated Encyclopedia of World War Two”, “l’invasione tedesca della Polonia fu lanciata quando l’ambasciatore polacco a Berlino si rifiutò di vedere la proposta di Hitler per una soluzione pacifica del problema di Danzica e del Corridoio.

Ma la Polonia fu attaccata per prima cosa per l’intollerabile maltrattamento della popolazione tedesca. Nessun capo politico sulla Terra avrebbe mai potuto permettere che i suoi concittadini potessero essere perseguitati e morire appena al di là del confine in un paese vicino. In quanto tale, la prima Blitzkrieg fu lanciata come soccorso per salvare ciò che restava della popolazione della minoranza tedesca dallo sterminio.

Questo casus belli della Seconda guerra mondiale non è rappresentato nei cinema al pubblico, né insegnato nelle scuole come retroscena delle ostilità, e nemmeno citato da storici che vanno per la maggiore nelle loro prevalenti versioni degli eventi. Farlo significherebbe invalidare i loro inviolabili paradigmi secondo i quali la Polonia non sarebbe stata altro che la vittima irreprensibile della smania di Hitler per la conquista.

Inoltre, la conoscenza delle sofferenze della popolazione tedesca nella Polonia anteguerra minaccerebbe di sminuire le alte ragioni morali invocate per l’ “olocausto”. Per questi motivi obbligati, le più di 58.000 persone che così miseramente perirono 70 anni fa non sono state onorate l’anno scorso nella commemorazione dell’inizio della Seconda guerra mondiale. Essi erano soltanto tedeschi – e quindi di “scarsa importanza storica.


The www.barnesreview.com - Traduzione di Alfio Faro

domenica 27 giugno 2010

Sono Pacifici, dopotutto

C’era bisogno di rifargli un po’ il trucco, a questo Stato canaglia guerrafondaio e violento che di nome fa Israele. La cosiddetta “Operazione simpatia”, una gigantesca azione di propaganda che il povero popolo minacciato nella sua stessa esistenza sta portando in giro per l’Europa grazie ai potentissimi agganci che la onnipotente lobby sionista ha in tutti gli Stati europei, non riesce tanto bene. Anche a destra dell’Europa qualcuno comincia a seccarsi dell’arroganza degli eletti. E poi assaltare navi di pacifisti in acque internazionali, massacrandoli deliberatamente, non aiuta di sicuro.

Così ecco che a Roma l’innominabile lobby mobilita tutto l’entourage destrorso per ricordare il caporale Shalit. Chi è costui? Un soldato che, quattro anni fa, partecipava ad una operazione di guerra in territorio palestinese (una delle tante incursioni mordi e fuggi israeliane, che lasciano sul posto sempre qualche morto, spesso donne e bambini) e che è stato catturato. È presente Renato Zingaretti, il Presidente della Provincia di Roma; la Polverini, Presidente della Regione; il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che di questi lieti eventi non se ne perde neanche uno; e poi Riccardo Pacifici, il Presidente della Comunità Ebraica di Roma; e insieme a questa allegra compagnia il “Bnai Brith Giovani”, organizzazione para-massonica riservata ai soli eletti, la Unione Giovani Ebrei Italiani (UGEI), e tanti altri simpatici filantropi. Tanto per gradire, l’inossidabile Gianfranco Fini, nelle stesse ore, era in Israele a prodigarsi in entusiastiche dichiarazioni di sostegno a favore degli eletti.

Tutti uniti insieme per spegnere le luci del Colosseo e protestare contro quei cattivoni dei palestinesi, che detengono da 4 anni un soldato israeliano catturato in una azione di guerra e non vogliono lasciarlo andare. Insomma: Shalit uno di noi, gli hanno concesso pure la cittadinanza onoraria del Comune di Roma.

A ricordare che per un Shalit nelle mani di Hamas ci sono più di undicimila (si, avete letto bene: 11.000) palestinesi illegalmente detenuti nelle carceri israeliane, spesso bambini (per Israele tutti i maschi, dai dodici anni in su, sono potenziali nemici), brutalmente torturati e seviziati, spesso imprigionati in condizioni disumane senza neanche conoscere la ragione del loro arresto, ci ha pensato la “Rete di solidarietà con il popolo Palestinese”: una rete, per l’appunto, formata da varie organizzazioni pro-Palestina, che si occupa di sensibilizzare i cittadini e le istituzioni sulle condizioni disastrose in cui versa la popolazione di Gaza e della Cisgiordania a causa del criminale comportamento israeliano. E, sia detto per inciso, ho già scritto, e non faccio fatica a ripetere, che è a dir poco seccante che la questione palestinese sia stata lasciata definitivamente in mano dei comunisti e dei loro sodali, dei quali conosciamo ormai bene l’ipocrisia e la doppiezza.

Ma ecco cosa dice un testimone in merito ai fatti di cui stiamo trattando, Youssef Salman: «Quando siamo arrivati erano quasi le 23, c’erano le camionette dei carabinieri, la Digos ecc. allora abbiamo deciso che per mandare il nostro messaggio era meglio la scalinata del Campidoglio per appoggiare le nostre candele. Avevamo appena cominciato ad accenderle, nessuno gridava o lanciava slogan. Io ero a metà della scalinata con una bandiera palestinese in mano, che mi sono saltati addosso, uno mi ha strappato la bandiera poi altri 4 o 5 sono arrivati su di me e mi hanno aggredito a pugni e calci. Tanti pugni e calci che non li ho contati più. Ferito, ho provato rabbia non per me ma perché vedevo questo gruppo di una quindicina di persone, molti con i caschi, prendere a calci e pugni le tante ragazze del presidio». Dei ragazzi appoggiano delle normalissime candele (notoriamente oggetti dal significato profondamente antisemita) sulla scalinata del Campidoglio, e vengono aggrediti da una vera e propria squadra punitiva (criticano tanto le squadre d’azione di Mussolini, ma sembra tanto che quei metodi piacciano anche a loro, quando si tratta di utilizzarli contro gli avversari). I giornali danno la notizia dell’evento, ma lo qualificano come “rissa”. Ora, se prendiamo un normalissimo vocabolario e leggiamo il significato di questa parola, scopriamo che si parla di rissa quando due contendenti si affrontano uno contro l’altro, con l’espressa volontà di farsi reciprocamente del male. Ma qui sembra di capire che non ci sia alcuna rissa, bensì una vera e propria aggressione da parte di una squadraccia filo-israeliana contro dei ragazzi che, semplicemente con striscioni e candele, manifestavano a sostegno della causa palestinese. Il tutto mentre la Polizia e la Digos guardano lo spettacolo, senza accennare la benché minima reazione se non qualche decina di minuti dopo che si è consumato il pestaggio. Il risultato di questa vile aggressione sono sei feriti, diversi dei quali ricoverati in ospedale. E sono tutti tra i pacifisti, il che la dice lunga sulla presunta “rissa”.

Ora, proviamo a pensare se fosse accaduto il contrario. Se, cioè, durante una manifestazione, degli attivisti filo-israeliani vengono aggrediti da dei pacifisti di sinistra, picchiati selvaggiamente sotto lo sguardo impassibile della Polizia, per poi dileguarsi impunemente mentre i portavoce dei pacifisti minimizzano l’accaduto, rifiutando di chiedere scusa, anche in maniera simbolica.

Riuscite ad immaginarvi il coro unanime di indignazione della politica, dell’opinione pubblica, dei mass media? Le accorate prese di posizione di Pacifici, gli speciali alla TV sul pericoloso ritorno dell’antisemitismo? Fiamma Nirenstein che riunisce con celerità comitati di emergenza per fare nuove e repressive leggi onde arginare questa pericolosa piaga?

Insomma: chi non ha ancora portato il proprio cervello a rottamare vede con chiarezza che, sulla questione palestinese come per tante altre cose, la politica italiana usa due pesi e due misure.

Ma non basta: a ciò si aggiunga anche un’altra cosa. Non è affatto la prima volta che le squadracce sioniste si attivano con spranghe e bastoni per seminare il terrore fra gli avversari politici. Andando a memoria basti ricordare cosa accadde al processo contro Erich Priebke, dove la violenza della teppaglia sionista romana si riversò non solo in Tribunale ma anche nelle strade vicine allo stesso. Eventi di violenza e di guerriglia che la famosa teppaglia ripeté quando al novantaduenne Priebke furono concessi gli arresti domiciliari. E la stessa teppaglia si distinse anche nel 2007 a Teramo, in occasione della conferenza sull’olocausto tenuta dal Prof. Faurisson (che fu selvaggiamente picchiato e ricoverato in ospedale), che ha la sola colpa di pensarla sull’olocausto diversamente dai sionisti romani.

E tanti altri episodi si potrebbero citare. Tutti con un elemento in comune: nessuno di questi teppisti e di questi violenti e fanatici risulta essere stato mai fermato dalla Polizia, inquisito, arrestato o denunciato. Totale arroganza e impunità.

Le istituzioni, la Polverini e Alemanno, dimostrano dal canto loro, se mai ce ne fosse nuovamente bisogno, come nella destra romana e italiana la questione palestinese sia ben lontana dall’essere affrontata con un minimo di obiettività e come si preferisca adottare una linea acriticamente e sfacciatamente favorevole ad Israele, sempre e comunque.

Nessuno, né da parte delle istituzioni né da parte della Comunità Ebraica, ha ben pensato di chiedere scusa o di dissociarsi dall’accaduto. Addirittura il Presidente della Comunità Ebraica romana, Riccardo Pacifici, ha accusato i manifestanti di aver utilizzato slogan antisemiti e insulti. Il che, ammesso e non concesso che sia vero, farebbe comunque meno male delle costole incrinate e delle fratture sul volto che hanno riportato diversi manifestanti. In seguito Pacifici si è rifiutato di chiedere scusa o di dissociarsi dall’accaduto, affermando che “Saranno le forze dell’ordine a decidere se chiedere scusa o no”. E, giusto per non farsi mancare nulla, ha anche arrogantemente invitato i manifestanti ad andare tutti insieme a Gaza a visitare Shalit. Dimenticandosi, ovviamente, di ricordarsi anche degli undicimila prigionieri palestinesi che sono illegalmente detenuti nelle carceri israeliane. Sono Pacifici, dopotutto.

sabato 19 giugno 2010

E dopo la tassa sull'ombra non ci manca più niente

Chi di voi non ha mai detto, o sentito dire: “Poco ci manca che ora ci fanno pagare pure l’aria che respiriamo o l’ombra che facciamo”? Complimenti. Siete stati dei profeti.

A Cagliari, da qualche giorno, si assiste a delle simpatiche scenette. Dei distinti signori, armati di apposito taccuino e metro, girano di negozio in negozio misurando tende parasole, insegne, piante ed alberi, cartelloni promozionali: tutto ciò che, in un modo o nell’altro, è di proprietà dell’attività in questione e proietta ombra.

E’ l’ennesimo balzello che i commercianti sardi potrebbero vedersi recapitati entro l’estate: la famigerata tassa sull’ombra, quella specie di modo di dire che tanti di noi hanno utilizzato per stigmatizzare uno Stato vorace, corrotto e insidiosamente esoso. Non sapevano più come fare, a Cagliari, per spremere altri soldi da una popolazione già ampiamente vessata ed umiliata da un peso fiscale che è quasi imbarazzante definire eccessivo. E si sono inventati la famosa tassa sull’ombra. Meglio: inventata per modo di dire. È una vecchia direttiva del 1972 che in questi giorni il Servizio Tributi di Cagliari si sta premunendo di far rispettare. Forse negli anni ’70 c’era ancora un po’ di pudore, e forse chi di dovere deve aver sorvolato un pochetto su questa tassa, facendo finta di chiudere un occhio. All’italiana, per intenderci. Ma adesso, si saranno chiesti i solerti funzionari governativi e comunali, come fare per spremere ulteriormente questi poveri stronzi? Dove trovare altri soldi per i massaggi di Bertolaso, i favorini della cricca di Anemone, le amichette di Berlusconi a Villa Certosa, le centinia e centinaia di auto blu che scarrozzano potenti, nani e ballerine su e giù per lo Stivale, la cocaina di Marrazzo? Ma certo, come abbiamo fatto a non pensarci prima?! La tassa sull’ombra: ce l’avevamo sotto gli occhi, e guarda quanto siamo stati idioti non cominciare a spremere questi poveri cazzoni già dai primi anni Settanta!

Si può dire che ormai abbiamo visto di tutto: anche la tassa sull’ombra. Manca solo quella sull’aria che respiriamo. Quando vedremo solerti signori che, armati di taccuino e respiratore boccale, ci fermano per strada cercando di fare una media su quanta aria consumiamo al giorno, sapremo che è stata scovata una legge del ’71 o del ’72 che, bontà loro, va fatta applicare.

giovedì 10 giugno 2010

Settanta anni fa non sbagliammo



No. Non fu un errore, la guerra che Mussolini dichiarò alle potenze capitalistiche il 10 giugno di settanta anni fa. Fu la scelta più importante e rischiosa, nella quale un’Idea che da sempre si era proposta come baluardo per i deboli e i diseredati giocava la partita del destino. Nove mesi prima la guerra era stata dichiarata dai capitalisti e dagli occulti poteri massonici transnazionali alla Germania. Quella Nazione gloriosa e potente che qualcuno, sfregandosi le mani puntute, già vedeva come terra di conquista, e che invece in otto anni si era risollevata e chiedeva giustizia per i torti e le umiliazioni subite. E per piegare questo popolo, così saturo di onore e di disciplina, si era pensato a tutto. Ma laddove non riuscì Weimar e la prima guerra mondiale arrivarono le continue provocazioni polacche, il continuo e reiterato massacro dei civili tedeschi alle frontiere, che spinsero i Tedeschi a farsi giustizia da soli, viste le orecchie da mercante di chi già da allora pretendeva di detenere esso solo il monopolio della giustizia e dei buoni sentimenti da ballo di gala.

E così eccola, la guerra: da una parte c’è il Sangue, c’è lo Spirito, c’è l’Onore e la Tradizione; dall’altra il dollaro, la squadra e il compasso. Da una parte ci sono i giovani fascisti europei, che come una unica legione bagnano del loro sangue questa martoriata terra d’Europa, dalla Russia all’Africa, da Stalingrado ad El Alamein; dall’altra ci sono i plutocratici, quelli che detengono il monopolio mondiale delle ricchezze e non lo vogliono dividere con nessuno.

Certo: noi Fascisti non siamo esenti da colpe. Lo stesso Mussolini ne ha diverse, ma non quelle che solitamente gli vengono attribuite. Quelle di aver parlato tanto di guerra, e di non essersi preparato abbastanza per poterla fare davvero. Quella di non aver messo al muro i traditori del 25 luglio. Quella di non aver voluto combattere a Milano (troppo gli sarebbe costato vedere la sua cara Milano, la città in cui ha conosciuto uno dei suoi ultimi e più importanti trionfi politici, bagnata dal sangue della guerra civile) di aver voluto fare la Resistenza a Salò, quando non era più né utile né consigliabile. Tutto questo, forse, gli avrebbe risparmiato la macabra esposizione di Piazzale Loreto, il tragico epilogo di un conflitto sanguinosissimo e cruento dove l’onore della Nazione italiana è stato già calpestato l’8 settembre del ’43.

Ma anche lì, in quelle ore di infamia, mentre i reparti ed i soldati si rincorrono sbandati, completamente confusi e senza direttiva a causa di un Re fellone che per salvare la pelle corre dietro i carri armati degli invasori stranieri, c’è ancora spazio per sognare, e per continuare a combattere. Interi reparti ed interi battaglioni di camicie nere scelgono di non abbandonare Mussolini, e di condividere il suo destino. Perché se il Fascismo deve cadere, allora dovrà farlo gloriosamente. Si è iniziata la guerra con la Germania, e si continuerà a combatterla con essa.

E quanto stonano i partigiani di allora, così screanzati e squallidi nel loro chinare la testa al vincitore, nel saltare sul carro più conveniente, con quegli splendidi soldati che combattono in Russia, in mezzo alla neve gelida! Si rimpiccioliscono, quasi scompaiono, al confronto con i camerati tredicenni che insultano e sbeffeggiano i loro carnefici gridando “Viva Mussolini! Viva l’Italia” prima di essere falciati dal plotone di esecuzione! Quanta differenza con i camerati di Salò e della Repubblica Sociale che accorrono, a guerra perduta, nelle terre orientali, per salvare l’Onore dell’Italia in quei luoghi e per aiutare i compatrioti in difficoltà braccati, seviziati, torturati ed uccisi dai partigiani rossi! Quanto stonano i voltafaccia degli intellettualini di oggi, celebri scrittori resistenzialisti che ieri furono Fascisti fino a che parve comodo a loro, con chi, a guerra finita, ancora sparava dai tetti all’invasore americano! Quanto brillano, ancora oggi, i gagliardetti ed i distintivi di chi scelse di dare i suoi tredici, quattordici, venti anni alla Patria! Quanta differenze abissale di sangue, di spirito e di temperamento tra gli attentatori di Via Rasella – che solo per una disposizione giuridica è impedito chiamare “vigliacchi” e “assassini” – e i giovani della guardia hitleriana che, pugnali in pugno, contendono metro per metro agli invasori russi la strada verso il bunker di Berlino, dove un Fuhrer che ha disatteso qualunque consiglio per la sua incolumità personale ancora scrive il suo testamento, cerca di dare disposizioni, consulta febbrilmente la carta geografica!

E tutto ciò quando sarebbe stato molto più facile pentirsi, collaborare con l’invasore. Un invasore che del resto, già dalle prime settimane di guerra, aveva ben dimostrato la sua concezione di libertà: stupri, bombardamenti sui civili (Amburgo, Dresda, Zara, Hiroshima reclamano ancora giustizia!), eccidi di massa, sevizie, torture. Non era forse Ilia Ehrenburg l’intellettuale ebreo che arringava i giovani soldati dell’Armata Rossa così: “Uomini, soldati! Piegate ed annientate i tedeschi! Prendete le loro donne! Stupratele, ed umiliate così il loro orgoglio razziale!”? I liberatori non si fecero certo pregare a seguire così umano consiglio.

Non avevano niente da dare, i Fascisti, se non la loro vita. Non erano intenzionati a cedere nulla di nulla che appartenesse all’Italia, se non il loro sangue di guerrieri e di Fascisti. Perché alla gerarchia del dollaro, opposero quella del sangue. Alla nobiltà del blasone e del conto in banca dei Rotschild e dei Rockfeller, opposero quella dello spirito. La guerra del sangue contro l’oro. Tradizione, Onore, Fedeltà, Spirito, Cameratismo contro dollaro, falce e martello, squadra e compasso. Settanta anni fa non sbagliammo. E fanculo ai detrattori di ieri, di oggi e di domani.

martedì 8 giugno 2010

Ieri Roma, oggi Gaza

Pensando che gli argomenti possano interessare anche altri lettori, pubblico qui la lettera di Giancarlo con annessa la mia risposta.

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Leggo sempre attentamente le Tue news e ogni tanto visito il tuo blog con attenzione e spesso sono d’accordo. Una cosa che invece non approvo è questa voglia di occuparci di problemi altrui. I nostri sono tanto urgenti e se non l’abbiamo capito stiamo scendendo sempre più nel dirupo, il fondo addirittura nemmeno riusciamo a vederlo e stiamo scendendo sempre più veloci. Palestinesi ed Israeliani avranno quello che meritano, o meglio, arabi ed ebrei raccoglieranno quello che hanno seminato.


Sinceramente facendo un po’ di revisione storica dopo quello che recentemente è uscito non sono più nemmeno tanto sicuro che ci sia stata la shoa (come ce l’hanno raccontata)(dalle specifiche tecniche dei forni studiate da fior di ingegneri sembra che fisicamente fosse impossibile bruciare più di un certo numero di corpi al giorno, che moltiplicati per i giorni che hanno lavorato siamo lontanissimi dai 6 milioni), ma riguardo a questo rimango indifferente (forse perché non mi tocca molto). A me interessa però il genocidio degli italiani dei nostri confini orientali, e di quei pochi rimasti che devono lottare ogni giorno per poter campare. SENZA CHE DA QUESTA PARTE LI SI ABBIA MAI AIUTATI dal 45’ ad oggi……..


Non dovrebbe toccarmi neanche questo argomento, essendo io toscano e non avendo legami parentali nessuno in quelle parti, invece mi tocca, e tanto!


Di moltissimi di loro ancora non si sa dove siano le tombe (carabinieri, finanzieri, entrambi reali e quindi fedeli al Re e non al fascismo, preti, contadini, ferrovieri, insegnanti, e tantissimi altri che non vorrei dimenticare), all’età di 40 anni ho saputo per la prima volta cosa fossero le foibe, cosa rappresentasse l’Italia per quelle genti. Cosa rappresentassero certe città per gli italiani ai primi del 900’ (una guerra si fece per riprenderci quello che era nostro, e molti di noi non hanno conosciuto i nonni grazie a quella guerra)

Comunque sia la sto facendo troppo lunga, ma volevo spostare l’attenzione su dei nodi che dovremo prima o poi sciogliere. Farla finita con la retorica della shoa e quella partigiana. Non hanno più ragione di esistere, sempre affermando che nessuno ha mai avuto la ragione dalla sua al 100%. Tanto per fare un esempio ci sono documenti in quantità (prima non affioravano, ora invece qualcosa viene fuori) che non danno tutte le colpe della guerra ad Hitler, ma a francesi ed inglesi che in quegli anni avevano la bramosia dei corpi di spedizione (stranamente sempre presenti prima che arrivassero i tedeschi, Francia, Norvegia, Grecia, etc.)(e stranamente assenti invece in Finlandia al momento dell’aggressione di Stalin nel 38/39 e della sua conseguente batosta presa da un esercito di 4 gatti). Dell’aggressione della Polonia perché costretto a veder morire tedeschi sotto i polacchi (peraltro oltre a centinaia tedeschi anche gli ebrei in Polonia prima della guerra furono uccisi a migliaia) E quali erano gli stati che NON PERSEGUITAVANO GLI EBREI TRA LE DUE GUERRE? La Russia (o unione sovietica)? La Polonia ? Belgio e Olanda? L’Ungheria? Io direi che non erano da meno dei tedeschi anzi peggio!!! CI SONO FIOR DI PROVE DI QUESTO

Ecco, la prima cosa che vorrei è che la storia quella vera fosse raccontata, fosse di dominio pubblico. Vorrei che Churchill fosse stato processato con Stalin e Tito i due presidenti Usa della guerra COME CRIMINALI DI GUERRA


Hai mai saputo dei 54 bombardamenti di Zara nel 44’ ? comandati da Churchill su richiesta di Tito per iniziare la pulizia etnica ben prima che finisse la guerra? Non si poteva tollerare una città con il 97% di italiani, non sarebbe mai stata assegnata a Tito a guerra finita. Dopo invece con oltre 3/4 della sua popolazione uccisa o esodata fu certo più facile. Zara non era un obiettivo militare, la guarnigione contava 80 tedeschi! Prova ad indovinare chi eseguì i bombardamenti? piloti italiani cobelligeranti. Partendo dalle basi del Sud Italia.

O della poco chiara esplosione della nave piena di arme chimiche a Bari? Che inglesi ed americani stavano per usare perché a Cassino non si sfondava……… (almeno 5 mesi di stasi nella guerra con il fronte congelato)…. E centinaia di polacchi, marocchini, australiani, sudafricani, canadesi e americani negri morti (churchill non mandava gli inglesi a morire, ci mandava i sudditi d’oltremare) i figli delle colonie. Ecco il perché di tanta determinazione alla guerra degli inglesi, rischiavano di perdere l’impero!!!!!!!!!!!

Ma quando mai si è anche bisbigliato di certi argomenti? Si è stati sempre additati di revisionismo.

Scusami Ho vomitato alcuni argomenti a getto senza nemmeno pensare, ho voluto additare a certi argomenti che purtroppo non sono di dominio pubblico. E non avremo mai un mondo nuovo senza prima aver fatto i conti con la nostra storia.

Non nasce mai nulla di buono dalla menzogna.

Ho voluto cercare di farti pensare.

Io non sono fascista ma molte idee le ho fatte mie. E stimo quelli che come te vanno controcorrente, che nonostante il cattocomunismo imperante ci mettono la faccia. So bene quello che dico, abito in una città rossa, dove anche solo parlare in un certo modo è pericoloso, molto pericoloso.

GianCarlo


***


Caro Giancarlo,


Ti ringrazio innanzitutto per i complimenti. Mi fa molto piacere che anche i non Fascisti possano trovare in noi, e in me, degli interlocutori validi. Ed hai perfettamente ragione: noi ci mettiamo la faccia per cercare di dimostrare che il Fascismo ha le sue proposte da fare e da attuare anche nel 2010, e che non significa solo mettersi una camicia nera e fare i pagliacci per le strade con slogans triti e ritriti.


Parto subito dalle tue obiezioni, la prima delle quali mi è stata fatta diverse volte. Non sei il primo a farmi una osservazione del genere; altri amici e camerati mi hanno sempre rimproverato - seppur in amicizia e bonariamente - di travalicare un po' oltre i confini di quello che dovrebbe interessarci. Ma ciò, a parere mio, non ha molta ragion d'essere. Innanzitutto perché, contrariamente agli altri Paesi, in Italia la politica estera non è mai fonte di accesa discussione. Non come lo è in Inghilterra, Francia o Stati Uniti (dove la fa addirittura da padrone). Non siamo molto abituati a parlare di esteri, e se lo facciamo molti la interpretano come una perdita di tempo: ma perchè non guardiamo alle questioni di casa nostra anzichè stare a perdere tempo con la questione palestinese, gli USA o cose simili? Il problema è che anche questi sono fatti nostri. Mi spiego. Come Fascismo e Libertà il messaggio fondamentale che cerchiamo di far passare è questo: che nelle istituzioni europee ed internazionali vi è non solo un problema di legittimità di chi è chiamato a governare, ma anche un problema più profondo, di democrazia in senso stretto. Cioè: le istituzioni nazionali e sovranazionali sono governate non da istituzioni democratiche, ma da occulte lobbies potenti e spregiudicate, legate a doppio filo alla mafia internazionale bancaria ed alla massoneria. Nel mondo di oggi la situazione italiana e la situazione internazionale sono profondamente legate: i capi occulti sono sempre gli stessi. Allora i fatti e le questioni nazionali e sovranazionali ci si presentano come un insieme di puntini disordinati; ma se li ordiniamo seguendo un ordine, ecco che allora il disegno ci appare senza dubbio più chiaro. Io, noi, cerchiamo di fare questo: ottenere almeno un disegno coerente da tutti questi puntini.


In sostanza: coloro che vogliono annichilire i palestinesi e prendersi le loro terre fanno parte dello stesso grande gruppo di schiavi volenterosi che oggi si riuniscono in Parlamento per preparare sempre più repressive leggi contro il revisionismo, il negazionismo e più in generale il pensiero non conforme, al fine di consolidare definitivamente il loro potere ed imporre le loro menzogne.


Tu mi hai espressamente parlato – con tanto di esempi lampanti e sicuri – di una Storia che è stata scritta dai vincitori, i quali non solo hanno gonfiato a dismisura le colpe di chi ebbe la sola colpa di militare dalla parte perdente, ma hanno anche definitivamente nascosto le proprie. E hanno il sacrosanto terrore che qualcuno, prima o poi, si alzi a chiederne conto. Pensi che Netanyahu ed Alessandro Ruben, colui che ha cercato di far passare una legge anti-revisionista in Italia quando Mastella era Ministro della Giustizia, non abbiano niente in comune o non perseguano lo stesso obbiettivo, anche se a grandi linee? Pensi che la lobby israeliana – che detta e dirige con pugno di ferro la politica estera americana (e non solo) – e Fiamma Nirenstein, colei che ha da poco proposto nuove e sempre più punitive leggi contro il pensiero non conforme, siano così diversi negli intenti?


Fanno parte tutti dello stesso unico blocco. Perseguono gli stessi obbiettivi: consacrare il potere delle istituzioni fondamentalmente oligarchiche (massoneria, mafia, banche) attraverso la menzogna ed una sistematica repressione del pensiero.


Ecco perché parlare della questione palestinese ha la stessa importanza del parlare delle iniziative di Ruben, della Nirenstein, o anche solo dei problemi della Toscana o della Sardegna. Ci informiamo su quello che fa il nemico, un nemico diviso tra tanti schieramenti solo apparentemente in lotta tra loro, immensamente superiore a noi in uomini e mezzi. Cerchiamo di tenere sotto controllo le sue azioni sia in Medio Oriente, sia a Firenze che a Cagliari.


Quanto al resto della tua lettera, mi citi fatti oramai documentati delle crudeltà alleate, della scarsa (secondo me scarsissima) responsabilità di Hitler nello scoppio della seconda guerra mondiale, dei bombardamenti inumani su Zara, Dresda, Amburgo, Roma, tutti argomenti che non trovano spazio sui media ufficiali. Perché la lobby vive nella menzogna e della menzogna. A Roma, a Zara, a Salò ieri, come a Teheran, a Gaza e a Bruzelles oggi.

Spero di essermi fatto capire.

In attesa di una Tua risposta, Ti saluto.

Andrea

lunedì 7 giugno 2010

Il solito aprile...

Pubblicato sul mensile Il Lavoro Fascista - Aprile 2010

Nonostante siano passati molti anni da quando ho deciso di occuparmi di politica, ogni anno ad aprile si ripresentano le stesse identiche situazioni e gli stessi tristi figuri che si agitano intorno ad esse; partendo da sinistra, vediamo la solita pletora di vecchi assassini impadronirsi delle piazze italiane per celebrare la loro “libertà”, ovvero la libertà di stuprare, seviziare, uccidere a tradimento e godersi, per questo tipo di “servigi”, medaglie e brevetti da esibire con orgoglio; a questi luridi macellai vigliacchi si affiancano, ormai ogni anno, i mentecatti della cosiddetta destra, ovvero i vari ex AN-anali e Forzitalioti che sgomitano con i sinistri assassini per avere accesso ai palchi delle pubbliche piazze, dai quali arringare la folla e contendere i “meriti” della loro “liberazione” ai suddetti sinistri; ovviamente i vecchi assassini della stella rossa ed i loro giovani epigoni allevati nei cessi sociali, non gradiscono queste intrusioni, ed ogni anno si fa la conta dei colpiti e dei feriti che si hanno in queste battaglie per monopolizzare l’infamia…
Ma non va certo meglio se volgiamo lo sguardo verso la cosiddetta “estrema destra”, ovvero l’area politica nella quale qualcuno pretende di relegare il Fascismo ed il Nazionalsocialismo; come ogni anno, all’avvicinarsi della fine di aprile, vediamo saccenti articolisti che lanciano su forum e tribune virtuali i loro strali contro la resistenza e la cosiddetta liberazione, mentre il 28 aprile svariate migliaia di perdigiorno si recano a Predappio per fingere di celebrare il ricordo del più grande statista del secolo scorso, Benito Mussolini.
Peccato che tutti questi ricordi finiscano con il finire di aprile, mentre i vari articolisti e pellegrini di Predappio tornano tristemente al loro nulla, ovvero chi ad occuparsi di “centri culturali”, chi di “associazioni” apolitiche, chi di reducismo puro (nonostante la mancanza dei requisiti di età richiesti per essere definiti dei reduci!) e chi addirittura di movimenti “ecologisti”… Senza contare quelli che, una volta riposto nell’armadio il costume da pagliaccio con il quale sfilano a Predappio, tornano allegramente a servire il novello “Cavaliere” dei loro sogni (Berlusconi, non Mussolini!), o peggio, l’infame fra gli infami, Gianfranco Fini… E per una volta evito di parlare dei guitti d’avanspettacolo della cosiddetta “area”…
E così, oggi come ieri, gli unici coglioni che si ostinano a fare una politica seriamente e chiaramente Fascista tutto l’anno restano i quattro gatti del MFL, ovvero i poveri sfigati che ancora non cedono alla tentazione di allearsi con Berlusconi, Fini e Bossi, né a quella di nascondere la loro politica dietro improbabili circoli, gruppetti e porcate varie.
Certo, avere gli attributi al posto giusto costa maledettamente, così come costa restare in piedi fra le rovine con tanto di bandiera al vento, ma noi siamo fatti così… E piuttosto che assomigliare ai tanti decerebrati senza attributi che salutano romanamente quando sono chiusi in casa, ma che di fronte al pubblico si sciolgono smentendo di essere Fascisti, noi preferiamo restare in pochi e goderci la nostra splendida solitudine. E continuiamo a prenderci il diritto di dire in faccia agli assassini della cosiddetta resistenza cosa pensiamo di loro, senza pretendere di sostituirci a loro sui palchi dai quali si celebra una falsa e mai avvenuta liberazione, così come continuiamo a sputare liberamente i faccia a questa destra ipocrita, che in privato finge di solidarizzare con noi in chiave anticomunista, salvo poi vantare in pubblico il suo antifascismo viscerale.
Ci siamo conquistati sul campo di battaglia il diritto ad essere gli unici che insegnano la Storia vera e che si muovono traendo insegnamento da essa; gli unici che non mendicano pacificazioni e parificazioni, ma che pretendono il rispetto della verità storica sancita dalla Sentenza del Tribunale Supremo Militare del 1954, secondo la quale solo i combattenti della RSI erano militari regolari e legittimamente belligeranti, mentre i cosiddetti partigiani non sono mai stati altro che banditi senza arte né parte, capaci solo di uccidere a tradimento per poi andare a nascondersi fra la popolazione civile che ne subiva le angherie, nonché le rappresaglie legittime provocate a bella posta dagli atti infami di questi “eroi” della Repubblica antifascista nata dalla resistenza, dalla mafia riportate dagli americani e da un referendum vergognosamente truccato!
Mentre tutta la politica italiana corre a scodinzolare fra le gambe di questi vecchia assassini, reclamando benemerenze antifasciste, noi restiamo chiaramente ed orgogliosamente Fascisti, ricordando agli immemori chi erano questi vecchi repellenti che oggi ci parlano di “democrazia”, libertà e Costituzione!
Leggete nella colonna a fianco il breve articolo tratto dalla rivista “Historica”, che meglio di ogni altra cosa aiuta a ricordare chi erano gli avversari del Fascismo e di quali bestialità riuscirono a macchiarsi; l’unica colpa dei Fascisti fu quella di non sapere opporre altrettanta brutalità! Se lo avessero fatto, questi macellai rossi, indegni di appartenere al genere umano, non sarebbero sopravvissuti al Ventennio per poi ricominciare, barbari come sempre, ad uccidere durante e soprattutto dopo la RSI.

Il Fascismo trattò con i guanti personaggi che avrebbero dovuto essere sterminati, e lasciò, complice la bontà del Duce, che tutti i maggiori capi dell’antifascismo fossero vivi, vegeti ed in perfetta salute nell’aprile del 1945… Tanto vivi ed in forma da organizzare il barbaro eccidio di chi li aveva graziati, culminato poi con la barbare esposizione di Piazzale Loreto.
Oggi molti di questi macellai si recano ancora in Piazzale Loreto per bearsi del ricordo della loro carneficina indegna persino del mondo animale; e pretendono di chiamare assassini i Fascisti, che assassini non furono mai, neppure quando avrebbero dovuto esserlo per il bene di loro stessi e dell’Italia intera!
E se non vi bastassero le prodezze degli anni 1920 – 1921 di questi barbari con la bandiera rossa, chiudo il mio pezzo riportando un breve articolo molto illuminante a proposito di barbarie partigiane e balle resistenziali assortite.
Speriamo che a qualcuno serva per dargli il coraggio di impegnarsi in politica dalla parte giusta, senza nascondersi e senza temere le ritorsioni dei criminali che ci governano, in virtù di armi straniere, dal 1945.

Carlo Gariglio

www.fascismoeliberta.it

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RAPPRESAGLIE PARTIGIANE

di Ernest Armstrong

Rappresaglia.
Nell’immaginario collettivo creato dal “mito resistenzialista”, all’udire questa parola appare l’immagine di un plotone di tedeschi che fucilano 10 innocenti civili italiani per ogni loro camerata morto.

In realtà la rappresaglia fu attuata da tutti gli eserciti che combatterono nella seconda guerra mondiale, come ricorda anche Gianni Alasia, attuale esponente di Rifondazione Comunista : “Quando il mio amico Heinz Karl M., di Monaco, militare della Wehrmacht, fu fatto prigioniero in Francia, visse momenti tremendi. Vennero fatte decimazioni, e Carlo non capiva il perchè di una cosa così terribile mentre erano inermi prigionieri.”[1] La rappresaglia era ammessa dal Diritto internazionale del tempo di guerra di Ginevra, a patto che ad eseguirla fosse un regolare esercito (in divisa) che fosse stato attaccato da terroristi (non in divisa). Essa poteva avvenire, qualora non si fossero presentati i colpevoli, su prigionieri o su civili, esclusi donne e bambini, colpevoli di aver protetto i terroristi. Sia i terroristi che chiunque avesse ucciso prigionieri, fuori dai casi previsti, alla fine del conflitto doveva essere processato per crimini di guerra. Questo in Italia non accadde. Chi ordinò uccisioni non giustificate dal Diritto Internazionale , se partigiano, fu ricompensato con l’inquadramento tra i graduati nell’Esercito e con titolo alla pensione.

8 agosto 1944, ore 9 del mattino, a Milano in Piazzale Loreto angolo viale Abruzzi esplode una bomba posta sul sedile di un camioncino tedesco che rifornisce di latte le famiglie. Muoiono nell’esplosione sei bimbi, una donna e due giovani padri. Tredici i feriti gravi, sei di loro moriranno il giorno dopo. Il bilancio finale sarà di 15 morti, 7 feriti gravi e una decina di feriti leggeri. Nessun tedesco muore nell’attentato ma l’efferatezza è tale che il Comando germanico chiede di procedere ad una rappresaglia in misura di uno per uno. Non tutti sono d’accordo. Il prefetto, Piero Barini, si dimette. Mussolini interviene e protesta con violenza. Anche il cardinal Schuster interviene. Malgrado ciò al mattino del 10 agosto in piazzale Loreto un plotone della Muti fucila quindici persone sospettate di aver rapporti con i partigiani e per questo da tempo incarcerate a S. Vittore. Ed ecco che scatta immediatamente la rappresaglia partigiana, infatti lo stesso giorno da parte della Delegazione per la Lombardia del Comando Generale delle Brigate Garibaldi viene impartito l’ordine alle formazioni partigiane di fucilare militari fascisti e tedeschi loro prigionieri nella misura di tre ad uno. “Per rispondere agli efferati delitti che i nazifascisti compiono a Milano:
1)Passare per le armi i prigionieri nazifascisti attualmente in vostro possesso; 2)Tali esecuzioni devono essere comunicate e popolarizzate segnalando che vengono eseguite come rappresaglia degli eccidi di Milano; 3) Se tali eccidi si ripetono le esecuzioni in massa di nazifascisti prigionieri dovranno essere immediatamente eseguite”.

Verranno fucilati 30 prigionieri fascisti e 15 tedeschi, probabilmente dalle Divisioni Ossolane di Cino Moscatelli, in quanto molti di loro erano stati catturati in massa, su alcuni treni, qualche tempo prima, dai partigiani dell’Ossola.Un risvolto drammatico è dato dal fatto che Mussolini ed i gerarchi uccisi a Dongo verranno esposti, il 29 aprile 1945, a Piazzale Loreto per “vendicare la fucilazione di 15 patrioti”.

Purtroppo la prassi di fucilare prigionieri a seguito dell’uccisione di partigiani fu costante in tutte le formazioni.

Un elenco di controrappresaglie eseguite è contenuto in una lettera del 12 ottobre del 1944 della Delegazione Lombardia del Comando Generale delle Brigate Garibaldi. Un’altra lunga serie di rappresaglie partigiane viene effettuata nel Biellese, se ne trova traccia nel libro “La Resistenza nel Biellese” di Poma e Perona. L’ordine di “prendere fascisti” militi o civili da trattenere come ostaggi per scambi di prigionieri, piuttosto che per fucilarli per rappresaglia viene diramato dai vari Comandi. Così il Comando della 3a Divisione Liguria può permettersi di comunicare, il 25 agosto 1944, che a seguito del “Processo del Tribunale Speciale contro trentun italiani, per ogni fucilazione ordinata dal tribunale, verranno fucilati 2 ostaggi che si trovano in nostre mani”. Si trattava di funzionari e agenti di PS e ufficiali e militi della GNR. Per la fucilazione di due partigiani avvenuta a Varzi, il Comando della 3a divisione Lombardia “Aliotta” ordina che ciascuna delle brigate dipendenti proceda alla fucilazione di 2 prigionieri, mentre dopo la fucilazione di 5 partigiani sulla piazza di Ivestria, la brigata Baltera risponde fucilando 20 SS tenute come ostaggi.

Anche la prassi di stampare ed affiggere manifesti minacciando le rappresaglie non fu prerogativa delle truppe dell’Asse, infatti si legge in un manifestino bilingue diffuso dalla divisione partigiana Serafino della Val Chisone: ”.Soldati tedeschi ….I vostri comandanti erano stati avvertiti che per ciascun nostro caduto avremmo ucciso tre di voi. Oggi informiamo voi stessi della decisione…”. Ma un manifesto del CLN del Piemonte, del 27 settembre 1944, alza la posta: “Alle persecuzioni risponderemo con le persecuzioni. Alle rappresaglie con le rappresaglie. Per ogni patriota ucciso cadranno cinque nazifascisti; per ogni villaggio incendiato cinquanta traditori verranno passati per le armi”. E non erano minacce a vuoto. Infatti il 12 dicembre 1944, dopo l’uccisione di Duccio Galimberti, il Comando regionale Militare del Piemonte emana il seguente ordine: “Passare per le armi cinquanta banditi delle Brigate Nere per vendicare la morte del comandante Tancredi Galimberti”. La vita di Galimberti valeva dieci volte di più del minacciato.

Ma c’è già chi passa all’escalation e si prepara ad uccidere anche i familiari di tedeschi e fascisti. Così scrivono, il 28/12/44, i “compagni responsabili” a Pietro, commissario politico della 5a zona Cuneese: “Se i nazifascisti uccidono per rappresaglia dei pacifici cittadini dovremo passare alla controrappresaglia sui fascisti, tedeschi e anche le loro famiglie”. Purtroppo anche stavolta alle intenzioni seguirono i fatti.

Nei libri resistenzialisti delle fucilazioni eseguite per controrappresaglia dai partigiani non si trova che qualche traccia, molto ben mascherata, né la stampa o la pubblicistica di destra ha mai approfondito questo tema. Cosicché ancora oggi ci sono ignoti non solo la maggior parte degli episodi, ma anche il numero ed il nome degli uccisi. Che martiri sono, almeno quanto quelli delle Fosse Ardeatine. A questo proposito è emblematico un episodio accaduto in Piemonte, nelle Valli di Lanzo .

Nel gennaio 1994 mentre ristrutturava la sua casa alla periferia di Cantoira, in Alta Valle di Lanzo, Pierino Losero ritrova uno scheletro. Nasce un caso di cronaca di cui si occupano non solo i giornali locali, ma anche La Stampa di Torino. Si fanno vari esami e varie ipotesi: dai resti di un guerriero medioevale ad un caduto della Prima Guerra Mondiale. Finché una lettera anonima, spedita a La Stampa e pubblicata il 18/01/1995 non svela il mistero. “Le ossa ritrovate un anno fa hanno un nome e cognome: Werner Teschendorff, ufficiale tedesco della Wehrmacht, nato a Dusseldorf nel 1922. La lettera anonima ha dato ragione a chi pensava ad una vittima della lotta di liberazione”. Nel marzo o aprile del 1944 – comincia il primo foglio – mi trovavo distaccato come partigiano GL in una baita sopra Chialamberto, lì ci vennero affidati tre prigionieri tedeschi dal comando garibaldino di Pessinetto” In quei giorni venne catturato dalla milizia repubblicana Battista Gardoncini, che venne poi fucilato a Torino, in piazza Statuto. Di conseguenza al gruppo partigiano del mittente, che ora abita nell’ Albese, arrivò l’ordine immediato di fucilazione per rappresaglia per i tre prigionieri. Il comandante Pedro Francina tentò più volte di far annullare l’ordine recandosi al comando di Pessinetto. Fu tutto inutile, i tre tedeschi dovevano essere passati per le armi. Due di loro, graduati e richiamati nell’esercito, furono fucilati in località “Alpe Crot”, sopra Chialamberto. Poi il racconto si fa più intenso: “Erano dei bravi ragazzi con i quali avevo fraternizzato, …Con il cuore gonfio di tristezza e rimorso… Lo guardavo mentre scriveva le sue ultime volontà… Fu trasportato a Cantoira dove fu fucilato e seppelito in una vecchia casa. Aveva 22 anni, era laureato in botanica, doveva sposarsi di lì a poco, morì dignitosamente gridando “Viva la Germania”.

Quello che la lettera anonima non dice è che Werner Teschendorff fu uno dei centoventi prigionieri fucilati per vendicare la morte di “Battista”, ce ne dà conferma, in modo sibillino, Gianni Dolino capo partigiano delle Valli di Lanzo: ”Battista, comandante delle Valli, e Pino suo commissario vennero catturati a Balme il 29 settembre e fucilati il 12 ottobre ‘44 con sette compagni, in via Cibrario a Torino, presso l’albergo Tre Re. Il comandante della Piazza di Torino, colonnelo Schmidt, rifiutò l’offerta di 120 uomini (tra i quali ufficiali tedeschi) della delegazione Garibaldi, tramite la Curia, in cambio di Battista. Pietà l’è morta: pagheranno i 120 offerti in cambio! [2]

Durante la guerra civile il CLN non risparmiò certo sulla pubblicità da dare alle rappresaglie eseguite. Tranne a farne sparire, a guerra finita, ogni traccia. In nessun libro ho sinora trovato una sola riproduzione dei tanti manifesti in cui si annunciavano le rappresaglie eseguite. Per certo, d’altronde, il 15 ottobre 1944 la Delegazione della Lombardia del Comando Generale delle Brigate Garibaldi, annuncia in un manifesto che ad un eccidio nel Pavese si è risposto con la fucilazione di 8 prigionieri, a quello di 15 patrioti in provincia di Varese con quella di 45 nazifascisti, mentre l’Unità del 8 ottobre 1944 dà la notizia della fucilazione di 35 prigionieri in risposta all’uccisione di 7 partigiani. Pubblicità fu data, non sappiamo per certo con quale strumento, all’uccisione di un tenente fascista il 19/10/44, effettuata dalla Divisione autonoma De Vitis, per rappresaglia contro l’uccisione di un partigiano e alla fucilazione di Luigi Bevilacqua, Luigi Gallo Marchiando, Michele Pozzi e del capitano Aurelio Quattrini, tutti della G.N.R., catturati l’11 marzo mentre eseguivano un trasloco di mobili, ordinata, il 23 marzo 44 , dal capo partigiano Marcellin a seguito di una rappresaglia tedesca a Pomaretto

Alcune rappresaglie portano inequivocabilmente la matrice della vendetta come quella eseguita dai partigiani a Collegno. In quella cittadina, alle porte di Torino, a “liberazione” avvenuta, il 1°maggio 1945 i tedeschi della divisione corazzata del Generale Schlemmer, mentre si ritirano, vengono attaccati dai partigiani che sparando dai tetti uccidono due soldati. I tedeschi sospendono la ritirata, rastrellano le strade ed il mattino seguente, non essendosi presentati i responsabili, fucilano trenta tra civili e partigiani. Quando i tedeschi sono lontani ricompaiono i partigiani che si recano alla Brignione, una fabbrica nelle vicinanze; dentro vi sono trenta giovani della Divisione Littorio, nativi di Cremona e Mantova, nascosti lì, dopo la resa, da un certo Ruchelli, impietositosi dalla loro sorte. Vengono massacrati tutti e trenta assieme agli studenti Tino Di Fullo e Remy Maccani, accusati di essere fascisti. Anche nella zona di Santhià, i tedeschi, che cercano di aprirsi un varco verso oriente, tra il 28 e 29 aprile, provocano morti, i partigiani per vendetta fucilano a Vercelli un ugual numero di prigionieri fascisti. Sono i giorni di Caino, i giorni in cui il giornale Il ribelle, organo della IV divisione partigiana Pinan-Chichero, scrive: “Non basterà colpire l’idea, bisognerà colpire chi si è macchiato servendo l’idea fascista e chi si macchierà di fascismo. Occorre epurare: colpire gli individui renitenti, distruggerli, eliminarli integralmente, disinfettare l’aria infetta…. L’eliminazione dovrà colpire migliaia di fascisti ed i colpiti saranno sempre pochi. Non arrestiamoci per sentimentalismo o per stanchezza”. La stessa “filosofia“ viene ribadita con più autorità da Giorgio Amendola sull’Unità del 29 aprile, di Torino: “Torino è il centro di direzione e di organizzazione di tutto il Piemonte. Il CLNP esercita la sua funzione di governo e coordina e dirige tutta la guerra. I tedeschi e gli ultimi gruppi di banditi neri sono ormai fuorilegge…..Pietà l’è morta! …E’ la parola d’ordine del momento. I nostri morti devono essere vendicati tutti. I criminali devono essere eliminati. La peste fascista deve essere annientata. Solo così potremo finalmente marciare avanti. Con risolutezza giacobina il coltello deve essere affondato nella piaga, tutto il marcio deve essere tagliato. Non è l’ora questa di abbandonarsi a indulgenze che sarebbero tradimento della causa per cui abbiamo lottato. Pietà l’è morta!”La strage è iniziata, gli ostaggi non servono più. Per essere certi che nessun fascista resti in vita, la Divisione autonoma Val Chisone “A. Serafino”, già citata,emana le Disposizioni sul trattamento da usarsi contro il nemico: ”Trasmetto gli ordini ricevuti dal CVL… Gli appartenenti a tutte le truppe volontarie (fasciste) sono considerati fuori legge e condannati a morte. Uguale trattamento sia usato anche per i feriti di tali reparti trovati sul campo… In caso si debba fare dei prigionieri per interrogatori ecc., il prigioniero non deve essere tenuto in vita oltre le tre ore. firmato: Il Comando di Divisione“.
Si è alla strage autorizzata. Ma torniamo alle rappresaglie, in particolare a quelle eseguite dai tedeschi e fascisti. Già oggi qualche storico ipotizza, a seguito di ricerche svolte, che molte rappresaglie venissero provocate appositamente per indurre la gente ad odiare i tedeschi ed i fascisti, ed anche per liberarsi di alleati “scomodi”, così come una ricostruzione dell’attentato di Via Rasella può fare concretamente dedurre. “I comunisti sapevano che l’attentato era assolutamente nullo da un punto di vista militare. Sapevano con assoluta certezza che a quell’attentato, a quel tipo di azione sarebbe seguita una rappresaglia. E’ altrettanto indubbio che sapevano che le vittime sarebbero state scelte fra i prigionieri antifascisti incarcerati a Roma. I dirigenti del PCI sapevano che circa centotrenta tra ufficiali del Centro Militare Clandestino e uomini di vari partiti non comunisti si trovavano nelle mani della polizia tedesca. L’attentato di via Rasella venne compiuto all’insaputa dei responsabili della lotta clandestina della capitale.Nulla da stupirsi dunque che uno degli obiettivi, se non il vero obiettivo, fu quello di eliminare alleati che al disegno del PCI si opponevano: E’ fuori discussione, infatti, che l’unico vero risultato raggiunto, con l’eccidio di via Rasella, fu il totale massacro di scomodi alleati che vennero così trasformati in altrettanti comodi martiri al servizio del partito comunista italiano.[3] Lo stesso Indro Montanelli, nel 1983 ,così riassunse l’attentato: “L’attentato fu inutile, perché a chiunque risultava chiaro che la liberazione di Roma era questione di settimane, poi perché prese di mira un reparto di anziani territoriali alto-atesini e scatenò la rappresaglia”… Da più parti fu sottolineato che “gli ostaggi fucilati erano in maggioranza antifascisti ma non comunisti”. La stessa strategia sembra aver suggerito l’uccisione di Ather Capelli. Al mattino del 31 marzo ‘44, vengono arrestati nel Duomo di Torino e sulla piazzetta antistante i componenti del Comitato Piemontese del CLN, in maggioranza badogliano; alle ore 13 dello stesso giorno, due gappisti, Sergio Bravin e Giovanni Pesce, uccidono a revolverate, dentro l’androne di casa, il direttore della Gazzetta del Popolo, Ather Capelli. L’omicidio darà il via alle rappresaglie a Torino e contribuirà notevolmente alla richiesta “di condanna esemplare” che porterà, nonostante gli interventi del Federale Solaro e del prefetto Zerbino per evitarla, alla condanna a morte del generale Perotti e di altri sette membri del CLN Piemontese, catturati .

Ma non è solo il caso dell’attentato di Via Rasella o di Torino. Così Liano Fanti, autore del libro “Una storia di campagna. Vita e morte dei fratelli Cervi”, in una intervista a La Stampa : “Il PCI ha fatto dei fratelli Cervi una bandiera, in realtà il partito reggiano li aveva emarginati con l’accusa, sostenuta fino alle soglie dello scontro violento, di essere “anarchici” che non avevano assimilato le linee del partito.… Il partito rifiutò ai Cervi la copertura di una delle tante “case di latitanza” (nascondigli che ospitavano i compagni che erano in pericolo o stavano per essere scoperti dal nemico) proprio nel momento di massimo pericolo, per i Cervi il rifiuto fu fatale. Questi fatti si trovano anche nella Storia della Resistenza reggiana di Guerrino Franzini. Dopo la cattura dei Cervi era stato emanato l’ordine di non compiere attentati per non mettere in pericolo la vita degli arrestati. Ma qualcuno non rispettò l’ordine e il 17 dicembre ‘43 uccide il primo seniore della Milizia Giovanni Fagiani. I fascisti minacciano ritorsioni, ma non fanno nulla. Il 27 dicembre un gruppo partigiano uccide il segretario comunale di Bagnolo in Piano, Davide Onfiani. Non passano più di 12 ore e la rappresaglia colpisce i fratelli Cervi. Nel 1980 Osvaldo Poppi, che con il nome di “Davide” era membro del Comitato Militare, in una lettera inviata all’ Anpi di Reggio Emilia ha scritto che non aveva potuto fare con i Cervi quello che nel ‘44 aveva fatto nel Modenese con Giovanni Rossi, un partigiano refrattario ad accettare la linea del partito. Testualmente: “Non avevo potuto eliminarli in virtù della loro “grande statura morale “.

Come si può comprendere molte sono ancora le cose da portare alla luce di quello che fu definito il “secondo Risorgimento”, ma ciò a cui più teniamo è che tutti coloro che ebbero il torto di morire per essersi schierati con la parte perdente o più semplicemente per colpa dell’odio, non cadano nell’oblio voluto da una storiografia bugiarda. Anche il “nuovo revisionismo resistenzialista” dell’ultimo libro di Pansa – I nostri giorni proibiti -, non ci trova d’accordo laddove la morale di fondo è quella dei vecchi partigiani che , invitano Marco, figlio di un loro compagno misteriosamente ucciso, a smetterla di cercare la verità, ma soprattutto ad abituarsi a non sapere.

[1] (Gianni Alasia in Le ville dei pescecani – Ed Coop. Cultura Lorenzo Milani – Torino, 1990, pag.78)

[2] (Gianni Dolino – Partigiani in Val di Lanzo – Ed. Franco Angeli – Milano, 1989,pag.117)

[3] (Pagani – Cooper – Kunz -MARZO 1944 – pagg. 86 e seg. Vedi anche Adriano Bolzoni – Quando uccisero la pietà – Supplemento al Borghese n°11 del 17/03/91).

venerdì 4 giugno 2010

E' giunto il momento di ricordarsi come si trattano i cani rabbiosi

Proprio quando pensavo che il nostro Paese avesse raggiunto, in politica estera (ma non solo), il suo gradino più basso e più umiliante, ecco che vengo nuovamente smentito. Quasi non ci sono più parole per descrivere il livello di sudditanza che ha raggiunto l’Italia, ridotta ormai a poco più di una colonia israeliana, nelle ore successive all’atto di pirateria internazionale con annessa strage che Israele ha deliberatamente causato in acque internazionali, contro una nave che aveva il solo scopo di voler portare aiuti concreti alla popolazione di Gaza, privata ormai di ogni mezzo anche minimo di sussistenza e costretta deliberatamente alla fame.

Hanno assaltato una nave, con diversi mezzi militari da guerra (sia navali che aerei), ed hanno ucciso più di dieci persone, civili inermi che non portavano armi e non compivano nessuna azione atta ad offendere. Hanno poi sequestrato tutti i passeggeri e li hanno coattivamente portati in una prigione segreta di Israele, dove l’accesso è stato negato anche al personale diplomatico e internazionale, per non dire dei giornalisti. Per diverse ore non sapevamo se i nostri connazionali fossero vivi o morti, né cosa fosse accaduto loro.

Quando finalmente i primi rapiti sono stati liberati, ecco che cominciano a parlare di pericolose umiliazioni, di percosse subite, di violenze fisiche e psicologiche brutali ed inflitte con sadismo e ferocia. Evidentemente Israele sta estendendo la Striscia di Gaza alle acque internazionali e la condizione di "palestinese" anche ad altri cittadini stranieri, e noi non ce ne siamo accorti. Ergo, diventiamo tutti palestinesi, carne da macello per far divertire i soldatini del glorioso Tsahal.

In tutto questo, con Erdogan che parla di terrorismo di Stato, con Obama che telefona allarmato ad Israele per dirgliene quattro (qualche latrato di preoccupazione, ma è sempre meglio di niente), con l’ONU che condanna la strage dell’esercito israeliano pur non condannando esplicitamente Israele (sappiamo bene che questo organismo massonico è ormai stato completamente infiltrato dai sionisti ed ha perso ogni residua briciola di legittimità), ci sarebbe stato spazio anche per un piccolo rimbrotto dell’Italia.

E invece questa colonia, governata da politici che hanno da tempo perso qualunque senso di responsabilità nei confronti del loro popolo per legarsi interamente agli innominabili e occulti poteri transnazionali, non ha minimamente fiatato anche quando importanti sostenitori di Israele, capita la gravità delle azioni condotte da questa nazione violenta e schizofrenica, hanno condannato una strage deliberatamente causata a scopo provocatorio e intimidatorio. Non solo: Frattini si è dichiarato “grato ad Israele” per aver liberato i sei italiani che aveva illegalmente minacciato, picchiato e sequestrato. Anche per chi, come il sottoscritto, riesce sempre a mettere su carta quello che pensa con una certa chiarezza e disinvoltura, è difficile trovare parole che non siano state ampiamente usate ed abusate.

Ora bisognerebbe chiedere al nostro Ministro Israeliano con delega alla colonia Italia: che cosa deve fare Israele perché dall’Italia si alzino, chiare e forti, parole di condanna? Israele ha attuato, e sta completando, una vera e propria pulizia etnica, un olocausto in piena regola, contro un intero popolo colpevole solo di non voler abbandonare la propria terra; Israele disattende più di 70 risoluzioni dell’ONU; Israele si rende responsabile continuamente di continue provocazioni (militari e diplomatiche) ai danni dei propri vicini; Israele detiene un arsenale che va tra le 300 e le 500 bombe atomiche e delle quali nessuno si è mai sognato di chiedergli conto; Israele ha dimostrato, in tante occasioni, di disprezzare non solo la vita dei civili palestinesi, ma anche quella di semplici manifestanti che hanno avuto il solo torto di chiedere più giustizia per la popolazione di Gaza: Rachel Corrie ed Hemily Henochowicz, che grazie ad un valoroso soldato israeliano che due giorni fa le ha sparato a distanza di qualche metro ha perso un occhio, sono solamente i nomi più conosciuti di decine e decine di vittime per le quali nessuno ha mai chiesto giustizia. Israele ha sequestrato dei dimostranti in acque internazionali, ha causato una strage deliberata uccidendo molti di loro, ha sequestrato dei cittadini di altri Paesi e li ha liberati solo dopo averli picchiati e brutalmente umiliati. Che cosa deve fare, ancora, perché in questa tristissima colonia italiana qualcuno tra i nostri politici abbia il coraggio di dire che Israele deve smetterla di continuare con la sua arroganza e con il suo comportamento assassino e criminoso? Che se Israele ha il diritto di difendersi, anche i palestinesi hanno diritto ad avere un loro Stato e una loro terra nella quale vivere liberi? Che i concetti di “acque internazionali” non sono stati inventati perché qualcuno aveva voglia di perdere tempo? Che non può decidere unilateralmente di attaccare dei civili disarmati, specialmente se questi civili sono su una nave che batte bandiere turca e greca? Che se ritiene giustamente sacri i propri confini deve ritenere sacri anche quelli degli Stati vicini, che invece invade continuamente, forte della sua supremazia militare? Forse aspettiamo che accada quello che già Martin Van Creveld, noto e stimato insegnante israeliano, aveva minacciato qualche anno fa? Aspettiamo forse che da Tel Aviv ci piova qualche missile sulla testa, magari sopra il palazzo di qualche Ministero di Roma, per ribellarci contro questo Stato arrogante che, forte della sua potenza militare e della lobby politica e finanziaria che, nei singoli Stati come negli organismi europei ed internazionali, lo protegge ad oltranza da qualunque critica e da qualunque osservazione, bollando chiunque osi denunciare i suoi crimini come un antisemita, un fanatico, un amico dei terroristi, rovinando la sua reputazione e spesso esponendolo anche fisicamente?

Giorno dopo giorno, Israele abbassa la soglia della civiltà e dell’umanità di una tacca. Poi aspetta una qualche reazione, che non arriva mai. E così scende giù, ancora di un’altra tacca. E un’altra tacca ancora. Sempre più giù verso la sola forza unilaterale, verso la violenza, verso il totale non riconoscimento dell’altro.

Stiamo arrivando davvero a ciò che Martin Van Creveld disse un po’ di tempo fa? “Israele deve essere come un cane rabbioso. Troppo pericoloso per poter essere toccato. Abbiamo i nostri missili puntati su ogni capitale europea: Londra, Parigi, Berlino, Roma. Se Israele andrà a fondo, il mondo andrà a fondo con Israele”. E’ giunto il momento di essere meno vili, e di ricordarci come vanno trattati i cani rabbiosi.