mercoledì 30 settembre 2009

La legge è uguale per tutti, ma non per Polanski


“La legge è uguale per tutti, ma per alcuni è più uguale.”

Non si può che partire da questo assunto, che campeggia nella fattoria degli animali della bellissima opera di Orwell, per commentare le vicissitudini dell'ebreo Roman Polanski, arrestato in Svizzera per venire estradato negli Stati Uniti, dove dovrà affrontare (se i suoi avvocati non lo salvano prima, come è probabile) un processo per aver drogato e violentato una tredicenne nel lontano 1977.

E' disgustoso notare come tutti i media, senza eccezione alcuna, si muovano in difesa dell'illustre regista: intellettuali (si sa: devono difendere la categoria), uomini di sinistra (loro li stupratori li difendono sempre), media ( scattano sull'attenti ad un cenno del padrone)... Non una voce dissonante. Sembra Polanski la vittima, non la tredicenne violentata.

Aggiungeteci un'altra considerazione: Polanski è ebreo. Può sempre tirare fuori la storiella del complotto antisemita: siamo certi funzionerebbe. E poi: volete che la famosa lobby resti ferma a guardare mentre un grande intellettuale, un genio, per di più uno degli eletti, viene così bistrattato e maltrattato dai goym?

Prendo atto che in questo Occidente se lo stupratore è un regista famoso e di successo lo stupro non è reato, e legioni di “fans” (non si può più dire “estimatori”, devi usare il termine inglese sennò passi per un coglione), “intellettuali”, giornalisti e femministe d'accatto sono sempre pronte a correre in soccorso del povero perseguitato.

Se è una persona comune, anche solo indiziata per stupro, ecco che diventa il mostro per definizione, il maschilista violento, rozzo e troglodita per il quale qualunque pena non sarà mai sufficiente.

Mi ricordo di una storia che sentii un po' di tempo fa alla TV e che, a quanto scopro, non è affatto così straordinaria come pensai in un primo momento.

Dato il precoce troieggiamento femminile, accade che una ragazzina si apparta, forse sotto l'effetto dell'alcol, con tre suoi amici. Vai di bocca e vai di mano, il giorno dopo, svaniti i fumi della sbornia, la troietta capisce quello che fa e si pente. Ma non arriva alla logica conclusione del suo essere troia: quale modo migliore di salvarsi la faccia se non inventando uno stupro di gruppo? Ero ubriaca, mi hanno portato in un angolo e mi hanno violentata. I ragazzi diventano mostri, finiscono su tutte le prime pagine dei giornali; lei diventa una eroina degli anni duemila, si oppose allo stupro con eroismo ma niente poté contro la soverchiante forza avversaria.

Ma le bugie, almeno in questo caso, hanno le gambe corte. La verità salta fuori: non violenza fu, ma orgetta tra amici, per divertirsi e chiudere la serata in bellezza. Intanto, complice una stampa sempre pronta a cavalcare il tormentone del maschio stupratore, la reputazione dei ragazzi è rovinata per sempre. La troietta è un po' bugiarda, ma deve attendere solo qualche mese: è o non è del sesso debole, quindi vittima per definizione?

Ecco: la categoria dello stupratore varia di volta in volta, a seconda delle circostanze di tempo, di modo e di luogo. Se se le fa un Califano è il vizietto di un artista attempato, se lo fa il muratore è maschilismo e violenza, anche se poi magari è tutto da provare...

E noi? Noi non siamo ebrei, non siamo cantanti, attori, registi; non possiamo gridare a complotti antisemiti; non abbiamo né siti, né femministe né intellettuali che si mobiliterebbero in nostra difesa; non ritiriamo prestigiosi premi alla carriera; non paghiamo intere legioni di avvocati; non abbiamo lobby che ci guardano le spalle, neanche quella dei verdurieri, figuratevi quell'altra, che è talmente potente da essere innominabile. D'ora in poi a noi umani ci converrà tutelarci anche legalmente: prima di portarci a letto una ragazza dovremmo andare da un notaio il quale, accertandosi della buona fede della ragazza, testimonierà su apposito documento che è consenziente.

Insomma: noi facciamo sempre la fine della ragazza di Polanski, quella del 1977: ce lo prendiamo sempre nel c***.

sabato 26 settembre 2009

Apportate alcune modifiche alle etichette

Diversi lettori si lamentavano - giustamente - della eccessiva dispersività delle etichette di questo blog, che rendeva difficile ricercare determinati argomenti. Questo perchè le etichette erano tante, spesso e volentieri inutili, e rendevano quindi molto confusa la ricerca degli argomenti.
Colpa mia: i primi mesi di vita di questo blog la gestione del materiale che si accumulava era problematica, a causa della inesperienza.
Dopo diverse ore di lavoro ho provveduto a modificare le etichette in questione, cancellandone molte. Ora vi sono delle "categorie" di classificazione più grandi. Per esempio: che senso aveva "Stati Uniti" quando c'era "Esteri"? E che senso aveva "Elezioni 2008" quando c'era "Attualità" e "Politica"?
Ora non sono più di una ventina circa. Potevano essere anche di meno, ma su alcuni argomenti, che trattiamo spesso, ho preferito conservarne la specificità.
Ora ricercare un argomento è da un lato più semplice - meno dispersività - ma dall'altro più faticoso, in quanto diverse etichette sono state inglobate in altre, concettualmente "più grandi" e che potevano quindi comprenderle.
Spero di essere venuto incontro ai (pochi) lettori.

66 anni fa la riscossa

Primavera di bellezza.

venerdì 25 settembre 2009

I sub-animali girano anche film

L'animale viene colpito a terra con un punteruolo, proprio al centro della fronte, dove esce più sangue. Agonizza. In quel momento un uomo si avvicina e gli taglia la gola. Il sangue esce a fiumi. L'animale si accascia e, dopo qualche minuto di agonia, muore. Buona la prima!

Davanti alla macchina da presa di Giuseppe Tornatore si è svolta questa scena. Serviva, al regista sub-umano, per il suo nuovo film, che ci guardiamo anche solo lontanamente dal citare. Ma che è ampiamente lodato alla “Mostra del Cinema di Venezia”.

E' una scena agghiacciante e vergognosa che, a quanto è dato sapere, è stata girata in Tunisia al fine di non incorrere nella legislazione italiana, che considera questo abominio un reato.

Il sub-umano non poteva certamente usare degli effetti speciali, che, al giorno d'oggi, garantiscono lo stesso livello di crudezza e realismo ma hanno il difetto di non torturare nessun animale. Gli piace lo snuff, al sub-umano. In questo caso l'animal-snuff.

A parte la LAV e qualcun altro nessuno protesta. Nessuno si indigna se viene torturato un animale davanti alla telecamera, solo per girare un film. Questa crudeltà gratuita, a buon mercato, questo perenne e totale disprezzo per la vita animale lascia sgomenti.

Gli animali uccidono essenzialmente per tre motivi: il controllo del territorio, l'autodifesa, il cibo. Non essendoci nessuna di queste condizioni, Tornatore e i suoi degni compari dimostrano di essere sotto il livello animale. Pertanto la definizione di sub-animali e sub-umani, per questi esseri, si aggrada alla perfezione.

Simili personaggi si pongono volontariamente fuori dal consesso degli uomini civili, con tutto ciò che ne consegue.

E non fatemi dire di più, che la lobby innominabile vede e provvede, come un corvaccio che ci sta appollaiato sulla spalla.

mercoledì 23 settembre 2009

Israeliani sull'orlo di una crisi di nervi

Mentre i nostri democratici media ci intrattengono con le previsioni del tempo, la fabbricazione dei Lince, le buffonate di Obama alla Tv americana, è uscito nella sua versione definitiva il rapporto di Richard Goldstone, l’inviato dell’ONU (ebreo) che accusa, senza mezzi termini, lo Stato ebraico di essersi macchiato di gravi crimini di guerra nei confronti della popolazione palestinese, in particolare durante il suo ultimo attacco nel dicembre 2008.

Le atrocità commesse dai sionisti sono quelle di cui abbiamo già avuto modo di parlare a suo tempo, e che i sionisti nostrani cercano in tutti i modo di occultare (a sentire Fiamma Nirenstein l’ultima l’invasione militare di Israele sembra una operazione umanitaria per portare soccorso ai poveri palestinesi): bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile, con l’omicidio di un centinaio di poliziotti di Gaza che, nel momento dell’attacco, non partecipavano ad azioni di guerra; il bombardamento di una scuola con contrassegno ONU; il cecchinaggio del personale sanitario, al quale Israele ha negato piena libertà di movimento e che non ha esitato, in diverse circostanze, ad utilizzare come bersaglio; l’utilizzo del fosforo bianco, che le convenzioni internazionali vietano di utilizzare in aree densamente abitate da civili e che i sionisti hanno usato a Gaza (una delle zone più densamente abitate della Terra in rapporto alla superficie); varie ed eventuali.

Il tutto ha una drammatica cifra: 1400. Sono le vittime dell’ultima azione umanitaria di Israele.

L’accusa che parte da Tel Aviv (la quale non ha fornito alcun supporto alla Commissione ONU) è la solita solfa: un rapporto “già scritto prima dell’indagine” e parziale. Lieberman, Ministro degli Esteri israeliano, ha parlato invece di “una pagina vergognosa per le Nazioni Unite”.

Ma non è mancata, da più parti, anche l’accusa per eccellenza: quella di antisemitismo.

Ciò dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che i sionisti sono sull’orlo di una crisi di nervi che li spinge a perdere ogni senso del ridicolo e del patetico.

Richard Goldstone, il capo della Commissione ONU, non è solo un personaggio che ha aiutato il Sud Africa del dopo-apartheid, che ha contribuito a svelare le atrocità del Ruanda e della Yogoslavia, ma è, specialmente, un ebreo sionista, con solidi legami in Israele. Fino a poco tempo fa era una autorità morale, all’ONU, come se ne vedevano poche. Che il governo di Tel Aviv accusi uno di loro di antisemitismo, o di essere pregiudizialmente contro Israele, testimonia l’arroganza e la spregiudicatezza dei sionisti nei confronti di chiunque non approvi acriticamente i loro massacri.

In Israele fanno anche finta di dimenticarsi dell’intervista che ha rilasciato qualche giorno fa la figlia di Goldstone, Nicole, ad una radio militare. Con le lacrime agli occhi Nicole diceva che la sua famiglia è amica di Israele, il papà specialmente. Che loro pensavano di aiutare Israele, e che il rapporto sarebbe stato molto peggiore senza l’intervento di babbo Richard. Tutto fatto per loro, insomma.

Avete capito? Ad indagare i crimini commessi dai sionisti hanno messo un sionista: già questo è contrario a qualunque elementare forma di diritto giuridico (l’accusato non può essere anche giudice). Ma, siccome la verità non si può occultare eccessivamente, ora si indignano, si strappano i capelli, parlano di antisemitismo (un termine il cui significato varia a seconda delle circostanze di tempo, di modo, di luogo), di pregiudizi verso Israele, e via dicendo.

Tutto ciò mentre Goldstone, contro ogni evidenza, si è ben guardato dal dire la parola chiave: colpa collettiva. Che Israele sta facendo scontare ad un popolo che ha rinchiuso dentro un recinto, al quale proibisce anche di usufruire dei minimi mezzi di sussistenza, e che ogni tanto usa come tiro a segno. Peggio che sparare a dei pesci in un barile.

Nonostante questo, la versione 2008 di Sabra e Chatila, in Israele, non ha creato eccessivi rimescolamenti di coscienza. Anzi: mentre si svolgeva il massacro, alcuni cittadini dello Stato sempre oppresso e sempre assediato hanno portato i loro figli in collina, a vedere come venivano uccisi i goym arabi.

Certo, certo: Goldstone, da buon sostenitore della causa, non ha mancato di tirare in ballo Hamas. Anche quest’ultima si è macchiata di crimini di guerra, non attuando alcuna distinzione tra soldati e civili (qualcuno di questi ultimi morto mentre portava i propri pargoletti ad assistere alla mattanza). Ma basta guardare le cifre per rendersi conto della gigantesca sproporzione tra i morti di una parte e i morti dell’altra. Nell’arco di due anni e mezzo, dall’operazione Summer Rain di giugno 2006 a Piombo Fuso del 2008, i morti palestinesi sono stati all’incirca 1800. Quelli israeliani non più di una trentina. Una proporzione di 1 a 60. Non c’è bisogno di aggiungere ulteriori commenti.

Ora la domanda è: accertato che Israele si è macchiata di crimini di guerra, chi deve pagare?

Sia Hamas sia Israele dovranno rendere conto delle rispettive violazioni entro 6 mesi: scaduto questo termine, la questione dovrebbe (con Israele, che non ha mai pagato per i propri misfatti, il condizionale è d’obbligo) passare alla Corte Penale Internazionale.

Ecco perché schiumano di rabbia, gridano all’antisemitismo, inveiscono contro l’ONU dopo che quest'ultimo ha messo alla commissione uno di loro. L'evidenza può essere nascosta, ma fino ad un certo punto. Chi è il carnefice e chi la vittima è chiaro.



Probabilmente vedremo Olmert, Tzipi Livni, Gabi Ashkenazi come imputati in una nuova Norimberga? Ce lo auguriamo
, ben consapevoli, però, del sostegno incondizionato che buona parte della diplomazia internazionale (in primis gli Stati Uniti) accorda ad Israele, nonostante le legittime proteste dei propri cittadini.

sabato 19 settembre 2009

L'abbiamo capito o no che in Afghnistan siamo in guerra?


L'ultimo agguato contro il contingente italiano di stanza in Afghanistan, che ha portato alla morte di sei soldati ed al ferimento (per fortuna non grave) di altri quattro, ha forse fatto capire agli italiani ciò che l'opinione pubblica del nostro Paese, e con essa la classe politica, da destra a sinistra, si è sempre ben guardata dal fare: dire chiaramente che in Afghanistan stiamo facendo la guerra.

Il risveglio è stato brusco e violento. Per anni gli italiani si erano illusi che si, forse si sparava qualche colpo ogni tanto, ma sostanzialmente non si poteva parlare di guerra, intesa come quella che vediamo alla tv, dove ci sono le trincee, i campi minati, i carri armati.

Niente di più estraneo dalla realtà. In Afghanistan siamo in guerra.


E non lo siamo – a parere del sottoscritto e non solo suo – perché l'Italia ha in quella regione un qualche interesse economico o strategico, ma solo perché seguiamo a ruota il carro americano. E le motivazioni degli Stati Uniti non sono certamente quelle che ci propina Emilio Fede, ma ben più pragmatiche: il controllo di una importante zona geostrategica unito al monopolio del mercato dell'oppio (l'Afghanistan ne è il maggiore produttore).


Dispiace però vedere che, come al solito, perché in Italia si muova qualcosa debba sempre scapparci il morto. In questo caso sei, di morti. Dovevamo aspettare di perdere sei soldati perché i nostri politici si chiedano che cosa siamo andati a fare in Afghanistan, e perché siamo lì. Abbiamo dovuto aspettare gli speciali alle tv, con i parenti dei soldati che ricordano i loro cari scomparsi, perché ci dicessero – se pur velatamente – che in Afghanistan siamo comunque in guerra. Una verità che fino a poco tempo fa ci avevano sempre nascosto, cambiando la guerra in “missione di pace”.




Ma sia ben chiaro: condannare le motivazioni per le quali l'Italia sta andando ad ammazzare gli afgani (è questo che stiamo facendo, anche se ciò può arrossare le delicate pancine borghesi) non significa non portare rispetto ai sei soldati che lì, ad un incrocio di Kabul, sono stati massacrati dentro i loro Lince, né non provare rammarico e dolore per la sorte delle loro famiglie. Che si vedano in questi sei soldati dei patrioti o dei mercenari, la figura del soldato va sempre onorata e rispettata, in quanto uomo che conspevolmente sceglie di riconoscere qualcosa di comunque superiore alla sua pancia e alle sue pime soddisfazioni, per morire in nome di qualcosa di superiore.

giovedì 17 settembre 2009

Abbattere 500 cervi in Cansiglio: ecco all'opera la manipolazione spietata delle cose

di Francesco La Mendola
16/09/2009
Tratto dal sito: www.ariannaeditrice.ait

Riporto questo articolo di Francesco La Mendola, apparso sul sito sopracitato. Partendo dall'orrore del programmato olocausto di 500 esseri indifesi - evidentemente ritenuti sacrificabili per fare posto agli speculatori ambientali e agli imprenditori - l'articolo in questione affronta, con lucida chiarezza, argomenti interessanti, di attualità, e a parere del sottoscritto condivisibilissimi.
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Questa è solo l'ultima in ordine di tempo, di una lunga serie di disinvolte operazioni di drastico intervento sulla vegetazione e sulla fauna selvatica: ossia su quel poco di natura che ancora rimane nel nostro Paese, dopo decenni di selvaggia speculazione edilizia, di incendi più o meno dolosi al manto boschivo, di caccia di frodo indiscriminata e di caccia legalizzata, altrettanto devastante, pur se eseguita con tutti i crismi della legalità.

Dopo aver carezzato l'abbattimento delle migliaia e migliaia di platani secolari che fiancheggiano la storica strada del Terraglio (da Treviso a Mestre), con la motivazione di voler prevenire gli incidenti mortali del fine settimana, all'uscita dalle discoteche, ora alcuni politici e amministratori del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia stanno predisponendo l'opinione pubblica a mandare giù l'amara pillola del «necessario» abbattimento di almeno (dicesi almeno) 500 cervi nella Foresta del Cansiglio, che ricopre l'altipiano omonimo, posto a un'altitudine media di 1.000 m. s. m. e situato sul bordo estremo delle Prealpi Carniche e ai piedi del Monte Cavallo, nel punto d'intersezione delle province di Belluno, Pordenone e Treviso.

Sembra che abbattere mezzo migliaio di cervi sia, per essi, una operazione assolutamente normale e, anzi, doverosa, visti i danni che gli animali arrecano all'agricoltura e particolarmente alla produzione biologica di foraggio (danni per i quali gli agricoltori del luogo hanno goduto del risarcimento sotto forma di denaro pubblico).

E tutto questo avviene mentre stenta a decollare il progetto di trasformare questa antica foresta montana - già custodita con la massima severità dalla Serenissima Repubblica di Venezia, perché forniva il legname necessario all'Arsenale - in una Riserva naturale regionale e mentre, anzi, si intensificano le manovre per potenziare oltre misura le strutture turistiche, e segnatamente gli impianti di risalita per gli sport invernali, nonché per estendere la costruzione di villaggi turistici che finirebbero per stravolgere la vocazione naturalistica di questo splendido angolo di natura alpina, area di rifugio per numerose specie vegetali e animali e custode di incomparabili bellezze paesaggistiche, non ultime le profonde e affascinanti grotte carsiche che ne intersecano in più punti il sottosuolo.

Il cervo, si dice, si è moltiplicato in numero eccessivo, arrecando danni e ostacolando lo sviluppo economico della zona (lo sviluppo: ecco l'eterna parola d'ordine, in nome della quale sembra divenire lecita qualsiasi cosa). Si direbbe quasi che su quel magnifico ungulato ricada la responsabilità di chissà quale tremendo destino di sottosviluppo della zona; come se esso costituisse una sorta di pericolo incombente per il benessere e per la prosperità di chissà quali popolazioni (mentre il Cansiglio vero e proprio è vuoto di abitanti, fatta eccezione per poche decine di Cimbri, la popolazione di boscaioli origine tedesca, qui insediatasi tre secoli or sono).
Manca poco che si paragonino questi «terribili» cervi ai terroristi di Al Quaida, e che si invochi contro di essi la crociata del Bene contro le forze del Male., in nome della modernità e di un futuro radioso per tutti.

La verità, invece, sta in tutt'altro modo.

Gli esseri umani, quassù, sono soltanto degli ospiti: degli ospiti tollerati, e perfino graditi, se vengono in atteggiamento pacifico e rispettoso, per conoscere la natura e per familiarizzarsi con il mondo delle piante (le sterminate distese di faggi e abeti rossi, qui capovolte rispetto all'altitudine per un curioso fenomeno di inversione termica) e degli animali selvatici. Sono, al contrario, ospiti sgradevoli e nocivi se, in veste di turisti cialtroni o di speculatori, vi si accostano con avidità e insensibilità, interessati unicamente al guadagno che possono ricavare dallo sfruttamento di un ambiente naturale pressoché incontaminato (ma non sappiamo ancora per quanto continuerà ad essere tale).

Riportiamo questo breve articolo, a firma R. O., dal quotidiano «Il Gazzettino», edizione di Treviso, di domenica 13 settembre 2009:

«Dimezzare la popolazione di cervi che vivono in Cansiglio. Sembra diventata una priorità, quasi una crociata per quanti hanno a cuore lo sviluppo economico del Pian Cansiglio attraverso l'agricoltura. Un grido d'allarme che è stato raccolto dal ministro delle Politiche agricole Luca Zaia. "Abbattere almeno 500 cervi in Pian del Cansiglio per evitare la devastazione delle produzioni biologiche di foraggio, il 40% delle quali viene attualmente distrutta dagli animali, aumentati di numero in modo incontrollato", a sostenerlo è il ministro Zaia che ieri era in Cansiglio su invito di Paolo Casagrande, presidente veneto Anpa (Associazione nazionale produttori agricoli). L'imprenditore aveva inscenato una protesta pacifica con volantinaggio durante la presentazione del progetto di valorizzazione della foresta del Cansiglio, chiamato "Assi del Cansiglio", avviato da Itlas e Veneto Agricoltura. "Non è di nostra competenza - è stata la tesi del ministro, presente alla manifestazione "Vivi la foresta con noi" - ma credo che la questione sia già nelle mani dell'assessore regionale , che deciderà per il meglio." Gli agricoltori - l'opinione di Casagrande - vogliono che il Cansiglio continui a vivere, ma oggi è compromesso dalle devastazioni dei cervi. Non vogliamo che si estinguano ma che il loro numero torni ad essere di 500-60". Di parere diametralmente opposto Guido Iemmi, uno de responsabili della Lav (Lega antivivisezione): "Assistiamo- esordisce - al solito ritornello. Prima si fa in modo che una popolazione aumenti, facendole trovare un microsistema molto favorevole. A quel punto scatta l'allarme degli agricoltori, che in precedenza avevano però vissuto grazie ai contributi pubblici ottenuti come risarcimento de danni causati dalla fauna selvatica. Infine arrivano politici ed esperti che, rispondendo alle esigenze dei cacciatori , invocano la mattanza. È ciò che sta accadendo - conclude Iemmi - in Cansiglio e già visto per cinghiali e orsi.»

Gira e rigira, in questa mentalità brutalmente pragmatica e utilitaristica, secondo la quale la natura è fatta per essere dominata e manipolata illimitatamente, e l'uomo non ha alcun obbligo verso di essa, perché se ne considera il padrone assoluto, riaffiora il vizio tipico della modernità, già teorizzato - ma con orgoglio - da filosofi come Francesco Bacone: l'assoluta incapacità di porsi in atteggiamento rispettoso verso le cose; l'assoluta incontinenza di una avidità economica senza freni e senza pudore.

Tutto quello che è possibile fare per aumentare la ricchezza e la comodità dell'uomo, va posto in opera in nome della scienza e del progresso; mentre tutto ciò che vi si oppone, deve essere spazzato via, perché rappresenta un ostacolo e una pietra d'inciampo rispetto alle magnifiche sorti e progressive della modernità e dello sviluppismo.

Per quei signori, un albero non è nemmeno degno di essere considerato un essere vivente; e un animale è meritevole di sopravvivere, solo a condizione che la sua esistenza non ostacoli i progetti dell'uomo, volti immancabilmente al potenziamento delle strutture di sfruttamento della natura e ad accrescere il benessere materiale dell'uomo stesso, costi quello che costi.

Le cose, in quest'ottica, non possiedono alcun valore intrinseco. Il loro valore, del resto puramente economico, è stabilito sempre e solo in funzione dell'utile che gli esseri umani si prefiggono di ricavarne.

Il rispetto, la contemplazione, la gratitudine verso piante, animali ed elementi del paesaggio, non trovano alcun posto in una tale visione del mondo: non sono nient'altro che inutili romanticherie e sentimentalismi dannosi per il progresso e lo sviluppo. Chi si batte per difenderle, non è che un retrogrado, un oscurantista e un potenziale sovversivo, nel senso letterale di colui che vuole sovvertire, ossia capovolgere, le regole stabilite, sia in ambito politico che culturale.

Che si tratti di abbattere un cervo, o dieci, o mille, non c'è nessun problema; anzi, si fanno contenti i cacciatori che, con il pretesto di contenere l'eccesso di popolazione della fauna selvatica, riescono a indossare anch'essi la rispettabile divisa dei difensori della natura, e a marciare sotto le bandiere di uno pseudo ambientalismo che vorrebbe sposarsi felicemente con le ragioni dello sviluppo economico, del guadagno e dell'interesse privato.

Strano Paese, l'Italia, dove perfino cacciatori, speculatori edilizi e ambigui imprenditori, riescono a farsi passare per i veri difensori dell'ambiente; e dove le doppiette, il cemento e le sciovie selvagge, sono presentati come strumenti del progresso e del benessere delle ultime zone d'Italia ove ancora sopravvive qualche felice brandello di natura quasi incontaminata.

È evidente che, se si vuole superare queste criticità, non sarà sufficiente istituire nuovi parchi e riserve naturali, né perfezionare la legislazione ambientalista o moltiplicare il numero delle guardie forestali. Del resto, le statistiche sono lì a mostrarci, nel modo più impietoso ed eloquente, che quelle regioni - come la Calabria - ove più alto è, in rapporto alla popolazione, il numero del personale preposto alla tutela dell'ambiente, sono proprio quelle in cui lo scempio della natura procede con il ritmo più veloce.

Quello di cui abbiamo bisogno, è un cambio nel modo di sentire e di pensare diffuso tra le persone comuni; quella che ci serve, è una vera e propria rivoluzione culturale, la quale., operando sulle giovani generazioni, insegni loro la priorità del rispetto per la vita e per l'ambiente, nei confronti di qualsiasi esigenza di mercato e di qualsiasi logica basata sul mero profitto materiale. Bisogna far capire ai bambini, fin da piccoli, che non c'è denaro che possa giustificare la distruzione di una foresta o l'abbattimento, insensato e crudele, di centinaia di capi di fauna selvatica; bisogna persuaderli che l'uomo deve ritornare a vivere in armonia con le altre creature viventi, per quanto possibile, e non in competizione selvaggia con esse.

Bisogna anche insegnare ai giovani a rifiutare il ricatto, secondo il quale chi considera prioritari i valori ambientali e il rispetto per la vita di tutte le creature, è un cattivo cittadino e un nemico del progresso. Bisogna portare loro ad esempio figure come quella di San Francesco, che vedeva un amico e un fratello in ogni creatura del buon Dio, e non fargli credere che le ragioni dell'impresa e del profitto, per quanto legittime in se stesse, vengano rima di qualsiasi altra cosa.

Bisogna, infine, far capire ai bambini e ai ragazzi, che il rispetto per la vita è un valore unitario: che non esiste un rispetto per la vita umana, che si possa immaginare come disgiunto dal rispetto per la vita delle piante e degli animali; perché la vita è un fenomeno unitario, è il complesso delle funzioni vitali della biosfera, di cui l'uomo è parte, e fuori del quale egli non potrebbe concepirsi, né sopravvivere per un giorno solo.

In Italia, purtroppo, il senso della dignità della natura e del rispetto dovuto a tutti i viventi, per un insieme di ragioni storiche e culturali, è ai livelli più bassi del continente europeo, come abbiamo già scritto in precedenti occasioni (cfr., in particolare, il nostro articolo: «Perché non amiamo la natura? Una riflessione sulle responsabilità della cultura contadina», inserito sul sito di Arianna Editrice in data 06/08/2009).

Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è la cultura industriale, o post-industriale, la grande nemica della natura. Il disincanto e la manipolazione nei confronti di essa si consuma già all'interno della società contadina, e sia pure nell'ultima fase della sua vita millenaria: quando ormai le logiche del successo e del profitto battevano alla porta del semplice contadino; e tutto ciò è stato esemplificato dall'adozione massiccia e quasi subitanea della chimica, per aumentare il raccolto e, quindi, le prospettive di guadagno.

Il male, quindi, è molto più profondo di quello che non si creda. Ecco perché, quando i nostri politici e amministratori parlano, con tanta leggerezza, di abbattere mezzo migliaio di cervi, come se fosse la cosa più ovvia e più semplice di questo mondo, non si leva un coro generale di proteste e di sacrosanta indignazione; ecco perché, al contrario, le associazioni degli agricoltori sono in prima fila nell'applaudire, o, addirittura, nel sollecitare provvedimenti del genere.

L'aver ridotto i problemi umani e i problemi ambientali a delle questioni puramente tecniche, meritevoli di una risposta puramente tecnica: ecco il grande peccato contro la vita, contro il rispetto dovuto alle creature, contro la nostra stessa intelligenza.

Una ragione strumentale e calcolante, che finisce per essere completamente, assolutamente stupida, perché perde di vista le condizioni necessarie alla stessa sopravvivenza dell'uomo.

Oggi condanniamo a morte alcune centinaia di cervi o alcune migliaia di alberi; domani, condanneremo a morte noi stessi, privandoci degli strumenti che possano assicurarci la prospettiva di un futuro, per noi e per i nostri figli.

mercoledì 16 settembre 2009

Vogliono fare di internet tutta una "informazione corretta"


Il Giornale sarà anche capace, con il nuovo acquisto Vittorio Feltri, di sparare qualche bordata alla pretaglia. Ma quando si tratta di rientrare nei ranghi lo fa con collaudata esperienza.

Mi riferisco, in particolare, al caso mediatico inventato dal nulla riguardo un anonimo articolo rilasciato da un visitatore del noto sito di informazione alternativa Comedonchisciotte.org. I pennivendoli asserviti all'informazione a senso unico hanno creato un vero e proprio bailamme politico per quello che è uno dei tanti commenti che infarciscono il sito di informazione in questione, con tanto di sdegno dei ministri, articoli allarmati al TG1 e prime pagine (http://farm3.static.flickr.com/2443/3922439162_720211aed5_o.jpg) dei giornali.

Ma che è successo? In un articolo ospitato su Comedonchisciotte.org – che parlava della riforma Gelmini – un commentatore scrive così: “La Gelmini a questa riforma sta dando solamente il nome e la faccia. In realtà, l'artefice dietro le quinte di essa, il puparo, è l'ebreo Giorgio Israel. Come lo era Biagi, il riformatore della legge del lavoro, come lo era quel nano malefico di Brunetta.” Apriti cielo! Ecco che i nuovi Torquemada insorgono: gridano al ritorno dell'antisemitismo – quest'ultimo ormai è un termine che ha perso del tutto il suo significato originario, per diventare una sorta di demoniaca categoria concettuale estensibile a seconda delle esigenze di chi lancia questa accusa infamante – al ritorno della violenza, e chiedono, ovviamente, leggi più repressive in modo che il web possa diventare quello che la carta stampata e i media tradizionali sono già da molto tempo: megafoni della propaganda ufficiale e sionista.

Il concetto fila, per i frottolieri sionisti del Corriere, del Giornale, del TG1: siccome Biagi è stato ucciso, allora anche la vita di Giorgio Israel è in pericolo.

Tale accusa è talmente idiota che solo chi si beve quotidianamente le balle del TG4 – purtroppo la maggioranza della popolazione italiana – può prestarvi fede.

Non si vede infatti come mai la vita dell'esimio professore possa essere in pericolo: forse che i brigatisti, quando progettavano l'omicidio di Biagi, mandavano dei commenti anonimi su Comedonchisciotte?

E in cosa consisterebbe questo antisemitismo che ritorna? Forse nell'evidenziare che Giorgio Israel è ebreo? Non si vede proprio quale reato di lesa maestà ci possa essere. Affermare che un cristiano è un cristiano, che un musulmano è un musulmano, che un ebreo è un ebreo, non dovrebbe destare scandalo.

Bastava fare una cosa semplicissima: andare a leggersi il commento in questione nel contesto in cui è stato espresso. I pennivendoli in questione avrebbero capito che il sottolineare che l'ebreo Giorgio Israel è un ebreo voleva porre l'accento su eventuali influenze culturali o religiose che possono influenzare il professore nella sua attività di consigliere della Gelmini, ma non certo influenze etniche o razziali! Dubito che qualcuno avrebbe gridato al satanismo se si fosse trattato di un docente cattolico, o all'anti-islamismo se si fosse trattato di un docente musulmano.

Una questione non da poco, se pensiamo che il professore è un collaboratore del Ministero dell'Istruzione con una specifica mansione: valutare i libri di Storia contemporanea che i docenti devono adottare nella loro materia di insegnamento, e preparare poi i docenti stessi alla trattazione dell'Olocausto. Siamo sicuri che le credenze del professore – unite al suo acuto sionismo – non influenzino in alcun modo le sue scelte professionali? Di certo è difficile immaginarci Giorgio Israel che, presentando un convegno o una qualche relazione sulla shoa, si ponga in maniera equidistante tra la teoria ufficiale e la sterminata storiografia revisionista, costretta alla semi-clandestinità, al boicottaggio e alla persecuzione giudiziaria.

L'impressione che si ha – e che ho espresso anche in altri interventi – è che si voglia creare un caso per giustificare l'introduzione di nuove leggi liberticide: come hanno trasformato i media tradizionali in una cassa di risonanza dei poteri forti, così contano di fare con internet.

Sostanzialmente, ha ragione Berlusconi: i giornali e l'informazione italiana sono spazzatura. Inclusi i suoi.

lunedì 14 settembre 2009

Disgustose celebrazioni di una Nazione senza eroi


Non si può non tacere la disgustosa propaganda mediatica che, approfittando della morte di Mike Bongiorno, come un sol coro riempie viscidamente tutti i media.

Mike Bongiorno è morto. Il cordoglio, rapido e unanime, ha investito tutti i media. E' stato tutto un proliferare di dichiarazioni mielose e commosse; non una critica, non una voce fuori posto, non una nota dissonante nel variegato coro della propaganda.


Ma su questo si potrebbe anche passare sopra: è stato un presentatore televisivo che – nel bene e nel male – ha assistito al parto della televisione italiana. Merito della sua attività di spia partigiana al servizio degli invasori anglo-americani, che gli frutterà quelle conoscenze che poi gli permetteranno di essere il re del quiz e condurre trasmissioni di successo, entrate nella coscienza collettiva del pubblico-gregge. Insomma: è stato un personaggio di spettacolo, lo si voglia o non lo si voglia.


Ma, a parere del sottoscritto, i suoi meriti si fermano qui. Un po' poco per tributare a questo uomo i funerali di Stato. In base a che cosa ha ricevuto questo onore? Non è stato un importante medico che ha scoperto o ha contribuito a scoprire una cura contro qualche malattia; non è stato uno scienziato; non ha combattuto la mafia; non ha servito militarmente la propria Nazione morendo sul campo di battaglia. Dottori, scienziati e uomini di Stato (veri) spesso e volentieri sono morti senza ottenere dallo Stato alcun riconoscimento che non fosse puramente simbolico.


Mike Bongiorno è stato solo un importante personaggio televisivo italiano, che ha svolto per decenni il suo mestiere (venendo ampiamente retribuito), facendo il testimonial di qualunque marchio che lo pagasse bene. Da questo punto di vista ha sponsorizzato tutto e il contrario di tutto. Non ultima la pellicceria Annabella, che ha sulla coscienza il massacro a scopo di lucro di centinaia di migliaia di animali. E talmente tanto gli premeva pubblicizzare gli immondi capi dei massacratori di animali, che la sua gaffe in cui se la prende con Antonella Elia – apostrofando le persone che non indossano capi ottenuti da animali morti o che non mangiano carne come persone un po' strane, e dicendo “Per fortuna non sono tutti così” - è rimasta celebre. Tristemente celebre.



Io credo che se l'avessero pagato bene non avrebbe avuto remore a pubblicizzare anche le mine anti-uomo, o i kalashnikov. Ma è solo un'opinione del sottoscritto.


Ma, a parte tutte le considerazioni, c'è da disperare veramente della sorte di questo Paese se le più alte cariche di una Nazione si sentono in dovere di tributare i più alti onori ad un personaggio televisivo, solo un personaggio televisivo.


E' il segno che non abbiamo eroi, e li cerchiamo disperatamente, anche ricorrendo a quelli a buon mercato. Un ulteriore segno della decadenza morale e spirituale di questo Paese.

martedì 8 settembre 2009

Della dignità di Napolitano non sappiamo che farcene

Qualcuno mi chiede di commentare l'8 settembre e – non ultimo – le ultime frasette di un Napolitano partigiano (nel senso che è di parte) e ipocrita.

Cadono le braccia (e non solo quelle!) a sentire le ultime vergognose dichiarazioni di questo Presidente di una sola parte di italiani. Il quale riesce a dire le sue bestialità senza neanche arrossire: tipica attitudine alla menzogna.


Perché per dire che l'8 settembre fu un giorno in cui l'Italia guadagnò la dignità serve una faccia da culo grande così.


L'8 settembre è il giorno in cui l'Italia anticipò baracca e burattini per entrare nella parte avversaria, con un Re vigliacco che fugge verso l'invasore, accerchiato dal seguito reale e dai voltagabbana che si affollano davanti alla nave della fuga cercando anch'essi un posto. Mentre tutti di colpo si scoprono antifascisti, saranno i combattenti della RSI a tener fede all'alleanza con i camerati tedeschi, difendendo il suolo patrio dai gangsters a stelle e strisce. Spesso utilizzando solo il proprio corpo, essendo le armi e le munizioni inservibili, perché sabotate nelle fabbriche.


L'8 settembre l'Italia consuma uno dei più clamorosi voltafaccia e tradimenti della Storia moderna. E' difficile, nel vastissimo panorama storico, trovare anche solo qualcosa che possa anche solo assomigliare a quell'ignobile voltafaccia con il quale una Nazione, accortasi della difficoltà di continuare la guerra con il proprio alleato, passa baracca e burattini dalla parte avversaria.


E Napolitano questo lo chiama dignità. Bisognerebbe chiedergli conto di queste parole.


Potremmo liquidare le parole di Napolitano come il contributo di un Presidente della Repubblica partigiano e intimamente comunista che acriticamente svolge il suo ruolo in questa repubblichetta nata dalla Resistenza, cioè dalla vergogna e dalla resa all'invasore anglo-americano. Se facessimo ciò non sbaglieremmo. Ma io credo che il significato sia più profondo.


Se Napolitano ha potuto pronunciare queste frasi senza che nessun giornalista o storico gli chiedesse il conto, è perché, evidentemente, sa bene quello che può fare e quello che non può fare Sa, molto probabilmente, che la maggioranza degli italiani hanno supinamente accettato la grande menzogna, come un gigantesco gregge. In questo senso le nuove tecnologie e le possibilità di accesso all'informazione di una sempre maggiore parte della popolazione non hanno scalfito neanche di un millimetro il gigantesco muro di menzogne che hanno eretto i vincitori.


Probabilmente, il fatto di essere stato un partigiano fa si che Napolitano abbia una concezione di questo termine tutto particolare. Sappiamo che significato aveva il termine “dignità” per i partigiani. Se l'8 settembre, giorno dei traditori, è un giorno di dignità, è implicitamente sottinteso che chi combatté dall'altra parte non ne ebbe. Che Napolitano si permetta di offendere così centinaia di migliaia di combattenti dimostra ancora una volta la sua faziosità e la sua partigianeria. Ma il termine dignità ha un significato preciso, anche se lui lo usa a sproposito. La dignità non è dei traditori. La dignità è di chi combatte il nemico, e non lo cambia dalla sera alla mattina per ordine di un Re vigliacco e fuggiasco. La dignità è di chi sceglie di restare al suo posto di combattimento, di onorare un patto preso con i camerati che, prima ancora di essere politico, è umano e spirituale. La dignità è di coloro che scelsero di morire per dimostrare che l'Italia non era composta solo da voltagabbana e traditori, ma anche da uomini.


Si metta l'anima in pace Napolitano e gli eredi dei traditori del 43 e del 45: l'ultimo repubblicano di Salò vale mille volte più di tutti loro messi insieme. Perché avevano una cosa che Napolitano neanche risparmiando sulle sue generose prebende antifasciste potrebbe mai comprare: l'amore per la propria Patria e il coraggio di morire per difenderla.

giovedì 3 settembre 2009

La verità su Danzica: come iniziò la seconda guerra mondiale

Anche a distanza di settanta anni la Grande Menzogna sulla seconda guerra mondiale voluta e causata esclusivamente dalla follia di Adolf Hitler continua ed imperversa impunemente.

Secondo una storiografia falsa e menzognera, infatti, lo scoppio del secondo conflitto mondiale si ebbe a causa della volontà di conquista della Germania Nazionalsocialista, che – in attesa di dominare e sottomettere tutto il mondo al suo volere – fece le prove con la Polonia. Questa Nazione pacifica, infatti, venne invasa dalle truppe del Terzo Reich; Francia e Inghilterra intervengono a favore della Polonia. Scoppia la guerra.

C'è una sola parola per questa ricostruzione: balle.

Il punto di partenza per analizzare quale fu la scintilla che fece scoppiare la seconda guerra mondiale è essenzialmente uno: il diktat che le potenze mondiali imposero alla Germania sconfitta dal primo conflitto mondiale. Non fu solo un'imposizione dovuta all'acredine e al livore che i vincitori esercitano storicamente sui vinti. C'era qualcosa di più: l'espressa volontà, soprattutto da parte francese, di piegare per sempre la Germania e una sua eventuale rinascita. Anche per questo il pagamento degli interessi di guerra fu enorme: più di 132 miliardi di marchi. Non fu solo questo: il vergognoso embargo (anche alimentare) di cui fu vittima la Germania in seguito al primo conflitto mondiale portò alla morte per fame e malnutrizione di quasi un milione di tedeschi. Di questo olocausto – questo si storicamente dimostrato – nessuno ha mai pagato.

Lo stesso Winston Churchill esprimeva perfettamente le condizioni della Germania uscita dalla guerra con queste parole, pronunciate il 3 marzo 1919: "Stiamo mantenendo tutti i nostri mezzi di coercizione pienamente operativi...stiamo rafforzando il blocco con vigore...la Germania è prossima alla morte per fame. Le prove di cui dispongo...mostrano...il grande pericolo del collasso dell'intera struttura sociale tedesca e della vita nazionale, sotto la pressione di fame e malnutrizione."!

Tra le umiliazioni del diktat imposto alla nazione tedesca vi era anche la questione di Danzica. Questa, originariamente, era una città tedesca, abitata in larga maggioranza dai tedeschi, che fu tolta alla Germania. Meglio: secondo ciò che fu deciso dai vincitori, rimaneva una città tedesca, ma sottoposta a controllo polacco. Sinteticamente: una formula di comodo per sottrarre Danzica alla Germania e consegnarla allo Stato-cuscinetto (gli Stati-cuscinetto erano quelli Stati attraverso i quali ci si poneva l'obbiettivo di isolare totalmente la Nazione Tedesca) della Polonia.

Quest'ultima, sostenuta dall'Inghilterra e dalla Francia, si lasciò andare, nel corso del tempo, a sempre maggiori violenze nei confronti dei Tedeschi di Danzica. Ciò provocò le accese proteste della Germania hitleriana, che sempre si astenne dal provocare un vero e proprio conflitto armato. Esasperati da questo comportamento ostile e provocatorio, e assodata l'impossibilità di risolvere la questione se non per via militare, la Germania si decise, il 1 settembre 1939, ad intervenire con il suo esercito per portare soccorso a quei cittadini tedeschi vittime delle sevizie, dei massacri e delle torture dei polacchi. Due giorni dopo, il 3 settembre, Francia e Inghilterra – con la scusa di salvaguardare l'integrità territoriale della Polonia – dichiararono guerra alla Germania.

Già questo basta a smentire ampiamente la tesi di una Germania guerrafondaia, colpevole di aver causato la seconda guerra mondiale. Furono Francia e Inghilterra a dichiarare guerra alla Nazione Tedesca, e non il contrario, proprio mentre la Germania si accingeva a portare soccorso a quei cittadini che subivano le tremende angherie dei polacchi.

Del resto, che la salvaguardia dell'integrità territoriale della Polonia sia stata solo un pretesto, grazie al quale Francia e Inghilterra si accingevano a far riprecipitare ancora una volta la Germania (che Hitler aveva straordinariamente risollevato in tutti i settori economici, sociali e produttivi) nel baratro della decadenza, è testimoniato da un fatto.

In base al patto Ribbentrop-Molotov, l'URSS invase la Polonia da est il 17 settembre. Se è vero che gli inglesi e i francesi volevano difendere l'integrità territoriale della Polonia, come mai non dichiararono guerra all'Unione Sovietica?

A ciò si aggiunga il fatto che – proprio mentre i cittadini tedeschi di Danzica subivano tutta una serie di tremende mutilazioni e torture dai loro carnefici polacchi – Hitler si rifiutò sempre di far bombardare Varsavia, a causa della forte presenza di civili. Fu il comportamento esattamente opposto degli Alleati, che per tutta la durata della seconda guerra mondiale (anche oltre – come dimostrano Hiroshima e Nagasaki) non avranno alcuna esitazione a bombardare le città tedesche e italiane, anche quelle senza alcun obbiettivo militare o strategico. Due esempi su tutti: Cassino e Dresda.

Tutto ciò, ovviamente, viene subdolamente taciuto dai grandi poteri finanziari, massonici e transnazionali, per i quali la vittoria nella seconda guerra ha significato l'inizio del loro dominio usuraio e criminale sulla pelle dei popoli.

mercoledì 2 settembre 2009

I sinistri e Dino Boffo non hanno prezzo...

Devo dire la verità: bisognerà attendere ancora un po' per sapere come andrà a finire la querelle tra Avvenire e Il Giornale, il quotidiano della famiglia Berlusconi guidato nuovamente da Vittorio Feltri, e chi ha ragione.

Molto probabilmente sapete già di che cosa si tratta, cioè l'articolo al vetriolo che Vittorio Feltri ha sparato contro Dino Boffo, direttore di Avvenire, dalle colonne del Giornale che ha ripreso a dirigere da poco. Boffo, in particolare, avrebbe molestato telefonicamente la compagna di un uomo con il quale aveva una relazione omosessuale; per ottenere il ritiro della querela, avrebbe risarcito con una forte somma la vittima delle molestie.

La difesa di Boffo, strapazzata a tutto spiano non solo da Avvenire ma anche dal Corsera e da altre importanti testate giornalistiche italiane, è che le molestie sarebbero si partite dal telefono cellulare di Boffo, ma sarebbero state fatte da un tossicodipendente che lo stesso direttore di Avvenire aveva in cura. Il tossicodipendente, guarda caso, è morto, e non può pertanto confermare questa versione.

Gli ultimi aggiornamenti, nella ricostruzione fatta in questo articolo internet (http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-24/boffo-feltri2/boffo-feltri2.html) da LaRepubblica.it, sarebbero che il diretto interessato ha sempre negato qualunque addebito nei suoi confronti, e la sua versione di non essere lui l'autore delle telefonate non è stata presa in considerazione fin dal principio: a dimostrazione che neanche il GIP aveva concesso legittimità alla tesi di Boffo.

Ma, ammesso e non concesso che le cose siano andate veramente così, la sua difesa farebbe comunque acqua. Perché Boffo ha patteggiato la pena se non ha fatto quelle telefonate? Il reato di molestie è un reato a responsabilità penale; anche se le telefonate sono partite dal suo cellulare, nessun giudice l'avrebbe mai condannato per un fatto che non ha commesso.

Proprio qui gioca Il Giornale. Il quale utilizza quella che può a tutti gli effetti considerarsi una sorta di informativa anonima, già pervenuta a suo tempo sia alla CEI sia a diversi quotidiani.

Quel che è certo è solo una cosa: entrambi i contendenti, pretaglia da una parte e Feltri dall'altra, non ci fanno una bella figura.

Di Feltri ne vogliamo parlare? A lui va indiscutibilmente il merito di aver eseguito uno sputtanamento di Boffo che mi ha divertito particolarmente. Perché vedere questo personaggino, che cerca di fare i salti mortali per minimizzare il fatto che ha pagato 516 euro per aver molestato la compagna di un uomo con il quale (probabilmente) aveva una relazione, è semplicemente impagabile. E vedere questa sinistra, proprio questa sinistra che solo fino a poco tempo fa esibiva come fine eloquio le frasi di Jean Meslier, accorrere in difesa dei pretagli, è divertentissimo. Se c'è qualcuno che ha smarrito la coerenza alzi la mano. Per tutto il resto ci sarà pure MasterCard, ma questo non ha prezzo.

Tuttavia, a quanto apprendiamo, la nota informativa fornita a giornali e alla CEI da un anonimo (che Il Giornale ha indebitamente investito dei crismi dell'ufficialità) era vecchia di anni. Tirandola fuori adesso viene confermata la subordinazione della testata che fu di Montanelli alla linea politica berlusconiana. Ma poco male: lo sapevamo già.

E pensiamo a Boffo, rappresentante di quell'organismo che dovrebbe essere religioso (la CEI) e che invece pretende sempre più di sostituirsi al legittimo governo dell'Italia. Non passa giorno senza che qualche pretuncolo dia lezioni di moralità a Berlusconi e soci, vuoi per questioni d'alcova, vuoi per questioni di immigrati. In particolare su quest'ultima linea la CEI e Avvenire hanno avviato una intera campagna di delegittimazione dell'operato italiano, volto a ripristinare una sia pur minima sovranità territoriale italiana. In questo senso hanno palesemente dimostrato la loro natura espressamente politica. Boffo parte già squalificato. Ma la sua figura è ancor più meschina e ridicola ora che sappiamo, grazie a Vittorio Feltri, che è il meno adatto per dare lezioni di moralità a chicchessia, visto che, fino a prova contraria, aveva relazioni con un altro uomo e minacciava la compagna di questo per via telefonica. La cosa grave, sia detto per inciso, non è che Boffo sia omosessuale. Il grave è che ciò è ampiamente in contraddizione con la linea della Chiesa, di Avvenire e della CEI sugli omosessuali.

Ora – se qualcuno aveva ancora il dubbio – sappiamo che anche tra la pretaglia vi sono degli ipocriti. Che siedono anche su poltrone ambite, come quelle dei direttori di giornale.