mercoledì 26 agosto 2009

Perchè non anche la ciccio-fobia?

Credo che la coerenza e la serietà – almeno un minimo – debbano essere due elementi fondamentali che deve possedere chiunque, a maggior ragione se questo chiunque fa politica. Dispiace vedere che per quanto riguarda la signora Luxuria (al secolo Vladimiro Guadagno), attualmente in quota Rifondazione Comunista, tra le tante qualità che NON ha vi siano anche queste.

In seguito all'aggressione che hanno subito due ragazzi romani che partecipavano al Gay Village, la signora Luxuria ha rilasciato questa dichiarazione che merita di essere riportata per intero: «Mai vissuti, a mia memoria, tempi così bui a Roma. La città - dice Luxuria, più volte protagonista delle serate del Gay Village - è sempre più insicura per tutte le categorie deboli non solo per le donne. Ci sentiamo tutti meno sicuri e viviamo con terrore questo clima fatto di squadracce e spedizioni punitive. Stavolta è toccato a due persone che erano colpevoli solo del fatto che si stavano abbracciando».

Già la volontà di strumentalizzare politicamente un episodio criminoso è palese. Chi di noi, che magari è stato da poco a Roma, non ha mai visto questi gruppi di uomini, armati di fucili e “gay-detector” (mica li si riconosce dalla faccia!), dare la caccia agli omosessuali? Ci rimane solo l'ironia per commentare le dichiarazioni di un personaggio che evoca le spedizioni punitive quando invece si tratta di una sola persona, per la precisione un pluripregiudicato per spaccio di droga.

Tali dichiarazioni fanno il paio con quelle di Imma Battaglia, organizzatrice del GayVillage, che nel suo vaneggiare ha tirato fuori la perla del mese: «Non capisco perchè non lo abbiamo messo in carcere - attacca la Battaglia - . Da tempo sostengo che l'Italia deve firmare una legge sull'omofobia che deve essere considerata un'aggravante per questi reati. Il sindaco di Roma deve unirsi a noi in questa battaglia».

Ci faccia capire, la battagliera Battaglia... Abbiamo sempre pensato che in Italia, per dare un giudizio, si debba attendere quantomeno un processo, un grado di giudizio, qualcosa... La Battaglia, invece, sa già che il gesto criminale è a sfondo omofobo. Sa forse qualcosa che noi non sappiamo oppure ritiene che l'aggressione ai due ragazzi sia un aggravante solo perché le vittime sono gay? Vuole forse creare un sistema giudiziario che privilegi gli omosessuali in caso di aggressione?

Ciò conferma quello che dico da tempo. Che, con la scusa di tutelare delle categorie cosiddette “deboli”, si cerca subdolamente di far passare il messaggio che queste categorie abbiano bisogno di agevolazioni giuridiche. Detto in altre parole: con i grassi, i pelati, quelli con le orecchie a sventola, gli eccessivamente magri si può litigare benissimo. Attenzione però a non litigare con un omosessuale: si rischia la pena capitale, se si da' retta alla Battaglia e alla Luxuria. Perché quando viene picchiata una persona senza capelli non si parla di pelato-fobia, o se viene picchiata una persona grassa di trippo-fobia, o se si tratta di una persona con gli occhiali di quattrocchi-fobia?

Per far vergognare questi personaggi delle cretinate che dicono basterebbe un poco di buon senso. Che non possiamo certo aspettarci di trovare sui giornali italiani, sempre più strumento di potere di quella che si caratterizza come una vera e propria lobby.

A Vladimir Luxuria, per esempio, si dovrebbe far notare la sua mancanza di onestà e serietà. A parte il fatto che la spedizione punitiva era composta da una sola persona, come può lamentarsi per la mancanza di sicurezza a Roma proprio lei, che appartiene ad un partito che ha da tempo abbandonato la difesa dei lavoratori (ammesso e non concesso che un tempo l'abbia fatta davvero, questa difesa) per difendere tutto ciò che è indifendibile come assassini, stupratori, delinquenti? Che organizza un giorno si e l'altro pure campagne politiche volte a farci commuovere per i “poveri” carcerati? Che candida ex- assassini ed ex-terroristi, portandoli in Parlamento? Con che coraggio ora chiede più sicurezza? Solo perché – una volta tanto – hanno toccato “uno di loro”?

Ma se alle esternazioni della Luxuria ci siamo ormai abituati, sono ancora più scandalose quelle di Imma Battaglia. La quale dovrebbe capire che in uno Stato democratico tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, e che nessuno deve avere agevolazioni di alcun tipo, neanche se si tratta di un omosessuale. Se si crea un regime di agevolazione per i gay, perché non crearlo anche per i troppo grassi, per i troppo magri, per chi è senza capelli?

Come cittadino libero e vivente in uno Stato (che si definisce) democratico, voglio avere il diritto di provare schifo per chi mi pare e piace. E voglio avere il diritto di non commuovermi delle sofferenze altrui, se si tratta di persone o di categorie per le quali provo avversione. Provare schifo non è un reato, in Italia. La legislazione italiana non mi impone di amare gli animali alla follia, né di riempire la mia casa di cani o gatti; ma mi impone – e giustamente! - di non torturarli, non ucciderli, non causare loro inutili sofferenze, soccorrerli (intervenendo di persona o allertando le autorità competenti) se si trovano in difficoltà e/o in pericolo di vita.

Allo stesso modo, gli omosessuali non possono imporre agli altri di non provare schifo o indifferenza nei loro confronti. Ecco perché non va condannata l'aggressione a sfondo omofobo – come ripetono stupidamente i giornali italiani – ma solo e semplicemente l'aggressione. Che non è più grave solo perché è stata commessa contro dei gay. Sarebbe stata grave allo stesso modo anche se fosse stata commessa contro un eterosessuale, un bianco, un nero, uno di sinistra, uno di destra, un grasso, un magro, un pelato, un capellone.

Se discriminare è inaccettabile, lo è allo stesso identico modo quanto fare del favoritismo nei confronti di una persona solo in ragione delle sue preferenze sessuali.

martedì 25 agosto 2009

Da domani tutti all'Ikea

E' semplicemente vergognoso il modo in cui la sempre “appecoronata” stampa italiana registra, in poche righe, la querelle tra la Svezia e Israele.

Per capire al meglio la situazione, immaginiamo questo scenario. Poniamo che un giornale svedese di nome Aftonblandet pubblichi una inchiesta in base alla quale si evince che in Iran – con la complicità delle più alte cariche di Stato e militari – si pratichi un redditizio quanto disgustoso traffico di organi. Vi immaginate cosa succederebbe? Il ministro degli esteri Israeliano con delega all'Italia, Franco Frattini, si muoverebbe immediatamente presso la comunità internazionale per accertarsi della questione, rilascerebbe dichiarazioni di fuoco; l'intera comunità politica europea esigerebbe di mandare gli ispettori a perlustrare l'Iran da cima a fondo, si chiederebbero a quest'ultimo rassicurazioni, smentite, dimostrazioni e prove inconfutabili... e forse neanche queste basterebbero.

Tale scenario si è effettivamente verificato, ma solo nella prima parte – quella del giornale svedese che pubblica l'inchiesta – e con un nome diverso. Non quello dell'Iran, bensì quello che solo gli idioti o i malafede si accaniscono a chiamare l'unica democrazia del Medio Oriente. Il piccino e povero staterello indifeso che di nome fa Israele.

Secondo Aftonblandet, infatti, il commercio di organi che i rabbini ebrei avevano avviato negli Stati Uniti ha solide ramificazioni in Israele, con la complicità di alte personalità dell'esercito.
L'articolo in questione – apparso su quello che è uno dei più conosciuti giornali svedesi – citava fonti vicine all'FBI, nonché le stesse trascrizioni di alcuni rabbini coinvolti nello scandalo americano.

Ovviamente Israele ha protestato (indovinate come è stata definita la questione?) e ha richiesto la pronta reazione del governo. Abituati ad essere prontamente “ascoltati”, i sionisti non sono abituati ai NO dell'Europa. Ovvio che quando qualcuno alza la testa – magari rivendicando quella autonomia di pensiero e di indagine giornalistica con la quale ci si riempie spesso e volentieri la bocca a vanvera – per gli israeliani ciò costituisca una sorpresa. Come si permettono questi goym? Antisemiti!

La stampa europea, a parte qualche lodevole eccezione, tace democraticamente. In Italia il Corsera si limita a scrivere qualche riga (indovinate da quale punto di vista)... I giornalisti italiani hanno la bocca tappata, cucita a doppio filo. Chiunque parli male di Israele – o, peggio, non ne parli in toni entusiastici – è immediatamente bollato come un antisemita da boicottare e da espellere dal consesso degli uomini civili. Ragion per cui si tace sul genocidio che da anni si attua contro il popolo palestinese, sui continui massacri contro gli inermi, sull'espansione illegale delle colonie, sulle 300 bombe atomiche che tutti fanno finta di non conoscere...

Israele prepara il divieto di transito sul suo territorio per i cittadini svedesi e annuncia il boicottaggio dell'Ikea, tacciando la questione con parole di fuoco che definiscono Aftonblandet “un infame libello antisemita” dello stesso livello di quelli che nel Medioevo accusavano gli ebrei di preparare il pane azzimo col sangue dei bambini cristiani. Associazione di idee maliziosa. Excusatio non petita...

sabato 22 agosto 2009

Iran e Afghanistan: esempi di malafede mediatica

Molti di voi ricorderanno quanto le elezioni iraniane che hanno riconfermato nuovamente Ahmadinejad siano state, in Italia, la materia preferita di un vero e proprio esercito di sgherri armati di penna i quali, dietro il paravento falsamente pluralista dei giornali e delle TV, hanno fatto da cassa di risonanza alla propaganda israelo-americana, volta a descrivere il popolo iraniano come sottomesso alla tirannia di quello che è descritto come un estremista, fanatico e visionario, e tutta protesa a lodare e ad esaltare i novelli martiri della libertà iraniani che si sono riversati in piazza a protestare alla maniera della sinistra occidentale: aggredendo le forze dell'ordine, devastando negozi e vetrine, dando fuoco ai cassonetti etc.

In quel frangente furono diverse le voci che fecero notare che forse le manifestazioni di piazza anti-Ahmadinejad non fossero propriamente spontanee, e che molto probabilmente molte di quelle proteste, presentate dalla stampa come spontanee e pacifiche, erano manipolate da qualcuno dietro le quinte.

Ovviamente le accuse più scontate (delle vere e proprie “mannaie” ideologiche che si abbattono su chiunque osi fare delle considerazioni controcorrente rispetto al diktat del pensiero unico) furono quelle di antiamericanismo e di essere dei complottisti paranoici.

Ora anche i più scettici possono convincersi che coloro che avevano denunciato presunte intromissioni straniere in Iran non avevano visto sbagliato.

E' stata la stessa Hillary Clinton, in una intervista del 9 agosto scorso rilasciata alla rete CNN, ad affermare chiaramente che gli americani – utilizzando anche il famoso portale internet Twitter – avevano sostenuto l'opposizione anti-Ahmadinejad, che rifiutava di riconoscere onestamente una sconfitta elettorale
dove il Presidente iraniano aveva superato il suo rivale di ben 10 milioni di voti circa. Il tutto – ma questo la Clinton non lo dice – allo scopo di destabilizzare sempre più la società iraniana a discapito di Ahmadinejad stesso.

L'informazione italiana non ne ha fatto minimamente cenno.

Insomma: cambia la situazione economica, cambiano i governi, ma i metodi utilizzati dagli Stati Uniti sono sempre gli stessi. Bush o Barack Obama cambia poco. Ne prendano atto i soliti idioti che costantemente – alla elezione di qualunque Presidente americano appartenete allo schieramento dei democratici – cianciano di “nuovo corso”.

Cambiando scenario, se andiamo in Afghanistan notiamo come la solita stampa menzognera, sempre accondiscendente alle direttive della Casa Bianca, vorrebbe farci credere che le elezioni che lì si stanno tenendo in queste ore siano libere e democratiche.

Come se in una Nazione che soffre da diversi anni l'occupazione di una potenza straniera, la cui economia è a dir poco agonizzante, in cui il potere dei vari clan è di fatto la reale forza operativa sul territorio, vi possano essere elezioni libere e democratiche!

Poi conosciamo tutti la buona fede americana: è loro abitudine, dopo aver incenerito uno Stato, non intromettersi minimamente nella scelta dei candidati per le elezioni. Le quali non sono – come pensiamo noi maliziosi – delle elezioni farsa grazie alle quali gli USA si aspettano di sistemare i loro uomini al vertice statale, ma sono reali espressioni di potere e democrazia.

Sostanzialmente, quindi, si è riusciti da una parte nell'intento di far apparire Ahmadinejad – la cui vittoria è stata certificata anche dagli osservatori internazionali – come un dispotico tiranno, tacendo vergognosamente sui tentativi di destabilizzazione attuati dagli americani contro il suo governo; dall'altra si descrivono le elezioni afgane come elezioni democratiche...

Insomma: chiunque pensi che in uno Stato che subisce una violentissima occupazione militare da parte degli Stati Uniti vi possano essere delle elezioni libere, con candidati scelti democraticamente e non invece imposti dagli USA stessi, è un idiota, oppure in malafede. Indovinate a quale categoria appartengono i nostri giornalisti.

mercoledì 19 agosto 2009

Degenerazione giovanile, o giovani degenerati

Non si può fare a meno di provare un misto di tristezza e sgomento alla notizia della morte della giovane ragazza che ha partecipato al “rave” a Siena.


Partecipava al “delirio” (così si traduce in italiane il termine “rave”) e di colpo è crollata a terra. Ventitré anni di gioventù e di vita buttati via in nome dello sballo. Lo sballo, il rave, la scimmia, lo stono... tutte componenti fondamentali per quel gigantesco parco buoi all'interno del quale una stragrande maggioranza di degenerati – al ritmo di una musica che è impossibile ascoltare senza avere gravi danni all'apparato uditivo – si drogano, scopano, si drogano e riscopano senza sosta.

Del resto, non c'è nessuno che controlli, che sorvegli, che possa anche solo intervenire nel caso qualcuno si senta male, come è effettivamente successo. Tutto il “rave” è meticolosamente organizzato e preparato nel più assoluto silenzio e riserbo degli organizzatori e dei partecipanti, i quali non usano neanche gli sms o la posta elettronica, ma messaggi appositamente difficili da decifrare, comprensibili solo dagli addetti ai lavori. Così tutto può avvenire in sordina e, ovviamente, in maniera assolutamente illegale. Se così non fosse non potrebbe entrare quella enorme quantità di droga pesante che ti permette di stare in piedi per ore e ore, a ballare una musica che è enormemente alta e che negli stessi ritmi e suoni, eternamente monotoni e ripetitivi, confonde la mente.


Così, una o due ore prima che cominci la festa, si assalta il capannone abbandonato o il bosco non frequentato, si piazzano gli amplificatori e la strumentazione, e la festa può cominciare. Centinaia di sottosviluppati, pertanto, si accalcano sotto il palco, pronti a fare baldoria. E magari anche a morire. Il tutto avviene lontano dalla civiltà. I sub-umani scelgono appositamente luoghi fuori mano o poco frequentati, proprio perché la civiltà non possa entrare nel loro mondo. E così, quando hanno provato a chiamare l'ambulanza per soccorrere la ragazza, neanche il cellulare è riuscito a connettersi alla rete telefonica. Vigliacchi, fino all'ultimo. Pronti a rifiutare la civiltà e le sue regole nel nome dello sballo, ma altrettanto pronti a chiedere aiuto a quella stessa civiltà quando qualcuno di loro non regge. Un po' come l'altro ragazzo che, qualche anno fa, scappò di casa appositamente per partecipare ad un rave ma che poi, prima di morire, chiamò il padre dicendogli: “Papà vieni, mi sento male”. Irresponsabile fino all'ultimo secondo.


Con questa genia di sottosviluppati, c'è da augurarsi che Andreotti e soci campino altri cent'anni.


Come se non bastasse questa drammatica scena, siamo costretti a sorbirci i vari Don Mazzi della situazione, che ci caricano dei loro sermoni e delle loro litanie appositamente studiate per nascondere agli occhi di noi tutti l'evidenza: che i “loro” figli – educati alla trasgressione di ogni valore e di ogni regola (siamo nell'Italia nata dalla Resistenza, del resto!) – sono dei criminali senza arte né parte, viziati e cacasotto. Figli di genitori che li hanno fatti semplicemente per aver infilato un pene dentro una vagina, e non per altro...


Intendiamoci: Don Mazzi è uno dei pochi, in questo Paese, che può permettersi di andare in TV a parlare di problemi di giovani. Perché è uno di quei pochi che, oltre a parlare, si sporca quotidianamente le mani, venendo a contatto con situazioni familiari e personali spesso disastrose. E' uno che ha agito, che agisce, e che quotidianamente lotta per salvare migliaia di giovani dalla droga e dalla dipendenza dall'alcol. Si aggira intorno ad una quota di circa 100.000 casi di ragazzi aiutati con la sua comunità, Exodus. Molto meglio della stragrande maggioranza dei politici.


Ma sarebbe ora di farla finita con i falsi moralismi. Bisognerebbe dire a questi sub-umani che se vogliono sballarsi e “andare fuori” , senza lo Stato e la società in mezzo alle palle, devono anche affrontare le conseguenze. Si sono auto-esiliati dalla società per potersi drogare come dei citrulli? Bene: non chiedano l'aiuto della società se poi cadono come dei sacchi di patate. A nessuna ambulanza dovrebbe essere permesso di soccorrere chi si sente male ad un rave-party: si dia la precedenza a chi torna dal lavoro e ha un incidente stradale, o a chi cade dal ponteggio mentre costruisce una casa! Perché io, che magari ho avuto un disgraziato incidente stradale mentre tornavo dal lavoro, devo essere penalizzato rispetto ad un ragazzino viziato e drogato che non sapeva come impiegare in maniera più prolifica il proprio tempo?


Si organizzino da soli l'assistenza medica e il servizio di vigilanza, senza esigerlo dallo Stato! Con tutti i soldi che si fanno dalla vendita delle droghe qualche cosa potranno pur permettersela!


E basta con questo disagio dei giovani!! Non se ne può più di questa litania!! Se abbiamo un disagio noi cosa dovrebbero dire i nostri padri o i nostri nonni, che uscivano da un Italia logorata dalla guerra? Noi giovani abbiamo praticamente tutto, e non abbiamo neanche dovuto sudarcelo eccessivamente, e in molti casi non abbiamo dovuto sudarcelo affatto! Vuoi viaggiare? Con 30 euro vai nelle principali capitali europee! Vuoi conoscere gente? E' pieno di locali, di palestre, di discoteche, di internet points grazie ai quali con un click vai dall'altra parte del mondo, conosci persone che altrimenti non avresti mai conosciuto, ascolti musica...! Vuoi fare sport? Hai solo l'imbarazzo della scelta! Possiamo fare mille cose, che i nostri padri non hanno potuto fare, o hanno potuto fare solo a prezzo di grandi sacrifici! Ragion vorrebbe che ce le tenessimo care! E invece ne abusiamo, da buoni pidocchi arricchiti!


Anzi, dirò di più: i sottosviluppati vogliono drogarsi e sballare? Bene, che lo facciano pure! In un mondo in cui il materiale umano è scadentissimo, possiamo quantomeno augurarci che questa gentaglia si avvi volontariamente all'autoestinzione a suon di canne, cocaina e LSD, dimmodo che ci sia più “spazio vitale” per noi.

giovedì 13 agosto 2009

Sulla sentenza del TAR e laicità dello Stato

Chiunque abbia a cuore la laicità dello Stato Italiano – oggi fortemente compromessa da una pretaglia sempre più invadente ed arrogante – non può non concordare, in linea di principio, con la sentenza del TAR, fonte di un acceso dibattito in questi giorni, la quale afferma che il voto di religione non può concorrere a fare media e che gli insegnanti di religione non possono partecipare agli scrutini.


Messa così, tale sentenza è a parere di chi scrive sostanzialmente condivisibile. Un sentimento, una indole, un percorso spirituale, cose che per la loro stessa natura sono private, attinenti alla sfera più intima dell'uomo, tali devono restare.


In ciò, lo Stato non deve assolutamente intromettersi. Uno Stato, per correttezza verso tutti i credenti di tutte le religioni, dovrebbe ignorare tutte le fedi, incluse quella cattolica, oppure metterle tutte sullo stesso piano. Ma così facendo dovrebbe riconoscere pari dignità anche a quelle religioni che, per così dire, godono di una pessima fama, come i fedeli di Scienthology o i cultori di Satana e del demonio. Poichè la religione cattolica è comunque la religione della maggior parte degli italiani, allora lo Stato deve coerentemente ignorare tutte le fedi, maggioritarie o meno che siano.


Ma, attenzione, ciò non vuol dire assolutamente condividere lo scopo delle associazioni che questa battaglia l'hanno vinta. Andando a vedere, infatti, troviamo associazioni laiche come l'Unione degli Atei Agnostici e Razionalisti, i luterani, l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, l'Unione degli Studenti, e via dicendo. Tutte associazioni che si battono, chi più chi meno, per la multirazzialità e l'imbastardimento totale dell'Europa, in nome del pensiero conformista massonico e mondialista. Certo, certo: in questo elenco fanno eccezione come al solito gli ebrei credenti, i quali studiano e leggono il Talmud – testo esplicitamente razzista e discriminatorio nei confronti dei non ebrei – come testo fondamentale della loro fede.


Ma la sostanza non cambia. Se la poltiglia filo-mondialista e comunista che ha la sua testa d'ariete in questo gruppo di associazioni può esultare, per essere riuscita ad infliggere un altro colpo alla Chiesa Cattolica, possiamo rallegrarci un minimo anche noi Fascisti, ma per motivi diversi. Che questo sia il nuovo percorso per togliere alla pretaglia vaticana le sue posizioni di potere? Se ristabilisce l'autorità dello Stato ben venga!


Certo, ci sarebbe piaciuta una motivazione della sentenza diversa da parte del TAR, che si è mosso proprio nell'ottica dell'imbastardimento culturale, ipocritamente chiamato “multirazziale”. Sarebbe stato bello se avesse motivato la sua decisione con la necessità di salvaguardare interamente il gigantesco patrimonio culturale che la latinità – prima che il cristianesimo, alla fine del III secolo d.C., prima con Costantino e poi definitivamente con Teodosio diventasse religione di Stato – cosiddetta “pagana” ci ha lasciato, e nei confronti della quale siamo ancora debitori.


A ben guardare, però, il TAR si da' la zappa sui piedi quando scrive che “lo Stato non può conferire ad alcuna religione una posizione dominante, violando il pluralismo ideologico e religioso”. Fermo restando il pluralismo ideologico e religioso, che nessuno si sente di mettere anche solo lontanamente in discussione, è la stessa Costituzione Italiana che – a torto o a ragione – riconosce al Cattolicesimo una supremazia come religione della maggior parte degli italiani. Volenti o nolenti, esso è quindi in una posizione dominante di fatto. E' stato un grave errore, pertanto, sottovalutare questo aspetto. Io credo che sarà proprio su questo che punterà il ricorso che, a quanto pare, il Ministero dell'Istruzione vuole fare. Come mai un governo, come quello di centro-destra, voglia difendere una pretaglia vaticana che in questi mesi si è distinta per le sue bordate contro provvedimenti giusti come il respingimento via mare dei clandestini, più varie ed eventuali, è un altro discorso.

domenica 9 agosto 2009

Doppiopesismo vendoliano

Mi stupisco di stupirmi ancora una volta di una sinistra italiana in stato comatoso che, abbandonata da tempo la difesa dei lavoratori – ammesso e non concesso che l'abbia mai fatta davvero, questa difesa – non perde occasione per dar prova della sua ipocrisia e del suo doppiogiochismo politico.

Ricordate il mantra con il quale noglobals, comunisti falliti e/o pentiti, ex comunisti, neo comunisti, comunisti riciclati, girotondini, sabinianiguzzantiani, morettiani e sinistrorsi vari ci hanno riempito le orecchie (per non dire altro) per anni? Era un ritornello che più o meno recitava così: “Berlusconi si faccia giudicare dalla magistratura, senza fare leggi ad personam e senza fuggire dalla giustizia”.


Intendiamoci: è un pensiero giustissimo, che va condiviso pienamente, a maggior ragione se si parla di Berlusconi, che ha oggettivamente reso molto più difficile le indagini relative a reati in cui era imputato lui e i suoi accoliti, diminuendone inoltre le pene.


Ricorderete sicuramente che, quando qualcuno osa chiamare in causa l'eccessiva politicizzazione della Magistratura (che c'è, è innegabile), lo si accusa di essere un servo di Berlusconi. Il marchio di infamia basta a silenziare qualunque discussione.


Coerenza vorrebbe che ciò che si predica per gli avversari politici debba valere anche per se stessi o per la propria parte politica.


Certo, certo... quando il gossip più becero e la giustizia dei TG si abbattono su Berlusconi, pretendendo di entrare anche nella sua camera da letto, nessuno ha niente da dire, Vendola incluso. Ma quando invece tocca alla sinistra finire sui giornali, non sia mai!


Nichi Vendola – di Sinistra e Libertà (tanto poca fantasia hanno, questi sinistri, che hanno dovuto copiare da noi pure il nome!) - era uno di quelli che del mantra suddetto ne ha fatto un suo cavallo di battaglia.


Ora che l'inchiesta che partì da Tarantini e dalle troie di Berlusconi arriva sui dorati lidi di quella sinistra che si è sempre pensata come la sovrana rappresentante di qualunque virtù umana e politica, il Vendola non ci sta. Grida al complotto. E che complotto! Quello delle toghe, cioè di una Magistratura che di destra non è mai stata, anzi!


Non solo. Vendola fa di più. Prende la penna ed esprime tutta la sua indignazione a Digeronimo, il pm che indaga sulla gestione degli appalti in Puglia e sui troiai annessi e connessi. Una sorta di pizzino... Immaginate voi che cosa sarebbe successo se una cosa del genere l'avesse fatta Berlusconi, o qualcuno dei suoi! Apriti cielo!


Avremmo visto intere schiere di labbroni pariettati, comunisti e girotondini della peggior risma gridare al regime, al ritorno del Fascismo (sembra che portino anche sfiga: grida e rigrida ma il Fascismo non torna mai), ad un Berlusconi dittatore che osa interferire nelle indagini della Magistratura.


Invece quando al complotto delle toghe grida la sinistra tutti zitti.


Ma Vendola ci rassicura prontamente e ci dice: “Io ho fiducia nel genere umano”. Anche noi. Per questo confidiamo nel fatto che il prima possibile spariscano il comunismo e i comunisti.

mercoledì 5 agosto 2009

La scia di menzogne di un grande cacciatore di nazisti

Visto su: www.comedonchisciotte.org

*****

DI GUY WALTERS
timesonline.co.uk

Simon Wiesenthal, famoso per la sua ricerca di giustizia, catturò meno criminali di guerra di quanti abbia mai vantato e inventò buona parte della sua storia di sopravvissuto all’Olocausto

Il nome di Simon Wiesenthal è diventato sinonimo di caccia ai nazisti fin dai primi anni Sessanta. Aveva la reputazione di un santo. Nominato quattro volte al Premio Nobel per la pace, insignito del titolo di Cavaliere onorario dell’Impero britannico, della Medaglia della Libertà del presidente U.S.A., della Légion d’honneur francese e di almeno altre 53 onorificenze, gli sono spesso stati attribuiti circa mille e cento “scalpi” nazisti. È ricordato, soprattutto, per i suoi sforzi volti a rintracciare Adolf Eichmann, uno dei più famigerati criminali di guerra.

La sua reputazione, però, è costruita sulla sabbia. Era un bugiardo, e nemmeno tanto bravo. Dalla fine della seconda guerra mondiale alla sua morte nel 2005, ha mentito ripetutamente tanto sulla sua presunta caccia a Eichmann quanto sui suoi altri exploit nella caccia ai nazisti. Ha anche architettato storie esagerate sulla sua vita durante la guerra e rilasciato false affermazioni sulla sua carriera universitaria. Le incongruenze che si riscontrano tra le sue tre principali biografie e tra queste e i documenti coevi sono talmente numerose da rendere impossibile trarne un racconto affidabile. Lo scarso riguardo di Wiesenthal per la verità è tale che tutto ciò che ha scritto o detto può essere messo in dubbio.

Qualcuno potrebbe pensare che sono duro nei suoi riguardi e che corro un rischio professionale in quest’apparente alleanza con le vili schiere dei neonazisti, dei revisionisti, dei negazionisti e degli antisemiti. Io mi situo saldamente al di fuori di tali squallidi circoli, e la mia intenzione è lottare per strappare alle loro grinfie le critiche a Wiesenthal. La sua è una figura complessa ed importante. E se è esistito un movente per la sua duplicità, è probabile fosse radicato nei suoi buoni propositi. Di fatto, le sue menzogne non sono le uniche scioccanti scoperte che ho fatto nel corso delle mie ricerche sulla fuga dei criminali di guerra nazisti. Infatti, ho riscontrato la mancanza di volontà politica a dare loro la caccia. Sarebbe stato possibile assicurarne molti alla giustizia se i governi avessero destinato risorse, anche solo esigue, alla loro ricerca.

È anche grazie a Wiesenthal che l’Olocausto è stato ricordato e documentato in modo adeguato, e questo è forse il suo lascito più grande. È vero che assicurò alla giustizia alcuni nazisti, ma il loro numero non si avvicina neppure a quello asserito, e nel novero di sicuro non figura Eichmann. Non c’è spazio, qui, per fare l’autopsia alle sue pretese in quanto cacciatore di nazisti, quindi mi limiterò ad alcuni episodi relativi a prima e durante la guerra, che sono al cuore del mito di Wiesenthal.

Wiesenthal nacque nel 1908 a Bučač, in Galizia, che allora faceva parte dell’Impero asburgico e ora si trova in Ucraina. Dopo la prima guerra mondiale, Bučač cambiò di mano frequentemente tra le forze polacche, ucraine e sovietiche. Nel 1920 l’undicenne Wiesenthal fu attaccato da un cavaliere ucraino che con una sciabola gli squarciò la coscia destra fino all’osso. Wiesenthal considerava la cicatrice come parte di una lunga serie di prove del fatto che una “potenza invisibile” – che lo voleva vivo per uno scopo preciso – lo proteggeva da morte violenta.

Il suo retaggio era l’ideale per ogni aspirante affabulatore. Come molti in Galizia, Wiesenthal aveva trascorso l’infanzia immerso nel genere letterario polacco delle ‘bufale’ narrate intorno alla tavola la sera. Nella Bučač degli anni Venti, la verità era un concetto relativamente elastico. A 19 anni si iscrisse ad architettura presso l’Università Tecnica di Praga, dove scoprì il sua vera vocazione di cantastorie e calcò le scene come cabarettista.

I suoi studi andavano meno bene. Sebbene molte biografie, compresa quella sul sito internet del Simon Wiesenthal Center, affermino che conseguì la laurea, in realtà non portò mai a termine il corso. Secondo alcune biografie, prese un diploma di ingegnere civile al Politecnico di Leopoli in Polonia, ma dagli archivi di stato della città non risulta che vi abbia mai studiato e il suo nome non compare nell’albo prebellico degli architetti e dei costruttori della Polonia. Per tutta la vita sostenne fraudolentemente di avere una laurea; la sua carta intestata ne fa orgogliosa mostra.

Anche i suoi drammatici racconti sulla seconda guerra mondiale presentano grandi discrepanze. Wiesenthal si trovava a Leopoli quando la città fu presa dai nazisti. Sosteneva di essere stato arrestato, assieme ad un amico ebreo di nome Gross, alle 4 del pomeriggio di domenica 6 luglio. Questa è una delle poche date che rimangono costanti nella sempre mutevole storia della sua vita, ma ogni volta che è così specifico, in genere sta mentendo.

I due vennero portati a forza in prigione e furono allineati in un cortile con una quarantina di altri ebrei. La polizia ausiliaria ucraina cominciò a giustiziare un prigioniero alla volta con un colpo alla nuca, avanzando verso Wiesenthal. Questi fu salvato dallo scampanio della chiesa che annunciava il vespro. Incredibilmente, gli Ucraini interruppero l’esecuzione per recarsi a pregare. I sopravvissuti furono condotti in cella, dove Wiesenthal afferma di essersi addormentato. Fu svegliato da un amico ucraino della polizia ausiliaria che salvò lui e Gross dicendo loro di fingere di essere spie russe. Furono interrogati brutalmente — Wiesenthal perse due denti — ma infine furono liberati dopo aver pulito l’ufficio del comandante.

La storia di questa fuga sensazionale – una delle più famose narrazioni della guerra di Wiesenthal e certamente una storia che ha contribuito ad affermare la nozione della sua missione divina — è in tutta probabilità una totale invenzione. È certo che gli Ucraini effettuarono progrom brutali a Leopoli all’inizio del luglio 1941, ma essi furono seguiti da una pausa e non ripresero fino al 25 luglio. Secondo la testimonianza che Wiesenthal rese agli investigatori dopo la guerra, egli fu in realtà arrestato il 13 luglio e riuscì a scappare “grazie ad una mazzetta”. Spostando l’arresto al 6 luglio, come fece in seguito, la sua storia si adattava meglio alla tempistica dei progrom.

Alla fine di quell’anno, Wiesenthal si trovava a Janowska, un campo di concentramento nella periferia di Leopoli. Gli fu assegnato il compito di dipingere insegne naziste su motori ferroviari sovietici, e così fece amicizia con Adolf Kohlrautz, l’ispettore tedesco dell’officina, che era segretamente antinazista. Il 20 aprile 1943, a quanto pare, Wiesenthal fu nuovamente selezionato per un’esecuzione di massa. Le SS di Janowska lo scelsero tra alcuni ebrei perché fosse giustiziato in una tetra celebrazione del 54° compleanno di Hitler. I prigionieri camminarono in silenzio verso un’enorme buca profonda quasi 2 metri e lunga 460. All’interno si potevano scorgere alcuni cadaveri. Furono costretti a spogliarsi e vennero sospinti in fila indiana lungo un corridoio di filo spinato noto come “il tubo” per essere giustiziati uno ad uno sul bordo della fossa.

Un fischio interruppe gli spari, seguito dal grido: “Wiesenthal”! Una SS di nome Koller corse avanti e disse a Wiesenthal di seguirlo. “Barcollavo come un ubriaco”, Wiesenthal rievocò in seguito. “Koller mi diede due schiaffi e mi riportò sulla terra. Stavo percorrendo il tubo in senso inverso, nudo. Dietro di me, il suono degli spari riprese ma finirono molto prima che io arrivassi al campo”. Ritornato all’officina, trovò un Kohlrautz raggiante che aveva convinto il comandante del campo che era essenziale mantenere Wiesenthal in vita per dipingere un manifesto raffigurante una svastica e le parole “Ringraziamo il nostro Führer”.

Secondo Wiesenthal, il 2 ottobre 1943 Kohlrautz lo avvertì che il campo e suoi prigionieri sarebbero stati presto liquidati. Il Tedesco diede a lui e ad un amico dei pass per recarsi in una cartoleria in città accompagnati da una guardia ucraina. Riuscirono a scappare dal retro mentre l’Ucraino li attendeva davanti al negozio. Ancora una volta sembrava aver ingannato la morte in modo miracoloso. Ma di questa storia esiste solo la sua versione. Secondo Wiesenthal, Kohlrautz fu ucciso nella battaglia di Berlino nell’aprile 1945. Tuttavia raccontò ad un biografo anche che Kohlrautz fu ucciso sul fronte russo nel 1944. E in un affidavit dell’agosto 1954 sulle persecuzioni da lui subite in tempo di guerra, omise del tutto questo racconto. Sia in questo documento che nella testimonianza agli americani del maggio 1945, fece menzione di Kohlrautz senza dire che il Tedesco gli salvò la vita.

Da questo punto della guerra in poi è impossibile stabilire in modo affidabile il corso degli eventi vissuti da Wiesenthal. Gli almeno quattro resoconti estremamente diversi sulle sue attività tra l’ottobre 1943 e la metà del 1944 — che comprendono anche un suo presunto ruolo da ufficiale partigiano — pongono seri interrogativi. Alcuni, come Bruno Kreisky, ex cancelliere austriaco, accusarono ripetutamente Wiesenthal di essere un collaboratore della Gestapo negli anni Settanta e Ottanta. Le affermazioni di Kreisky erano supportate da prove non dimostrate provenienti dai governi polacco e sovietico. Wiesenthal gli fece causa e vinse.

Qualunque sia la verità, nel novembre 1944 Wiesenthal era a Gross-Rosen, un campo vicino a Breslavia. Alla sua biografa Hella Pick, raccontò che era costretto a lavorare scalzo nella cava del campo e presto scoprì che la squadra di cento prigionieri assegnati a quel kommando si riduceva di uno al giorno. Dopo qualche giorno fu sicuro che si stava avvicinando il suo turno. “Il mio carnefice era dietro di me”, raccontò, “pronto a fracassarmi la testa con una pietra. Mi girai e l’uomo, sorpreso, la fece cadere. Mi schiacciò le dita dei piedi. Gridai”.

A quanto pare, la repentina reazione e il grido di Wiesenthal gli salvarono la vita perché quel giorno c’era una qualche ispezione — pensò che poteva essere della Croce Rossa — e così fu portato in barella al centro di pronto soccorso. Il dito gli fu tagliato senza anestesia mentre due uomini lo tenevano fermo. Il giorno seguente, disse Wiesenthal, era in agonia. “Il dottore tornò e vide che avevo una bolla infettata sulla pianta del piede. Così la incisero e la cancrena sprizzò per tutta la stanza”.

Ancora una volta, uno dei “miracoli” di Wiesenthal dà adito a dubbi. Primo, la storia non compare in alcuna altra biografia o dichiarazione. Secondo, se davvero quel giorno ci fosse stata un’ispezione della Croce Rossa a Gross-Rosen, allora le SS avrebbero temporaneamente sospeso tutte le esecuzioni, ma, in realtà, alla Croce Rossa non era permesso accedere ai campi di concentramento in quel periodo. Terzo, le conseguenze mediche sembrano completamente inverosimili.

Poco tempo dopo, secondo il racconto di Wiesenthal, dopo che Gross-Rosen fu evacuato, egli riuscì a percorrere a piedi oltre 170 miglia verso ovest fino a Chemnitz. Camminare con un piede in cancrena e un dito amputato di recente deve essere stato atroce. Invece di indossare una scarpa, aveva la manica di un vecchio cappotto avvolta attorno al piede con del filo di ferro. Usò un manico di scopa come bastone. Dei seimila prigionieri che lasciarono il campo solo quattromila e ottocento raggiunsero Chemnitz. Con il piede infetto, Wiesenthal fu fortunato ad essere uno di loro.

Da Chemnitz, i prigionieri finirono al campo di Mauthausen vicino a Linz, in Austria. Wiesenthal ci arrivò nella gelida notte del 15 febbraio 1945. In The Murderers Among Us (‘Gli assassini tra noi’), racconta come lui e un compagno di prigionia, Prince Radziwill, congiunsero le braccia per riuscire a percorrere le ultime quattro miglia in salita fino al campo. Lo sforzo era eccessivo e crollarono nella neve. Una SS sparò un colpo che atterrò tra i due. Poiché non si alzarono, furono presi per morti e lasciati lì con una temperatura sotto lo zero. Quando arrivarono i camion che raccoglievano i corpi di chi era morto durante la marcia, Wiesenthal e Radziwill, privi di conoscenza, erano così congelati che furono gettati su una pila di cadaveri. Al forno crematorio, comunque, i prigionieri che li scaricarono si resero conto che erano vivi. Gli fu fatta una doccia fredda per scongelarli e Wiesenthal fu portato al Blocco VI, il “blocco della morte” per i malati in fin di vita.

Nel 1961, quando fu intervistato per l’archivio del museo Yad Vashem dal giornalista israeliano Haim Maas sugli anni della guerra, Wiesenthal accennò al fatto che l’infezione al piede a quel punto era diventata bluastra e si era diffusa fino al ginocchio. Rimase nel blocco della morte per tre mesi fino alla fine della guerra. Troppo debole per alzarsi dal letto, affermò che sopravvisse – incredibilmente – con 200 calorie al giorno, oltre a qualche pezzo di pane o di salsiccia portatogli di nascosto da un amichevole Polacco.

Mauthausen fu liberato il 5 maggio 1945. Sebbene pesasse appena 45 chili, Wiesenthal arrancò all’esterno per salutare i carri armati americani. “Non so come sono riuscito ad alzarmi e camminare”, raccontò poi. Ma se poteva camminare, ciò doveva significare che la sua gamba gravemente infetta era stata curata duranti i tre mesi precedenti o mediante l’amputazione o con degli antibiotici. Sappiamo che la prima non ebbe luogo, mentre la terapia antibiotica certamente non era un trattamento normalmente offerto agli ebrei malati nei campi di concentramento nazisti. Ancora una volta, pare che sia avvenuto un miracolo. La rapidità della guarigione di Wiesenthal è così sbalorditiva da mettere in dubbio che egli fosse malato come affermava. Appena 20 giorni dopo la liberazione, scrisse al comandante del campo statunitense chiedendo se poteva essere coinvolto assistendo le autorità U.S.A. che investigavano sui crimini di guerra. Affermando di essere stato in 13 campi di concentramento – in realtà era stato in non più di sei - Wiesenthal fornì una lista di 91 nomi di persone che riteneva fossero responsabili di “sofferenze incalcolabili”.

Secondo la maggior parte dei resoconti, Wiesenthal chiese se poteva unirsi agli investigatori, ma essi rifiutarono dicendogli che non stava abbastanza bene. Dopo aver riacquistato un po’ di peso, tornò e fu assegnato ad un capitano con cui poi sostenne di aver catturato il suo primo “scalpo”, una piagnucolosa guardia SS di nome Schmidt. “Ce ne furono molti altri nelle settimane che seguirono”, scrisse Wiesenthal in seguito. “Non serviva andare lontano. Quasi gli inciampavamo addosso”.

Un curriculum vitae che Wiesenthal compilò dopo la guerra non cita il suo lavoro con gli Americani, ma include il suo incarico di vice presidente della Commissione centrale ebraica per la zona statunitense con base a Linz. Il compito della commissione era redigere elenchi di sopravvissuti che altri sopravvissuti potevano consultare nella ricerca dei propri parenti.

Per almeno un anno dopo la guerra, l’altro compito di Wiesenthal fu esercitare forti pressioni in favore degli ebrei; divenne il presidente dell’Organizzazione internazionale dei campi di concentramento di stanza a Parigi. Inoltre contraffece contratti con la Berihah, che faceva uscire clandestinamente dall’Europa gli Ebrei alla volta della Palestina.

Solo nel febbraio 1947 formò l’organizzazione che l’avrebbe reso famoso, il Centro di documentazione ebraica a Linz. Lo scopo era raccogliere informazioni sulla soluzione finale nella prospettiva di assicurare gli atti di accusa dei criminali di guerra. Wiesenthal sosteneva di aver fondato il centro a causa di un’osservazione antisemita fatta da un ufficiale americano, che gli fece capire che gli alleati non avrebbero mai dato la caccia ai nazisti nella misura in cui ciò era necessario.

Tristemente, i fatti gli diedero ragione. Con un gruppo di trenta volontari viaggiò nei campi dei rifugiati raccogliendo, tra gli ex prigionieri dei campi di concentramento, prove sulle atrocità subite. In tutto, la squadra di Wiesenthal compilò 3.289 questionari, un’impresa molto più impressionante di qualsiasi azione portata a termine dagli alleati.

Wiesenthal è morto nel 2005 all’età di 96 ed è stato sepolto in Israele. I tributi e gli elogi funebri furono numerosi ed esagerati, e a quel tempo sarebbe stato volgare sminuire i molti aspetti positivi del ruolo da lui svolto. Era, nel profondo, un uomo di spettacolo, e quando trovò un ruolo come capo mondiale dei cacciatori di nazisti, lo recitò bene. Come succede nel caso di molte performance popolari, i critici non potevano dire al pubblico che il Grande Show di Wiesenthal era poco più che un’illusione. In definitiva, era un’illusione allestita per una buona causa.

Guy Walters
Fonte: http://entertainment.timesonline.co.uk
Link: http://entertainment.timesonline.co.uk/tol/arts_and_entertainment/books/book_extracts/article6718913.ece
19,07.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN

Estratto da Hunting Evil (‘A caccia del male’) di Guy Walters, la cui pubblicazione è prevista, per i tipi di Transworld, il 30 luglio al prezzo di £18,99. Chiamando The Sunday Times BooksFirst al numero +44 0845 271 2135 è possibile ordinarne delle copie al prezzo di £17,09, spedizione inclusa (in GB).

martedì 4 agosto 2009

Hamas apre ad Israele, ma tutto tace


Circa un mese e mezzo fa, i pennivendoli e lacchè dei sionisti strillarono a tutto il mondo il loro entusiasmo per quella che fu definita "una proposta di pace" da parte di Netanyahu, Presidente di Israele. I lacchè in questione evitarono furbescamente di far notare che tale apertura di pace si inscriveva nel solco di quella tradizione della pax israeliana: si ad uno Stato palestinese, ma che non abbia un esercito, non accampi nessuna pretesa verso Israele (benchè meno il diritto di ritorno), non abbia sovranità sul suo spazio aereo, non si azzardi nemmeno a pensare di avere anche solo un pezzettino di Gerusalemme.

Ci eravamo chiesti che razza di Nazione è una Nazione che non può avere neanche una parte di quella che è la sua capitale politica e culturale; non può avere un proprio esercito; non può esercitare alcuna sovranità sul suo spazio aereo e di terra... e ci eravamo risposti che semplicemente non è una Nazione.

Ciò nonostante Netanyahu, con la complicità degli acritici media europei, si era giocato una carta importante nell'operazione simpatia di Israele, volta a migliorare la reputazione di Israele presso gli animali parlanti europei, troppo antisemiti quando chiedono condizioni di vita più umane per i palestinesi e la fine dell'embargo criminale.

In questi giorni un'altra notizia, ben più importante e seria, viene taciuta da tutta la stampa italiana dalla quale, abbiamo definitivamente appurato, non possiamo aspettarci alcun sussulto di indipendenza nei confronti degli ordini impartiti nelle logge.

Khaalid Meshal, leader di Hamas in esilio, ha affermato, in un'intervista concessa recentemente al New York Times, che Hamas è pronta ad accettare i confini palestinesi del 1967. Una delle condizioni che Israele, in tante trattative, aveva posto come condizione inderogabile per poter anche solo parlare di uno Stato Palestinese.

Questa dichiarazioni vanno ad aggiungersi a quelle che sempre Khaalid Meshal fece all'inizio del 2007, quando espresse la volontà di Hamas di riconoscere Israele, e con quelle di Hysmail Hanyia, Presidente della Striscia di Gaza, che dichiarò pubblicamente davanti agli europei del Free Gaza Movement la volontà del governo di procedere ad un tentativo di colloqui israelo-palestinesi, con questi ultimi pronti ad accettare i confini del 1967.

Dovrebbero essere considerate per quello che sono: dichiarazioni storiche per il processo di pace mediorientale. Invece si tacciono vergognosamente le aperture sincere dei palestinesi, mentre si prendono per oro colato tutte le menzogne di Netanyahu e dei suoi accoliti.

La parola d'ordine è sempre quella: mostrare gli islamici e i palestinesi come fanatici con cui non si può assolutamente dialogare, e con i quali vanno bene solo le bombe. I nostri giornalisti e politici lacchè, eternamente asserviti alla squadra e al compasso, ubbidiscono. Come sempre.

domenica 2 agosto 2009

Menzogne sioniste

Il governo israeliano risponde con un proprio rapporto all'accusa dell'ONU, e di decine di altre associazioni per i diritti umani (tra cui “Breaking the silence”, il gruppo di volontari che raccoglie le testimonianze di guerra dei soldati sionisti), secondo cui l'IDF (Israeli Defence Force) avrebbe usato in tutta libertà munizioni al fosforo bianco contro la popolazione civile della Striscia di Gaza, uccidendo all'incirca 1400 persone.

L'importante ammissione è che Israele “ammette” di aver usato questo tipo di munizioni, ma di avere rispettato le disposizioni internazionali e, in sostanza, di non avere mai calcato la mano; ciò è contraddetto poco dopo, quando è lo stesso governo, nel suo rapporto di più di centocinquanta pagine, a dare notizia di aver aperto all'incirca un centinaio di indagini contro gli stessi militari.

Israele rigetta in toto anche l'accusa (ampiamente dimostrata) di aver bersagliato obbiettivi civili, e di aver cercato invece di limitare al massimo i danni contro la popolazione. Dei bombardamenti effettuati contro obbiettivi espressamente recanti il simbolo delle Nazioni Unite (come le ambulanze, il personale sanitario, la scuola dell'ONU che è stata bersagliata per diverse ore) abbiamo già parlato.

La risposta di Hamas di fronte a questa ennesima negazione dei fatti e dell'evidenza è esplicita: “E' un rapporto ridicolo e idiota. Non vale neanche la pena di parlarne”.

Datele torto...

sabato 1 agosto 2009

L'hanno votato? Che se lo tengano.

Mentre le istituzioni e i partiti politici della Regione Puglia ci dimostrano che (forse) anche la sinistra non è quell'esempio di moralità che vuole far credere – e che scavando scavando i rapporti tra mafia e politica li troviamo anche lì – Vendola risponde subito per le rime: gli irregolari presenti sul territorio della Regione Puglia saranno esentati dal ticket per le spese medicinali, al pari delle fasce più deboli.

Non so se riuscite a capire l'enorme contraddizione che si cela nell'ultimo periodo di frase. Degli uomini che si trovano irregolarmente presenti sul nostro territorio, e che pertanto in base alla legge italiana compiono un reato, sono esentati dal pagamento delle medicine, quindi godono di una situazione agevolata. Come? Basta richiedere il rilascio del codice STP o ENI per godere pertanto dello status di rifugiato politico. Tutti rifugiati politici, insomma. Fatta la legge, trovato l'inganno. Incredibile.

Una sorta di razzismo al contrario perpetrato ai danni non solo dei cittadini italiani, ma anche di quegli stranieri che hanno fatto i salti mortali per mettersi in regola con la legislazione italiana.

L'hanno votato? Che se lo tengano.