lunedì 29 giugno 2020

Sallusti scriva pure i suoi articoli strappalacrime, ma non faccia paragoni con una Storia che non conosce



Leggendo alcuni articoli, sovente, mi viene da interrogarmi se l’autore sia ignorante, in malafede, voglia conformarsi al politicamente corretto antifascista, oppure un miscuglio di tutte queste cose insieme.

È quello che mi è accaduto ieri, a pagina 11 di Libero, leggendo l’articolo di Giovanni Sallusti a commento dell’episodio di cronaca nera che ha sconvolto l’Italia: Mario Bressi che, accecato dalla gelosia, uccide le sue due figlie per fare un dispetto alla moglie dalla quale si stava separando e poi si getta nel vuoto, uccidendosi.

Capiamo le invettive di un Sallusti sconvolto quando scrive (giustamente): “Non definitelo comodamente bestia, perché gli animali non si sarebbero mai lasciati alle spalle uno scempio del genere”. Condividiamo. Sarebbe il caso di indagare un po’ più a fondo, però, e chiedersi cosa accada nell’animo di un uomo che ha combattuto per la propria famiglia, che ha creduto in dei valori e ha fatto dei sacrifici per essi, e che la vede disintegrarsi sotto i suoi occhi per i futili capricci della donna che ha amato, la quale, un bel giorno, si invaghisce di un altro e ti sbatte fuori di casa come l’ultimo dei coglioni, grazie alla legge italiana che ti costringe a pagare anche quando sei tu, palesemente, il “cornuto e mazziato”. Così sembrava andare la vita di Mario Bressi.

Capiamo però perfettamente che Giovanni Sallusti non si sia addentrato in queste considerazioni, preferendo giocare sull’immediato, sulla “pelle” del lettore, sulle disgustose emozioni che provoca in una persona normale l’omicidio di due bambine da parte del padre, per motivi di gelosia.

Quello che non capiamo, però, sono gli accostamenti storici fatti “ad minchiam”, giusto per raccattare qualche applauso politicamente corretto, quando il giornalista scrive: “Mario Bressi si è congedato dal mondo oltre il patologico, oltre il criminale, in una dimensione che perde i riferimenti anche più perversi e prevede solo un tetro compiacimento dell’Io ridotto a discarica, ha fatto qualcosa che in passato ad esempio fece Joseph Goebbels, per dire quanto bisogna scendere negli scantinati dell’essere, uccidere i propri figli.

Della serie: se ti riduci a compiere la stessa scelta che fece l’allora Ministro per la Propaganda del Terzo Reich, significa che hai raggiunto gli abissi più profondi della degradazione dell’animo umano.

Come al solito i gerarchi Nazionalsocialisti, quando non Adolf Hitler in persona, vengono presi ad esempio del Male più assoluto, come in questo caso.

Sarebbe bene che Giovanni Sallusti si rileggesse qualcosa su ciò che accadeva in quei giorni, a Berlino, quando Joseph e Magda Goebbels presero la tremenda decisione di avvelenare i propri figli, e non fu certamente una scelta a cuor leggero. Forse testi come “Le ultime ore dell’Europa” di Adriano Romualdi, o “I leoni morti” di Saint-Paulien, per citare solo due dei testi fondamentali per capire la Storia (non quella scritta da massoni o da giudei, certamente), aprirebbero gli occhi al giornalista antifascista.

Il quale scoprirebbe cosa accadeva in quei giorni, a Berlino, mentre i diavoli rossi della SS Charlemagne, i disperati, gli ultimi ancora capaci di combattere dopo i massacri indiscriminati, difendevano il bunker di Adolf Hitler dalle orde dell’Armata Rossa, superiore almeno dieci volte di numero, i cui soldati stupravano indistintamente tutte le donne dai 7 agli 80 anni per poi inchiodarle alle porte della case, uccidevano, torturavano, galvanizzati dalle parole dell’ebreo Ilija Ehrenburg, che così scriveva loro: “Soldati dell’Armata Rossa! Uccidete! Uccidete! Schiacciate la belva fascista nella sua tana! Prendete come preda le donne tedesche! Umiliate il loro orgoglio razziale! Uccidete i fascisti! Uccideteli tutti! Tutti i fascisti sono colpevoli! I nati, ed i non nati!”.

Davanti ad un carnaio simile, all’inferno che scende in terra portato dai selvaggi demoni bolscevichi, “ogni atto di viltà era un crimine intollerabile”, come scrisse Adriano Romualdi: fu a quello scopo, infatti che Adolf Hitler costituì il “volksturm”, il richiamo dei riservisti e l’arruolamento di tutti i ragazzi dai 16 anni in su (ma molti più piccoli si arruoleranno volontariamente, il panzerfaust di sghimbescio sulla traversa della bicicletta – momenti di gloria che rendono il popolo tedesco, almeno quello fino al ’45, degno di essere omaggiato e ricordato) per difendere la Patria dall’invasore e ricacciarlo indietro.

Fu in questo inferno, con il sacrosanto terrore di quello che sarebbe accaduto ai loro figli se solo fossero caduti in mano nemica – ai figli di uno dei Ministri più importanti di quel Terzo Reich che cadeva gloriosamente in un inferno di fiamme e di acciaio – che Magda e Joseph Gobbels scelsero, con la morte nel cuore, di dare ai propri figli una morte indolore, che sarebbe stata di gran lunga preferibile a ciò che avrebbero subito se fossero disgraziatamente caduti nelle mani dei barbari sovietici. La stessa pietosa mano guidò quella del Fuhrer – quell’Adolf Hitler che, nonostante gli innumerevoli consigli per la propria sicurezza personale, era testardamente voluto restare a Berlino per difenderla fino alla fine, per restare accanto al popolo tedesco – nei confronti della sua cagnetta Blondie: chi aveva fatto così tanto per il benessere animale, introducendo una legislazione all’avanguardia nella protezione dei diritti degli animali, a tal punto che farebbe impallidire anche gli animalisti più esagitati di oggi, tremava al solo pensiero di cosa sarebbe accaduto ad una delle creature che più aveva amato in terra.


Paragonare questi due avvenimenti, a prescindere dalla contestualizzazione che deve necessariamente essere fatta, ed il tutto allo scopo di raccattare qualche applauso dagli antifascisti della destra, è un’operazione che può fare solo chi è profondamente in malafede o solo chi è profondamente ignorante. Scelga Sallusti cosa preferisce essere.

domenica 28 giugno 2020

Il CHAZ di Capito Hill: storia tragicomica del paradiso in terra dei coglioni antifascisti



La storia che vi raccontiamo è divertentissima. Davvero. I giornali e i grandi media la descrivono come un grande ed importante esperimento di moderna “comune antifascista”, ma a noi, più modestamente, appare come la dimostrazione plastica della coglioneria e dell’imbecillità degli antifascisti i quali, evidentemente, sono degli imbecilli a prescindere dalle latitudini, tanto in Italia quanto negli Stati Uniti.

E siamo proprio nella Nazione simbolo delle proteste conseguenti alla morte di George Floyd, dove bande di imbecilli, supportate da giornali, liberi (sic!) pensatori e tv, hanno messo a ferro e fuoco la Nazione nel nome di un inesistente problema del razzismo.

Più delle statue che cadono in testa ai manifestanti, il fuoco amico degli antifascisti riempiti di botte perché scambiati per “sbirri”, le molotov che scivolano dalle mani dei dimostranti e li trasformano in torce umane, a venire ricordato come il massimo della stupidità antifascista sarà il CHAZ, acronimo di Capitol Hill Autonomous Zone. Di cosa si tratta? È stato il tentativo, perfettamente riuscito, a quanto pare, di creare una sorta di moderna comune antifascista nella zona di Seattle, libera dalla Polizia, dagli sbirri, da qualunque cosa che ricordi il concetto di “autorità” (perfino i Vigili del Fuoco, hanno fatto sgomberare!).

Partiamo dall’inizio.

Martedì 9 giugno il sindaco di Capito Hill – cittadina radical chic in zona Seattle, i cui cittadini si sono spellati le mani a furia di applaudire i manifestanti – dà ordine alla Polizia di sgomberare il palazzo della Polizia, per l’appunto, che di lì a poco viene immediatamente occupato dagli antifascisti, i quali si preparano ad instaurare il loro paradiso in terra: niente sbirri, niente autorità, solo uomini liberi (di farsi riempire di legnate e di farsi sparare addosso, come vedremo tra poco): si instaura, pertanto, la cosiddetta zona libera, “governata” dagli antifascisti. 


  
 A capo delle proteste si pone, tra gli altri, tale Lauracouç, un transessuale di 19 anni che, sul suo profilo Twitter, si dichiara contro la “whitness” – traducibile come “bianchità”, l’essere bianchi – il capitalismo e la civilizzazione. I segni del disturbo mentale ci sono tutti. Peccato che il suo profilo, subito dopo, sia stato preso d’assalto da presunte ex fidanzate, ex fidanzati, ex qualunque cosa (effettivamente non abbiamo capito che cosa c**** siano) che lo hanno accusato/a di essere un molestatore, un abusatore/abusatrice sessuale, un violento, a tal punto da spingerlo a chiedere scusa a tutti, minacciando il suicidio con diversi interventi su Twitter, salvo poi tornare a giocare a fare il rivoluzionario subito dopo, come se nulla fosse. 
 

Nel frattempo l’esperimento sociale va avanti: senza nessuno a controllare, tutto il cibo degli antifascisti sparisce dopo la prima notte. Con un proclama si chiede a gran voce agli antifascisti di procurare generi alimentari, alimenti gluten-free e vegani – simbolo del cibo etico – creme da donna e pantaloni da uomo. Ma uomo e donna non erano concetti superati? Comunque sia: gli antifascisti riempiono di nuovo il magazzino delle provviste e dei generi di prima necessità, inclusi i pantaloni da uomo, che eventualmente sono utilissimi anche nello Stato ideale degli antifascisti, e dopo qualche ora sparisce tutto di nuovo.


Gli antifascisti non fanno però in tempo a fare proclami: Raz Simone, cantante rap, si autoproclama dittatore assoluto della zona libera, mette su in fretta e furia una milizia, e se ne va tranquillamente in giro a rapinare e sparare addosso alla gente.

Gli antifascisti organizzatori chiedono agli altri antifascisti di procurarsi delle armi per combattere quelli che hanno le armi. Ma le armi non sono il simbolo per eccellenza dell’oppressione e della violenza, tanto da aver spinto gli antifascisti a pretendere l’abolizione del Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti (quello che permette di portare armi, praticamente)? Valli a capire… sembra di assistere a quella puntata dei Simpson in cui gli abitanti bruciano tutte le armi per essere riempiti di mazzate subito dopo dagli alieni.


Fin qui è tutto bellissimo.

Visto che il cibo viene continuamente rubato, gli antifascisti del CHAZ creano il loro orto. Quindi vanno nei supermercati, simbolo per eccellenza di quella civiltà e di quel capitalismo che vogliono distruggere, comprano le piantine, ma non sanno come farle crescere. Qualcuno prova a far crescere le povere piantine direttamente nei vasi, qualcun altro prova a piantarle, ma se non sei un agricoltore, e peraltro sei strafatto come un cammello, la cosa non ti riesce proprio benissimo. Comunque gli antifascisti non riescono a far crescere nemmeno una foglia di lattuga e, spinti dalla rabbia tipica dei selvaggi, incendiano tutto.


Subito dopo: sparatoria in corso, un cretino ci lascia le penne, e gli antifascisti cosa fanno? Se la prendono con la Polizia per non essere intervenuti. Si, avete capito bene. Questi coglioni hanno creato una sorta di kibbutz del cretinismo antifascista, hanno mandato via la Polizia – che in qualunque Nazione civile avrebbe fatto il tiro a segno con i loro sederi, ed invece è stata costretta dal Sindaco a smobilitare – perché volevano vivere liberi l’autorità, e quando qualcuno di loro si mette a sparare invocano la Polizia, indignati perché non è arrivata in tempo.

Stupendo.

Ancora sparatorie, scippi, stupri, pestaggi, milizie improvvisate che imperversano qua e là devastando e saccheggiando. 

Il risultato di questi 15 giorni di imbecillità è una città devastata, morti, feriti, ed i radical chic di Capitol Hill che hanno potuto vedere all’opera i propri figli. Il Sindaco Durkan sentenzia: “It’s time to return home”. 

Vabbè, in una Nazione civile sarebbero tutti sotto terra, ma almeno ci hanno fatto ridere.

giovedì 25 giugno 2020

Basta uno striscione per scatenare il Grande Fratello antifascista



“In un’era di menzogna, dire la Verità diventa un atto rivoluzionario”. Questo aforisma di George Orwell ben si adatta alla storia che arriva dall’Inghilterra, e che, pur nella sua normalità, ha letteralmente fatto impazzire tutta la Nazione, con strascichi anche giudiziari.

Lunedì 22 giugno. Partita di Premier League tra Manchester City e Burnley. Poco prima dell’incontro si assiste alla solita, disgustosa parata: giocatori – bianchi e neri – rigorosamente inginocchiati nel nome del politicamente corretto, le magliette da gioco con la scritta “Black lives matter”. Si sente un rombo, gli spettatori alzano lo sguardo al cielo: un aereo con uno striscione sorvola lo stadio con la scritta “White lives matter”.

La partita non è ancora finita che l’indignazione generale è finita su internet, e viene poi rilanciata dalla dirigenza del Burnley: i responsabili non sono i benvenuti, collaboreremo con le autorità per trovare i responsabili di questo infame gesto. “Mi vergogno a nome di tutta la squadra”, fa eco un giocatore. 

L’infame gesto, giova ricordarlo, è ricordare l’ovvio: cioè che anche le vite dei bianchi contano, non sono quelle dei neri i quali, in nome di un’emergenza inesistente – negli Stati Uniti sono molti di più i bianchi che subiscono aggressioni da parte dei neri e, nonostante ciò, i neri hanno il primato per i reati contro la persone (aggressioni, stupri, rapine, violenze, omicidi) – stanno letteralmente mettendo a ferro e fuoco una Nazione, col beneplacito della sinistra internazionale, oramai disgustosamente schierata per l’annientamento della razza bianca.

Perché, senza il beneplacito della sinistra e di tutto il sistema radical chic che infetta televisioni e giornali, le distruzioni delle statue, il vandalismo fine a se stesso, le dichiarazioni che inneggiano apertamente al suprematismo negro – come quella di Priyamvada Gopal, insegnante della Cambridge University, che può apertamente dichiarare che “White lives doesn’t matter” (“Le vite dei bianchi non contano”), tra gli applausi della feccia sinistroide – la volontà di abbattere monumenti, statue e perfino piramidi, tutto ciò, dicevamo, verrebbe preso per quello che esattamente è, ovvero terrorismo simil-jihadista, unito alla ormai sempre più evidente di cancellare la Civiltà Europea – e quindi la Civiltà tout court – da schiacciare col ferro e con il fuoco.

Dicevamo che il gesto ha avuto anche strascichi giudiziari. L’autore del gesto, Jake Hepple, è stato bandito a vita dall’entrare allo stadio, e licenziato insieme alla sua ragazza; quest’ultima sconta la colpa di aver rifiutato un corso sull’antirazzismo propostole dall’azienda per la quale lavorava, corso che avrebbe dovuto seguire per il solo fatto di essere la ragazza dell’autore di questa goliardata la quale.

Questo è costato il licenziamento alla coppia, l’obbligo di seguire dei corsi di rieducazione, il divieto a vita di frequentare gli stadi ed un processo penale nel quale Hepple dovrà difendersi dall’accusa di aver detto l’ovvio: che anche le vite dei bianchi contano. 


Campi di rieducazione, ostracismo sociale, Tribunale del pensiero: ci torna alla mente di nuovo George Orwell ed il suo Grande Fratello, che si avvicina a passi da gigante.

giovedì 18 giugno 2020

Criminali e incapaci: sono i nemici dell'Italia



Se c’è una cosa che abbiamo capito è che in Italia la razza è fondamentale. Parliamo della razza nera, ovviamente, perché è quella che, a prescindere dal merito, apre le porte del mondo dello spettacolo, non importa cosa un “artista” sappia o non sappia fare.

Abbiamo visto Miss Italia nere esteticamente parecchio discutibili, soprattutto se paragonate alle concorrenti perdenti, ma che avevano il pregio di avere la pelle nera, e quindi ben si prestavano all’operazione mondialista che già allora veniva messa in atto.

Ci siamo dovuti sorbire pagliacci che si esibivano al Festival di Sanremo con canzoni da malati di mente e da disadattati sociali, assolutamente estranee a qualunque melodia, metrica, testo, anche solo lontanamente associabili alla tradizione italiana che quel Festival, almeno in teoria, dovrebbe riproporre, ma avevano il merito di essere stranieri ed omosessuali dichiarati: una combo devastante che ti porta direttamente al primo posto, senza passare dal via e sovvertendo nettamente il giudizio della giuria popolare.

Ieri, dopo Miss Italia e Sanremo, è stato il momento di “violentare” un altro dei simboli di quest’Italia popolare che, nonostante tutto, continuano a resistere ad internet, a Facebook, ad Alexa, alle automobili a batterie: il calcio.

Ieri chi ha avuto l’ardire di guardare la Coppa Italia si è dovuto sorbire un cafone vestito come un gangster di Los Angeles, il cui solo merito è stato quello di vincere una trasmissione musicale per malati mentali, che nemmeno sapeva l’Inno d’Italia, facendo scena muta per metà dell’esibizione. Ma volete mettere il dimostrare di non aver studiato nemmeno l’Inno della Nazione che dici di amare, il verseggiare a metà strada tra un muezzin che richiama i fedeli alla preghiera ed un pappagallo, l’abbigliamento da mafioso americano e l’immancabile pugno chiuso a fine esibizione tipico dei terroristi del “Black lives matter” – quelli che stanno mettendo a ferro e fuoco una Nazione per una inesistente persecuzione razziale che i numeri smentiscono categoricamente – con quello che rimane il suo pregio fondamentale, cioè essere diversamente pigmentato?

Quando faremo sloggiare dalle tv, dalle aule parlamentari, dai giornali e dalle TV, dalle scuole, dai tribunali questi criminali, nemici e stupratori di ogni Tradizione, di ogni Sangue, di ogni Cultura, di ogni cosa che richiami la parola Italia?

Godiamoci il Nostro Inno, almeno finché non decideranno di censurarlo perché scritto da un bianco.