“Gli immigrati fanno i
lavori che gli italiani non vogliono più fare, e contribuiranno a pagarci le
pensioni”. Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase?
Bene: è una balla
clamorosa. E, nonostante questo, mass media e politici si sono affannati e si
affannano a ripeterla in qualunque servizio, in qualunque articolo, in
qualunque dibattito televisivo.
Eppure già Giancarlo
Blangiardo, professore di demografia all’Università di Milano Bicocca, aveva
già smontato questa tesi bislacca in una sua intervista a Libero di qualche
tempo fa:
« […]basterebbe alzare il
livello delle retribuzioni e cambiare certi contratti per spingere i giovani
italiani a fare quei lavori che oggi non fanno. Nella mia università il
personale che fa la vigilanza è in buona parte straniero, ma non credo che i
nostri disoccupati, a certe condizioni, non siano disponibili a quel tipo di
lavoro. »
Lo abbiamo sempre detto e
scritto, e lo ripetiamo: non esistono lavori che gli italiani non vogliono più
fare, ma stipendi che gli italiani non possono accettare. Non sarebbe meglio, anziché
importare decine di migliaia di fancazzisti africani che contribuiscono
ulteriormente a disintegrare il tessuto economico e sociale dell’Italia,
spendere quei 4/5 miliardi l’anno che paghiamo per sostenere l’immigrazione
illegale in sostegni alle famiglie e contributi alle imprese che permetterebbero
di aumentare l’occupazione dei nostri giovani?
Nonostante tutto, però,
saremo costretti, coi nostri stipendi da fame, a pagare le pensioni degli
stranieri che sono arrivati qui e che arriveranno. A spiegarlo con parole
chiare e semplici è sempre il professor Blangiardo:
«Gente
che, però, è arrivata qui magari a 30 anni, o anche a 50 (pensiamo alle badanti
ucraine), e che spesso, prima di firmare un regolare contratto di lavoro e
versare i contributi, ha lavorato per un certo periodo in nero. Quando andranno
in pensione, i loro assegni, calcolati col metodo contributivo, saranno molto
esigui. Alcuni, è da pensare, talmente modesti da dover essere integrati dalla
fiscalità generale. Sempre che ce lo si possa permettere».
Detto in parole più
semplici: gli immigrati fanno lavori essenzialmente in nero o comunque
sottopagati, essenzialmente molto umili. E questo, come già detto, perché accettano
paghe e stipendi da fame che gli italiani, per ovvie ragioni, non possono
accettare. Quindi il loro contributo al sistema pensionistico italiano è
minimo, o comunque minoritario: saremo noi, quella collettività il cui sistema
economico è stato stroncato in gran parte dalla concorrenza sleale dei nuovi
schiavi stranieri utilizzati come manodopera a basso costo, a dover contribuire
anche alle loro, di pensioni.
In Svezia, da sempre
decantata dai nostri politici come modello di civiltà progressista e
politicamente corretta, se ne stanno già rendendo conto.
Innanzitutto l’ondata
migratoria è andata ad incidere pesantemente sulla qualità di vita degli stessi
svedesi. Anzi, meglio sarebbe dire delle svedesi. Gli stupri e le violenze
sessuali a danno delle donne scandinave, infatti, sono cresciuti di pari passo
con l’aumento dell’immigrazione (legale e illegale) ed è ancora acceso, nella
società svedese, il dibattito sulla responsabilità del governo e degli organi
di informazione in merito al sempre più palese tentativo di nascondere l’etnia
e/o la nazionalità degli autori di tali violenze per non aumentare la
cosiddetta “xenofobia” e non dare il fianco alla propaganda della cosiddetta “estrema
destra”. Un po’ come accadde a Colonia, in Germania, il Capodanno di qualche
anno fa, quando venimmo a sapere, nonostante i tentativi della Polizia e del
governo tedesco di insabbiare la questione proprio per evitare eventuali reazioni
anti-immigrati, che diverse centinaia di giovani donne tedesche erano state
violentate e molestate da giovani maschi africani letteralmente “ingrifati. Nel
mio articolo del 13 gennaio dell’anno scorso (http://chessaandrea.blogspot.it/2016/01/gang-bang-alla-africana-sul-suolo.html)
spiegavo che fu messo in atto una sorta di stupro di gruppo rituale, il “tarrush
gamea”, molto diffuso nella società africana.
Tornando però al sistema
pensioni in Svezia, è notizia di questi giorni (ovviamente taciuta e occultata
dai nostri giornali democratici!) che il Ministro delle Finanze svedese,
Magdalena Andersson, abbia annunciato che in futuro sarà necessario innalzare l’età
pensionabile perché il sistema attuale non è più in grado di far fronte ai
crescenti costi per sostenere l’immigrazione selvaggia con la quale la Svezia
ci ha sempre dato lezioni, puntandoci il suo freddo ditino in faccia.
Detto in altre parole: il
costo dello stato sociale svedese (scuole, pensioni, sanità, assistenza alle
fasce più deboli della popolazione) è in costante aumento a causa del
progressivo e inarrestabile aumento di popolazione: la Svezia è cresciuta
molto, e subito. E ciò non perché gli svedesi si siano messi in massa a
figliare come conigli (andare in pensione più tardi e con più sacrifici
potrebbe anche risultare moralmente ed eticamente più accettabile se fosse
fatto a causa di questo motivo) bensì perché la Svezia ha accolto, a spese dei
propri cittadini, decine di migliaia di fancazzisti africani che sono stati
mantenuti a spese della collettività.
Ora la Svezia comincia ad
essere chiamata a pagarne il conto: in quartieri ingestibili a causa della
forte presenza di immigrati, in stupri alle proprie donne e, ora, in sacrifici
enormi. Non saranno gli immigrati a pagare le pensioni degli svedesi, ma questi
ultimi a pagarle a loro.
In Italia ce ne renderemo
mai conto?
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