Qualcuno mi chiede di commentare il disegno di legge (poi ritirato) dal Governo Berlusconi, il quale mirava ad estendere anche ai repubblicani della RSI (cioè coloro che combatterono nella Repubblica Sociale Italiana) la qualifica di legittimi combattenti militari, con tanto di 250 euro mensili di accompagnamento vitalizio.
Sorvolo sul comportamento di un Governo che, per lo meno in questo caso, ha dimostrato la mancanza totale di coraggio politico a causa dei rimbrotti di qualche antifascista d’accatto (a proposito: che cosa aspetta una destra a fare quello che molti di destra si aspettano: eliminare le leggi liberticide della Scelba e della Mancino, chiudere le immondizie sociali, distinguere tra soldati e collaborazionisti?).
Solo gli antifascisti – cioè coloro i quali, ignoranti ed in malafede per definizione, trovano nella lotta al Fascismo (vero o presunto) l’unico collante per sopperire alla loro mancanza di idee, di progetti, di proposte – si sono indignati per una tale idea.
Chi la Storia l’ha studiata bene sa che una tale soluzione non avrebbe fatto altro che accettare una sentenza del 26 Aprile 1954, scritta dall’autorevole Tribunale Supremo Militare italiano, nella quale si riconosce senza ombra di dubbio la piena legittimità legale – in base all’ordinamento giuridico nazionale ed internazionale – della Repubblica Sociale Italiana e dei suoi combattenti, mentre si nega, contemporaneamente, tale qualifica ai partigiani. Come già abbiamo scritto tante volte: combattenti regolari contro sbandati che sparavano a tradimento (Via Rasella docet).
La proposta di legge, pertanto, mirava ad equiparare chi combatté una guerra già persa per l’Onore e la Dignità dell’Italia (due concetti, questi, che in un’epoca di troie, di massoni e di antifascisti hanno perso completamente di valore) – legittimi combattenti di un esercito regolare, riconosciuto da tutti gli schieramenti in campo, con drappi, simboli di guerra e divise – contro chi, fiutando l’aria che tirava, si tolse la camicia nera per indossare il fazzoletto rosso, scoprendosi di colpo comunista.
Ovviamente i primi a non accettare una tale soluzione sono stati proprio i repubblicani RSI, e noi con loro: soldati regolari che combatterono per la propria Patria non possono essere equiparati a chi collaborò attivamente con l’invasore e con il nemico, nascondendosi nelle montagne, sparando alla schiena, e aiutando i comunisti di Tito in quella pulizia etnica che ancora oggi, a distanza decenni, non ha ancora conosciuto i colpevoli anche a causa di una storiografia omertosa, complice e colpevole.
Eroici soldati, che si sacrificarono per l’Italia, contro traditori collaborazionisti. Meglio che la legge non sia passata. E che i loro 250 € se li ficchino dove non batte il sole: quella fu la guerra del sangue contro l’oro, non per l’elemosina degli antifascisti.
Sorvolo sul comportamento di un Governo che, per lo meno in questo caso, ha dimostrato la mancanza totale di coraggio politico a causa dei rimbrotti di qualche antifascista d’accatto (a proposito: che cosa aspetta una destra a fare quello che molti di destra si aspettano: eliminare le leggi liberticide della Scelba e della Mancino, chiudere le immondizie sociali, distinguere tra soldati e collaborazionisti?).
Solo gli antifascisti – cioè coloro i quali, ignoranti ed in malafede per definizione, trovano nella lotta al Fascismo (vero o presunto) l’unico collante per sopperire alla loro mancanza di idee, di progetti, di proposte – si sono indignati per una tale idea.
Chi la Storia l’ha studiata bene sa che una tale soluzione non avrebbe fatto altro che accettare una sentenza del 26 Aprile 1954, scritta dall’autorevole Tribunale Supremo Militare italiano, nella quale si riconosce senza ombra di dubbio la piena legittimità legale – in base all’ordinamento giuridico nazionale ed internazionale – della Repubblica Sociale Italiana e dei suoi combattenti, mentre si nega, contemporaneamente, tale qualifica ai partigiani. Come già abbiamo scritto tante volte: combattenti regolari contro sbandati che sparavano a tradimento (Via Rasella docet).
La proposta di legge, pertanto, mirava ad equiparare chi combatté una guerra già persa per l’Onore e la Dignità dell’Italia (due concetti, questi, che in un’epoca di troie, di massoni e di antifascisti hanno perso completamente di valore) – legittimi combattenti di un esercito regolare, riconosciuto da tutti gli schieramenti in campo, con drappi, simboli di guerra e divise – contro chi, fiutando l’aria che tirava, si tolse la camicia nera per indossare il fazzoletto rosso, scoprendosi di colpo comunista.
Ovviamente i primi a non accettare una tale soluzione sono stati proprio i repubblicani RSI, e noi con loro: soldati regolari che combatterono per la propria Patria non possono essere equiparati a chi collaborò attivamente con l’invasore e con il nemico, nascondendosi nelle montagne, sparando alla schiena, e aiutando i comunisti di Tito in quella pulizia etnica che ancora oggi, a distanza decenni, non ha ancora conosciuto i colpevoli anche a causa di una storiografia omertosa, complice e colpevole.
Eroici soldati, che si sacrificarono per l’Italia, contro traditori collaborazionisti. Meglio che la legge non sia passata. E che i loro 250 € se li ficchino dove non batte il sole: quella fu la guerra del sangue contro l’oro, non per l’elemosina degli antifascisti.
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