lunedì 29 ottobre 2012

Camerata Mario Zicchieri: presente!

‎37 anni fa Mario Zicchieri viene ucciso a fucilate dai terroristi comunisti. Il padre morirà di disperazione, la madre disoccupata patirà la fame, le sorelle patiranno gli insulti comunisti per anni, la lapide in ricordo di Mario fatta oggetto di atti vandalici.

Camerata Mario Zicchieri: presente!

sabato 27 ottobre 2012

Popolo italiano, apprezzi veramente Israele?

"Gli italiani e questo Governo sono ammirati molto da Israele, da ciò che rappresenta e dai successi raggiunti negli ultimi anni". Parole di Mario Monti al recente vertice Italia-Israele. Popolo italiano, voi ammirate Israele? Guardate che cosa rappresenta: la sopraffazione, l'ingiustizia, la forza che si erge a diritto.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=5JwqEKAJgDA

domenica 21 ottobre 2012

Rispondiamogli a tono, finché siamo in tempo



Diversi camerati e lettori mi chiedono informazioni in merito alle intenzioni del governo riguardo la modifica delle leggi Scelba, legge Mancino e quelle relative all’incitamento all’odio razziale, che il golpista massone ha promesso, alla comunità ebraica che lo acclamava il 16 ottobre scorso in pompa magna, di rivedere, con l’aiuto di tutti i partiti (i quali, ne siamo certi, non si tireranno di certo indietro, vista la “caratura” dei “signori” che la chiedono a gran voce ormai da tempo), includendovi anche il reato di negazionismo e di revisionismo. Il Parlamento italiano si appresta – come altri Paesi europei (Francia e Germania fra tutti) – a varare una legge che preveda una pena detentiva per chi neghi il presunto olocausto ebraico compiuto dalla Germania Nazionalsocialista o ne ridimensioni la portata, gli avvenimenti o le cifre numeriche delle presunte vittime.

Comincio con lo scrivere subito una cosa. Compratevi una pennina usb e salvate tutti i documenti, i siti, i libri elettronici e qualunque altra cosa riteniate importante: è molto probabile che, se questa legge passasse, molti libri di testo, molti articoli, molti blogs, molti siti internet che quotidianamente pubblicano materiale revisionista saranno costretti ad eliminare tantissimo materiale per non incorrere nella repressione della nuova Polizia del Pensiero targata Riccardo Pacifici. 

Questa proposta di legge – che è, né più né meno, una legge che punisce un reato di opinione – è auspicata e invocata da tempo, specialmente dalla lobby ebraica e dai suoi sgherri. Questi “signori” si sono resi conto che la semplice censura “morale” e l’intimidazione civile e politica non bastano più. Basta una semplice connessione ad internet, o entrare in una biblioteca ben fornita, per inquadrare i racconti sulle SS che maneggiano Zyklon B con la sigaretta accesa, le confessioni di Primo Levi, le “sconvolgenti” rivelazioni e scoperte di Simon Wiesenthal e di Shlomo Venezia, per quello che sono: delle gigantesche, enormi e ridicole BALLE. Il revisionismo prende sempre più piede. Non è più opera di qualche buontempone razzista americano, impastato a “White Pride” e birra, che lo utilizza come clava per i suoi deliri razzisti. È diventata, checché se ne dica, una vera e propria scienza che, specialmente negli ultimi anni, affinando i metodi di ricerca storiografica ed il lavoro comparatistico, ha conseguito risultati importantissimi. Prende sempre più piede, spunta su qualche rivista, fa breccia in particolar modo sui giovani e su tutti coloro che, dalla mente abbastanza aperta ed elastica, non si accontentano più del solito documentario fazioso redatto da qualche giornalista compiacente con la kippah.

Come avevamo scritto già a suo tempo, la Comunità Ebraica, con in testa il sempre agguerritissimo Riccardo Pacifici, ci aveva già provato. Questo sembra solo l’ennesimo appello che stavolta il massone golpista ha accolto in pieno: se ha fatto il lavoro sporco salvando le banche parassitarie, affossando le imprese, riducendo sul lastrico milioni di famiglie, imponendo una tassazione che nemmeno la Cambogia di Pol Pot si è mai sognata di introdurre, perché non fargli fare anche la legge moralmente più schifosa e più abbietta che ci possa essere, cioè quella che impedisce la libera ricerca storica o le opinioni controcorrente? Legge anti-revisionista sia, allora!

Quello che più sconvolge, che più lascia atterriti, che più sconforta umanamente, ancor prima che politicamente e intellettualmente, sono le dichiarazioni che i politici e i rappresentanti degli ebrei hanno esternato negli ultimi giorni, in un’orgia di demenza e di stupidità, senza che nessun giornalista osasse dire “ma”. Sappiamo bene che sono pennivendoli armati di penna e cappuccio, ma stavolta avevano una certa parte del mondo scientifico, per non parlare del Vaticano, che gli davano manforte. Qualche cosa avrebbero pur potuto dirla! E va bene, lo facciamo noi. 

Riccardo Pacifici già nel gennaio scorso si era lasciato andare a queste dichiarazioni: “Distinguiamo fra diritto di opinione e negazionismo. Affermare in una casa privata che l’Olocausto non sia mai avvenuto può essere un gesto stupido, immensamente riprovevole e simile a chi sostiene che la Terra è piatta. Ma credo non si possa più concedere il diritto di alzarsi in piedi in un’aula parlamentare, in un’università, in un luogo pubblico in cui si formano le coscienze e dire che la Shoah è stata un’invenzione. La legge riguarderebbe questo ambito”. Meno male! Almeno la possibilità di dire quello che pensiamo in casa nostra, magari mentre amoreggiamo con la nostra donna sotto le lenzuola, il “buon” Riccardino ce la concede ancora! Ci stavamo preoccupando! Lui si indigna quando qualcuno parla nelle università, in una Facoltà, in una piazza, davanti ad un microfono, in qualunque sede, insomma, che sia pubblica. Non ci si lasci distrarre da queste affermazioni per qualificarle come aria data ai denti. Sono molto intelligenti, anzi, per quanto di una intelligenza diabolica, tutta protesa a mettere e tacere l’altro. Pacifici, e con lui tutti i sostenitori di questa legge, vogliono assolutamente evitare una cosa: che il revisionismo acquisti una sua legittimità storica. Il discorso che Gianfranco Fini ha tenuto alla Camera il 24 gennaio scorso, in occasione della presentazione di un libro sull’olocausto (ci sarebbe da chiedersi perché mai nel Parlamento Italiano si debbano presentare libri che riguardano il 2% della popolazione italiana, anziché far le leggi per il restante 98%, ma accantoniamo almeno per adesso questa questione) è, in questo senso, chiarificatore: “Affermare l’inesistenza delle camere a gas, negare il piano di sterminio degli ebrei, concepito e attuato dal Nazismo, non è una tesi storiografica: è soltanto una turpe menzogna ideologica. Non è di fatto nemmeno pensabile una discussione che abbia per oggetto il misconoscimento della realtà storica”. Si vuole negare al revisionismo anche soltanto l’essere una corrente storiografica, per quanto minoritaria. Classificarlo come storiografia equivarrebbe, per definizione, a dargli una legittimità che non si vuole in alcun modo concedergli. Non perché sia aberrante (negare o ridimensionare un evento storico non significa esaltarlo o difenderlo) ma perché, molto probabilmente, si scivolerebbe su un terreno su cui la storiografia sterminazionista non ha la capacità di combattere: quella di rispondere colpo su colpo alle argomentazioni dei revisionisti. Sarebbe molto semplice, se il revisionismo fosse una stupidità, come dice Riccardo Pacifici, liquidarlo con qualche dato storico o con un semplice confronto scientifico, in modo da azzerare pubblicamente la reputazione di questo o quell’altro storico revisionista e le sue tesi. Ma è proprio quello che non possono fare, che non sanno fare, che non vogliono fare. Ed eccoli, quindi, in tutta una serie di capriole e di salti per giustificare l’ingiustificabile che hanno del ridicolo. Di seguito fornisco alcuni esempi.

1) I revisionisti non perseguono una logica democratica o di ricerca delle fonti, ma agiscono in chiave politica per minare i sistemi democratici.
Non è vero. Innanzitutto il potere politico non deve e non può attribuire patenti di democrazia a chicchessia. Questo è tipico degli Stati totalitari, e in particolar modo di quelli comunisti, che classificavano come contro-rivoluzionario, e quindi contro lo Stato stesso, chi perseguiva idee contrarie al regime. Se i negazionisti non perseguono una seria ricerca delle fonti sta all’ambito accademico e scientifico deciderlo, e non certo ad un Tribunale che sancisca per legge cosa è permesso e cosa non è permesso pensare e/o scrivere. 
2) I revisionisti usano il revisionismo storico come una valvola di sfogo per fare politica e per i loro deliri antisemiti e filonazisti.
Non è vero. Basta studiare la stessa genesi del revisionismo per sapere che gran parte dei principali storici revisionisti sono politicamente molto distanti dal Nazionalsocialismo o dalle politiche attuate dal Terzo Reich. Lo stesso Paul Rassinier, autore de “La menzogna di Ulisse”, è stato deportato ad Auschwitz. Inoltre, in ambito accademico come in ambito scientifico, conta la validità di ciò che viene detto e le prove che vengono portate a sostegno di esso, e non la reputazione di chi esprime le proprie tesi. Se i revisionisti affermano delle teorie indimostrabili, smentite dalle prove e dalle testimonianze, che li si squalifichi in sede accademica e giudiziaria, non attentando alla loro reputazione umana e/o accademica e impedendogli di esporre le proprie tesi.
3) I revisionisti utilizzano il revisionismo per sminuire la politica persecutoria della Germania Nazionalsocialista e per discolpare in qualche modo il Terzo Reich, in questo modo riabilitandolo. 
Non è vero. A parte il fatto che non esiste – a tuttoggi – un solo storico revisionista che anche solo lontanamente abbia mai espresso delle simpatie verso il nazifascismo, questa è un’affermazione che non spiega alcunché. La ricerca storica deve essere svincolata da qualunque considerazione di carattere politico, ma deve avere come unico fondamento la comprensione dei macrofenomeni storici e la ricerca della verità in piena oggettività. Cosa diremmo a chi, intervenendo sul luogo di un disastro aereo, sosterrebbe che non è importante come è precipitato l’aereo, quanti sono i morti, quanti sono i sopravvissuti, quali sono le modalità che hanno portato alla fatale tragedia, perché tanto appare ovvio che la colpa sia di un errore umano, e non vi è nient’altro da indagare? Esigeremmo, giustamente, una commissione di inchiesta sull’accaduto, che vagli attentamente tutte le possibilità, senza escluderne a priori nessuna. Perché ciò non può essere fatto per qualunque avvenimento storico, olocausto ebraico incluso?
4) Il revisionismo viene utilizzato spesso e volentieri come arma per contestare lo Stato di Israele.
Non è vero. Antisemitismo e antisionismo non sono poi la stessa cosa. Tant’è vero che moltissimi ebrei sono antisionisti e moltissimi non ebrei sono sionisti.  Non vi è, almeno su un piano generale, alcuna connessione tra la nascita dello Stato di Israele, avvenuta nel 1948, e l’olocausto, avvenuto dal 1942/43 al 1945. Ciò che si è detto è stato che l’olocausto è servito, dal punto di vista morale, etico e politico, come giustificazione e legittimazione per la nascita dello Stato di Israele, che avrebbe dovuto garantire anche agli ebrei, così duramente perseguitati in precedenza, un proprio Stato. Ma questa affermazione può essere fatta dagli storici ufficiali o dai revisionisti in egual misura, senza che la sua veridicità venga confutata. Inoltre molti esponenti revisionisti (primo fra tutti lo storico David Cole) sono ebrei, e molti gruppi religiosi ebrei, come per esempio il Neturei Karta, si mostrano particolarmente critici nei confronti della Storia ufficiale della seconda guerra mondiale e della politica dello Stato di Israele. Accusare degli ebrei di antisemitismo, come è stato tristemente fatto nei confronti di questi gruppi e di queste persone, e non solo, è un paradosso.
5) Adesso si comincia col negare o ridimensionare l’esatta portata della Shoa. Ma vi è il pericolo che, in seguito, dalle parole si passi ai fatti, attentando direttamente all’esistenza stessa del popolo ebraico.
Non è vero. Non si vede, allo stato attuale, come una popolazione come quella ebraica, dispersa in varie parti del mondo (prima fra tutte la democratica Europa), integrata socialmente, politicamente e culturalmente nel proprio Paese, spesso e volentieri ben accolta, possa temere alcunché.
Concettualmente, inoltre, vi è una bella differenza tra ridimensionare o negare un determinato avvenimento ed esaltarlo. C’è una bella differenza tra affermare che “Il Nazionalsocialismo ha fatto bene a sterminare 6 milioni di ebrei” ed affermare “Non vi sono prove concrete che lo sterminio degli ebrei ad opera della Germania Nazionalsocialista abbia avuto luogo”. Nel primo caso si tratta del reato di istigazione alla strage, cosa che nessuno storico revisionista e nessuna persona dotata anche del minimo barlume di buon senso di permetterebbe mai di fare, e gli Stati europei hanno tutti gli strumenti giuridici per intervenire.
6) Appoggiare il revisionismo significa esaltare il Nazionalsocialismo e il Fascismo.
Non è vero. Come già è stato scritto, nessuno storico revisionista ha mai apertamente espresso sentimento filonazionalsocialisti. Ma anche se fosse, ciò non dovrebbe inficiare la serena valutazione del lavoro svolto da uno storico, in quanto non sono in discussione le sue idee politiche, ma l’attendibilità del lavoro svolto.
7) Introdurre il reato di negazionismo porrebbe anche l’Italia sull’esempio degli altri Paesi europei.
Non è una buona cosa porsi sullo stesso piano di Paesi che puniscono per legge un reato di opinione. E’ molto più lodevole, specialmente in un’Europa che vuole essere realmente aperta e democratica, favorire il confronto e chiedere, al contrario, l’abolizione di leggi liberticide, piuttosto che la loro estensione ad altri paesi come l’Italia.
8) Negare fatti storicamente accertati non esercitare un proprio legittimo diritto di critica, non è libertà.
Non è vero. In un Paese veramente libero e democratico posso negare qualunque cosa, anche l’ovvio. In un Paese veramente libero e democratico posso anche poter pensare che Napoleone non abbia perso a Waterloo, bensì vinto; posso anche pensare che l’uomo non sia andato veramente sulla Luna; posso anche pensare che Elvis Priesley si nasconda su un’isola deserta dopo aver scoperto un elisir di immortalità. su di me potrà essere esercitato un diritto di critica, potrò essere criticato e considerato anche uno stupido. Ma nessuno deve arrestarmi.
9) Il revisionismo è usato come propaganda per partiti e movimenti xenofobi, di estrema destra e razzisti. 
Può anche essere vero. E allora? E’ perfettamente logico e normale che movimenti o partiti politici, i quali fanno del recupero della propria Storia nazionale scevra dai condizionamenti ideologici dei vincitori, aderiscano alle tesi revisioniste. Nel momento in cui tali partiti o movimenti non infrangono le leggi dei propri Paesi, o le regole della competizione libera e democratica propria di tutte le democrazie avanzate, tali partiti possono e devono esprimere ciò che vogliono. 

Queste sono le squallide lamentele dei sostenitori della legge liberticida. Ora sapete come rispondergli a tono. Facciamolo, finché la Polizia del Pensiero targata Pacifici non verrà a cercarci a casa.

sabato 20 ottobre 2012

Non dimentichiamo la strage di Gorla

Il 20 ottobre del 1944 morivano 184 bambini della scuola elementare "Crispi" del quartiere Gorla di Milano, barbaramente uccisi dalle bombe dei "liberatori". Ai poveri bambini va il nostro ricordo.
Questo è uno dei tanti nostri 11 settembre che nessuno ricorda, e per i quali nessuno ha mai chiesto Giustizia. Noi non dimentichiamo. Oggi come ieri: morte agli invasori.

lunedì 8 ottobre 2012

Discorso dell'Ambasciatore iraniano

Pubblichiamo qui di seguito il discorso che l'Ambasciatore iraniano ha tenuto il 29 Settembre a Cagliari, nel corso del Convegno tenutosi a Cagliari, dal titolo "Al-Qadyia". Buona lettura.

***

Nel nome di Dio

Gentili Signore e Signori,
Innanzitutto desidero ringraziare gli organizzatori di questo Convegno e indirizzare il mio caloroso saluto a tutti Voi presenti; un’analisi approfondita delle recenti evoluzioni regionali e internazionali e la loro esatta comprensione costituisce l’unico modo corretto per capire un mondo che negli ultimi due anni ha subito profondi cambiamenti geopolitici e geostrategici, che determinano nuovi equilibri politici internazionali, molti dei quali ancora in corso.

George Bush Sr. dopo il crollo dell’Unione Sovietica e alla vigilia della prima Guerra del Golfo Persico propose la cosiddetta teoria del “ nuovo ordine mondiale” quale strategia nazionale americana nell’era post guerra fredda. Il punto focale del discorso tenuto l’11 settembre 1990 dinnanzi al Congresso americano fu forse che “ il mondo è arrivato alla conclusione che soltanto un ordine unipolare può garantire la pace e la sicurezza globali”.

Dobbiamo sapere che la teoria del “ nuovo ordine mondiale” è stata ideata dai politici per esprimere la necessità di un sistema fondato su ideali politici e sociali dell’occidente. Per questo motivo la questione merita un’attenzione particolare. L’ideologia del nuovo ordine mondiale è nata prima della teoria del complotto e queste teorie si sono sviluppate a causa della mancanza di trasparenza all’interno dei governi e delle azioni ambigue dei potenti che le hanno strumentalizzate. In realtà la teoria del “Nuovo Ordine” e dottrine simili come quelle che fanno riferimento ad un “Ordine Internazionale” o un “Governo mondiale” non sono complicate e non nascondono oscure trame complottistiche. Il nuovo Ordine mondiale americano significa semplicemente formare un ordine nuovo in tutto il mondo ispirato alle nuove strutture politiche e finanziarie, un nuovo metodo per la gestione e il controllo su scala globale.

Wudrow Willson il 28 esimo presidente americano, Henry Kissinger, David Rockeffeler, Wiston Churcill, George Soros, Michael Gorbaciov sono alcune delle personalità che nella storia hanno affrontato a livello teorica la dottrina del “ nuovo ordine mondiale”, mentre il citato George Bush Sr. ha segnato l’inizio della fase della realizzazione pratica di questo concetto. Se è vero quindi che l’idea ha ormai quasi un secolo di vita, è stata la Guerra del Golfo Persico a fornire l’occasione storica per dare forma concreta al concetto. Questa teoria rispondeva agli interessi americani e si poneva in contrasto con quelli di molti paesi del mondo, tra cui anche alcuni paesi alleati di Washington.

Prima del 2011 il mega sistema mondiale si reggeva su quattro pilastri: economico, sociale, tecnologico e politico. Ognuno di essi era contraddistinto da un insieme di valori e significati portanti che ne costituivano l’intrinseca forza vitale. Ad esempio, il sistema politico reggeva sul concetto della Democrazia, quello sociale su concetti come I Diritti Umani e la libertà di espressione, l’economico su l’economia di mercato e il tecnologico sull’interconnessione delle reti di comunicazione globale. Attraverso queste dinamiche che hanno retto il mondo fino all’11 settembre del 2001, le grandi potenze hanno esteso la loro influenza sugli altri paesi.

L’11 settembre 2001 fu il momento in cui si è aggiunto un nuovo pilastro ai quattro già esistenti: la Sicurezza. Se prima dell’11 settembre esisteva la convinzione che il processo di globalizzazione fosse un processo a senso unico dal mondo sviluppato verso la parte del mondo in via di sviluppo, dopo quell’evento, si è realizzato che la globalizzazione a senso unico potrebbe avere effetti indesiderati. Per evitare rotture nel processo di globalizzazione si è sentita la necessità chiara di pervenire a una più razionale governance del sistema globale. La realtà ha evidenziato però che nessuno dei protagonisti della scena internazionale era in grado di assumersi questo ruolo. Gli Stati Uniti d’America durante la presidenza di Bush jr. hanno cercato di mantenere la leadership americana nel mondo attraverso il potere militare specialmente in Medio Oriente e attraverso progetti quali “ il Nuovo Medio Oriente”, “ Il Grande Medio Oriente” e “ la Guerra dei Trentatre giorni in Libano”. Alla fine però gli Stati Uniti non sono riusciti a imporre il loro ordine e le loro politiche unilaterali, mentre d’altro canto si è assistito al trionfo di un altro modello legato ad un Ordine Multilaterale, composto da un insieme di Paesi, Culture e Tradizioni.

Gli eventi e le evoluzioni regionali e internazionali degli ultimi due decenni, mostrano chiaramente che l’obiettivo finale di questi progetti irrazionali, disumani e iniqui sono il Medio Oriente e la Palestina.

La Palestina è una questione inerente la regione medio orientale, ma le sue dimensioni e conseguenze hanno dimensioni mondiali e le politiche di occupazione e usurpazione del regime sionista in questa terra negli ultimi decenni ha portato ad una perenne instabilità e insicurezza.

I progetti di nuovo ordine mondiale, nuovo Medio Oriente o Grande Medio Oriente invece di comprendere la radice del problema e trovare una soluzione equa e radicale per questa crisi, hanno cercato in ogni modo di appoggiare l’occupazione e legittimare il regime sionista nella regione.

Le ripetute sconfitte dei progetti proposti negli ultimi 60 anni e il fallimento degli sforzi impiegati per uscire da questa crisi, ha provato la correttezza della posizione della Repubblica Islamica dell’Iran, che da sempre ritiene che finché la comunità internazionale non pone al centro dell’attenzione mondiale la necessità di garantire i diritti fondamentali e primari di tutti i popoli oppressi e repressi tra cui il popolo palestinese, non vi sarà nessuna reale prospettiva di cambiare in modo risolutivo l’attuale situazione. A questo proposito la R. I. dell’Iran ha proposto da tempo la soluzione più democratica, garante di una pace durevole nella regione, ovvero la partecipazione di tutti i Palestinesi, sia gli attuali abitanti della terra di palestina, che coloro che furono allontanati verso altre regioni, indipendentemente dall’appartenenza religiosa, ad un Referendum plebiscitario, che possa godere nei suoi meccanismi anche concreti di un garante della sicurezza, affinché si possa così addivenire ad una decisione condivisa riguardo al futuro politico di questo Paese e della sua futura forma di governo.

Senza dubbio le grandi vittorie della Resistenza islamica nel Sud del Libano da una parte e il fallimento dall’altra dei progetti dalle finalità ambigue ci regalano una lezione illuminante da tramandare ai posteri. Il popolo palestinese ha due modelli tra cui scegliere: da una parte i cosiddetti progetti di Pace ripetutamente proposti negli ultimi decenni, il cui unico risultato è stato deludere le legittime aspirazioni palestinesi e un inutile prolungamento dello stato di crisi; dall’altra la Resistenza esemplare del Sud del Libano con le vittorie conquistate. Ora l’oppresso popolo palestinese potrebbe intraprendere la strada di questo secondo esempio, consapevole che la Resistenza ha il suo prezzo, ma che conduce più facilmente ad un risultato di sicuro successo. Oggi ci troviamo nel punto in cui tutte le ipotesi proposte sono fallite e la Resistenza in Libano, nonchè quella del Popolo palestinese sta sfidando le tesi di alcuni paesi colonialisti su democrazia, Libertà, Pace, Diritti umani e Giustizia. Oggi la Resistenza libanese e nella Striscia di Gaza sono il palcoscenico dove si rivela troppo spesso l’ipocrisia e la politica dei due pesi e due misure di certe potenze occidentali.

Gentili presenti,
la vera comprensione delle radici della Resistenza potrebbe metterci a disposizone una serie di opzioni realistiche e nuove prospettive per giungere a nuove soluzioni. La cultura della Resistenza nasce dalla coscienza vigile di persone con una visione indipendente del mondo che in base alla propria identità e cultura intraprendono la strada della lotta all’aggressione. Le radici della Resistenza risiedono nella natura dell’Uomo, nella sua ideologia, nella ragione e nei valori e principi umani; pertanto la resistenza da sempre è stato un elemento importante di molte scuole di pensiero religioso e laico. La Resistenza è di per sè nobile, necessaria in quanto garante della nostra umanità e della nostra etica. Nasce dal bisogno intrinseco dell’Uomo ad autodeterminarsi ed è un concetto condiviso da tutti tranne che dai poteri arroganti.

Il diritto dei popoli all’indipendenza e all’autodeterminazione è riconosciuto in molti documenti internazionali. Il paragrafo II dell’Art. 1 dello Statuto delle Nazioni Unite e l’Art.1 del “Misagh e beinulmellali huquq e madani va siasi“ si riferiscono chiaramente a questi concetti. Se l’obiettivo principale della Resistenza è l’autodeterminazione allora i movimenti di liberazione nazionale e di resistenza sono protetti dalle leggi internazionali. Queste si riferiscono chiaramente al diritto dei popoli all’autodeterminazione nella loro lotta contro il colonialismo, l’occupazione e il razzismo dei regimi usurpatori. In base quindi a questi nobili principi umani e giuridici oggi la Resistenza è divenuta un pensiero caro per tutti i popoli del mondo e nessuno può pensare di opporsi ad essa.

La Repubblica islamica dell’Iran credendo completamente in questi valori divini e umani sin dall’inizio della Rivoluzione a oggi ha posto come sua priorità la difesa degli oppressi e dei deboli e la lotta contro le arroganze, come ribadito anche nella Carta costituzionale iraniana. Il Governo e la nazione iraniani considerano il sostegno agli ideali della resistenza del Libano e della Palestina parte dei suoi principi morali e responsabilità. La questione della Resistenza trascende le politiche e le strategie contingenti proprio perchè affonda le sue radici nel nostro credo religioso e nei nostri ideali. La R. I. dell’Iran negli ultimi trenta anni si è opposta alle soluzioni imparziali e inique ed ha scelto la linea del sostegno ai popoli oppressi, come quello palestinese e libanese; mai vi è stato cedimento alcuno in questa posizione.

Oggi la Resistenza islamica nella regione si trova in una situazione critica e a un passaggio importante. L’ esito delle rivoluzioni popolari nella regione è l’aumento dell’intensità del grado di resistenza nel mondo islamico e quindi pare sia ora il momento di dargli maggiore voce, certi che continuando a resistere, assisteremo al ritorno in seno al mondo islamico dei territori occupati di Palestina e del sud Libano, oltre che alla liberazione di altre terre islamiche dalla presenza straniera. I sostenitori internazionali del regime sionista cercano di marginalizzare la questione palestinese e il concetto di resistenza ingigantendo altre questioni meno importanti, mentre per la Umma islamica la questione della causa Palestinese e del nobile Qods, nonché l’affermazione dei diritti dei palestinesi, resteranno sempre di importanza fondamentale. A mio avviso la resistenza oggi più che mai trae ispirazione dalla fede e dalla volontà e procederà nella certezza della vittoria promessa.

Ufficio dell’Europarlamento
Sala delle Bandiere - Via IV Novembre, 149

domenica 7 ottobre 2012

Il nemico occulto

Pubblichiamo, qui di seguito, l'interessantissimo documentario "Il nemico occulto" relativamente alla questio e ebraica. Lo spettatore avrà modo di conoscere molte verità taciute ed occultate dall'informazione ufficiale.

Buona visione.

P.S. E' necessario copiare ed incollare il collegamento qui sotto sulla barra degli indirizzi del proprio browser per accedere alla visione direttamente dal portale YouTube.

http://www.youtube.com/watch?v=llZAqR-mob4&feature=related

mercoledì 3 ottobre 2012

Di che vi stupite? In Italia sono tutti come Piazza



L’episodio di teppismo (perché in altro modo non si può definire) che ha visti protagonisti Antonio Piazza, Presidente dell’ALER (Azienda per l’Edilizia Residenziale) di Lecco e un disabile, è sintomatico dell'inciviltà italica. Antonio Piazza, il Presidente, arriva con la sua Jaguar davanti alla sede dell’ALER. Deve parcheggiare e non sa dove mettere la macchina. C’è un parcheggio libero, ma è riservato ai disabili. Antonio Piazza, simpaticamente, se ne fotte e, bello inamidato e profumato, parcheggia il suo bel macchinone nel posto riservato. Ma succede che arriva un disabile e, trovando il suo posto occupato da un auto che non espone il tagliando – e che quindi, automaticamente, non ha il permesso per parcheggiare – fa quello che ogni cittadino dovrebbe fare: chiama i Carabinieri, che redigono regolare tagliando di contravvenzione. Quando il Piazza scende in strada, a riprendersi comodamente la sua macchina, si trova la multa sul parabrezza. Si incazza. Riesce a risalire a chi ha chiamato i Carabinieri. E cosa fa? Quello che fa un teppistello da quattro soldi: buca le ruote del disabile; di chi, cioè, ha solo e semplicemente cercato di far rispettare un suo diritto. 

Quanto accaduto a Lecco sarebbe un caso eclatante di per sé stesso, se non fosse per un piccolo particolare. Questo quotidiano episodio di inciviltà accade ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, in ogni città italiana. La maleducazione e l’inciviltà non conoscono distinzioni regionali, non c'è nord o sud che tenga. Provate a guardare, quando camminate per la strada o quando parcheggiate la vostra auto in un centro commerciale, se le macchine che sostano nei parcheggi per disabili hanno il tagliandino colorato. Nove volte su dieci la risposta sarà: no. Volete forse che l’italidiota medio, che deve rincoglionirsi tra gli scaffali del suo centro commerciale preferito, a comprare cose inutili, spenda venti secondi in più per parcheggiare un po’ più lontano rispetto a quanto gli permette di fare il parcheggio per disabili? Non sia mai! Pensate che per ogni persona che ruba un parcheggio – lo “ruba” proprio fisicamente, in quanto si appropria di uno spazio che non è affatto suo ma che è, non per niente, riservato – c’è un potenziale disabile che, una volta arrivato lì, deve aspettare interminabili minuti, a volte anche ore, perché si liberi il suo parcheggio; oppure deve girare sperando di trovarne un altro, magari a pagamento, che sia nelle vicinanze di quello che gli è stato rubato. Ora, non so se l’avete mai notato, ma i parcheggi per disabili sono più larghi, più spaziosi, dei parcheggi normali. Ciò non è un caso: l’uscita del disabile dalla sua auto deve essere facilitata, deve esserci anche lo spazio per approntare una carrozzina, per montarla o per smontarla. Recentemente, accompagnando un amico che a causa di un incidente stradale si è ritrovato su una sedia a rotelle, mi rendo conto di come movimenti che per noi sono naturali, semplici, scontati e banali, che compiamo quasi senza accorgercene, siano, per chi è costretto su una carrozzella, impossibili. Per carità, non fraintendetemi: l’ho sempre saputo e non ho mai parcheggiato in un parcheggio riservato. Ma vedere con i propri occhi che anche superare un piccolissimo scalino, andare in bagno a fare la pipì, affrontare una leggera salita, scegliere un ristorante carino dove andare a cenare fuori, trovare un parcheggio in cui poter montare e smontare la carrozzina quando si scende o sale dall’auto, vedere che tutte queste cose diventano concretamente e realmente delle difficoltà insormontabili, indubbiamente colpisce e, se si ha un minimo di senso civico, non può lasciare indifferenti. 

Ora, come spesso accade, all’inciviltà e alla maleducazione si aggiunge l’arroganza e la protervia. Spesso mi è capitato di dire: “Signora/signore, mi scusi se glielo dico, ma lei sta parcheggiando in un parcheggio riservato”. Le risposte sono un campionario sintomatico dell'italica maleducazione: “Fatti i cazzi tuoi”, “Tanto sono solo 5 minuti”, “Ma adesso c’è poca gente e se vogliono trovano anche i parcheggi non riservati”. Ora, quando mi sento dire così, rispondo sempre a tono: sono anche cazzi miei, dato che sono un cittadino italiano. Anzi, mi stupisco, detto tra noi, che non ci sia ancora scappato il morto (io o l'altro interlocutore). Ma cosa direste se, entrando nel vostro box auto, lo trovaste occupato da un estraneo che vi risponde “Fatti i cazzi tuoi!”, “Tanto ci rimango solo per cinque minuti” oppure “Guardi che se vuole trova parcheggio anche in strada?” Non la prendereste bene. Un disabile, queste cose, se le sente dire tutti i giorni, e più volte al giorno. I subumani che rubano spazio ai disabili sono gli stessi che buttano la carta o la cicca della sigaretta per terra, che lasciano l’immondezza al lato strada (le strade delle località vacanziere sarde, quest’estate, gridavano vendetta a Dio!), che parcheggiano in doppia fila per andare a comprarsi le sigarette (“Tanto sono solo cinque minuti”), che parcheggiano negli spazi per disabili, che mentre fanno manovra ti “sbucciano” la macchina e scappano via, e altro ancora.

L’ho sempre detto: se vogliamo risollevarci moralmente e culturalmente come popolo dobbiamo ripartire dall’ABC. Abbiamo dimenticato i più elementari rudimenti del vivere civile: saluta quando entri in un negozio (non come gli asociali e i subumani che entrano con lo sguardo basso, come se stessero entrando nel bagno di casa), non gettare la cartaccia per terra (la mamma ci rimproverava se per sbaglio la facevamo cadere a casa nostra, figuriamoci fuori!), non parcheggiare nelle strisce gialle o nei parcheggi con il simbolo della carrozzina (trovate un auto parcheggiata nello spazio per disabili che esponga regolarmente il tagliandino, se ce la fate!), non circolare in strada con la musica a tutto volume (moda inventata dai negri americani dei ghetti e che gli italiani, come ogni idiozia estera, hanno diligentemente importato), non suonare il clacson se non è estremamente necessario (non si chiama l’amico che incontri per caso strombazzando come un cretino!), lavati le mani quando esci da un bagno… E si potrebbe continuare per ore. 

A furia di far entrare feccia allogena, stranieri e immigrati, abbiamo perso quella naturale grazia che contraddistingueva il popolo italiano. Imbastardimento e imbarbarimento sono andati di pari passo. La cultura delle classi più nobili e aristocratiche dell’Italia, che era assorta addirittura a scuola di buone maniere (si pensi al successo e alla divulgazione de Il Galateo di Giovanni della Casa all'estero) e attirava i nobili delle altre Nazioni qui da noi, ad imparare l’arte del ben vivere, era modello di riferimento anche per le classi subalterne ed umili. Punto di riferimento e insieme di norme etiche, prima ancora che estetiche. Il contadino poteva anche non aver la lepre alle spezie cucinata dal cuoco di corte, ma non tollerava che i bambini urlassero durante il pranzo, o si alzassero da tavola prima che i “grandi” avessero finito. E questo sentimento era generalizzato. A Goethe, l’Italia resterà impressa nel cuore per quella naturale grazia ed eleganza dei suoi abitanti, quel chiassoso ma genuino vociferare mai volgare, mai noioso. Si perdeva nei vicoli di Napoli a guardare la gente, mentre i fattorini portano la verdura fuori città, mentre sostano a metà mattina bevendo qualcosa in compagnia… Era un popolo, quello italiano, che ispirava una naturale simpatia, perché aveva, quantomeno, dei modelli di sviluppo etici, per quanto non politici.

Se guardiamo al giorno d’oggi quelle che in un altro periodo sarebbero state le “elites”, invece, c'è da piangere. Da chi dovremmo imparare le buone maniere? Dal massone Fiorito, grasso come un (povero!) suino che sta andando al macello, che si intasca un milione e trecentomila euro e poi ride sfacciatamente davanti alla telecamera, sicuro che qualche fratello di loggia riuscirà a tirarlo fuori? Chi dovrebbe insegnarci il bon ton? Nicole Minetti? Fabrizio Corona? Chi dovrebbe fungere da esempio di morigeratezza? Wladimir Luxuria? Nichi Vendola? Silvio Berlusconi?

Antonio Piazza, candidamente, afferma: “E’ da almeno tre anni che parcheggio qui, lo fanno tutti, che problema c’è?” Piazza, che lei parcheggi lì da anni non è una scusante, semmai è un’aggravante! E il “così fan tutti” o “mal comune mezzo gaudio”, in una Nazione che voglia dirsi civile, non ha senso di esistere. 

Ho la soluzione. L’italiano medio, ignorante e arrogante per definizione, avulso a qualunque tentativo di cambiamento e incivilimento, riesce a cambiare solo quando gli si tocca il portafoglio. Perché anziché imporre tasse su tasse su tasse non multiamo l’inciviltà? Rafforziamo i controlli sulle cicche che vengono buttate a terra, sui parcheggi dei disabili usati illecitamente, sui parcheggi in doppia fila, sull’immondizia gettata in mezzo alla strada. La maggioranza degli italiani sono tutti come Piazza (in questo senso siamo ben rappresentati), arroganti e saccenti. Per risollevare questo Paese ripartiamo da quelli del “Ma sono sono 5 minuti!”, “Ma tanto sto andando via!”, “Ma tanto tutti gli altri parcheggi sono liberi”, “Ma è già pieno di cicche di sigaretta a terra!”, “Ma io ho sempre fatto così”. E’ dall’ABC della civiltà, che dobbiamo ripartire.