martedì 15 gennaio 2019

Hai finito di ridere, bastardo



 
Finalmente l’hanno preso, il bastardo. Dopo una latitanza più che trentennale che lo ha portato dal Brasile alla Bolivia, passando per la Francia, sempre di governi di sinistra, quindi, per definizione, conniventi con gli assassini e con i terroristi.

Perché Cesare Battisti solo e semplicemente questo è, e non nient’altro. Come hanno confermato le quattro sentenze di ergastolo per omicidio: due per aver partecipato materialmente ai delitti, una per essere stato attivo autore morale, la quarta per aver partecipato alla pianificazione ed esecuzione del delitto. Sentenze di quello Stato Italiano che egli voleva combattere nel nome del comunismo, militando nei PAC, i Proletari Armati per il Comunismo: quei simpatyci ragazzetti che cantavano che “uccidere un Fascista non è reato”, e i più burrascosi di loro si mettevano pure a compierlo, quello che non era un reato, crivellando a colpi di Skorpion i ragazzi di destra o spaccando loro la testa a colpi di Hazet 36, con tanto di applausi dai banchi della sinistra del Comune di Milano e famiglia Fo (Dario e Franca) che si attivano per far scappare gli assassini di bambini.

I comunisti e i sinistri erano (sono) così: crudeli e vendicativi con i nemici, permissivi e comprensivi con gli amici, che erano e rimangono sempre “compagni che sbagliano”. Anche quando uccidono (è proprio Battisti a sparare) Antonio Santoro, il maresciallo dei Carabinieri che aveva il solo ed unico torto di indagare sui rossi, in un periodo in cui sui rossi non indagava nessuno ed anzi, come abbiamo già ampiamente detto, gli applausi per i delitti venivano direttamente dai consigli comunali; anche quando progetta l’omicidio di Pierluigi Torregiani, un gioielliere che aveva avuto il solo torto di rispondere al fuoco durante un tentativo di rapina (argomento, ancora oggi, di triste attualità), e in quella esecuzione mirata resterà disabile il figlio di Pierluigi, Alberto, e Vincenzo Consoli, collega del Torregiani; sono sempre compagni che sbagliano anche quando viene ucciso il macellaio Lino Sabbadin, o l’agente della Digos Andrea Campagna, colpevole, come Santoro, di indagare su coloro che erano descritti ed idealizzati come una sorta di moderni cavalieri, martiri della libertà contro lo Stato repressivo e polizesco, quello Stato talmente repressivo e polizesco che per fronteggiare le bande armata comuniste dovette dotarsi di una legislazione di emergenza. 

La sinistra di quegli anni era questa: da una parte c’era chi sparava, chi egemonizzava la presenza nelle scuole e nelle Università con l’intimidazione fisica e la violenza, chi monopolizzava i giornali e le sedi dei partiti, e dall’altra parte, la maggioranza, chi applaudiva a tale stato di cose. Applaudiva, nel vero senso della parola: come coloro che sedevano tra i banchi della sinistra del Comune di Milano e che, quando in aula arrivò la notizia che un ragazzo di 19 anni, Sergio Ramelli, era stato ritrovato sul marciapiede con la testa fracassata a colpi di chiave inglese, si lasciarono andare ad uno scrosciante applauso di gioia. Oppure, se non applaudiva, lavorava dietro le quinte per garantire l’impunità a chi dava fuoco ai bambini. Come Franca Rame e Dario Fo, che si attivarono con una struttura semiclandestina, il Soccorso Rosso, per far scappare dall’Italia coloro che bruciarono vivi i Fratelli Mattei, di ventidue e dodici anni, colpevoli solo di essere i figli di un rappresentante del Movimento Sociale Italiano di Primavalle: nessuno di loro ha mai pagato, e molti di loro, anzi, ricoprono ruoli di rilievo nelle istituzioni e nella pubblicistica (di sinistra, ovviamente).


La sinistra italiana era ed è questa qui. Come spiegarsi altrimenti l’appello a Cesare Battisti che all’epoca firmarono personaggi come Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto, Tiziano Scarpa, Nanni Balestrini, Daniel Pennac, Giuseppe Genna, Giorgio Agamben, Girolamo De Michele, Vauro, Lello Voce, Pino Cacucci, Christian Raimo, Sandrone Dazieri, Loredana Lipperini, Marco Philopat, Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi, Antonio Moresco, Carla Benedetti, Stefano Tassinari, e, ultimo ma non meno importante, un ragazzo che allora cercava di farsi strada nel mondo degli scrittori, di nome Roberto Saviano? Il quale, dopo cinque anni, e precisamente dopo aver raggiunto la fama col suo libro “Gomorra”, si ricorderà di quell’appello e chiederà di ritirare la sua firma. Vigliacco e infame, fino all’ultimo.

La notizia che la Bolivia ci avrebbe rimandato indietro Cesare Battisti ci ha inizialmente rallegrato, non lo nascondiamo. Poi, però, ci siamo un pochino intristiti. Perché abbiamo pensato a dove siamo, in Italia. Infatti lo abbiamo visto scendere dall’aereo senza manette, cosa, questa, incomprensibile ai più. Il segnale che avrebbe dato un Cesare Battisti ammanettato sarebbe stato simbolico ma, come tutti i simboli, fortissimo: lo Stato c’è, lo Stato non si è arreso dopo tutti questi anni. E va bene, ce ne siamo fatti una ragione: godiamoci la cattura. Poi i vermi, quelli stessi della sinistra del Comune di Milano, solo un po’ più giovani, hanno cominciato a cianciare di carcere inumano, di un uomo solo e malato che lascia un figlioletto, di pene alternative al carcere, di Italia vendicativa (tutte questioni che non si ponevano mentre uccideva o si faceva fare le foto mentre cazzeggiava al mare).

È la solita solfa, ormai la conosciamo bene. Se vai ad un funerale e fai un saluto romano per ricordare un tuo camerata ucciso schiumano di rabbia, vorrebbero darti dieci anni di carcere, no!, trenta!, no!, quaranta!, no!, il carcere a vita e magari appeso a testa in giù “come il tuo Duce!”. Se torni dopo più di trent’anni di latitanza con quattro omicidi acclarati sul groppone sei una sorta di moderno eroe perseguitato dallo Stato borghese: basta essere di sinistra e, per te, la legge riservata ai comuni mortali non vale più. Magari, visti i tentativi di trasformare il Festival di Sanremo in una sorta di Festa dell’Unità ad opera del cantante/conduttore che non ne azzecca più una dagli anni Ottanta e che non ha altra soluzione per far parlare di sé se non quella di appiopparci il solito pistolotto sui poveri migranti che vanno salvati, ritroveremo Cesare Battisti ospite al Festival di Sanremo, a raccontarci quanto fosse duro il suo esilio dorato sulla spiaggia di Rio De Janeiro, mentre sorseggiava un aperitivo, protetto e coccolato da quel Lula, oggi in carcere per corruzione, che si faceva le foto ricordo col suo grande amico Matteo Renzi, che anziché andare in Brasile a prendersi Battisti pensava alle foto col “compagno socialista” oggi in carcere per corruzione.

Una sola domanda si pone chi scrive: era così difficile trovare due galantuomini dei servizi segreti da mandare in Brasile con due proiettili in canna?