lunedì 17 giugno 2013

Italia 33° grado

Consigliamo la visione del seguente filmato, ovviamente censurato dai media tradizionali.
Distruzione delle Nazioni, creazione del Nuovo Ordine Mondiale, impoverimento progressivo ed ineluttabile dei cittadini, controllo dei cittadini mediante chip sottocutaneo: questi gli obiettivi della Massoneria mondiale.


domenica 16 giugno 2013

Francesco Cecchin, caduto dal balcone con le chiavi strette in mano

Francesco Cecchin: caduto dal balcone con le chiavi strette in mano
 Fonte: http://www.ilgiornaleditalia.org/news/primopiano-focus/847266/Francesco-Cecchin--caduto-dal-balcone.html
 
 
E' il 16 giugno del '79 quando il giovane militante del Fronte della Gioventù muore, dopo 19 giorni di agonia
Per questo omicidio non pagherà mai nessuno, anche grazie alla connivenza del Pci che ha sempre coperto l’unico imputato.
“E Francesco che è volato sull’asfalto di un cortile, con le chiavi strette in mano, strano modo per morire…”
Queste le parole della canzone “Generazione ‘78” che Francesco Mancinelli dedica a tutti i caduti di quegli anni di piombo maledetti. E anche a Francesco Cecchin. Parole che, ancora oggi, fanno venire la pelle d’oca. “Con le chiavi strette in mano..”. Eh si, proprio così perché quel ragazzo morì all’età di 17 anni, prima massacrato di botte da quattro “compagni” vigliacchi (di cui non si è mai saputo il nome) e poi gettato da un balconcino, sull’asfalto. Un volo di cinque metri. Che dopo 19 giorni di coma, lo ha ucciso. Nonostante le sue condizioni erano nettamente migliorate. “…Strano modo per morire”. Sembra di raccontare la storia di Sergio Ramelli, ancora una volta.
Siamo a Roma, quartiere africano. Il mese di maggio sta volgendo al termine. L’estate è alle porte. Le scuole stanno finendo, i ragazzi iniziano a pensare cosa fare in vacanza. Ma chi fa politica, in quegli anni, non va mai in vacanza. L’ideale prima di tutto. Si fa politica 365 giorni l’anno. Per gli ideali, però si muore anche, in quegli anni.
Si muore per il proprio credo  politico. E, come è successo a Francesco,  anche solo per aver attaccato un manifesto nel posto sbagliato. Il motto, tanto, è sempre lo stesso: “uccidere un fascista non è reato”.
È soprattutto nella capitale che la guerra tra i “rossi” e i “neri” diventa una questione di egemonia territoriale, di “conquista dei quartieri”.
Francesco Cecchin è davvero giovane. Non ha ancora diciott’anni. È alto, biondo e con gli occhi azzurri. Insomma, il classico bel tipo pieno di ragazze innamorate di lui. “Abbiamo scoperto che aveva due fidanzate, non una. Ed entrambe molto carine”, le parole della sorella Maria Carla.
Ma per lui la priorità è una sola: la politica. È un militante del Fronte della Gioventù; frequenta la sezione di via Migiurtina, la zona più rossa del cosiddetto “quartiere Africano”. L’unico avamposto di sinistra di tutto il circondario, che è invece notoriamente fascista.
Quella sezione del Msi appare come una provocazione in una porzione di territorio che i militanti del Pci considerano “cosa loro”. Diventa ben presto un bersaglio, fino ad essere costretta a chiudere.
Un quartiere, quello Trieste-Salario, che è uno dei campi di battaglia più caldi di Roma. Cecchin è un ribelle nato. Ha solo 17 anni ma coraggio da vendere. È già un leader, un rivoluzionario. Tanto che Terza Posizione lo vorrebbe con sé, anche se è così giovane.
A scuola non va benissimo. Ma più che per demeriti suoi, per colpa dei compagni che lo prendono di mira.
I primi due anni di liceo sono difficili. Due bocciature al tecnico “Mattei”. Di lui, non si può certo dire che sia un “secchione”, ma frequentare la scuola è davvero difficile per Cecchin. Sembra il ripetersi della storia di Sergio Ramelli. Viene isolato, è riconoscibile, un bersaglio facile. Va via da quell’istituto e si iscrive al liceo artistico di via Ripetta. Può così seguire la sua passione innata per il disegno. Il ragazzo passa intere nottate con i pennarelli in mano. Il suo capolavoro è un ritratto di Corneliu Zelea Codreanu, il fondatore delle “Croci frecciate rumene”.  Se lo attacca in camera. “CAMMINA SOLTANTO SULLE STRADE  DELL'ONORE. LOTTA E NON ESSERE MAI VILE. LASCIA AGLI ALTRI LE VIE DELL'INFAMIA”. Questa è la frase del rivoluzionario a cui più si ispira.
Ma anche all’artistico gli studenti di sinistra sono moltissimi. Ci fa a botte spesso, Cecchin, con i “compagni” che non lo lasciano in pace. La voce si sparge presto: “è un fascista, non deve passarla liscia”.
Non è un violento, ma neanche uno stinco di Santo. Sicuramente però è un ragazzo dall’animo buono.
La sua famiglia è di Nusco, in provincia di Avellino, il “feudo” di Ciriaco De Mita. Il papà, Antonio, è un funzionario del settore cinema al ministero dei Beni Culturali. È stato volontario in Somalia e imprigionato dagli inglesi prima di essere consegnato agli americani, venendo trasferito in cinque campi di prigionia diversi negli Usa. Uno tosto insomma. Il figlio ha preso da lui. La mamma fa la casalinga e la sorella, Maria Carla, studia al primo anno di giurisprudenza. Non navigano nell’oro i Cecchin, ma riescono a vivere in maniera comunque dignitosa. Sono molto uniti.
La sera del 28 maggio 1979 Francesco è in Piazza Vescovio. Nel  suo quartiere. Sono le 20, minuto più minuto meno. È  insieme con altri tre ragazzi del Fronte della Gioventù. Devono fare affissione. Barattolo di colla e scopa, come di consueto.  Ma i giovani camerati vengono notati da un gruppo consistente di compagni, che gli si avvicinano e iniziano a coprire i manifesti.  Sono molti di più, come sempre. Venti contro quattro. Vigliacchi. Poco distante da lì, c’è una macchina, una Fiat 850 bianca parcheggiata. Nessuno ci fa caso inizialmente. I compagni sono della sezione del Pci di via Monterotondo. Il loro capo è Sante Moretti, 46 anni ed un passato da pugile. “Vi abbiamo fatto chiudere via Migiurtinia, vi faremo chiudere anche viale Somalia” urla ai quattro missini. Poi si rivolge a Cecchin, e lo minaccia: “tu stai attento, che se mi incazzo ti potresti fare male”. Lui, Francesco, non fa una piega, non si fa intimidire. Un coraggio da leoni. Lo guarda con aria di sfida, si volta e se ne va. Quella frase, quella minaccia, è la dimostrazione che i gruppi di sinistra ortodossa ed extraparlamentare lo temono. Temono un ragazzino di 17 anni con un cuore immenso.
Quella notte Francesco non ha sonno. Ha voglia di uscire. Ma è minorenne e senza sua sorella Maria Carla, i suoi non gli danno il permesso. “Era già mezzanotte. (…)Ero più grande di due anni, sapeva bene che senza di me non era possibile. I nostri genitori non volevano. Si avvicinò e mi disse: ‘Marica Carla, eddai! Vieni con me. Andiamo a fare un giro’. Avrei dovuto pensare che fosse tardi, che era pericoloso, che non aveva senso.  Ma non lo feci e risposi va bene”. (tratto da Cuori Neri di Luca Telese)

I due fratelli escono.  È mezzanotte e un quarto. Il bar “Vescovio” è chiuso. L’edicola anche. È buio pesto e per strada non c’è nessuno. Francesco e Maria Carla camminano sul marciapiede di via Montebuono. Ad un tratto si avvicina una Fiat 850 bianca che procede lentamente e li segue. La stessa auto parcheggiata in piazza poche ore prima. Il finestrino si abbassa e qualcuno grida “è lui, è lui, prendetelo!”. Scendono due uomini, si mettono a correre per prendere Cecchin. Lui fa solo in tempo a dire alla sorella di scappare, di andarsene e di chiamare aiuto. Poi inizia a correre. E corre anche Maria Carla, ma non riesce a stargli dietro. Impaurita inizia a urlare più volte “Aiuto, aiuto, aiuto!”.
I tre scompaiono nel buio di Via Montebuono. Le  grida della ragazza vengono udite da un giovane che, sceso in strada, nota un uomo darsi alla fuga verso via Monterotondo. Poi  salire su quella maledetta Fiat 850 bianca e scappare. Il corpo di Francesco viene ritrovato poco dopo all’altezza del civico 5 (sempre di Via Montebuono). In un terrazzino situato sotto il livello del marciapiede di quasi cinque metri. E’ esanime, disteso sull’asfalto. È in posizione perpendicolare al muro, appoggiato di schiena, con la testa sopra un lucernario. E orientata verso la parete. Impossibile credere che si sia buttato da solo. Francesco è ancora vivo, però. È privo di conoscenza, ma vivo. Perde sangue dalla tempia e dal naso. E poi, nella mano destra ha ancora un pacchetto di sigarette, in quella sinistra stringe un mazzo di chiavi. Incredibile. Cecchin ha fratture più o meno in tutto il corpo, ma la gambe e le braccia sono intatte. Morirà in ospedale dopo 19 giorni di agonia. Il 16 giugno 1979. Soltanto un giorno prima, i medici avevano comunicato alla famiglia un netto miglioramento delle sue condizioni. Poi la morte improvvisa. Se si fosse ripreso avrebbe riconosciuto i suoi assassini e parlato. “Spesso, durante il periodo in cui Francesco è stato in ospedale, sono venute a trovarlo delle persone che io definirei sospette (…), secondo me erano tutti comunisti che volevano vedere le condizioni di mio figlio. Loro lo sapevano bene: se lui fosse rimasto in vita avrebbe denunciato i suoi aggressori. Li aveva riconosciuti e questo loro lo sapevano. E non c’era nemmeno alcun servizio di polizia in ospedale. Poteva entrare chiunque. Stava migliorando. Cosa è successo dopo? Io ancora non so come sia morto mio figlio” (tratto da Cuori Neri).

Ma cosa è accaduto realmente in quei minuti dove i due aguzzini e il giovane si sono dileguati nella notte di quel 28 maggio? Testimoni raccontano di aver sentito prima delle grida, e poi un tonfo. La dinamica non è poi cosa assurda da ricostruire. Almeno per chi voglia farlo in buona fede. Francesco Cecchin è stato inseguito dai suoi aggressori, ha scavalcato il cancelletto di via Montebuono 5 (dove abita un suo amico), ma è stato raggiunto e picchiato in maniera feroce. Ha provato a difendersi con un mazzo di chiavi, ma, dopo aver perso i sensi , è stato buttato giù dal muretto. È stato ucciso. Assassinato. Ma l’omicidio si vuole nascondere. Secondo i tre periti nominati  dal Tribunale: Alvaro Marchiori, Gaetano Secca e Giancarlo Ronchi, non c’è nulla che possa dimostrare che Cecchin sia stato picchiato e poi gettato dal muretto. Ci risiamo. Ancora una volta si vuole far pensare che sia stato solo un brutto incidente. Qualcuno ha anche il coraggio di negare che ci sia stata una colluttazione tra il giovane e i suoi aggressori, come ha fatto il commissario, il Dott. Scali. Ma i camerati no. Loro vogliono andare a fondo ed iniziano a fare indagini parallele. Raccolgono il materiale necessario per far uscire la verità. Le indagini ufficiali, condotte male, portano in tutto e per tutto all’arresto di Stefano Marozza, indicato come l’autista della Fiat. Marozza, però, ha un alibi. Dice che quella sera è andato al cinema a vede “Il Vizzietto” al cinema Ariel. Peccato però che quel film, all’Ariel, non viene proiettato. Marozza entra in carcere a luglio. Viene rilasciato a gennaio grazie alla solerte opera di protezione messa in atto dal Pci che, nel frattempo, gli ha fabbricato un nuovo alibi. Ad hoc.  La sentenza di assoluzione ha dell’incredibile. È una condanna senza colpevole: “veramente grave e singolare appare che i periti non abbiano approfondito l'indagine, non si siano recati sul terrazzo dell'abitazione degli Ottaviani(…) Altrettanto singolare che non abbiano tenuto in alcun conto i referti dell'ospedale San Giovanni.  È convinzione della Corte che, nel caso di specie, non si sia trattato di omicidio preterintenzionale, ma di vero e proprio omicidio volontario”.

 La morte di Francesco Cecchin, una faccia da angelo ed un cuore, nero, da rivoluzionario è rimasta senza colpevoli.
Quel ragazzo di diciassette anni, militante, ammazzato da un branco di vigliacchi, vive in tutti i suoi camerati. Ancora oggi. Nel loro ricordo non lo hanno ucciso. Francesco è presente!
Paolo Signorelli

venerdì 14 giugno 2013

Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino

Pubblicato su Il Lavoro Fascista - settembre 2012

Anche se, nel nostro caso, sarebbe più corretto scrivere: “Tanto va il prefetto mafioso al sabotaggio, che si prende sul muso un ricorsino”!
E già, perché come accade molto raramente in questa indegna repubblica delle banane, finalmente uno dei tanti farabutti e Vice Prefetti che presiedono le Commissioni Elettorali, si è visto sbugiardare dal TAR, in questo caso quello dell’Abruzzo.
Ricorderete la questione di Montelapiano, microscopico paesino in provincia di Chieti; in occasione delle ultime amministrative, la Camerata De Ritis presentò la lista del MFL-PSN, ma i soliti mafiosi della locale Commissione Elettorale rifiutarono il nostro logo, sia nella versione con la parola “Fascismo”, sia in quella epurata con la sola sigla “MFL”. Inoltre, il farabutto che presiedette questo schifoso ed ennesimo abuso, pensò bene di negarsi a qualsiasi colloquio con la stessa De Ritis, che dopo avere fatto ore di anticamera tentava di salvare la lista, proponendo anche la terza versione del logo, con sigla “PSN”.
Fiero dei suoi scagnozzi, il Prefetto di Chieti, successivamente, fece respingere il ricorso del nostro avvocato, nel quale si chiedeva una nuova riunione della Commissione in regime di auto-tutela per riesaminare la questione. Di norma, essendo i magistrati italiani più corrotti ed in malafede degli stessi prefetti, questa lunga serie di abusi sarebbero stati premiati con la solita medaglietta antifascista e con la bocciature di ogni nostro ricorso, sia esso amministrativo e/o penale.
Ma in questo caso, con nostra somma sorpresa, ci siamo imbattuti in magistrati onesti e competenti, i quali hanno sentenziato che il nostro successivo ricorso post-elettorale era del tutto legittimo e che andava, quindi, accolto.
Così, come potrete leggere nelle pagine che seguono di questo numero del giornale, interamente dedicato alla Sentenza del TAR dell’Abruzzo, le elezioni di Montelapiano sono state annullate e si dovrà andare a nuove elezioni, permettendo al MFL-PSN di esercitare, una volta tanto, i propri diritti politici.
Ovviamente questa Sentenza imprevista ha già scatenato uno psicodramma antifascista, con Prefetto, Sindaco e chissà chi altri pronti a ricorrere al Consiglio di Stato; la strada sarà ancora lunga, ma godiamoci il trionfo del momento.
Fra l’altro, la suddetta Sentenza fa giustizia delle tante invenzioni che abbiamo, purtroppo, letto in altri pronunciamenti che ci davano torto (come una Sentenza del TAR del Piemonte di pochi anni fa, stravolta da dei mascalzoni comunisti in toga che la riempirono di considerazioni storiche e politiche prive di senso e ben al di fuori del diritto amministrativo vigente); viene, infatti, chiarito che le Commissioni Elettorali non possono e non devono travalicare le competenze assegnate loro dalla Legge, ovvero, quelle elencate con estrema precisione dagli artt.30 e 33 Dpr n.570/1960.
Come ottimamente dicono i magistrati abruzzesi,
“La lettura delle disposizioni vigenti in materia, non fanno cenno alcuno alla possibile valutazione circa il valore politico, democratico o meno, del simbolo presentato, da parte della Sottocommissione circoscrizionale, anche perché trattasi di una discrezionalità che va oltre i tipici aspetti amministrativi; il legislatore ha fatto una elencazione puntuale e tassativa che l’organismo amministrativo é tenuto a rispettare.
In tal senso sono gli artt. 49 e 51 cost. (C. Cost. n. 256/2010) e la stessa disposizione XII, che, peraltro, ha trovato attuazione con la L. n. 645/20.6.1952, la quale prevede, ai fini decisori, la competenza del Tribunale penale (artt.2, 4, 5, 5-bis, 6, 7) e la riserva ministeriale (art.3)”.
Quindi, detto in altre parole, quando i membri di una Commissione Elettorale si mettono a pontificare a vanvera di Storia, Costituzione e Diritto Penale, commettono dei veri e propri abusi, se non addirittura dei reati.
Noi lo abbiamo sempre saputo e detto; per fortuna, oggi se ne accorgono anche dei magistrati del TAR; peccato non se ne siano mai accorti i tanti magistrati penali ai quali ci siamo rivolti, invano, nel corso degli anni, per chiedere la giusta punizione nei confronti dei Presidenti delle varie Commissioni Elettorali che ci hanno sabotati.
C’è da aggiungere, inoltre, che è ancora più intollerabile lo sconfinamento in campo penale di questi scagnozzi, se consideriamo che nei nostri confronti si è già pronunciata, più e più volte, proprio quella Magistratura Penale che fin dal 1991 ha riconosciuto del tutto legittimo il nostro movimento, così come il suo nome ed il suo contrassegno elettorale.
Potremmo, al limite, capire se una Commissione Elettorale chiedesse lumi alla Magistratura Penale nel caso in cui si presentasse alle elezioni un movimento politico Fascista nuovo, a proposito del quale non risultasse alcun pronunciamento penale.
Ma non è il nostro caso, e come sempre ho scritto (e scriverò), chi sabota il MFL-PSN tentando di impedirci le elezioni, o di farci presentare con un logo alternativo, è solo un lurido mafioso antifascista!
Carlo Gariglio
www.fascismoeliberta.it






mercoledì 12 giugno 2013

Piccoli antifascisti trinariciuti crescono

Se c’è una cosa che non manca nella nostra triste Repubblica delle banane nata dalla “resistenza” sono proprio i sottoculturati antifascisti… Essi, più o meno come i batteri, si nascondono ovunque e provocano vari fastidi ad un organismo sano…
L’ultimo ridicolo caso di antifascista in cerca di benemerenze dalle alte sfere di questa Repubblica di merda è quello di un’oscura funzionaria del Comune di Sannicandro (BA), curiosamente anche avvocato (SIGH!), la quale, nonostante la regolare richiesta del nostro dirigente locale Giuseppe Lassandro, ha deciso di rifiutarci l’affissione dei nostri manifesti, sostenendo che per dare il nulla osta era necessario sentire il parere del Prefetto…
Ovviamente la gentile funzionaria ha ignorato del tutto le varie Sentenze che ci legalizzano da ormai 21 anni, ed ha finto di non capire che la Prefettura a cui chiedeva lumi sulla nostra legittimità è la stessa che poche settimane prima aveva approvato la lista elettorale MFL-PSN presentata a Santeramo in Colle, Comune che fa sempre parte della Provincia di Bari.
Dato che non riesco ad evitare di coprire di ridicolo questi arroganti ed ignoranti funzionari antifascisti, ho inviato alla gentile signora il comunicato che riproduco a seguire in forma integrale.
Speriamo serva a procurare un travaso di bile al sedicente avvocato del Comune!

Carlo Gariglio

www.fascismoeliberta.it


Preg.ma Avv. Caterina Girone,
in riferimento alla lettera inviataci in copia (Prot. n° 9622), con la quale ci comunica il rifiuto illegittimo ed abusivo di provvedere alle affissioni dei manifesti del nostro movimento nel Comune di Sannicandro di Bari, il sottoscritto Segretario Nazionale MFL-PSN non poteva esimersi dal comunicare quanto segue.
Il fatto che il suo atteggiamento illegale sia dettato dal solito, trito e ritrito furore antifascista risulta evidente, poiché Lei ha bellamente ignorato 21 anni di legalità del movimento, varie Sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato che ci legittimano, nonché un numero enorme di partecipazioni elettorali (le prime risalgono addirittura al 1993), ultima delle quali proprio nel Comune di Santeramo in Colle, che se non andiamo errati, fa sempre parte della Provincia di Bari e dipende dalla stessa Prefettura alla quale Lei si appella, con la stessa lettera inviataci in copia, per avere una qualsiasi scusa dietro la quale nascondersi per negarci gli spazi di propaganda… E dopo avere ignorato tutto questo imponente materiale, scavando nei meandri della rete, ha finalmente trovato una Sentenza del TAR del Piemonte che, secondo Lei, ci darebbe torto e che metterebbe in dubbio la nostra legalità!
Ora, al di là dei complimenti che posso farle per la sua opera certosina di ricerca (un po’ miope, ma certamente meritoria dal punto di vista di un fiero funzionario antifascista), mi duole (soprattutto per il fatto che Lei si firma “avvocato”) rammentarle che non spetta ai TAR decidere in merito alla legalità dei movimenti politici (così come non spetta al Ministero dell’Interno, alla Prefettura e neppure a qualche “eroica” funzionaria antifascista di un oscuro Comune del barese), ma spetta solo ed esclusivamente alla Magistratura penale, la quale, da ormai 21 anni, si pronuncia regolarmente a nostro favore per evidenti motivi che Lei, in quanto avvocato, dovrebbe capire meglio del sottoscritto.


Indi, il fatto che tre mafiosi comunisti travestiti da magistrati abbiano infarcito una Sentenza amministrativa con deliranti e farneticanti considerazioni antifasciste, evidenziando in livello culturale degno di un bambino di terza elementare, nulla aggiunge e nulla toglie alla legittimità del nostro movimento.
Se proprio ci teneva a fare un lavoro di ricerca serio, invece di scavare nel fango di un pool di magistrati che amano “farla fuori dal vasino”, come si suole dire, poteva trovare le Sentenze dei TAR del Lazio e della Sicilia (1993/1994), nonché quella molto più fresca, risalente a pochi giorni fa (http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Pescara/Sezione%201/2012/201200225/Provvedimenti/201200363_01.XML), con la quale il TAR dell’Abruzzo annulla le elezioni di Montelapiano (CH), alle quali uno dei tanti viceprefetti mafiosi ci aveva impedito arbitrariamente ed illecitamente di partecipare, così come poteva trovare i riferimenti a tutte le nostre partecipazioni elettorali (http://www.fascismoeliberta.info/phpf/viewpage.php?page_id=15), alcune delle quali ci hanno permesso di eleggere Consiglieri Comunali in varie zone d’Italia… Strano, vero, che un movimento illegale possa esistere per più di 20 anni, partecipare alle elezioni, eleggere consiglieri, vincere ricorsi ai TAR… Sarà certamente sfuggito qualcosa ai magistrati penali, così come pensano i giudici mafiosi e comunisti del TAR del Piemonte!
Magari, cercando bene, potrebbe trovare anche notizia della condanna subita anni fa dal Comune di San Donato Milanese, ove “prodi ed eroici” antifascisti locali avevano creduto, come Lei, di poterci rifiutare gli spazi di propaganda:
Notiamo anche che la sua lettera è inviata, oltre che alla Prefettura di Bari (che ha accettato il nostro simbolo per le elezioni di Santeramo) ed a noi, anche al Ministero dell’Interno (!), dal quale attende un parere…
Ebbene, non si affanni tanto, glielo fornisco io in copia il parere, ovvero la risposta ad una delle tante miserabili interpellanze fatte contro di noi da parlamentari “sinceramente democratici ed antifascisti”:

Atto Senato
Risposta scritta pubblicata nel fascicolo n. 143
all’Interrogazione 4-06821 presentata da MUZIO
Risposta. – Occorre precisare innanzitutto che in base alle disposizioni contenute negli articoli 30, 31, 33 e 34 del decreto del Presidente della Repubblica del 16 maggio 1960, n. 570 (Testo Unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali), le operazioni relative all’esame e all’ammissione delle candidature per l’elezione diretta dei sindaci e per l’elezione dei consigli comunali sono devolute all’esclusiva competenza delle Commissioni elettorali circondariali – organi collegiali in posizione di terzietà – nei cui confronti l’Amministrazione dell’interno non dispone di alcun potere di sovraordinazione ed i cui atti, peraltro, sono impugnabili, in sede giurisdizionale, davanti ai competenti Tribunali amministrativi regionali.Venendo ora al caso specifico del Comune di San Giorgio di Susa (Torino), si precisa che tutte le liste presentate sono state ammesse, a conclusione del relativo iter procedimentale, da parte delle Commissioni elettorali circondariali.
Tali Commissioni hanno valutato anche la documentazione prodotta dal movimento «Fascismo e libertà», costituita sia da provvedimenti adottati in sede di giurisdizione penale, di esclusione di eventuali reati imputabili ai rappresentanti di tale movimento, che da decisioni di organi giurisdizionali amministrativi, di accoglimento di ricorsi proposti avverso la ricusazione dello stesso simbolo, adottato dalla lista in occasione di precedenti consultazioni elettorali.
Per completezza di informazione si precisa, peraltro, che le liste del predetto movimento alle recenti consultazioni elettorali non hanno ottenuto alcun seggio per l’esiguo numero di voti riportato.
Per quanto riguarda l’adozione di eventuali misure nei confronti dei movimenti politici di estrema destra, e, in particolare, del movimento «Fascismo e libertà», si ricorda che l’ordinamento vigente consente l’assunzione di un provvedimento di scioglimento di organizzazioni fasciste, «sotto qualsiasi forma» (XII disposizione transitoria e finale della Costituzione) solo a seguito di una sentenza penale irrevocabile che abbia accertato la avvenuta «riorganizzazione del disciolto partito fascista» (art. 3 della legge 20 giugno 1952, n. 645, così come modificata dall’art. 7, legge 22 maggio 1975, n. 152) ovvero un’attività, da parte dell’organizzazione destinataria del provvedimento di scioglimento, volta a favorire reati in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa (art. 7, decreto-legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito dalla legge 25 giugno 1993, n. 205).
Il movimento «Fascismo e libertà» è stato oggetto di numerosi procedimenti penali nei confronti dei suoi fondatori, per presunta violazione degli artt. 1, 2 e 4 della citata legge n. 645/1952 e successive modificazioni, tutti conclusisi con decreti di archiviazione.
Il Sottosegretario di Stato per l’interno. D’Alì

Ho evidenziato in grassetto la parte che più dovrebbe riguardarla (e che non può certo essere a Lei, caro avvocato, sconosciuta).
Come noterà, non tocca al Ministero dell’Interno pronunciarsi sulla legittimità penale dei movimento, ma alla magistratura… Se non lo dico solo io, ma lo dice anche il Sottosegretario D’Alì si fiderà di più?
Ora, in conclusione, ribadisco quanto segue:
Stante la nostra piena legittimità verificabile da chiunque voglia scaricarsi e/o leggersi le varie Sentenze e Decreti di Archiviazione (http://www.fascismoeliberta.info/phpf/viewpage.php?page_id=6), stanti le nostre regolari partecipazioni elettorali, stante la documentazione aggiuntiva fornita con la presente, Vi comunico che, qualora LUNEDI’ 20 AGOSTO 2012 i nostri manifesti non venissero affissi, procederemo senza ulteriori comunicazioni né attese a denunciare il Comune di Sannicandro di Bari, il Sig. Sindaco e l’avv. Caterina Girone per gli abusi commessi, costituendoci parte civile per il risarcimento dei danni d’immagine patiti.
Tanto Le dovevo. 

Dott. Carlo Gariglio

Segr. Naz. MFL-PSN

sabato 1 giugno 2013

Franca Rame e la Morte

Riproponiamo ai nostri lettori il bellissimo articolo di Paolo Fraschetti, dal sito internet Overblog.it, in merito alla morte della "signora" Franca Rame. Articolo lucido, interessante, diretto e chiarissimo nel sbugiardare le menzogne di una certa stampa asservita al potere e alla violenza che dimostra tutta la sua bassezza morale cercando di santificare chi santa non é. Buona lettura!

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Franca Rame non aveva ancora esalato l'ultimo respiro che subito e' scattata nel paese la corsa da parte di una certa cultura di sinistra e del Movimento 5 stelle ( che farebbe meglio ad occuparsi del perche' perde voti ) per trasformarla in un santino prima ancora che in una santa. Se ne sono sentite di tutti i colori: “un paradigma di passioni civili”, “la dedizione generosa per gli altri ne ha fatto una donna speciale”, memorabili le sue “battaglie per i diritti civili e sociali al fianco di studenti e lavoratori” tra poco sarà pubblicato “il suo testamento civile”, “una grande donna”, che ha dato voce alla “vera sinistra”. A ruota libera, senza nessun freno dettato da una analisi piu' ponderata del personaggio o quantomeno da un minimo senso del ridicolo. Un'orgia di piaggeria come solo in Italia capita di vedere. Bene, una volta reso cristiano omaggio alla salma, vediamo un po' di capire meglio chi era la signora Rame in Fo' e quali sono state queste famose battaglie per i diritti civili e sociali. Quando si parla di impegno civile il pensiero delle persone per bene corre subito ai volontari che vanno in Africa, che lavorano nelle carceri per il recupero dei detenuti, ai maestri nelle scuole di periferia, nelle borgate con tassi elevati di criminalità. Ai medici ospedalieri che sacrificano anche la famiglia e il proprio tempo, tutto, per curare e salvare la vita, all' impegno dei magistrati senza nome in prima linea, dei poliziotti e carabinieri che credono nel loro lavoro nonostante tutto e rischiano la vita ogni giorno. Questo per un italiano per bene, che lavora duramente per mantenere decorosamente la famiglia, e' l'impegno civile. Ma per altri no. Per altri l'impegno civile si identifica con la militanza faziosa ed ottusa da una ben determinata parte politica. Una militanza talmente faziosa e talmente ottusa da arrivare a creare, con il fattivo e determinante contributo della famiglia Fo' e della signora Rame, una organizzazione criminale chiamata Soccorso Rosso militante, che, a dispetto del nome, di caritatevole non aveva proprio nulla. Ma si occupava ben di altro. In quegli anni terribili che presero poi il nome di "anni di piombo" Soccorso Rosso era la mosca cocchiera che preparava il crimine, vedi i selvaggi attacchi personali contro il Commissario Calabresi, e la pattuglia di retroguardia che proteggeva l'esfiltrazione di coloro che lo avevano compiuto. Ovvero, in povere parole, era una organizzazione che spalleggiava ed aiutava volgari assassini. Un vizio che peraltro non hanno ancora perduto. Ricordiamo infatti le parole spese da certi personaggi, tipo Carla Bruni, a favore di un assassino pluricondannato come Cesare Battisti, tanto per ricordare un altro farabutto. La Signora Rame si impegnava civilmente cosi', nel proteggere e nel sostenere in tutti i modi la peggiore feccia della sinistra. Per capirci bene, non quella che uccideva durante gli scontri di piazza. Un evento doloroso ma almeno comprensibile. No, Franca Rame non amava il militante dall'occhio febbricitante di passione, pronto a dare la propria vita o a prenderne qualcuna durante un tumulto. No. la Signora Rame amava le operazioni chirurgiche, fatte di notte, in venti contro uno, armati di chiavi inglesi, le famigerate Hazet 36, un oggetto lungo quarantacinque centimetri, del peso di tre chili e mezzo con il quale questi eroi, questi alfieri dei popoli oppressi, spaccavano ossa, aprivano crani e spargevano su qualche marciapiede insanguinato la materia cerebrale di qualche ragazzino di destra. Come il povero Sergio Ramelli, morto a 19 anni dopo un pestaggio bestiale ed un'agonia atroce, durata un mese. Anche per Ramelli ci fu un pensierino carino da parte della famiglia Fo'. Questa volta da parte di Dario, il Premio Nobel, l'ex paracadutista della RSI, il rastrellatore di partigiani riciclatosi guitto e cantore della sinistra. "...Va beh...in fondo e' morto solo un fascista....". Queste le parole di questo individuo ignobile. Cosa era Ramelli dunque per questa gente, per i Fo' ? Cosa era un ragazzo di 19 anni sbriciolato a colpi di chiave inglese e lasciato ad agonizzare sull'asfalto di una Milano capitale della vergogna ? Nulla, per il nostro Premio Nobel, Ramelli era un fascista ed in quanto tale poteva essere ucciso a piacimento, come un animale nocivo, poiche', come si gridava a squarciagola nelle piazze in quel periodo: "Uccidere un fascista non e' reato". E Soccorso Rosso e la famiglia Fo' e la Rame erano fanatici sostenitori di questo imperativo...Uccidere i fascisti. Ed allora nel '72 viene massacrato a pugnalate Carlo Falvella, uno studente universitario di 22 anni, ed immediatamente Soccorso Rosso parte con la sua propaganda mefitica, velenosa incivile, infangando anche il ricordo di un bravo ragazzo pur di proteggere un altro assassino schifoso ma il culmine lo si raggiunge con l'"affaire" Mattei. 
 
Papa' Mattei e' un operaio. Un operaio missino, strano eh ? Eppure ce ne erano tanti. Viveva con la sua famiglia a Primavalle, un quartiere popolare di Roma ed era il Segretario della locale Sezione del MSI. Un uomo perbene, un padre amoroso, un lavoratore. Una famiglia perbene i Mattei, stimata e benvoluta nel quartiere, modesta ed onesta, dei bei figli. Il piu' piccolo, Stefano, ha nove anni. A qualcuno Mattei da fastidio, quella Sezione missina, nel cuore di un quartiere popolare da fastidio. Non e' tollerabile. Se ne parla dentro Potere Operaio ed un gruppo di giovani debosciati, tutti figli di famiglie ricche tra le quali spiccavano i Perrone, proprietari del Messaggero, decide di passare all'azione. A modo loro. Nemmeno le Hazet 36 questa volta. troppo pericoloso in quel quartiere, magari dalle case popolari sarebbero uscite persone in aiuto delle vittime e dunque decisero di ricorrere alla peggiore delle infamie. Bruciarli vivi. Una parte della famiglia riusci' a sfuggire al rogo, per i due fratelli Virgilio e Stefano, il bambino di nove anni, non vi fu nulla da fare. Morirono nella maniera piu' atroce. Bruciati vivi. Dopo poche ore gia' si sapeva tutto. Nomi e cognomi degli autori dell'epica impresa. Li sapevano a sinistra, li sapeva la Polizia e li sapevano i responsabili delle organizzazioni giovanili del MSI che con uno sforzo di disciplina immane rimasero comunque immobili, con l'arma al piede ma ci volle tutto il carisma di Giorgio Almirante per evitare una notte di San Bartolomeo perche' quei giovani, estenuati da uno stillicidio di morte che pareva non avere fine, intendevano farsi giustizia nella maniera piu' sommaria. Non appena il quadro fu chiaro, non appena vi fu la certezza che erano stati quelli di POTOP a commettere il misfatto, Soccorso Rosso e la Rame e la famiglia Fo iniziarono la loro opera infame, di disinformazione e di spargimento dei peggiori veleni. Mentre Jacopo, il figlioletto, una iena immonda con le peggiori caratteristiche del padre e della madre, pubblicava delle vignette nelle quali addossava la responsabilita' del rogo addirittura ad Almirante in combutta col Ministero degli Interni (“Ho provato dolore e umiliazione – starnazzo' Franca Rame - nel vedere gente che mente, senza rispetto dei propri morti”), mamma Franca scriveva un messaggio toccante a quel porco assassino di Achille Lollo, l'ideatore della strage. "Ti ho inserito nel Soccorso Rosso militante, riceverai denaro e lettere. Cosi' ti sentirai meno solo...". Testuale, ti sentirai meno solo....Il porco assassino. Quanto accadde dopo e' storia nota. I sei rampolli autori del crimine ebbero un trattamento giudiziario inqualificabile per il tipo di reato commesso e per una nazione civile. In uno dei processi vi furono scontri con i giovani del MSI che culminarono con la morte di un altro studente del FUAN, Mikis Mantakas, ed alla fine tutti si diedero ad una dorata latitanza e nessuno sconto' un giorno di prigione per quel delitto. Durante il periodo dei processi la Rame, per nulla pentita di quanto era avvenuto, nemmeno quando le evidenze erano palesi, trovo' anche il modo di scrivere un accorato appello al Presidente della Repubblica , Giovanni Leone, augurandosi che cadesse “la vergognosa montatura, ma intanto questo governo lo tiene dentro (Lollo), perché questo serve al sistema”. In questa infaticabile opera di inquinamento delle coscienze la famiglia F' non fu mai sola, parecchi di quelli che oggi rivestono ruoli di potere nell’industria culturale italiana provengono da quell’humus, ne fecero parte, e non sono pentiti. Gad Lerner, Giampiero Mughini, Erri De Luca, Paolo Liguori,  Paolo Mieli, tanto per nominarne qualcuno, hanno costruito un regime che per decenni ha messo al bando intellettuali di segno diverso. Quella cultura militante non è stata mai contro il potere. È stata ed è ancora l’incarnazione del Potere (anche economico) e la famiglia Fo' e' stata ed e' parte integrante di quel mondo.  Non si puo' quindi dimenticare o minimizzare  i danni e l’odio provocati da una certa cultura militante che non ha mai ritrattato. La Signora Rame, per esmpio,  non ha mai sentito il dovere in questi anni di ammettere di avere sbagliato con un certo tipo di solidarieta' e non ha mai chiesto perdono alle vittime. Se lo avesse fatto sarebbe stata diversamente giudicata in questo momento,  cosi' invece risulta solo oltraggiosa, anche da morta ed anche in questo tentativo di beatificazione, verso la sofferenza di tante famiglie e verso la vita negata a quanti sono caduti negli anni col sottofondo teatrale di quell’intolleranza incivile, a tratti sanguinaria.
 
Ammesso che fosse un'artista, l'arte non e' tutto, non giustifica tutto e non assolve da tutto, specialmente da un giudizio etico morale. Questo e' quanto, ed e' veramente tutto.