Tutto fumo e niente arrosto. Questo è il miglior commento che si possa fare al tanto atteso vertice tra Obama e Netanyahu, avvenuto a Washington, che secondo i sostenitori ad oltranza di Obama avrebbe dovuto imprimere un netto cambiamento di rotta alla politica estera americana, con un America non più succube dello Stato ebraico (ma allora ciò significa per caso che fino a poco tempo fa l’America è stata succube?).
Una delle questioni fondamentali da dibattere tra i due capi di Stato era quella dei due Stati, vale a dire la nascita dello Stato palestinese. Netanyahu, come prevedibile, ha risposto picche: “Non soluzione a due Stati, ma autogoverno”. Bisogna prima che i palestinesi smettano di appoggiare il terrorismo (nome di criminalizzazione per quello che io chiamo patriottismo); che l’America intervenga contro l’Iran, e così via… (1)
Insomma: prima di qualunque concessione di Israele, anche la minima, sono sempre gli altri che devono fare qualcosa. C’è sempre qualcosa, anche minima, che blocca Israele sulla strada di un accordo serio e sincero per l’indipendenza e la sovranità palestinese.
Tanto per dimostrare quanto Israele sia ben intenzionata alla pace ed al dialogo, non solo ha ampiamente spernacchiato l’ONU e la sua richiesta di risarcimento per i danni causati dall’ultima operazione di macelleria compiuta dai valorosi soldati israeliani a Gaza, ma ha anche avviato recentemente nuove costruzioni di case per i coloni israeliani (la ripresa degli insediamenti illegali era stata lievemente criticata dalla Clinto, un po’ di tempo fa) a spese delle case palestinesi. Le quali vengono abbattute con tutte le scuse possibili ed inimmaginabili: la disabitazione (a parte il fatto che non abitare la propria casa non dovrebbe comportare il perderla automaticamente, è perfettamente normale che molte case palestinesi restino disabitate o semivuote, vista l’enorme difficoltà di movimento che gli israeliani impongono alla popolazione di Gaza); l’illegalità (sancita sempre dalle autorità israeliane); il fatto di essere covi di terroristi (per Israele chiunque, dai 14/15 anni in su, è considerato un terrorista) e via dicendo. (2)
Il tutto, beninteso, nel silenzio complice dell’ONU, dell’UE, di Barack Obama e anche del Papa, che evidentemente preferisce dedicare le sue forze a combattere quel residuo di sovranità territoriale che l’Italia cerca di far valere piuttosto che criticare la politica di Israele nei territori occupati.
Secondo punto importante, come già accennato, è la questione iraniana. Barack Obama si è espresso a parole per una riconciliazione con Teheran, questo è vero. Ma non ha neanche mai detto chiaramente di non considerare la soluzione militare, che invece Israele caldeggia caldamente.
Insomma, l’Iran è sempre al centro del mirino, e si cerca di coglierlo in fallo alla prima occasione per premere il grilletto. Fortunatamente, l’Iran si muove bene, o comunque meglio di quello che si augurano i suoi nemici. Anche la recente liberazione della giornalista americana Roxana Saberi, accusata di spionaggio, ha impedito la strumentalizzazione dell’avvenimento in chiave anti-iraniana.
Comunque sia, Israele non molla, e i suoi punti chiave restano sempre quelli: riconoscimento dello Stato ebraico, messa in sicurezza dell’Iran (mediante bombardamento), contrasto dello Stato palestinese, espansione delle colonie illegali.
Eppure, ad Obama basterebbe poco per portare Israele a più miti consigli. La soluzione più immediata sarebbe quella di minacciare di tagliare i fondi ad Israele, l’unico Paese che riceve un sostegno così continuo e sostanzioso da parte degli Stati Uniti. Se ne era già parlato, un po’ di tempo fa, nell’ambito dello scudo antimissile americano (che vede anche una partecipazione israeliana) e questo, com’è ovvio, aveva suscitato aspre polemiche in Israele tanto da spingere ad una dichiarazione risoluta lo stesso premier Netanyahu. (3)
Togliere una parte di fondi economici ad Israele, da parte del governo americano, è comunque impossibile a meno che Obama non ricorra ad una prova di forza che potrebbe danneggiarlo soprattutto in quei settori (ampi e potenti politicamente e finanziariamente) della società americana favorevoli allo Stato ebraico, vista la mano di ferro che la lobby sionista (l’AIPAC in primo luogo) esercita sul Congresso degli Stati Uniti.
Eppure se avvenisse una cosa del genere la cosa non dovrebbe suscitare eccessivo scandalo. Già Israele ha ricevuto, nel solo triennio 2004-2007, aiuti privati per più di 33 miliardi di dollari per la sola costruzione degli insediamenti, reclutati da organizzazioni filoamericane. La cosa non dovrebbe suscitare scandalo, se non fosse per il fatto che gli americani hanno più volte attuato politiche economiche volte alla diminuzione degli insediamenti illegali in Cisgiordania. Insomma: organizzazioni sioniste americane raccolgono soldi esentasse (pagati cioè dai contribuenti americani) per darli ad Israele affinché questo applichi delle azioni esplicitamente condannate dagli USA. (4)
Non solo: negli ultimi venti anni Israele ha ricevuto aiuti per circa 3 miliardi di dollari all’anno, più di qualunque altra Nazione, e con condizioni di assoluto favore rispetto alla “concorrenza”. (5)
Come si può capire, anche tagliare un poco questo immenso flusso di denaro che dagli USA partono verso Israele sarebbe, da parte del governo americano, una leva importante per far tornare Israele su posizioni più ragionevoli.
Invece anche stavolta Obama, consapevole dell’immenso potere che l’AIPAC esercita sui politici degli Stati Uniti, ha accolto Netanyahu con le mani legate, dimostrando ancora una volta l’enorme remissività americana nei confronti dell’unico Stato democratico del Medio Oriente. Altro che nuovo corso….
1) http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/esteri/medio-oriente-53/obama-netanyahu/obama-netanyahu.html?ref=search
2) http://ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2009-05-18_118380362.html
3) http://it.peacereporter.net/articolo/15096/La+Freccia,+la+Fionda+di+David+e+il+Duomo+di+Ferro
4) http://www.medarabnews.com/2009/04/03/perche-agli-americani-e-permesso-versare-denaro-a-favore-degli-insediamenti-israeliani/
5) http://www.counterpunch.org/
Una delle questioni fondamentali da dibattere tra i due capi di Stato era quella dei due Stati, vale a dire la nascita dello Stato palestinese. Netanyahu, come prevedibile, ha risposto picche: “Non soluzione a due Stati, ma autogoverno”. Bisogna prima che i palestinesi smettano di appoggiare il terrorismo (nome di criminalizzazione per quello che io chiamo patriottismo); che l’America intervenga contro l’Iran, e così via… (1)
Insomma: prima di qualunque concessione di Israele, anche la minima, sono sempre gli altri che devono fare qualcosa. C’è sempre qualcosa, anche minima, che blocca Israele sulla strada di un accordo serio e sincero per l’indipendenza e la sovranità palestinese.
Tanto per dimostrare quanto Israele sia ben intenzionata alla pace ed al dialogo, non solo ha ampiamente spernacchiato l’ONU e la sua richiesta di risarcimento per i danni causati dall’ultima operazione di macelleria compiuta dai valorosi soldati israeliani a Gaza, ma ha anche avviato recentemente nuove costruzioni di case per i coloni israeliani (la ripresa degli insediamenti illegali era stata lievemente criticata dalla Clinto, un po’ di tempo fa) a spese delle case palestinesi. Le quali vengono abbattute con tutte le scuse possibili ed inimmaginabili: la disabitazione (a parte il fatto che non abitare la propria casa non dovrebbe comportare il perderla automaticamente, è perfettamente normale che molte case palestinesi restino disabitate o semivuote, vista l’enorme difficoltà di movimento che gli israeliani impongono alla popolazione di Gaza); l’illegalità (sancita sempre dalle autorità israeliane); il fatto di essere covi di terroristi (per Israele chiunque, dai 14/15 anni in su, è considerato un terrorista) e via dicendo. (2)
Il tutto, beninteso, nel silenzio complice dell’ONU, dell’UE, di Barack Obama e anche del Papa, che evidentemente preferisce dedicare le sue forze a combattere quel residuo di sovranità territoriale che l’Italia cerca di far valere piuttosto che criticare la politica di Israele nei territori occupati.
Secondo punto importante, come già accennato, è la questione iraniana. Barack Obama si è espresso a parole per una riconciliazione con Teheran, questo è vero. Ma non ha neanche mai detto chiaramente di non considerare la soluzione militare, che invece Israele caldeggia caldamente.
Insomma, l’Iran è sempre al centro del mirino, e si cerca di coglierlo in fallo alla prima occasione per premere il grilletto. Fortunatamente, l’Iran si muove bene, o comunque meglio di quello che si augurano i suoi nemici. Anche la recente liberazione della giornalista americana Roxana Saberi, accusata di spionaggio, ha impedito la strumentalizzazione dell’avvenimento in chiave anti-iraniana.
Comunque sia, Israele non molla, e i suoi punti chiave restano sempre quelli: riconoscimento dello Stato ebraico, messa in sicurezza dell’Iran (mediante bombardamento), contrasto dello Stato palestinese, espansione delle colonie illegali.
Eppure, ad Obama basterebbe poco per portare Israele a più miti consigli. La soluzione più immediata sarebbe quella di minacciare di tagliare i fondi ad Israele, l’unico Paese che riceve un sostegno così continuo e sostanzioso da parte degli Stati Uniti. Se ne era già parlato, un po’ di tempo fa, nell’ambito dello scudo antimissile americano (che vede anche una partecipazione israeliana) e questo, com’è ovvio, aveva suscitato aspre polemiche in Israele tanto da spingere ad una dichiarazione risoluta lo stesso premier Netanyahu. (3)
Togliere una parte di fondi economici ad Israele, da parte del governo americano, è comunque impossibile a meno che Obama non ricorra ad una prova di forza che potrebbe danneggiarlo soprattutto in quei settori (ampi e potenti politicamente e finanziariamente) della società americana favorevoli allo Stato ebraico, vista la mano di ferro che la lobby sionista (l’AIPAC in primo luogo) esercita sul Congresso degli Stati Uniti.
Eppure se avvenisse una cosa del genere la cosa non dovrebbe suscitare eccessivo scandalo. Già Israele ha ricevuto, nel solo triennio 2004-2007, aiuti privati per più di 33 miliardi di dollari per la sola costruzione degli insediamenti, reclutati da organizzazioni filoamericane. La cosa non dovrebbe suscitare scandalo, se non fosse per il fatto che gli americani hanno più volte attuato politiche economiche volte alla diminuzione degli insediamenti illegali in Cisgiordania. Insomma: organizzazioni sioniste americane raccolgono soldi esentasse (pagati cioè dai contribuenti americani) per darli ad Israele affinché questo applichi delle azioni esplicitamente condannate dagli USA. (4)
Non solo: negli ultimi venti anni Israele ha ricevuto aiuti per circa 3 miliardi di dollari all’anno, più di qualunque altra Nazione, e con condizioni di assoluto favore rispetto alla “concorrenza”. (5)
Come si può capire, anche tagliare un poco questo immenso flusso di denaro che dagli USA partono verso Israele sarebbe, da parte del governo americano, una leva importante per far tornare Israele su posizioni più ragionevoli.
Invece anche stavolta Obama, consapevole dell’immenso potere che l’AIPAC esercita sui politici degli Stati Uniti, ha accolto Netanyahu con le mani legate, dimostrando ancora una volta l’enorme remissività americana nei confronti dell’unico Stato democratico del Medio Oriente. Altro che nuovo corso….
1) http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/esteri/medio-oriente-53/obama-netanyahu/obama-netanyahu.html?ref=search
2) http://ansa.it/site/notizie/awnplus/topnews/news/2009-05-18_118380362.html
3) http://it.peacereporter.net/articolo/15096/La+Freccia,+la+Fionda+di+David+e+il+Duomo+di+Ferro
4) http://www.medarabnews.com/2009/04/03/perche-agli-americani-e-permesso-versare-denaro-a-favore-degli-insediamenti-israeliani/
5) http://www.counterpunch.org/
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