giovedì 31 dicembre 2009

Cosa sta succedendo in Iran? (parte 2)

*****Parte 2. La prima parte è disponibile qui: http://chessaandrea.blogspot.com/2009/12/cosa-sta-succedendo-in-iran-parte-1.html

Non c’è dubbio, a chi abbia un minimo di dimestichezza con la politica internazionale e mediorientale, che la politica che la Repubblica Islamica dell’Iran sta conducendo in questi ultimi anni l’ha portata ad avere non pochi nemici. Il primo e fondamentale elemento di attrito con la comunità internazionale è la sua politica energetica: l’Iran vuole sviluppare l’energia nucleare per scopi essenzialmente civili e per raggiungere l’indipendenza energetica; a tal scopo ha sottoscritto il protocollo della AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica), permettendo le visite degli ispettori delle Nazioni Unite sul proprio territorio, che hanno sancito che l’Iran, sostanzialmente, non sta cercando di conseguire la bomba atomica. Israele, tanto per fare un esempio, non ha sottoscritto tale protocollo: ne consegue che gli ispettori dell’ONU non hanno alcuna possibilità di ispezionare i laboratori israeliani, né di chiedere conto di quelle bombe atomiche, stimate tra 300 e 500, che fanno di Israele uno tra gli eserciti più potenti del mondo. Ciò nonostante è proprio Israele a chiedere a gran voce – forte dell’incondizionato appoggio diplomatico che gli Stati Uniti e l’Europa concedono ad uno Stato che è l’unico al mondo a praticare nel 2010 una politica di colonialismo violento e di apartheid (come l’ha definita l’ex Presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter) nei confronti della popolazione palestinese – una politica fortemente violenta aggressiva e violenta nei confronti dell’Iran; che, al contrario di Israele, non si è mai reso responsabile di alcuna violazione degli spazi aerei altrui, né di bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile di alcuno Stato, né di un criminale embargo economico volto a causare enormi sofferenze ad una popolazione inerme (come fa Israele contro i palestinesi), né di alcuna repressione delle minoranze interne (la comunità ebraica, in Iran, è libera di esprimere liberamente le proprie opinioni sulle questioni che ritiene più opportune e ha anche diversi suoi membri all’interno del Parlamento Iraniano).





Una tale politica di autosufficienza energetica, che l’Iran interpreta come elemento fondamentale della propria sovranità internazionale (che noi europei abbiamo svenduto alle grandi lobbies d’affari, agli organismi massonici sopranazionali, ai grandi potentati massonici), non può chiaramente essere vista di buon occhio né dagli Stati Uniti, che rischiano di vedere diminuito il loro ruolo egemonico nella regione, né da Israele, quinta colonna degli USA nell’area e desiderosi di essere il Paese egemone di tutto il Medio Oriente.


A ciò si aggiunga il fatto che l’Iran ha realizzato, in questi ultimi anni, una politica estera di tutto rispetto: stringe accordi bilaterali e di collaborazione con i suoi vicini; fa il flirt con le due grandi potenze, Russia e Cina, sviluppando progetti economici e militari che permettono all’Iran di accedere ai migliori sistemi militari di difesa ed eventualmente anche di attacco, ma che hanno essenzialmente un ruolo deterrente, viste le continue minacce di guerra e di bombardamenti che negli ultimi anni provengono dagli USA e da Israele un giorno si e l’altro pure; la sua economia è in crescita, nonostante la devastante contrazione che hanno subito le Nazioni occidentali, che hanno acriticamente aderito al dogma liberista e capitalista, e ciò ha una positiva ripercussione sul sistema sociale, economico e sanitario del Paese.





Ciò potrebbe essere sufficiente, ma tuttavia non basta per spiegare l’ostilità dei Paesi occidentali nei confronti dell’Iran. Vi sono anche altri elementi di carattere, diciamo così, culturale. È indubbio che, dimostrando un grande coraggio, il Presidente iraniano Ahmadinejad abbia esplicitamente puntato il dito contro diversi grandi mali che affliggono la nostra epoca, e lo abbia fatto da pulpiti importanti, come quelli dell’ONU.





È stato l’unico politico mondiale, assieme a Chavez e a pochi altri, che ha avuto il coraggio di criticare Israele per la sua politica di sterminio e di violenza nei confronti dei palestinesi, sottoposti ad una colpa collettiva che li vede vittime di un crudele embargo, di bombardamenti continui e devastanti (come quella di Piombo Fuso dello scorso dicembre), di violenze inenarrabili e continue, nel silenzio dell’opinione pubblica occidentale.


È stato l’unico politico mondiale ad ospitare, nel 2006, un importantissimo convegno sul revisionismo olocaustico in cui è stata concessa libertà di parola non solo ai revisionisti ed ai negazionisti, ma anche agli sterminazionisti (vale a dire coloro che credono che la Germania hitleriana abbia pianificato ed attuato un deliberato programma di sterminio ai danni della popolazione ebraica), senza che vi fossero scontri, tafferugli o violenze. Vale la pena di ricordare che se lo stesso ed identico convegno fosse stato organizzato in uno dei Paesi dell’Europa occidentale, quella stessa Europa che si proclama democratica e chiede arrogantemente e in continuazione patenti di democrazia agli Stati non allineati alla linea imposta dagli Stati Uniti, i partecipanti sarebbero stati arrestati, malmenati oppure anche uccisi. Chi ha dato lezioni di democrazia? L’Iran, che ha permesso a tutti di dire la propria voce in un importante incontro storiografico, oppure l’Europa che ha inventato dei veri e propri sistemi di repressione giudiziaria (XII articolo della Costituzione, legge Mancino e legge Mastella in Italia; legge Gayssot in Francia; leggi contro il revisionismo sono presenti in Francia, Austria, Inghilterra) che equiparano il presunto olocausto ebraico ad un vero e proprio dogma religioso da accettare acriticamente, pena il carcere, la rovina economica, la perdita del posto di lavoro o persino la propria vita?


Insomma, come diceva Orwell: “In tempi di menzogna universale, dire la verità diventa un atto rivoluzionario”. E, aggiungiamo noi, in tempi di menzogna universale, dove le guerre di aggressione si chiamano “operazioni per portare la pace”; dove i Presidenti che hanno invaso due Stati sovrani (Iraq e Afghanistan) e ne minacciano altri di ugual sorte hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace 2009; dove le operazioni di sterminio della popolazione di Gaza si chiamano “stanare i terroristi”; dove salvare i banchieri che hanno causato una crisi economica epocale e lasciare morire i poveri si chiama “risollevare l’economia”; dove i patrioti che lottano con armi vecchie e obsolete contro coloro che hanno invaso la loro Patria nel nome della democrazia vengono criminosamente definiti “terroristi”; dove la difesa delle proprie tradizioni e della propria cultura si chiama “razzismo”; dove lo sfruttamento dei lavoratori in nome del profitto e dell’egoismo di pochi si chiama “libero mercato” e “capitalismo”; dove si chiede il carcere e la morte per i revisionisti (colpevoli solo di pensarla diversamente) ma si difendono i pedofili stupratori come il famoso regista Polanski… ecco, in tempi come questi, Ahmadinejad ha rappresentato una speranza. Almeno di questo gli si dia atto: ha dimostrato coraggio. Perché quelli lì aspettano un mezzo ruttino per sganciargli sulla testa una miriade di bombe atomiche.


Insomma: lungi da me affermare che l’Iran sia un paradiso terrestre, dove è assente la corruzione, la violenza e le tensioni sociali. Ma non c’è dubbio che lo Stato di Ahmadinejad persegua, sia sul fronte interno che esterno, una politica coerente con i propri interessi nazionali.


Ora si può vedere sotto una diversa luce la situazione iraniana. Pensando ai dubbi affari delle organizzazioni non governative occidentali in Iran (traffico di armi, prostituzione, sovversione antigovernativa); all’attività di propaganda e di sovversione svolta via internet dagli Stati Uniti e dai loro lacchè; all’azione coordinata e paramilitare (tipica non delle spontanee manifestazioni di piazza ma di elementi armati ed addestrati) dei gruppi sovversivi filo-occidentali; alla consapevolezza che gli USA e chi per loro non hanno mai esitato a promuovere rivoluzioni e sovversioni – anche sanguinose – per poter avere governi più malleabili con i quali poter dialogare; alle accuse di Teheran, che ha esplicitamente detto di essere a conoscenza che gli attacchi sono preparati dall’esterno; alla propaganda di demonizzazione di Ahmadinejad e di beatificazione di Moussawi, un criminale che si è reso responsabile di migliaia di morti; al sostegno popolare di cui gode Ahmadinejad, sostegno che non può scomparire in soli sei mesi; alla politica di sovranità nazionale (volta a difendere l’autonomia energetica dell’Iran, i diritti dei palestinesi, volta a contrastare l’arroganza sionista)…


Pensando a tutto ciò: potete provare a pensare che forse, visto che sei mesi fa Ahmadinejad è stato rieletto, l’Occidente abbia voluto forzare un po’ la mano del destino per provare a mettere a capo dell’Iran qualcuno un po’ più ossequioso dell’attuale Presidente?

*****Fine seconda parte. La prima parte è disponibile qui: http://chessaandrea.blogspot.com/2009/12/cosa-sta-succedendo-in-iran-parte-1.html

Cosa sta succedendo in Iran? (parte 1)

***** Parte 1. La seconda parte è disponibile qui: http://chessaandrea.blogspot.com/2009/12/cosa-sta-succedendo-in-iran-parte-2.html

Come interpretare la situazione iraniana?




Partiamo da un presupposto fondamentale: non essendo affiliato a nessuna loggia importante e non avendo contatti nei servizi segreti di nessun Paese è particolarmente difficile farsi una idea precisa della situazione. Pretendere di capire la situazione iraniana utilizzando solo i mass media ufficiali – semplici casse di risonanza degli apparati di potere – è da allocchi. Ma non bisogna neanche fidarsi solo ed esclusivamente della cosiddetta controinformazione di internet, che spesso agisce in parallelo all’informazione ufficiale (enfatizzando o sminuendo le informazioni, gonfiandone alcune e occultandone altre). Una sintesi di entrambe le voci può essere già più apprezzabile, ma deve essere anche suscettibile di verifiche e, perché no?, anche di marce indietro.


Comincio col dire che non credo alla storiella fantastica che ci propinano i mass media: il popolo eroico e vittorioso che lotta contro il perfido tiranno per portare se stesso sulla via della libertà. Questa è una visione di propaganda americana, surrogato di quelle trasposizioni cinematografiche dell’american way of life con le quali la mafia hollywoodiana ha cloroformizzato le menti delle ultime generazioni. Ma la realtà non è un film.


Sulle strade di Teheran, in questi giorni, si è riversata una folla scalmanata e vociante che, nel pieno stile della contestazione no-global occidentale, si è messa a sfasciare vetrine, ad incendiare macchine, a sparare contro le forze dell’ordine. È un modus operandi che noi occidentali conosciamo piuttosto bene, se pensiamo ai teppisti e criminali che si sono riversati a Genova nel 2001, in occasione del G8, mettendo a ferro e fuoco la città. Ma c’è un netta differenza tra le due cose: mentre i criminali di Genova erano (e sono) teppisti accorsi sul posto per dare fiato ai loro squallidi e anacronistici proclami antifascisti, questi “dimostranti” invece sembrano essere ben coordinati: prova ne sia che, dopo diversi giorni, le autorità iraniane non sono ancora riuscite a stroncare le proteste di una minoranza della popolazione che è certamente una minoranza, ma che è organizzata militarmente, coordina con un discreto successo le diverse componenti, e, cosa che ai più potrebbe apparire secondaria, effettua una capillare propaganda politica filo-occidentale utilizzando quell’importantissimo strumento che è internet, nonché due importanti social networks come Twitter e Facebook, parlando un inglese a dir poco perfetto come neanche riescono a fare i madrelingua.


La stessa Hillary Clinton ha candidamente affermato che gli Stati Uniti sono da tempo impegnati in un’opera di sostegno attivo alle organizzazioni antigovernative iraniane, ed hanno utilizzato, come strumenti di propaganda e di reclutamento, anche Facebook e Twitter; i gestori di quest’ultimo portale, in particolare, nelle settimane passate in cui si verificarono ancora scontri tra le autorità iraniane e la cosiddetta “onda verde”, ritardarono di un giorno le attività di manutenzione del sito proprio per poter permettere, nelle ore cruciali per il movimento sovversivo di protesta, l’attività del movimento stesso.


Non solo: la conferma arriva anche dal "Support for Civil Society and Rule of Law in Iran", un documento con il quale la Casa Bianca ha autorizzato lo stanziamento di 20 milioni di dollari alle organizzazione anti-Ahmadinejad.


Lo stesso Segretario di Stato, in un'intervista a Farred Zacharia della CNN del 9 agosto 2009, ha candidamente dichiarato: “Permettetemi di rispondere alla prima parte della sua domanda sulla nostra reazione. Vi è stato un altro aspetto molto importante. Non ci volevamo trovare tra le proteste e le manifestazioni legittime del popolo iraniano e il potere. E sapevamo che se si interveniva troppo presto, e troppo decisamente, l’attenzione avrebbe potuto oscillare e il potere avrebbe cercato di utilizzarci per unificare il Paese contro i manifestanti. E’ stata una decisione difficile, ma credo che, in retrospettiva, ne siamo usciti bene. Tuttavia, dietro le quinte, abbiamo fatto molto." Cosa hanno fatto dietro le quinte gli americani? Forse supportare gruppi sovversivi ed antigovernativi per cercare di mettere in difficoltà Ahmadinejad ed il suo governo o, peggio, per cercare di farlo cadere con rivoluzioni di massa?



La cosa, del resto, non deve stupire troppo: l’Occidente, e gli USA in maniera particolare, non si sono mai limitati a guardare dalla finestra l’evolversi della situazione nei Paesi in cui avevano e hanno particolari interessi politici, economici o geostrategici; sono sempre intervenuti in vari modi per “aiutare” la sorte a disegnare uno scenario favorevole alle esigenze occidentali: più libero mercato, meno nazionalizzazione, governi più filo-occidentali ed aperti alle politiche economiche neoliberiste della World Trade Organizaton. Le cosiddette rivoluzioni colorate negli Stati ex sovietici, ma anche gli avvenimenti italiani del secondo dopoguerra, ne sono una conferma.


L’Iran, del resto, non ha esitato a condannare il movimento sovversivo ispirato “dai sionisti e da Washington”.
Lo stesso ambasciatore inglese a Teheran è stato richiamato ufficialmente per spiegare la politica di Londra, che si è schierata senza mezzi termini con i rivoltosi.


Rivoltosi che, manco a dirlo, abusano sfacciatamente delle paroline magiche in nome delle quali l’Occidente si è macchiato, e si macchia quotidianamente in Iraq, Afghanistan, Gaza, delle atrocità più aberranti: diritti umani. Che cosa facciamo ogni giorno in nome dei diritti umani è sotto gli occhi di chiunque non abbia portato il proprio cervello alla rottamazione.


Una cosa, comunque, sembra assodata: questa rivoluzione non è così spontanea come la si vuol far apparire, e diverse potenze straniere sono coinvolte. Vuoi con i proclami via Facebook, vuoi con dollari che arrivano alle varie ONG stanziate nel Paese (e contro le quali l’Iran effettuò, qualche tempo fa, un’opera di “pulizia” che evidentemente non deve aver dato i risultati sperati), vuoi con l’attivo sostegno dei Paesi occidentali ai rivoltosi. Tale sostegno non è solo di tipo economico e politico, ma si esplica anche nel campo dell’informazione. Quell’informazione che tutta, senza eccezioni, ci fa apparire la contestazione iraniana come la coraggiosa lotta di un popolo per la propria libertà.


Ecco spiegata la incredibile attività di delegittimazione del Presidente Ahmadinejad – Presidente regolarmente e democraticamente eletto, vale la pena di ricordarlo – e le sperticate lodi che vengono fatte di Moussawi, un novello Che Guevara alla testa della rivoluzione. Ma chi è veramente Moussawi? Il mistero è presto svelato: ben introdotto negli ambienti del potere iraniano, fece con Khomeini la rivoluzione iraniana, fu una delle personalità più importanti di quello che fu un tempo il Ministero dell’Informazione Iraniano, che si rese responsabile di centinaia di migliaia di sparizioni, arresti arbitrari, uccisioni e torture contro i dissidenti politici. Non proprio un santo, insomma.


Si tenga presente anche un altro fatto, che a mio parere è spesso trascurato. È mai possibile che un popolo si rivolga, di colpo, contro quel potere che ha democraticamente eletto pochi mesi prima? Certo, si potrebbe obbiettare, se quel governo, col passare del tempo, peggiora progressivamente le condizioni di vita della popolazione. Obiezione giusta. Ma ricordiamoci che il governo di Ahmadinejad è stato eletto, con 11 milioni di voti di differenza (una percentuale enorme, che lo ha accreditato come uno dei leader iraniani più amati e più accreditati, almeno sul fronte interno), solamente sei mesi fa. A meno che un governo non incida pesantemente e violentemente nelle dinamiche politiche, economiche sociali della popolazione, causando il drammatico peggioramento delle condizioni di vita di quest’ultima, è estremamente raro che un governo possa perdere in soli sei mesi tutto quel vantaggio che le elezioni gli hanno conferito. E Ahmadinejad, sostanzialmente, non ha cambiato la propria politica.


È necessario farsi anche un’altra domanda, d’obbligo in avvenimenti come questi: a chi giova la rivoluzione iraniana ed, eventualmente, un cambio di governo?

*****Fine prima parte. La seconda parte è disponibile qui: http://chessaandrea.blogspot.com/2009/12/cosa-sta-succedendo-in-iran-parte-2.html

domenica 27 dicembre 2009

Uno storico espone nei dettagli il piano biennale staliniano di mobilitazione per la conquista dell'Europa

Altro materiale utile per i tanti coglioni che ancora si ostinano a parlare di “aggressioni naziste”…

Carlo Gariglio

www.fascismoeliberta.it

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Fonte: Insitute of Historical Review (USA)

Traduzione a cura di: Gian Franco SPOTTI

NOTA: Il Giorno “M” è un libro scritto da Vladimir B. Rezun (alias Viktor Suvorov), tradotto dal russo in tedesco da Hans Jaeger, Stoccarda. Ed. Klett-Cotta, 1995, 356 pagine, corredato di foto, riferimento delle fonti, bibliografia, indice.

Di Daniel W. Michaels (laureato alla Columbia University ed ora in pensione dopo 40 anni di servizio presso il Dipartimento Americano della Difesa)

Quando Hitler lanciò “Operazione Barbarossa“ contro l’Unione Sovietica il 22 Giugno 1941, i dirigenti tedeschi giustificarono l’attacco definendolo preventivo al fine di contrastare un imminente invasione della Germania e del resto dell’Europa da parte dei sovietici.

Dopo la guerra i responsabili politici e militari più importanti, ancora in vita, furono condannati a morte a Norimberga con l’accusa di avere, tra le altre cose, progettato e condotto una “guerra aggressiva” contro l’Unione Sovietica.

Il Tribunale di Norimberga rifiutò di accettare le tesi della difesa che definiva “Barbarossa” un attacco preventivo.

Nei decenni successivi, storici, uomini di governo e opere scritte sull’argomento negli Stati Uniti, in Europa e in URSS, hanno mantenuto la versione che fu Hitler a venire a meno agli accordi con i sovietici lanciando il suo attacco traditore a sorpresa, motivato dalla bramosia per le risorse naturali russe e ucraine, dalla ricerca dello “spazio vitale” e da quel pazzesco piano che mirava alla “conquista del mondo”.

In questo studio dettagliato, ben argomentato e documentato, uno specialista russo ha presentato abbondanti prove che, in sostanza, confermano la tesi tedesca.

Basato innanzitutto su una scrupolosa analisi della relativa letteratura politica e militare, nonché sulle memorie di membri di spicco dell’elite di partito e militare sovietica, l’analista militare Suvorov ha presentato una notevole opera revisionista che obbliga ad una rivalutazione radicale della concezione a lungo accettata della storia della Seconda Guerra Mondiale.

L’autore, il cui vero nome è Vladimir Bogdanovich Rezun, fu addestrato come ufficiale dell’esercito sovietico a Kalinin e a Kiev. Più tardi, dopo l’espletamento di servizi nel personale da ufficio e dopo aver completato gli studi all’Accademia Diplomatica Militare nel 1974, prestò servizio come ufficiale del controspionaggio militare sovietico (GRU), lavorando per quattro anni a Ginevra sotto copertura diplomatica. Disertò nel 1978 e gli fu concesso asilo politico in Gran Bretagna.

Il suo primo libro sull’argomento, IL ROMPIGHIACCIO, fu inizialmente pubblicato in lingua russa (in Francia) nel 1988, poi seguirono edizioni in altre lingue, incluso l’inglese.

Fece scalpore negli ambienti del controspionaggio e militari, specialmente in Europa, perché documenta attentamente la natura offensiva del massiccio ammassamento militare sovietico alla frontiera tedesca nel 1941.

Nel libro “Il Giorno M“ Suvorov aggiunge sostanzialmente prove e argomenti presentati ne “Il Rompighiaccio“.

Sviluppando l’argomento, Suvorov evidenzia l’importanza centrale riguardante il piano di Stalin dello stratega militare Boris Shaposhnikov, Maresciallo e Capo di Stato Maggiore. La sua opera più importante, MOZG ARMII (Il Cervello dell’Esercito), fu per decenni una lettura obbligatoria per ogni ufficiale sovietico.

Stalin non solo rispettava l’acume militare di Shaposhnikov ma, insolitamente, gli era simpatico.

Fu il solo uomo al quale Stalin si indirizzava pubblicamente usando il suo nome patronimico (Boris Mikhailovich), in Russia una personale forma di riferimento, meno che formale ma sicuramente rispettosa. Stalin chiamava chiunque altro col suo cognome preceduto dalla parola “compagno” (esempio: Compagno Zhdanov). L’ammirazione di Stalin derivava dal fatto che sul suo tavolo teneva sempre una copia del libro di Shaposhnikov (Mozg Armii).

Il piano di mobilitazione di Shaposhnikov, fedelmente perfezionato da Stalin, evidenziava un chiaro e logico programma di due anni (Agosto 1939 – Estate 1941) che sarebbe inesorabilmente e volutamente culminato in una guerra.

Secondo Suvorov, Stalin annunciò la sua decisione di perfezionare questo piano ad una riunione del Politburo il 19 Agosto 1939, quattro giorni prima della firma del patto di non aggressione germano-sovietico, (fu a questa riunione del Politburo, dopo che Stalin ebbe concluso le sue draconiane purghe di militari e politici “inaffidabili”, che il leader sovietico ordinò al Generale Georgi Zhukov di attaccare e sconfiggere, col sistema classico della guerra lampo, la Sesta Armata giapponese a Khalkhin-Gol in Mongolia).

Tredici giorni dopo il discorso di Stalin, le truppe tedesche lanciano l’attacco alla Polonia e, due giorni dopo il 3 Settembre 1939, la Gran Bretagna e la Francia dichiarano guerra alla Germania.

Una volta che Stalin decise di imbarcarsi nel processo di mobilitazione, il regime riconvertì l’economia della nazione, indirizzando le enormi risorse fisiche e umane dell’Unione Sovietica verso un’economia di guerra. Per sua natura, questo radicale cambiamento poteva portare solo ad una logica conclusione: la guerra.

In parole povere, la decisione di Stalin del 1939 di mobilitare le truppe, stava a significare inevitabilmente la guerra.

RIARMO MASSICCIO

Nel 1938, 1.513.400 uomini prestavano servizio nell’Armata Rossa. Ciò significava circa l’1% della popolazione sovietica, che è generalmente considerata la normale percentuale massima, economicamente sostenibile, di uomini sotto le armi, rispetto alla popolazione.

Come parte del loro programma di mobilitazione di due anni, Stalin e Shaposhnikov arrivarono a più che raddoppiare il numero di uomini sotto le armi, arrivando a oltre cinque milioni.

Durante questo periodo, Agosto 1939 – Giugno 1941, Stalin mise in campo 125 nuove divisioni di fanteria, 30 nuove divisioni motorizzate, 61 nuove divisioni corazzate e 79 nuove divisioni aeree, un totale di 295 divisioni organizzate in 16 armate. Il piano Stalin-Shaposhnikov prevedeva anche una mobilitazione di ulteriori sei milioni di uomini nell’estate del 1941 da distribuirsi in ulteriori divisioni di fanteria, motorizzate, corazzate e aeree.

Fra il Luglio del 1939 e il Giugno del 1941, Stalin aumentò il numero delle divisioni corazzate sovietiche da zero a 61, con altre dozzine in allestimento. Per il mese di Giugno 1941 la “neutrale” Unione Sovietica aveva allestito più divisioni corazzate di tutti gli altri paesi del mondo messi insieme, una possente forza che poteva effettivamente essere impiegata solamente in operazioni offensive.

Nel Giugno del 1941 Hitler gettò all’attacco dieci divisioni meccanizzate, delle quali, ognuna, aveva più di 340 carri medi e leggeri. Sull’altro versante, Stalin aveva 29 divisioni meccanizzate, ognuna con 1031 carri leggeri, medi e pesanti. Mentre è vero che non tutte le divisioni sovietiche erano a pieno regime, va fatto notare che una singola divisione meccanizzata sovietica era militarmente più forte di due divisioni tedesche messe insieme.

Quando Hitler attaccò la Polonia il 1° Settembre 1939, la Germania aveva un totale di sei divisioni corazzate.

Se questa forza tutto sommato leggera può considerarsi una prova determinante della volontà di conquista del mondo (o almeno dell’Europa) da parte di Hitler, che cosa possiamo dedurre, chiede Suvorov, dal riarmo di Stalin che portò alla creazione di 61 divisioni corazzate fra la fine del 1939 e la metà del 1941, con altre dozzine in allestimento?

Alla metà del 1941, l’Armata Rossa era la sola forza militare al mondo dotata di carri anfibi.

Stalin, di questi mezzi bellici offensivi, ne aveva ben 4.000. La Germania nessuno.

Nel Giugno del 1941 i sovietici avevano aumentato il numero delle loro divisioni paracadutiste da zero a cinque ed il numero dei loro reggimenti da artiglieria campale da 144 a 341, in ogni singolo caso molto di più di tutti gli eserciti del mondo messi assieme.

Allo scoppio della guerra nel Settembre del 1939, la Germania aveva una flotta di 57 sottomarini, anche questo un fatto che viene spesso citato come prova delle intenzioni aggressive di Hitler.

Nel contempo però, afferma Suvorov, l’Unione Sovietica ne possedeva più di 165.

Questi sottomarini non erano dei mezzi mediocri, ma di buona qualità. Nel Giugno 1941 la marina sovietica aveva più di 218 sottomarini in servizio e altri 91 in costruzione. Stalin comandava la flotta sottomarina più grande al mondo, una forza creata per una guerra aggressiva.

UNA GUERRA “MONDIALE” ?

Come fa notare Suvorov, all’epoca dell’attacco di Hitler del 1939 contro la Polonia, nessuno in Germania o nell’Europa Occidentale considerava questo come lo scoppio di una “guerra mondiale”.

Perfino la dichiarazione di guerra contro la Germania da parte dell’Inghilterra e della Francia due giorni dopo, il 3 Settembre 1939, non portava alla considerazione di una “guerra mondiale”.

Fu solo molto più tardi, guardando a ritroso, che la campagna tedesco-polacca venne considerata l’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Solo a Mosca, scrive Suvorov, fu ben chiaro fin dall’inizio che era scoppiata una guerra mondiale.

Riprendendo le conclusioni di storici del calibro di A.J.P. Taylor e David Hoggan, Suvorov precisa che Hitler non volle e non pianificò un conflitto su scala europea nel 1939.

Furono le dichiarazioni di guerra britanniche e francesi contro la Germania che trasformarono un conflitto locale fra Germania e Polonia in un conflitto esteso all’Europa.

Inoltre Hitler non autorizzò la conversione dell’economia della sua nazione in una economia di guerra. Il capo del GRU sovietico Ivan Proskurov informò dettagliatamente Stalin che l’industria tedesca non era improntata ad una guerra su ampia scala. In effetti la Germania non trasformò la sua industria a vocazione bellica fino al 1942, due anni dopo l’Unione Sovietica. Ma mentre la produzione di armi e mezzi militari sovietici raggiunse il suo picco nell’estate del 1941, la Germania ci arrivò soltanto nel 1944, tre anni più tardi. Troppo.

PIANO D’ATTACCO

Suvorov presenta un enorme quantità di prove a dimostrazione che Stalin stava preparando una massiccio attacco a sorpresa contro la Germania da lanciarsi nell’estate del 1941 (Suvorov ritiene che l’attacco fosse previsto per il 6 Luglio 1941). A preparazione di ciò, i sovietici avevano dispiegato enormi forze proprio sulla frontiera tedesca, incluso paracadutisti, campi di volo, una vasta serie di armamenti, munizioni, carburante e altri rifornimenti.

Nell’Aprile del 1941 l’Armata Rossa ordinò un massiccio spiegamento di pezzi d’artiglieria e di munizioni alla frontiera, il tutto ammassato all’aperto. Solo questo prova, scrive Suvorov, prova l’intenzione di Stalin di attaccare perché questo armamento andava usato prima dell’autunno quando le piogge annuali sarebbero cominciate.

Ammassare le munizioni all’aperto nel 1941 significava che un attacco si sarebbe dovuto avverare nello stesso anno. “una diversa interpretazione di questo fatto non sarebbe plausibile “, scrive. Suvorov riassume:

Studiando la documentazione d’archivio e le pubblicazioni ufficialmente disponibili, arrivai alla conclusione che il trasporto (nel 1941) verso la frontiera di milioni di stivali, munizioni, pezzi di ricambio e lo spiegamento di milioni di soldati, migliaia di carri armati e di aerei, non poteva essere una svista o un errore di calcolo, ma piuttosto doveva essere il risultato di una politica ben meditata. Tutto questo aveva come scopo di preparare l’industria, il sistema dei trasporti, l’agricoltura, il territorio dello stato, la popolazione sovietica e l’Armata Rossa ad intraprendere la guerra di “liberazione” nell’Europa centrale e occidentale. In poche parole questo modo di procedere viene chiamato mobilitazione. Fu una mobilitazione segreta. La dirigenza sovietica preparava l’Armata Rossa e l’intero paese per la conquista della Germania e dell’Europa occidentale. La conquista dell’Europa occidentale fu la ragione principale per la quale l’Unione Sovietica scatenò la Seconda Guerra Mondiale. La decisione finale di iniziare la guerra fu presa da Stalin il 19 Agosto 1939“

Il piano sovietico, spiega Suvorov, prevedeva un attacco su due fronti importanti: il primo, ovest e nord-ovest, esattamente verso la Germania, ed un secondo, anch’esso potente, verso sud-ovest in Romania per impossessarsi velocemente dei pozzi di petrolio.

L’invasione si sarebbe composta di tre fasi strategiche principali. La prima fase consisteva di 16 armate d’invasione e diverse dozzine di corpi e divisioni per incursioni ausiliarie composte da professionisti dell’Armata Rossa addestrati ad irrompere nelle linee tedesche.

La seconda fase strategica, costituita da sette armate di truppe di inferiore addestramento (inclusi molti prigionieri dei gulag), avrebbe assicurato e allargato gli sfondamenti della prima fase.

La terza fase, costituita da tre armate principalmente composte da truppe dell’NKVD, avrebbe garantito l’occupazione sovietica. Essa avrebbe colpito qualsiasi potenziale resistenza, circondando e uccidendo l’elite militare, politica e sociale tedesca come era già stato ampiamente messo in atto negli stati Baltici e nella Polonia orientale (vedi massacro di Katyn).

Come principale aereo da attacco Stalin scelse il modello “Ivanov” (uno dei sopranomi di Stalin), più tardi denominato Su-2, un bombardiere da attacco molto efficiente che fu prodotto e utilizzato in grande quantità. Stalin ordinò la costruzione di oltre 100.000 Su-2 e l’addestramento di 150.000 piloti. Dal peso di 4 tonnellate, l’Su2 aveva una velocità massima di 486 Km/h, un raggio d’azione di 1200 Km. ed una capacità di carico di 400-600 Kg. di bombe.

Simile ma superiore al bombardiere da picchiata tedesco JU-87 “Stuka”, assomigliava molto al giapponese Nakajima B-5N2 che fu il principale aereo da guerra usato nell’attacco a Pearl Harbor.

LA SOTTOVALUTAZIONE DI HITLER

Per decenni gli storici di regime hanno mantenuto la versione che Stalin si fidava di Hitler.

Quest’immagine di uno Stalin fiducioso e di un Hitler traditore viene largamente e ufficialmente accettata negli Stati Uniti e in gran parte dell’Europa.

Suvorov sfida questa versione e, anzi, afferma che fu Hitler a sottovalutare fatalmente l’astuzia di Stalin durante almeno 15 mesi, finché fu troppo tardi.

Mentre Hitler riuscì a sventare il grande piano di invasione di Stalin, il leader tedesco sottovalutò drammaticamente la magnitudo e l’aggressività della minaccia sovietica.

Suvorov scrive: “Hitler comprese che Stalin stava preparando un invasione ma non riuscì a stimare l’entità dei preparativi di Stalin. A Hitler non era chiaro quanto grande e quanto vicino fosse il pericolo “.

Gli storici, puntualizza Suvorov, non spiegano in modo adeguato perché Hitler decise di attaccare l’Unione Sovietica in un momento in cui la Gran Bretagna non era ancora soggiogata, impegnando quindi la Germania in una pericolosa guerra su due fronti.

Spesso danno come spiegazione la bramosia di Hitler per il cosiddetto LEBENSRAUM (spazio vitale). Addirittura, l’autore russo scrive: Stalin non diede altra alternativa a Hitler. La mobilitazione segreta sovietica era di così enormi dimensioni che sarebbe stato difficile ignorarla. Essa si estese ad un punto tale che non sarebbe stato più possibile mascherarla. Per Hitler l’unica possibilità rimastagli era un attacco preventivo. Hitler batté Stalin in due settimane”.

Stalin non aveva bisogno che di avvisare dell’attacco Churchill, Roosevelt o la spia sovietica Richard Sorge. Egli aveva già predisposto i suoi preparativi per sistemare la Germania. Ma avendo preparato le sue forze per una guerra offensiva, Stalin non fece niente per un’eventuale azione difensiva.

I tedeschi, scrive Suvorov, ebbero il temporaneo vantaggio della sorpresa perché furono in grado di posizionare e lanciare le loro forze d’attacco due settimane prima del previsto sfondamento dell’Armata Rossa, cogliendoli così completamente impreparati. La sorpresa fu più che grande perché Stalin non credeva che i tedeschi avrebbero aperto un secondo fronte a Est mentre si trovavano ancora impegnati contro gli inglesi. Ciò che contribuì anche allo spettacolare ed iniziale successo germanico fu il coraggio e la professionalità del soldato tedesco.

Suvorov scrive:

La sconfitta sovietica all’inizio della guerra (Giugno-Settembre 1941) era dovuta al fatto che la Wehrmacht tedesca lanciò il suo attacco a sorpresa proprio nel momento in cui l’artiglieria sovietica stava per essere spostata sul confine. L’artiglieria non era preparata ad affrontare una guerra difensiva e alla data del 22 Giugno essa non era ancora in grado di andare all’offensiva “.

Siccome la Germania mancava delle risorse naturali per sostenere una guerra di lunga durata, Hitler poteva avere la meglio solo se fosse riuscito a soggiogare la Russia completamente nel giro di quattro mesi, cioè, prima dell’arrivo dell’inverno.

In questo egli sbagliò. Durante l’estate e l’autunno del 1941 Hitler spaccò ma non distrusse la macchina militare sovietica. Fra l’altro, i tedeschi riuscirono ad ottenere uno stupefacente iniziale successo utilizzando i magazzini di rifornimento sovietici, catturati durante quei primi mesi.

Nell’Operazione Barbarossa, Hitler impiegò 17 divisioni corazzate contro i tedeschi. Dopo tre mesi di combattimenti, di questi carri armati ne rimase solo un quarto, mentre le fabbriche di Stalin non solo producevano molti più carri ma anche di migliore qualità.

Durante i primi quattro mesi dell’Operazione Barbarossa, le forze dell’Asse distrussero forse il 75% della capacità bellica di Stalin, eliminando così l’immediata minaccia all’Europa. Tra il Luglio e il Novembre del 1941, le forze tedesche catturarono o misero fuori uso 303 stabilimenti di munizioni, granate, polvere da sparo che producevano annualmente l’85% dell’intera produzione sovietica di munizionamenti.

Ma, come Suvorov fa notare, questo non bastò: “L’attacco di Hitler non poteva più salvare la Germania. Stalin non solo aveva più carri armati, pezzi d’artiglieria e aerei, più soldati e ufficiali, ma egli aveva già convertito le sue fabbriche in industrie belliche e poteva produrre armamenti nelle quantità che desiderava “.

Il 29 Novembre 1941 il Ministro degli armamenti del Reich Fritz Todt informò Hitler che da un punto di vista dell’economia di guerra e degli armamenti, la Germania aveva già perso la guerra.

Stalin riuscì a farcela perché il residuo 25% della gigantesca economia di guerra sovietica, incluso il 15% della sua produzione di munizioni, per lo più situato ad est del Volga, negli Urali ed in Siberia, rimase intatto. Così, avendo in mano solo una frazione della sua iniziale superpotenza, Stalin fu ancora in grado di vincere le decisive battaglie di Stalingrado, Kursk e Berlino e sconfiggere le potenti forze tedesche (e gli alleati dell’Asse). Ciò che ha contribuito sostanzialmente alla vittoria sovietica fu l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il decisivo appoggio americano e, ovviamente, la leggendaria e stoica durezza del soldato russo.

Sebbene Hitler sparò il primo colpo, alla fine della guerra Stalin controllava Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia e Germania Orientale.

Evidenziando il fatto che Hitler rinviò ripetutamente la data d’inizio dell’Operazione Barbarossa, Suvorov sostiene:

Supponiamo che Hitler avesse rinviato ulteriormente l’attacco contro Stalin e Stalin avesse iniziato le ostilità il 6 Luglio 1941. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se Hitler avesse dilazionato il suo attacco diventando così vittima egli stesso del devastante attacco preparato da Stalin. In tal caso Stalin non avrebbe avuto appena il 15% della capacità produttiva dell’industria del munizionamento, ma bensì il 100%. In questo caso, come si sarebbe conclusa la Seconda Guerra Mondiale?

In questa situazione non è irragionevole supporre che per Novembre-Dicembre 1941 le forze sovietiche avrebbero raggiunto l’Atlantico, facendo sventolare la bandiera rossa su Berlino, Parigi, Amsterdam, Roma e Stoccolma.

RINVENUTO IL TESTO DI UN DISCORSO

Dalla pubblicazione del libro “Il Giorno M“, gli studiosi russi hanno ricercato ulteriori prove dagli ex archivi sovietici che confermino le tesi di Suvorov ed obblighi ad una radicale riscrittura della storia della Seconda Guerra Mondiale.

Mentre è probabile che molti documenti siano stati rimossi o distrutti, sono state ritrovate alcune carte rivelatrici. Uno dei più importanti documenti, nascosto per lungo tempo, è il testo completo del discorso segreto di Stalin del 19 Agosto 1939. Per decenni i principali esponenti sovietici negarono che Stalin avesse rilasciato queste dichiarazioni, insistendo addirittura che in quella data non si tenne alcuna riunione del Politburo. Altri hanno affermato che il discorso era una falsificazione.

La storica russa T.S. Bushuyeva trovò una versione del testo fra i documenti segreti degli Archivi Speciali dell’URSS e la pubblicò insieme ad un commento, sull’importante giornale russo Novy Mir (N° 12, 1994). Lo scrittore tedesco Wolfgang Strass parla di questo, e di altre recenti scoperte da parte di storici russi, nell’edizione dell’Aprile 1996 del mensile tedesco Nation und Europa.

In base alle conoscenze di questo critico, nessun storico americano ha mai divulgato pubblicamente il testo del discorso.

Va tenuto in considerazione che il discorso fu rilasciato proprio mentre i dirigenti sovietici stavano negoziando con i rappresentanti francesi e britannici circa una possibile alleanza militare con la Gran Bretagna e la Francia, e mentre i dirigenti sovietici e tedeschi stavano discutendo di un possibile patto di non aggressione fra i loro paesi. Quattro giorni dopo questo discorso, il ministro degli esteri tedesco Von Ribbentrop si incontrò con Stalin al Cremino per firmare il patto di non aggressione russo-tedesco.

In quel discorso Stalin dichiarava:

La questione della guerra o della pace per noi è entrata in una fase critica. Se concludiamo un patto di mutua assistenza con Francia e Gran Bretagna, la Germania si ritirerà dalla Polonia e cercherà un modus vivendi con le potenze occidentali. La guerra verrebbe evitata ma su questa strada le cose potrebbero diventare pericolose per l’URSS. Se accettiamo la proposta tedesca e concludiamo un patto di non aggressione fra di noi, la Germania invaderà la Polonia e l’intervento armato della Francia e dell’Inghilterra sarà inevitabile. L’Europa occidentale sarebbe soggetta a seri sconvolgimenti e disordini. A queste condizioni sarebbe per noi una grande opportunità restarcene fuori dal conflitto e potremmo programmare il momento opportuno per entrarvici. L’esperienza degli ultimi 20 anni ha dimostrato che in tempo di pace il movimento comunista non è sufficientemente forte da prendere il potere. La dittatura di questo partito potrà diventare possibile solo come risultato di un conflitto esteso. La nostra scelta è chiara. Dobbiamo accettare la proposta tedesca e mandare a casa cortesemente la delegazione francese e inglese. Il nostro immediato vantaggio sarà quello di prenderci la Polonia fino alle porte di Varsavia, nonché la Galizia ucraina….

Riassumendo, Wolfgang Strass fa rilevare che Stalin si impegnava per arrivare ad una guerra su scala europea, una guerra di sfinimento che avrebbe abbattuto gli stati ed il sistema europeo. Dopodiché sarebbe entrato nel conflitto sulle rovine dell’Europa “capitalista” per imporre la sovietizzazione con la forza militare. (la parola “sovietizzazione”, che in russo si dice “Sovietizatsia”, emerge ripetutamente nel suo discorso)

Mentre niente di questo discorso confermi ulteriormente le intenzioni aggressive di Stalin, la prudente Bushuyeva cita Clausewitz circa le guerre che tendono ad assumere le loro direzioni e dimensioni indipendentemente da ciò che una parte o l’altra possa aver programmato o detto.

STORIA DOLOROSA

Nel suo articolo su Novy Mir la Bushuyeva scrive del dolore che i russi dovranno ora patire apprendendo che gran parte di ciò che per decenni cedettero fosse la “ Grande Guerra Patriotica” è falso. Essa fa notare che i giovani nati dal 1922 al 1925, che furono mandati in guerra da Stalin, solo il 3% sopravvisse al conflitto. Scrive la Busheyava: “La gravità della tragedia che investì il nostro esercito di cinque milioni di uomini nel Giugno del 1941 deve essere investigata a fondo. Il male che i dirigenti sovietici avevano programmato su altri, improvvisamente, per via di un destino imperscrutabile, ha colpito il nostro proprio paese “.

Sarebbe facile, continua la Bushuyeva, maledire coloro che “riscrivono” la storia e continuare a credere ai miti ed ai simboli che richiamano al nostro orgoglio nazionale, al patriottismo del popolo russo. “Sì, si potrebbe continuare come prima“, scrive la storica, “se non fosse per una circostanza particolare. L’uomo è fatto in modo che la verità, per quanto dolorosa, alla fine è più importante della falsa gioia di vivere nella menzogna e nell’ignoranza “.

Suvorov afferma altresì che molti russi lo disprezzano per le sue rivelazioni. Egli scrive:

Ho sfidato la sola cosa sacra alla quale il popolo russo è ancora attaccato: il loro ricordo della “Grande Guerra Patriotica”. Ho sacrificato ogni cosa a me cara per scrivere questi libri. Sarebbe stato intollerabile morire senza aver rivelato al mio popolo ciò che avevo scoperto. Disprezzate i libri! Disprezzate me! Ma cercate almeno di capire”.

ULTERIORE CONFERMA

In seguito alla pubblicazione del discorso di Stalin su Novy Mir, gli storici della Novosibirsk University intrapresero un importante studio revisionistico sulla situazione dell’immediato periodo pre-bellico. I risultati di queste ricerche furono pubblicate nell’Aprile del 1995. La storica russa I. V. Pavlova affermò senza mezzi termini, in un suo intervento al seminario di ricerca, che gli storici del Partito Comunista per molti anni fecero di tutto per occultare sotto una montagna di menzogne i retroscena, le origini e lo sviluppo della Seconda Guerra Mondiale, incluso il discorso di Stalin dell’Agosto 1939.

Un altro studioso che partecipava, V. L. Doroshenko, disse che nuove prove evidenziano che “Stalin provocò e scatenò la Seconda Guerra Mondiale “.

Affermando che Stalin ed il suo regime avrebbero dovuto essere processati a Norimberga, Doroshenko spiega:

Non tanto perché Stalin aiutò Hitler ma perché era nell’interesse di Stalin che la guerra iniziasse. Primo per via del suo obiettivo generale di conquistare il potere in Europa e, secondo, per via dell’immediato vantaggio acquisito distruggendo la Polonia e impossessandosi della Galizia. Ma il motivo più importante per Stalin era la guerra stessa. Il collasso dell’ordine europeo gli avrebbe reso possibile instaurare la sua dittatura su tutta l’Europa. Per questo, Stalin volle momentaneamente starsene fuori dalla guerra, con l’intenzione di entrarvi solo al momento opportuno. In altre parole, il patto di non aggressione liberò le mani a Hitler ed incoraggiò la Germania a scatenare una guerra in Polonia. Come Stalin firmò il patto, era già determinato a infrangerlo. Fin dall’inizio, quindi, egli non intendeva affatto evitare il conflitto ma, al contrario, tuffarvisi nel momento più adatto”.

IMPORTANTE PASSO AVANTI REVISIONISTA

Fa meravigliare il coraggio mostrato da questi storici russi nella loro determinazione nel venire a patti con questo capitolo di storia carico di emozioni. Essi dimostrano un maggiore franchezza e apertura mentale nel confrontarsi con i tabù della storia del XX secolo, di quanto faccia la loro controparte in Europa occidentale e negli Stati Uniti.

Ci sono però delle eccezioni. Negli anni recenti, alcuni storici occidentali avevano esposto questa visione drasticamente revisionista della storia della Seconda Guerra Mondiale. Fra questi lo storico tedesco Max Kluever nel suo libro del 1986 “1941–PRAEVENTIVSCHLAG (1941 – Attacco Preventivo)” e lo studioso austriaco Ernst Topitsch in “ STALINS KRIEG“ (La Guerra di Stalin), pubblicato in inglese nel 1987 dalla St. Martin’s Press col titolo di “STALIN’S WAR “.

Lo storico americano R.H.S. Stolfi riporta le opinioni di Suvorov nel suo libro del 1991 “HITLER’S PANZERS EAST: WORLD WAR II REINTERPRETED “ (I Panzer di Hitler a Est: la Seconda Guerra Mondiale Reinterpretata – Recensione nel Journal of Historical Review del Novembre-Dicembre 1995), e lo storico tedesco Dr. Joachim Hoffmann apportò nuove considerazioni al tema grazie al suo impressionante studio del 1995 nel libro “STALINS VERNICHTUNGSKRIEG 1941-1945“ (La Guerra di Sterminio di Stalin 1941-1945).

Secondo Wolfgang Strass, le nuove rivelazioni circa il discorso di Stalin per lungo tempo tenuto nascosto e la reazione all’argomento da parte di storici russi più giovani, costituiscono una vittoria per il revisionismo europeo e rappresentano un importante passo vanti nella ricerca storica.

Intanto, Suvorov e altri storici continuano a ricercare prove storiche. Oltre al lavoro di ricerca d’archivio, Suvorov afferma che, in supporto al libro “Il Rompighiaccio” e “Il Giorno M”, veterani sovietici e tedeschi della Seconda Guerra Mondiale gli hanno scritto per portare ulteriori prove a conforto delle sue tesi. Egli sostiene il suo caso in un terzo libro “THE LAST REPUBLIC” (L’Ultima Repubblica), recentemente pubblicato in russo, nonché in un quarto volume sullo stesso tema ma non ancora pubblicato.

sabato 26 dicembre 2009

Buone Feste anche a Voi, uomini liberi

Un anno fa, in queste ore, i sionisti si preparavano per la loro mattanza. Quella che, sotto lo sguardo di un opinione pubblica vigliacca e complice, avrebbe portato alla morte di più di 1500 persone e al ferimento di altre 5000, gravemente ferite o mutilate; quella che ha visto i soldati dello Tsahal stanare i civili casa per casa per poi ucciderli tutti sul posto; quella che ha visto gli aerei con la stella di David colpire obiettivi civili, con i contrassegni della Croce Rossa e dell’ONU; quella che ha visto i carri armati sionisti sparare sulle case dove dentro si erano rintanati dei bambini.

Una tragedia di proporzioni immani, che si stenta a comprendere ancora oggi a causa della scarsissima copertura mediatica che i mass media italiani hanno dedicato all’evento: ad un anno da questi avvenimenti, non abbiamo visto un solo servizio o reportage che ci descrivesse la disperata situazione degli abitanti di Gaza. Troppo occupati, i nostri giornalisti, ad intervistare tredicenni che fanno i regali per Natale, metereologi che ci dicono che fa freddo, dottori che ci dicono di coprirci bene…


La popolazione italiana rimane, per la grande maggioranza, sostanzialmente ignorante su quello che accade in quel piccolo lembo di terra. Su quella gente che, nonostante tutto, resiste.


Noi di Fascismo e Libertà vogliamo ricordare con Onore e Rispetto quegli uomini e quelle donne che ci dimostrano che l’Onore, appunto, non si può comprare.


Berlino, Teheran, Roma, Gaza: oggi come ieri, si combatte.


Buone feste a Voi, popolo orgoglioso e testardo, che avete la sola colpa di amare la Vostra Patria: per gli uomini liberi è un titolo di merito.

venerdì 25 dicembre 2009

L'Unione Europea condanna Israele, ma nessuno lo dice

Accendete la vostra TV o provate a leggere un qualunque giornale nazionale di questi giorni: che cosa dicono? La solita solfa che siamo costretti a sorbirci ogni Natale: che, incredibile ma vero, è dicembre e fa freddo. Ci consigliano di metterci il cappotto e di frequentare luoghi ben riscaldati… ma va?! Non l’avremmo mai detto! Ci informano che quest’anno, come ogni anno, è stato l’inverno più freddo degli ultimi dieci anni e che questo giorno preciso, come ogni anno, è stato il giorno più freddo degli ultimi dieci anni…

Eppure ci sarebbero tante notizie più interessanti e importanti che potrebbero essere date, ma ciò non viene fatto. Non sia mai che gli italiani smettano di fare acquisti imbecilli e si mettano a pensare!


Una di queste notizie ve la do io.


Come i lettori più informati sapranno, è stato recentemente nominato il rappresentante per la politica estera europea, una sorta di Ministro degli Esteri che ha il potere di parlare a nome di tutta l’Europa. Una carica importante per la quale, in Italia, a suo tempo si fece il nome di D’Alema. Ma siccome la lobby sionista non dimentica, e ha la memoria molto lunga, al Baffetto non è stato ancora perdonato quel barlume di indipendenza in politica estera – soprattutto per quanto riguarda le criminali azioni di Israele nei territori occupati (definì la reazione di Israele spropositata) – che egli dimostrò di avere quando ricoprì l’incarico di Ministro degli Esteri italiano. Così la sua nomina come importante portavoce dell’Europa fu affossata, in primis dalla potente lobby.


Al suo posto venne scelta la baronessa Catherine Ashton. Una personalità che molti criticarono perché con poca esperienza, inadatta a comprendere le questioni europee, ma forse proprio per questo più facilmente manovrabile.


Invece sembra che la Ashton, in politica estera, abbia le idee chiare; e sembra che su di lei la propaganda israeliana abbia avuto poco effetto.


È notizia recente, infatti, che la Ashton ha criticato con veemenza il comportamento di Israele nei territori occupati, nella Striscia di Gaza e più generalmente nei confronti dei palestinesi. Ha ricordato che la Striscia di Gaza è considerata un territorio occupato dalla comunità internazionale. Tale affermazione è importantissima: perché significa, neanche tanto velatamente, che ci si aspetta che Israele, come Stato occupante, metta in atto tutte quelle misure economiche e sociali volte il più possibile alla salvaguardia dei civili. Cosa che non sembra che stia facendo, anzi. Il criminale embargo che ha letteralmente messo in ginocchio Gaza – non ci sono più medicinali, benzina per far funzionare i generatori degli ospedali, pezzi di ricambio per le automobili, cibo per la popolazione (la stragrande maggioranza della quale dipende dagli aiuti umanitari internazionali) – nonché la cosiddetta operazione “Piombo Fuso” nella quale sono rimaste uccise circa 1400 e più di 5000 sono rimaste ferite o gravemente mutilate, tutto ciò, secondo la Ashton, non aiuta minimamente il processo di pace.


Per far si che quest’ultimo possa proseguire, inoltre, ha dichiarato anche che il congelamento parziale degli insediamenti è solo un primo passo, e non di per se una condizione sufficiente come hanno invece affermato molti politici (europei e non) filosionisti.


Non solo: la Ashton ha chiesto la fine dell’embargo contro Gaza e lo smantellamento del muro che taglia in due la Cisgiordania, nonché a Israele di smetterla di buttare i palestinesi fuori dalle proprie case per poi raderle al suolo.

Inoltre ha esplicitamente criticato il Quartetto, quel gruppo costituito da Russia, Unione Europea, ONU e Stati Uniti: “Il Quartetto deve dimostrare di valere il denaro che costa”. Che, a voler essere maliziosi, suona come: smettano di assecondare acriticamente le richieste di Israele e si mobilitino per la pace.


In seguito a queste affermazioni, diversi parlamentari europei hanno preso coraggio ed hanno chiesto esplicitamente all’Unione Europea di prendere una posizione più ferma nei confronti dello Stato Ebraico. Evidentemente basta poco per smuovere qualche coscienza.


Queste dichiarazioni, neanche a dirlo, sono di un’importanza fondamentale.


Ci avevano detto che, con la nomina del Ministro degli Esteri, l’Europa sarebbe stata più unita, più sicura, capace di esprimersi ad una sola voce. Ora che questa voce ha parlato, ecco che i mass media globalizzati tossiscono, si imbarazzano e, più pragmaticamente, decidono di non dedicare alcuna copertura alla notizia. Non ci dicono, quindi, che l’Europa ha criticato e condannato esplicitamente Israele per mezzo di uno dei suoi portavoce più autorevoli e importanti, che è stato incensato di lodi e di auguri di buon lavoro al momento della sua nomina.


C’è da pensare che l’ordine di silenziare la questione arrivi dall’alto, magari da qualche loggia influente.


Comprate pure i vostri regali, e non dimenticate di chiudere il cappotto, perché fa molto freddo.

Auguri di Buone Feste

Ai camerati, ai lettori ed agli amici auguriamo Buone Feste.

Che il nuovo anno ci porti ancora più soddisfazioni di quelle che ci ha portato quello che sta finendo.

sabato 19 dicembre 2009

C'è un comunista in ognuno di loro...


L’aggressione subita a Milano da Silvio Berlusconi mi spinge a fare alcune riflessioni. Sull’avvenimento, ma non solo.

Io penso che la cosiddetta “sinistra” abbia perso una buona occasione per dimostrare di aver definitivamente chiuso con i terroristi ed i comunisti in vecchio stile. Non che l’abbia mai pensato, ma tant’è… Invece, par di capire, evidentemente sono quelli la base militante del PD. Perché i tanti distinguo che si sono fatti dopo l’aggressione, i vari “Condanniamo l’aggressione, però…”, il sostegno incondizionato che si è dato ad Antonio Di Pietro e Rosy Bindi a seguito delle loro bordate, tutto ciò fa proprio pensare che evidentemente la cultura dell’ ”Uccidere un fascista non è reato!” è ancora connaturata nel loro DNA. Quelli che al consiglio comunale di Milano si lasciarono andare ad un lungo applauso e a delle grida di giubilo quando tra i banchi si diffuse la notizia della morte di Sergio Ramelli, sono sicuramente i padri di coloro che hanno sorriso nel vedere il Presidente del Consiglio barcollare pericolosamente, colpito in pieno volto da un oggetto pesante e pericoloso, con il volto pieno di sangue.

Aggressione da parte di un pazzo, si è detto. È sicuramente vero. Come è sicuramente vero che nella Storia le varie lobbies occulte hanno sempre delegato ai pazzi il compito di far fuori qualche personaggio scomodo. Mica si sporcano le mani, loro. Ed è vero che Berlusconi, in quella circostanza, poteva rischiare molto di più di qualche frattura se l’oggetto l’avesse colpito un poco più in alto. Tartaglia, che tanti idioti (tutti votanti PD, probabilmente) si sono affrettati ad elogiare su Facebook porgendo così il fianco a quella destra che non aspettava altro se non una circostanza del genere per far passare le proprie leggi contro la libertà di espressione in internet, aveva preparato bene l’aggressione. È riuscito ad avvicinarsi al Presidente del Consiglio, l’abbiamo visto (nei filmati) sgomitare e cercare di farsi largo con spintoni tra la folla; e quando è riuscito ad arrivare ad una certa distanza da Berlusconi gli ha tirato la statuetta del Duomo. Ma c’è di più: aveva anche un’arma bianca nascosta dentro il cappotto. L’avrebbe usata se fosse riuscito ad avvicinarsi faccia a faccia al Presidente del Consiglio? E poi, quando è stato preso, ha cominciato ad urlare: “Non c’è nessuno dietro di me! Non c’è nessuno!” Era forse qualche frase che qualcuno gli ha consigliato di dire in seguito, magari durante l’interrogatorio, e che lui ha malauguratamente urlato in anticipo?

Non so se Silvio Berlusconi sia vittima di un complotto. Quello che è certo, comunque sia, è che diverse sue azioni di governo (in primis quelle in campo energetico) lo hanno messo contro determinati poteri transnazionali; ed è certo che contro di lui c’è stata progressivamente una escalation di azioni intimidatorie: prima con la storia delle veline e di Noemi Letizia (una brutta gatta da pelare che, stupidamente, ha contribuito anche lui a far saltare fuori); poi le dichiarazioni di alcuni pentiti di mafia riprese con grande enfasi sulla stampa, dichiarazioni basate esclusivamente sul “ho sentito che quello ha detto che quell’altro ha detto che quel suo amico gli ha detto che un suo parente ricorda che gli abbiano detto” e che in qualunque altra circostanza sarebbero state archiviate con sonore pernacchie; infine, l’aggressione intimidatoria e fisica, come a dire: se vogliamo farlo, possiamo farlo.
Di tutto questo sembra che a sinistra non si sia parlato. L’aggressione di Tartaglia è quella di un pazzo che è stato esasperato dal clima di esasperazione e di scontro politico che la destra – e Berlusconi col discorso che ha fatto poco prima di subire l’aggressione – ha contribuito a creare. Ma allora andiamo a vedere cosa avrebbe detto Silvio Berlusconi per attirare su di se gli strali del “fanatico”. È sempre lì che punta il premier: magistratura politicizzata, sinistra violenta, informazione quasi completamente protesa verso il rosso; e, ultimamente, il Capo dello Stato che è “uno di loro”.

E’ vero o non è vero che gran parte della Magistratura italiana protende a sinistra? Basta aprire un qualunque giornale per vederla quotidianamente all’opera, questa magistratura; la quale, con i criminali, ha la manica talmente larga da aver meritato un multa europea per la vicenda di Izzo, il sadico criminale che nel 2004 fu rimesso in libertà e tornò ad uccidere. Ma fosse solo questo: la cronaca è piena di criminali che vengono rimessi in libertà da magistrati imbottiti di dottrina comunista, per i quali la responsabilità è sempre e solo collettiva e mai individuale.

È vero o non è vero che la sinistra in generale è ancora legata ad un passato di violenza e di sopraffazione, dove si interviene ai comizi degli avversari per disturbare e per impedire il comizio in questione, dove si applaude alla morte dei Fascisti, dove ancora si sventolano bandiere rosso sangue senza alcun pudore, dove non si esita in nessun caso a fare guerriglia urbana?

È vero o non è vero che gran parte dei programmi di approfondimento sono “di sinistra”, che la satira (spesso volgare e irritante) è tutta contro Berlusconi ed il centro-destra, che decine e decine di scrittori, comici, attori e cantanti devono le loro fortune al solo fatto di aver condotto contro Berlusconi una campagna di calunnia e di diffamazione?

È vero o non è vero che Napolitano è stato un membro del Partito Comunista Italiano, uno dei più autorevoli portavoce degli interessi della massoneria americana in Italia, nonché uno che plaudiva nel ’56 ai carri armati sovietici che entravano in Ungheria?

Non c’è bisogno di essere di destra o filo-berlusconiani per riconoscere che l’intera informazione italiana è protesa verso sinistra, che la gran parte dei militanti di sinistra sono dei criminali, che Napolitano è un comunista e che i magistrati sono in maggioranza di sinistra.

Eppure dire queste verità, in un Paese dove l’informazione è dominata da loro, sembra come bestemmiare contro lo Spirito Santo…
In un Paese civile le voci di condanna sarebbero state generali e senza distinguo. Invece, come al solito quando si parla di violenza di sinistra, i distinguo non si contano. Di Pietro e Rosy Bindi (più bella che intelligente) sono stati quelli che hanno dato il via all’assalto. Evidentemente il Parlamento italiano è destinato ad annoverare tra i suoi “membri” qualche Agnoletto o Casarini di turno. Non per niente qualcuno aveva già pensato di fare di quell’aula sorda e grigia un bivacco per manipoli…

sabato 12 dicembre 2009

Titanic Tirrenia: Pecorini e soci ringraziano, noi un po' meno

La situazione finanziaria della Tirrenia è a dir poco disastrosa. Questa è la situazione che emerge, nero su bianco, dalla corposa relazione che la Corte dei Conti ha consegnato al Parlamento Italiano ad ottobre, con i dati di tutto il 2008 ma con gli aggiornamenti più importanti del 2009.

La Tirrenia (che comprende anche Saremar, Toremar, Caremar e Siremar), la compagnia di navigazione statale che copre la gran parte delle rotte marittime della Sardegna, è in acque burrascose. Un valore di 855 milioni di euro, è indebitata per più di 800; ha chiuso il 2008 con un utile di 15 milioni circa, ma solo per l’enorme quantità spropositata di denaro che lo Stato garantisce annualmente con fondi pubblici: dal 2000 al 2007 circa un miliardo e mezzo di euro, un’infinità di soldi che lo Stato italiano eroga alla compagnia perché mantenga in vita anche quelle tratte che risultano economicamente svantaggiose ma sono di indubbia utilità sociale, come i collegamenti per la Sardegna, senza i quali la nostra Isola si troverebbe completamente isolata.


Soldi che, sia detto per inciso, non hanno minimamente migliorato la copertura delle tratte sarde, né l’efficienza del servizio che viene proposto a bordo delle navi
, eternamente impelagato tra scialuppe di salvataggio insufficienti, macchinari scadenti mai testati, condizioni igieniche delle cuccette spesso e volentieri mancanti, sicurezza inesistente, servizi di bordo difettosi o talvolta mancanti proprio.


Come è logico, ci si aspetterebbe che di tutto il ben di Dio che mamma Stato ha elargito alla Tirrenia in questi anni, se ne fosse fatto un uso quantomeno ponderato. Invece buona parte di quei soldi sono serviti a rimpinguare i portafogli degli amministratori della Tirrenia. Nell’estate del 2007 l’amministratore delegato, Franco Pecorini, ha deciso che un solo amministratore che vigilasse su tutte le quattro controllate della Tirrenia – Saremar, Toremar, Caremar, Siremar – da solo non ce la poteva fare, poverino. Ecco quindi che ha quadruplicato la carica di responsabile diretto, con relativo esercito consiglieri e di uffici, prebende, consulenze, autoblu… Se l’obiettivo di Pecorini era quello di estendere il suo controllo “politico” ci è riuscito perfettamente; se invece era quello di migliorare le sorti della compagnia un po’ meno, ma tant’è… E poi sarebbero tante altre le incognite di una gestione spesso allegra dei soldi del gruppo, come le consulenze facili; l’affidamento di incarichi ad esterni senza gare d’appalto chiare; il mausoleo di Federlinea che viene tenuto in piedi nonostante non abbia alcuna utilità (se non quella di garantire la poltrona a qualche rombato) e sprechi solo soldi, tanti soldi (più di mezzo milione euro all’anno); e via dicendo.


La conseguenza di questo enorme carrozzone navale, costituito da una flotta fatiscente e incapace di competere anche solo lontanamente con qualunque altra flotta navale europea (statale o privata), sarà molto probabilmente la sua svendita, un po’ come è avvenuto per l’Alitalia.

La cessione della compagnia, stando a quanto ha annunciato il Governo, dovrebbe avvenire nei primi mesi del 2010. I debiti dovrà accollarseli lo Stato (inclusa la sistemazione del personale), mentre il nuovo investitore dovrebbe garantire le cosiddette tratte di rilevanza sociale e procedere ad un riammodernamento della flotta.


Pecorini e i suoi consigli di amministrazione ringraziano. Noi un po’ meno.