Incredibile
ma vero, gli antifascisti e la maggior parte dei covidioti italiani sono
riusciti a rendermi simpatico un personaggio che di simpatico ha ben poco:
Flavio Briatore.
In
queste ultime settimane il noto imprenditore ha occupato gran parte dei tg
nazionali (e specialmente sardi) per la sua diatriba col sindaco di Arzachena,
reo di aver imposto la chiusura delle discoteche sul territorio comunale entro
la mezzanotte, costringendo alla chiusura anche il noto locale Billionaire, di
proprietà dello stesso Briatore, il quale aveva manifestato tutta la sua
contrarietà per un provvedimento che metteva ulteriormente in ginocchio il già
prostrato settore dell’animazione e dell’intrattenimento. Il Billionaire, poco
dopo, è stato uno degli ultimi focolai di epidemia del Covid-19, con decine di
lavoratori finiti in quarantena per aver contratto il virus.
Due
giorni fa si è sparsa la notizia che Flavio Briatore era stato ricoverato anch’egli
per aver contratto il Coronavirus (solita balla che i giornalisti hanno rilanciato, ben contenti di dare in pasto alla plebaglia il solito mostro da prima pagina, senza degnarsi di verificare la notizia: Briatore è stato ricoverato per problemi alla prostata); quasi contemporaneamente, specialmente su
internet (Facebook in primis), ha ripreso a circolare la bufala, vecchia ormai
di qualche anno, della frase che l’imprenditore avrebbe detto – ma nella realtà
questa frase non è mai stata pronunciata – sul fatto che le donne dei poveri
fossero immediatamente riconoscibili per il fatto di essere delle cesse.
Ciò
è bastato, agli odiatori di professione, per invadere le reti sociali di video
e di messaggi di insulti e maledizioni a Flavio Briatore. I sardi, in special
modo, si sono distinti in quest passatempo.
È
riemerso prepotente l’antico, atavico sardo: rancoroso ed invidioso verso chi,
contrariamente a lui, è riuscito a realizzarsi lavorativamente ed a conseguire
fama e ricchezza, pronto a bersi le balle più clamorose ed
a dare retta a tutte le sparate dei giornalisti, la cui credibilità, almeno agli
occhi di chi non ha ancora portato il proprio cervello all’ammasso, è prossima
allo zero.
Poco
importa che Briatore non abbia mai pronunciato certe frasi: il fatto che egli abbia
difeso tenacemente la categoria degli imprenditori dell’intrattenimento –
categoria che, per l’italiano medio, nella peggiore degli ipotesi è formata da
evasori fiscali e cocainomani, e nella migliore da fancazzisti – messi in
ginocchio in questi ultimi mesi dalle norme spesso folli e criminali messe in
atto da questo Governo – contrariamente a ciò che è stato fatto in tutti gli
altri paesi europei e contrariamente a qualunque evidenza scientifica, è
bastato per attirare su di lui l’odio della canaglia di Pavlov, odiatori a
comando, pronti a riversare sul prossimo bordate di maledizioni e di insulti
non appena ricevuta l’imbeccata dei pennivendoli nostrani.
Flavio
Briatore non vincerà l’Oscar della simpatia, d’accordo; spesso non fa nulla per
essere gradevole e piacente, d’accordo; spesso si impegna per stare sulle balle
a più gente possibile, d’accordo; spesso non è ciò che dice ma come lo dice a scaldare
gli animi, d’accordo. Quel che è certo, però, è che Flavio Briatore è stato uno
dei pochi imprenditori che ha permesso alla Sardegna ed ai sardi di puntare a
qualcosa di più che non fosse il pascolare le pecore o il coltivare carciofi,
creando ricchezza con le sue aziende e dando posti di lavoro. Gli italiani, e i
sardi in particolare, anziché abbaiare a comando non appena ricevuta l’imbeccata
dei loro padroni, farebbero bene ad ascoltarlo ed a soffermarsi su ciò che
dice, piuttosto che sul come lo dice. Forse imparerebbero qualcosa.