Se Virginia Raggi spendesse anche solo la metà del
tempo in cui ciarla a vanvera di antifascismo per cercare di amministrare Roma allora
la capitale d’Italia, probabilmente, sarebbe una delle migliori città del
mondo. Evidentemente, però, il tentativo è quello di cercare di acchiappare più
voti possibile, magari rosicchiandoli al PD o tra le frange degli estremisti di
sinistra, sperando che la cittadinanza (e gli elettori) si possano dimenticare,
nell’urna elettorale, le strade fatiscenti, i cumuli di immondizia agli angoli
delle strade, le bande di sbandati nordafricani che hanno preso possesso di
piazze, strade, stazioni, parcheggi e dettano ormai legge.
È in questo senso che deve essere vista la costante
escalation antifascista della Raggi e della sua amministrazione: l’ultima “perla”,
in ordine di tempo, è il discorso che ha pronunciato in occasione della
presentazione del documentario di Pietro Suber, “1938. Quando scoprimmo di non
essere più italiani”, l’ennesimo documentario condito dal solito piagnisteo
giudaico per le leggi razziali.
Sappiamo di essere una voce completamente fuori dal
coro, ma giova ripeterlo: le leggi per la difesa della razza furono emanate in
un preciso momento storico, vale a dire quando la lobby ebraica dichiarò una
guerra mondiale senza quartiere al Terzo Reich e all’Italia fascista, e che, di
fatto, contenevano tali e tante esenzioni nei confronti dei cittadini italiani di
razza ebraica da essere, di fatto, inapplicabili.
“Abbiamo già avviato le procedure e le verifiche per
far sì di rinominare tutte quelle strade e piazze della Capitale che sono state
intitolate a coloro che sottoscrissero il Manifesto della razza”, ha chiosato il
sindaco di Roma, in piena sintonia con quello spirito talebano e da damnatio memoriae che ha ispirato il disegno di legge di
Emanuele Fiano (morto, grazie al cielo, con questo governo). In soldoni si
tratta, secondo la malata logica di questi amministratori ciarlatani, di
rinominare tutte le strade che oggi sono intitolate a personaggi che, a torto o
a ragione, sono considerati “collusi” con il regime fascista.
Ci
sarà da divertirsi nel vedere questa gente rinominare Via Ungaretti, Via
Pirandello, Via Marconi, Via Calvino, Via D’Annunzio…
La Raggi potrebbe spingersi
anche oltre: potrebbe chiedere, ad esempio, lumi ad Eugenio Scalfari sulla sua
adesione al manifesto della razza, condiviso da tantissimi intellettuali
italiani, nel 1938. Lo stesso potrebbe fare con Giorgio Bocca, che contro gli
ebrei ha scritto parole di fuoco.
Basta poco, pochissimo, per
mettere in imbarazzo questi quattro ciarlatani incompetenti e desiderosi di
accalappiare il voto di qualche rasta fallito.
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