Il
sangue di Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso a Roma da due
nordafricani mentre tentava di recuperare una borsetta in seguito ad un furto,
ricade sulla sinistra e su tutti coloro pro-immigrazione, che in tutti questi
anni non solo non si sono opposti all’invasione della Nazione da parte di
centinaia di migliaia di subanimali africani, bensì l’hanno addirittura
sostenuta e foraggiata: da Matteo Renzi, passando per Gentiloni e tutta la
sinistra, finendo col gip Alessandra Vella, colei che – ormai lo sappiamo per
certo – ha stravolto tutte le più elementari regole del Diritto per liberare la
pirata Carola Rackete, sono tutti colpevoli. La sinistra è la mandante morale
dell’assassinio di Mario Cerciello Rega. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo chiaro e forte. E pazienza se ci diranno che siamo sciacalli: detto dai sinistri, ormai, non fa più effetto.
Alla
fine, dopo i balletti senza reggiseno per Carola Rackete, i gessetti colorati,
le manifestazioni con #apriamoiporti e la foto di Matteo Salvini a testa in
giù, il patto segreto di Matteo Renzi con l’Europa in cambio del quale ci siamo
presi noi tutti i clandestini in cambio della mano libera fiscale sugli 80
euro, le sparate della Boldrini sugli “immigrati come avanguardia di uno stile
di vita che presto sarà quello di tutti noi”, quello che rimane è esattamente
questo: i proletari italiani, i Carabinieri da 1.300 euro al mese, che
finiscono accoltellati per mano di chi, sul suolo italiano, nemmeno ci sarebbe dotuto essere. Alla fine chi con gli immigrati deve averci a che fare siamo noi altri poveri cristi, non Roberto Saviano dal suo attico di New York, non Laura Boldrini con la sua scorta, non Luca Zingaretti dalla sua villa romana.
I
balordi non hanno colore della pelle, anche i bianchi delinquono: ecco le pezze
giustificative degli analfabeti di sinistra. I quali dimenticano che il fatto
di avere criminali italiani non giustifica minimamente il dover farsi carico
anche di tutti quelli dell’Africa. È scontato affermare questo, sarebbe
addirittura superfluo, se la canea antirazzista non ululasse talmente forte
queste baggianate, amplificate dalla propaganda di una batteria di mass-media
compattamente schierata a loro favore, da farle quasi diventare verità
incontrovertibili.
Perché
Mario non ha sparato? Perché non si è difeso? Forse non ha capito la
situazione? Forse ha sottovalutato il pericolo? No. Vi basterà parlare con
qualunque Carabiniere oppure aprire un qualunque giornale locale: perché difendersi
da un aggressore, anche se hai una divisa, in questa disgraziata Nazione
significa un processo per eccesso di legittima difesa, magari portato avanti da
quello stesso gip che poi, in barba al buon senso ed alla legislazione
italiana, libera Carola Rackete, tra un intervento filo-clandestini pubblicato
su Facebook e l’altro.
“Perché
non gli avete dato due calci in culo e lo avete caricato sull’auto di servizio?”,
chiedevo poco tempo fa ad un amico Carabiniere che mi raccontava come avessero
dovuto aspettare che un clandestino ubriaco si calmasse prima di portarlo in Caserma
per l’identificazione. Capito? Il clandestino è ubriaco marcio, è in strada che
minaccia chiunque, incurante della sua stessa incolumità e di quella degli
altri utenti della strada, e i Carabinieri devono aspettare che si calmi! “Perché
ho una famiglia”, mi ha risposto il mio amico. Una frase così semplice, così
sincera, così esplicativa che, mentre rientravo a casa dopo la pizza, mi ha
lasciato con l’amaro in bocca per qualche giorno. Perché se hai una famiglia
devi portare il pane a casa tutti i mesi, e non ti puoi permettere le seghe
mentali di un gip che ti processa perché magari hai avuto la malsana idea di
dare qualche calcio nel culo ad un delinquente africano. Perché io in quella
frase ci ho visto tutta l’arrendevolezza di uno Stato, del mio Stato, e la
frustrazione di chi le leggi di quello Stato è chiamato a farle rispettare
rischiando di prendersi qualche coltellata o fucilata per 1300 euro al mese.
“Perché
ho una famiglia” mi risuona ancora nella testa. Adesso una famiglia, quella di Mario,
la moglie e i figli, piange un ragazzo di 35 anni che ha avuto il solo torto di
credere in questa Nazione.
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