venerdì 26 luglio 2019

La sinistra è la mandante morale dell'assassinio di Mario Cerciello Rega



Il sangue di Mario Cerciello Rega, il carabiniere ucciso a Roma da due nordafricani mentre tentava di recuperare una borsetta in seguito ad un furto, ricade sulla sinistra e su tutti coloro pro-immigrazione, che in tutti questi anni non solo non si sono opposti all’invasione della Nazione da parte di centinaia di migliaia di subanimali africani, bensì l’hanno addirittura sostenuta e foraggiata: da Matteo Renzi, passando per Gentiloni e tutta la sinistra, finendo col gip Alessandra Vella, colei che – ormai lo sappiamo per certo – ha stravolto tutte le più elementari regole del Diritto per liberare la pirata Carola Rackete, sono tutti colpevoli. La sinistra è la mandante morale dell’assassinio di Mario Cerciello Rega. Dobbiamo avere il coraggio di dirlo chiaro e forte. E pazienza se ci diranno che siamo sciacalli: detto dai sinistri, ormai, non fa più effetto.

Alla fine, dopo i balletti senza reggiseno per Carola Rackete, i gessetti colorati, le manifestazioni con #apriamoiporti e la foto di Matteo Salvini a testa in giù, il patto segreto di Matteo Renzi con l’Europa in cambio del quale ci siamo presi noi tutti i clandestini in cambio della mano libera fiscale sugli 80 euro, le sparate della Boldrini sugli “immigrati come avanguardia di uno stile di vita che presto sarà quello di tutti noi”, quello che rimane è esattamente questo: i proletari italiani, i Carabinieri da 1.300 euro al mese, che finiscono accoltellati per mano di chi, sul suolo italiano, nemmeno ci sarebbe dotuto essere. Alla fine chi con gli immigrati deve averci a che fare siamo noi altri poveri cristi, non Roberto Saviano dal suo attico di New York, non Laura Boldrini con la sua scorta, non Luca Zingaretti dalla sua villa romana.

I balordi non hanno colore della pelle, anche i bianchi delinquono: ecco le pezze giustificative degli analfabeti di sinistra. I quali dimenticano che il fatto di avere criminali italiani non giustifica minimamente il dover farsi carico anche di tutti quelli dell’Africa. È scontato affermare questo, sarebbe addirittura superfluo, se la canea antirazzista non ululasse talmente forte queste baggianate, amplificate dalla propaganda di una batteria di mass-media compattamente schierata a loro favore, da farle quasi diventare verità incontrovertibili.

Perché Mario non ha sparato? Perché non si è difeso? Forse non ha capito la situazione? Forse ha sottovalutato il pericolo? No. Vi basterà parlare con qualunque Carabiniere oppure aprire un qualunque giornale locale: perché difendersi da un aggressore, anche se hai una divisa, in questa disgraziata Nazione significa un processo per eccesso di legittima difesa, magari portato avanti da quello stesso gip che poi, in barba al buon senso ed alla legislazione italiana, libera Carola Rackete, tra un intervento filo-clandestini pubblicato su Facebook e l’altro. 

“Perché non gli avete dato due calci in culo e lo avete caricato sull’auto di servizio?”, chiedevo poco tempo fa ad un amico Carabiniere che mi raccontava come avessero dovuto aspettare che un clandestino ubriaco si calmasse prima di portarlo in Caserma per l’identificazione. Capito? Il clandestino è ubriaco marcio, è in strada che minaccia chiunque, incurante della sua stessa incolumità e di quella degli altri utenti della strada, e i Carabinieri devono aspettare che si calmi! “Perché ho una famiglia”, mi ha risposto il mio amico. Una frase così semplice, così sincera, così esplicativa che, mentre rientravo a casa dopo la pizza, mi ha lasciato con l’amaro in bocca per qualche giorno. Perché se hai una famiglia devi portare il pane a casa tutti i mesi, e non ti puoi permettere le seghe mentali di un gip che ti processa perché magari hai avuto la malsana idea di dare qualche calcio nel culo ad un delinquente africano. Perché io in quella frase ci ho visto tutta l’arrendevolezza di uno Stato, del mio Stato, e la frustrazione di chi le leggi di quello Stato è chiamato a farle rispettare rischiando di prendersi qualche coltellata o fucilata per 1300 euro al mese.

“Perché ho una famiglia” mi risuona ancora nella testa. Adesso una famiglia, quella di Mario, la moglie e i figli, piange un ragazzo di 35 anni che ha avuto il solo torto di credere in questa Nazione.

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