mercoledì 25 aprile 2018

Che cosa avete da festeggiare, oggi, 25 aprile?


Che cosa avete da festeggiare, oggi, 25 aprile? 

Festeggiate forse una sconfitta militare vergognosa, condita dal cambio di casacca dell’ultimo minuto?

Festeggiate forse l’invasione anglo-americana, che ancora oggi ci porta in dote 191 basi di occupazione straniera che limitano del tutto la sovranità della Nazione? 

Festeggiate forse la guerra dei partigiani, vale a dire banditi e terroristi che sparavano contro dei soldati di un esercito riconosciuto come quello della RSI?

Festeggiate forse gli stupri, le esecuzioni sommarie, le stragi dei partigiani? 

Festeggiate forse le Norma Cossetto, i Rolando Rivi, le donne rapate e portate in processione per le strade da criminali che col fazzoletto rosso si credettero eroi?

Festeggiate forse quelli di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki, di Cagliari, di Roma ieri, e della Libia, dell’Iraq, dell’Afghanistan e dell’Iran oggi?

Festeggiate forse la mafia, che ritornò grazie agli anglo-americani, ed è ancora una piaga della Nostra Nazione e del mondo intero che il Fascismo, prima di soccombere, aveva già sradicato?

Festeggiate forse il re villano e traditore, che scappò lasciando l’Esercito Italiano senza alcuna indicazione, alcun ordine, lasciando i soldati completamente inermi davanti alla legittima ira dell’Alleato che si sentì legittimamente e giustamente tradito?

Festeggiate forse il massacro di ventimila vostri connazionali ad opera dei partigiani titini, con la piena e fattiva collaborazione di quelli italiani, che furono buttati nelle fosse carsiche, le foibe, solo per la loro nazionalità?

Festeggiate forse le marocchinate, la terra bruciata che fecero le truppe negroidi del generale francese Juan incendiano, massacrando e stuprando le nostre connazionali, dichiarato bottino di guerra?

Festeggiate forse una classe politica, figlia e degna erede di quell’antifascismo di cui ancora oggi si vanta, che ha ridotto la Vostra Patria ad una latrina a cielo aperto, bivacco preferito di africani, spacciatori, stupratori e clandestini vari?

No, oggi, quelli che festeggiano siamo noi. Si, oggi, come ieri, come l’altro ieri, e come sarà domani, dopo domani e il giorno successivo ancora, siamo noi a festeggiare. I nostri morti. Quelli che lo meritano per davvero, anche se furono dalla parte sbagliata, secondo questi storici e giornalisti di merda.

Festeggiamo tutti coloro che preferirono versare il proprio sangue per dimostrare che gli italiani non erano solo una accozzaglia di traditori e di voltagabbana, ma anche di uomini capaci di rispettare la parola data, e di inciderla nella Storia col proprio sangue.

Festeggiamo gli uomini della Tagliamento, in prima fila per combattere contro l’invasore, partiti in trecento e rientrati in trenta, sfiniti, distrutti e sanguinanti, ma ancora capaci di sparare le ultime pallottole contro l’invasore che avanzava inesorabilmente. Quelle che almeno funzionavano, di pallottole, visto che i partigiani le avevano sabotate nelle fabbriche.

Festeggiamo gli uomini di Stalingrad, che contesero metro per metro il terreno al mostro comunista, per impedire che passasse, che divenisse forte, che si mangiasse tutta l’Europa.

Festeggiamo i ragazzini di quindici anni che mentirono coscientemente sulla propria età per essere arruolati nei battaglioni di combattimento.

Festeggiamo gli adolescenti che morirono davanti agli scalini di Piazza Maria Novella, a Firenze, fucilati da quei partigiani più grandi che potevano essere i loro padri, beffandosi dei loro carnefici con un ultimo “Viva Mussolini!” prima di essere falciati davanti al plotone di esecuzione, mai piegati, mai domi, nemmeno davanti alla Morte.

Festeggiamo i giovani della Hitlerjugend, che davanti al nemico sovietico che impazzava per le strade di Berlino, stuprando tutte le donne dagli otto agli ottanta anni e poi crocifiggendole vive davanti alle porte delle case e dei granai, combattevano con uno scalcagnato panzerfaust in spalla o sul piantone della bicicletta. Perché combattere contro un invasore così crudele e spietato era un diritto, prima ancora che un dovere. 

Festeggiamo i franchi tiratori di Firenze, spesso ragazzini e adolescenti, che accolsero gli invasori a colpi di fucile, ma sempre stando attenti a conservare una pallottola per loro, quella che si sarebbero sparati da sé per non finire vivi nelle mani degli americani.

Festeggiamo i ragazzi della Folgore, che compirono autentici prodigi contro un nemico mille volte più forti in armi, uomini, mezzi.

Festeggiamo i ragazzi di El Alamein, che usavano le scatolette di latta del rancio per confezionare rudimentali ordigni con cui cercare di far saltare in aria i carri nemici, e quando si arresero agli inglesi, quei pochi superstiti, erano perfettamente allineati nei ranghi, tra il sangue, il sudore e la polvere, dopo settimane di combattimenti senza mangiare, senza dormire, senza bere.

Festeggiamo Robert Brasillach, il poeta che non imbracciò mai un’arma ma che fu imprigionato assieme alla madre malata ed anziana, e poi fucilato dopo la sentenza di quel tribunale di venduti e di traditori: aveva solo messo la sua penna al servizio di quella gioventù che aveva combattuto dall’Africa, alla Russia, all’Europa, per una nuova civiltà che non fosse quella dell’usura ebraica e capitalistica. E quando, dopo la lettura della sentenza di morte, qualcuno tra la folla gridò “Ma è una vergogna!”, lui rispose “No, è un Onore”.

Festeggiamo Ezra Pound, il poeta dei Cantos, amico intimo di Mussolini, che cantò contro l’usura bancaria e per questo fu imprigionato come pazzo e malato di mente.

Festeggiamo gli ultimi della SS Charlemagne, venuti a combattere per il Fascismo e per l’Europa dalla Francia, che si fecero massacrare fino all’ultimo uomo per difendere il chilometro quadrato di rovine e di devastazione attorno al bunker del Fuhrer, quell’Adolf Hitler che aveva ignorato tutti i consigli per la sua sicurezza personale ed era rimasto nella capitale, per stare vicino al suo popolo. “Si gettavano addosso ai carri armati con una granata in mano e il pugnale tra i denti”, diranno degli esterrefatti sovietici.

Festeggiamo quel Benito Mussolini che in vent’anni ha fatto più per la Nazione di quanto abbiano mai fatto questi sgherri di regime in ottanta anni, e che si sarebbe potuto ritirare a vita privata come merce di scambio tra le potenze vincitrici, e invece finì appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.

Festeggiamo tutti coloro che non indietreggiarono.

Festeggiamo tutti coloro che non si arresero.

Festeggiamo tutti coloro che non tradirono.

Festeggiamo tutti coloro che non cambiarono divisa all’ultimo momento per compiacere il nuovo padrone.

Non veniteci a parlare di “pacificazione”, di concordia nazionale, di unione tra tutti gli italiani. La vostra pacificazione non la vogliamo. Non ci serve. Perché sappiamo molto bene che differenza passa tra dei codardi e traditori miserabili che sparavano alle spalle per i loro padroni sovietici e dei valorosi combattenti che non indietreggiarono di un solo millimetro mentre il cielo sopra di loro si faceva nero a causa dei bombardieri nemici e la terra si colorava del loro stesso sangue. E nonostante tutto continuarono a cantare, e a marciare, e a combattere. 

Non vi basterebbero 365 feste della Liberazione all’anno per trasformare i nani in giganti e i giganti in nani. Non basterebbero tutti i vostri storici di parte, i vostri magistrati, i vostri politici massoni, i vostri giornalisti conniventi. I giganti rimangono giganti, e i nani rimangono nani. Come voi.

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