Che
cosa avete da festeggiare, oggi, 25 aprile?
Festeggiate
forse una sconfitta militare vergognosa, condita dal cambio di casacca dell’ultimo
minuto?
Festeggiate
forse l’invasione anglo-americana, che ancora oggi ci porta in dote 191 basi di
occupazione straniera che limitano del tutto la sovranità della Nazione?
Festeggiate
forse la guerra dei partigiani, vale a dire banditi e terroristi che sparavano
contro dei soldati di un esercito riconosciuto come quello della RSI?
Festeggiate
forse gli stupri, le esecuzioni sommarie, le stragi dei partigiani?
Festeggiate
forse le Norma Cossetto, i Rolando Rivi, le donne rapate e portate in
processione per le strade da criminali che col fazzoletto rosso si credettero
eroi?
Festeggiate
forse quelli di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki, di Cagliari, di Roma ieri, e
della Libia, dell’Iraq, dell’Afghanistan e dell’Iran oggi?
Festeggiate
forse la mafia, che ritornò grazie agli anglo-americani, ed è ancora una piaga
della Nostra Nazione e del mondo intero che il Fascismo, prima di soccombere,
aveva già sradicato?
Festeggiate
forse il re villano e traditore, che scappò lasciando l’Esercito Italiano senza
alcuna indicazione, alcun ordine, lasciando i soldati completamente inermi
davanti alla legittima ira dell’Alleato che si sentì legittimamente e
giustamente tradito?
Festeggiate
forse il massacro di ventimila vostri connazionali ad opera dei partigiani
titini, con la piena e fattiva collaborazione di quelli italiani, che furono
buttati nelle fosse carsiche, le foibe, solo per la loro nazionalità?
Festeggiate
forse le marocchinate, la terra bruciata che fecero le truppe negroidi del
generale francese Juan incendiano, massacrando e stuprando le nostre
connazionali, dichiarato bottino di guerra?
Festeggiate
forse una classe politica, figlia e degna erede di quell’antifascismo di cui
ancora oggi si vanta, che ha ridotto la Vostra Patria ad una latrina a cielo
aperto, bivacco preferito di africani, spacciatori, stupratori e clandestini
vari?
No,
oggi, quelli che festeggiano siamo noi. Si, oggi, come ieri, come l’altro ieri,
e come sarà domani, dopo domani e il giorno successivo ancora, siamo noi a
festeggiare. I nostri morti. Quelli che lo meritano per davvero, anche se
furono dalla parte sbagliata, secondo questi storici e giornalisti di merda.
Festeggiamo
tutti coloro che preferirono versare il proprio sangue per dimostrare che gli
italiani non erano solo una accozzaglia di traditori e di voltagabbana, ma
anche di uomini capaci di rispettare la parola data, e di inciderla nella
Storia col proprio sangue.
Festeggiamo
gli uomini della Tagliamento, in prima fila per combattere contro l’invasore,
partiti in trecento e rientrati in trenta, sfiniti, distrutti e sanguinanti, ma
ancora capaci di sparare le ultime pallottole contro l’invasore che avanzava
inesorabilmente. Quelle che almeno funzionavano, di pallottole, visto che i
partigiani le avevano sabotate nelle fabbriche.
Festeggiamo
gli uomini di Stalingrad, che contesero metro per metro il terreno al mostro
comunista, per impedire che passasse, che divenisse forte, che si mangiasse
tutta l’Europa.
Festeggiamo
i ragazzini di quindici anni che mentirono coscientemente sulla propria età per
essere arruolati nei battaglioni di combattimento.
Festeggiamo
gli adolescenti che morirono davanti agli scalini di Piazza Maria Novella, a
Firenze, fucilati da quei partigiani più grandi che potevano essere i loro
padri, beffandosi dei loro carnefici con un ultimo “Viva Mussolini!” prima di
essere falciati davanti al plotone di esecuzione, mai piegati, mai domi,
nemmeno davanti alla Morte.
Festeggiamo
i giovani della Hitlerjugend, che davanti al nemico sovietico che impazzava per
le strade di Berlino, stuprando tutte le donne dagli otto agli ottanta anni e
poi crocifiggendole vive davanti alle porte delle case e dei granai,
combattevano con uno scalcagnato panzerfaust in spalla o sul piantone della
bicicletta. Perché combattere contro un invasore così crudele e spietato era un
diritto, prima ancora che un dovere.
Festeggiamo
i franchi tiratori di Firenze, spesso ragazzini e adolescenti, che accolsero
gli invasori a colpi di fucile, ma sempre stando attenti a conservare una
pallottola per loro, quella che si sarebbero sparati da sé per non finire vivi
nelle mani degli americani.
Festeggiamo
i ragazzi della Folgore, che compirono autentici prodigi contro un nemico mille
volte più forti in armi, uomini, mezzi.
Festeggiamo
i ragazzi di El Alamein, che usavano le scatolette di latta del rancio per
confezionare rudimentali ordigni con cui cercare di far saltare in aria i carri
nemici, e quando si arresero agli inglesi, quei pochi superstiti, erano
perfettamente allineati nei ranghi, tra il sangue, il sudore e la polvere, dopo
settimane di combattimenti senza mangiare, senza dormire, senza bere.
Festeggiamo
Robert Brasillach, il poeta che non imbracciò mai un’arma ma che fu
imprigionato assieme alla madre malata ed anziana, e poi fucilato dopo la sentenza
di quel tribunale di venduti e di traditori: aveva solo messo la sua penna al
servizio di quella gioventù che aveva combattuto dall’Africa, alla Russia, all’Europa,
per una nuova civiltà che non fosse quella dell’usura ebraica e capitalistica. E
quando, dopo la lettura della sentenza di morte, qualcuno tra la folla gridò “Ma
è una vergogna!”, lui rispose “No, è un Onore”.
Festeggiamo
Ezra Pound, il poeta dei Cantos, amico intimo di Mussolini, che cantò contro l’usura
bancaria e per questo fu imprigionato come pazzo e malato di mente.
Festeggiamo
gli ultimi della SS Charlemagne, venuti a combattere per il Fascismo e per l’Europa
dalla Francia, che si fecero massacrare fino all’ultimo uomo per difendere il
chilometro quadrato di rovine e di devastazione attorno al bunker del Fuhrer,
quell’Adolf Hitler che aveva ignorato tutti i consigli per la sua sicurezza
personale ed era rimasto nella capitale, per stare vicino al suo popolo. “Si
gettavano addosso ai carri armati con una granata in mano e il pugnale tra i
denti”, diranno degli esterrefatti sovietici.
Festeggiamo
quel Benito Mussolini che in vent’anni ha fatto più per la Nazione di quanto
abbiano mai fatto questi sgherri di regime in ottanta anni, e che si sarebbe
potuto ritirare a vita privata come merce di scambio tra le potenze vincitrici,
e invece finì appeso a testa in giù a Piazzale Loreto.
Festeggiamo
tutti coloro che non indietreggiarono.
Festeggiamo
tutti coloro che non si arresero.
Festeggiamo
tutti coloro che non tradirono.
Festeggiamo
tutti coloro che non cambiarono divisa all’ultimo momento per compiacere il
nuovo padrone.
Non
veniteci a parlare di “pacificazione”, di concordia nazionale, di unione tra
tutti gli italiani. La vostra pacificazione non la vogliamo. Non ci serve. Perché
sappiamo molto bene che differenza passa tra dei codardi e traditori miserabili
che sparavano alle spalle per i loro padroni sovietici e dei valorosi
combattenti che non indietreggiarono di un solo millimetro mentre il cielo
sopra di loro si faceva nero a causa dei bombardieri nemici e la terra si
colorava del loro stesso sangue. E nonostante tutto continuarono a cantare, e a
marciare, e a combattere.
Non
vi basterebbero 365 feste della Liberazione all’anno per trasformare i nani in
giganti e i giganti in nani. Non basterebbero tutti i vostri storici di parte,
i vostri magistrati, i vostri politici massoni, i vostri giornalisti
conniventi. I giganti rimangono giganti, e i nani rimangono nani. Come voi.
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