sabato 19 settembre 2009

L'abbiamo capito o no che in Afghnistan siamo in guerra?


L'ultimo agguato contro il contingente italiano di stanza in Afghanistan, che ha portato alla morte di sei soldati ed al ferimento (per fortuna non grave) di altri quattro, ha forse fatto capire agli italiani ciò che l'opinione pubblica del nostro Paese, e con essa la classe politica, da destra a sinistra, si è sempre ben guardata dal fare: dire chiaramente che in Afghanistan stiamo facendo la guerra.

Il risveglio è stato brusco e violento. Per anni gli italiani si erano illusi che si, forse si sparava qualche colpo ogni tanto, ma sostanzialmente non si poteva parlare di guerra, intesa come quella che vediamo alla tv, dove ci sono le trincee, i campi minati, i carri armati.

Niente di più estraneo dalla realtà. In Afghanistan siamo in guerra.


E non lo siamo – a parere del sottoscritto e non solo suo – perché l'Italia ha in quella regione un qualche interesse economico o strategico, ma solo perché seguiamo a ruota il carro americano. E le motivazioni degli Stati Uniti non sono certamente quelle che ci propina Emilio Fede, ma ben più pragmatiche: il controllo di una importante zona geostrategica unito al monopolio del mercato dell'oppio (l'Afghanistan ne è il maggiore produttore).


Dispiace però vedere che, come al solito, perché in Italia si muova qualcosa debba sempre scapparci il morto. In questo caso sei, di morti. Dovevamo aspettare di perdere sei soldati perché i nostri politici si chiedano che cosa siamo andati a fare in Afghanistan, e perché siamo lì. Abbiamo dovuto aspettare gli speciali alle tv, con i parenti dei soldati che ricordano i loro cari scomparsi, perché ci dicessero – se pur velatamente – che in Afghanistan siamo comunque in guerra. Una verità che fino a poco tempo fa ci avevano sempre nascosto, cambiando la guerra in “missione di pace”.




Ma sia ben chiaro: condannare le motivazioni per le quali l'Italia sta andando ad ammazzare gli afgani (è questo che stiamo facendo, anche se ciò può arrossare le delicate pancine borghesi) non significa non portare rispetto ai sei soldati che lì, ad un incrocio di Kabul, sono stati massacrati dentro i loro Lince, né non provare rammarico e dolore per la sorte delle loro famiglie. Che si vedano in questi sei soldati dei patrioti o dei mercenari, la figura del soldato va sempre onorata e rispettata, in quanto uomo che conspevolmente sceglie di riconoscere qualcosa di comunque superiore alla sua pancia e alle sue pime soddisfazioni, per morire in nome di qualcosa di superiore.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Magari se si fosse evitato di andare a fare l'esercito di occupazione in Afghanistan (e in Iraq) ste persone sarebbero ancora vive...

Alessio