mercoledì 23 settembre 2009

Israeliani sull'orlo di una crisi di nervi

Mentre i nostri democratici media ci intrattengono con le previsioni del tempo, la fabbricazione dei Lince, le buffonate di Obama alla Tv americana, è uscito nella sua versione definitiva il rapporto di Richard Goldstone, l’inviato dell’ONU (ebreo) che accusa, senza mezzi termini, lo Stato ebraico di essersi macchiato di gravi crimini di guerra nei confronti della popolazione palestinese, in particolare durante il suo ultimo attacco nel dicembre 2008.

Le atrocità commesse dai sionisti sono quelle di cui abbiamo già avuto modo di parlare a suo tempo, e che i sionisti nostrani cercano in tutti i modo di occultare (a sentire Fiamma Nirenstein l’ultima l’invasione militare di Israele sembra una operazione umanitaria per portare soccorso ai poveri palestinesi): bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile, con l’omicidio di un centinaio di poliziotti di Gaza che, nel momento dell’attacco, non partecipavano ad azioni di guerra; il bombardamento di una scuola con contrassegno ONU; il cecchinaggio del personale sanitario, al quale Israele ha negato piena libertà di movimento e che non ha esitato, in diverse circostanze, ad utilizzare come bersaglio; l’utilizzo del fosforo bianco, che le convenzioni internazionali vietano di utilizzare in aree densamente abitate da civili e che i sionisti hanno usato a Gaza (una delle zone più densamente abitate della Terra in rapporto alla superficie); varie ed eventuali.

Il tutto ha una drammatica cifra: 1400. Sono le vittime dell’ultima azione umanitaria di Israele.

L’accusa che parte da Tel Aviv (la quale non ha fornito alcun supporto alla Commissione ONU) è la solita solfa: un rapporto “già scritto prima dell’indagine” e parziale. Lieberman, Ministro degli Esteri israeliano, ha parlato invece di “una pagina vergognosa per le Nazioni Unite”.

Ma non è mancata, da più parti, anche l’accusa per eccellenza: quella di antisemitismo.

Ciò dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, che i sionisti sono sull’orlo di una crisi di nervi che li spinge a perdere ogni senso del ridicolo e del patetico.

Richard Goldstone, il capo della Commissione ONU, non è solo un personaggio che ha aiutato il Sud Africa del dopo-apartheid, che ha contribuito a svelare le atrocità del Ruanda e della Yogoslavia, ma è, specialmente, un ebreo sionista, con solidi legami in Israele. Fino a poco tempo fa era una autorità morale, all’ONU, come se ne vedevano poche. Che il governo di Tel Aviv accusi uno di loro di antisemitismo, o di essere pregiudizialmente contro Israele, testimonia l’arroganza e la spregiudicatezza dei sionisti nei confronti di chiunque non approvi acriticamente i loro massacri.

In Israele fanno anche finta di dimenticarsi dell’intervista che ha rilasciato qualche giorno fa la figlia di Goldstone, Nicole, ad una radio militare. Con le lacrime agli occhi Nicole diceva che la sua famiglia è amica di Israele, il papà specialmente. Che loro pensavano di aiutare Israele, e che il rapporto sarebbe stato molto peggiore senza l’intervento di babbo Richard. Tutto fatto per loro, insomma.

Avete capito? Ad indagare i crimini commessi dai sionisti hanno messo un sionista: già questo è contrario a qualunque elementare forma di diritto giuridico (l’accusato non può essere anche giudice). Ma, siccome la verità non si può occultare eccessivamente, ora si indignano, si strappano i capelli, parlano di antisemitismo (un termine il cui significato varia a seconda delle circostanze di tempo, di modo, di luogo), di pregiudizi verso Israele, e via dicendo.

Tutto ciò mentre Goldstone, contro ogni evidenza, si è ben guardato dal dire la parola chiave: colpa collettiva. Che Israele sta facendo scontare ad un popolo che ha rinchiuso dentro un recinto, al quale proibisce anche di usufruire dei minimi mezzi di sussistenza, e che ogni tanto usa come tiro a segno. Peggio che sparare a dei pesci in un barile.

Nonostante questo, la versione 2008 di Sabra e Chatila, in Israele, non ha creato eccessivi rimescolamenti di coscienza. Anzi: mentre si svolgeva il massacro, alcuni cittadini dello Stato sempre oppresso e sempre assediato hanno portato i loro figli in collina, a vedere come venivano uccisi i goym arabi.

Certo, certo: Goldstone, da buon sostenitore della causa, non ha mancato di tirare in ballo Hamas. Anche quest’ultima si è macchiata di crimini di guerra, non attuando alcuna distinzione tra soldati e civili (qualcuno di questi ultimi morto mentre portava i propri pargoletti ad assistere alla mattanza). Ma basta guardare le cifre per rendersi conto della gigantesca sproporzione tra i morti di una parte e i morti dell’altra. Nell’arco di due anni e mezzo, dall’operazione Summer Rain di giugno 2006 a Piombo Fuso del 2008, i morti palestinesi sono stati all’incirca 1800. Quelli israeliani non più di una trentina. Una proporzione di 1 a 60. Non c’è bisogno di aggiungere ulteriori commenti.

Ora la domanda è: accertato che Israele si è macchiata di crimini di guerra, chi deve pagare?

Sia Hamas sia Israele dovranno rendere conto delle rispettive violazioni entro 6 mesi: scaduto questo termine, la questione dovrebbe (con Israele, che non ha mai pagato per i propri misfatti, il condizionale è d’obbligo) passare alla Corte Penale Internazionale.

Ecco perché schiumano di rabbia, gridano all’antisemitismo, inveiscono contro l’ONU dopo che quest'ultimo ha messo alla commissione uno di loro. L'evidenza può essere nascosta, ma fino ad un certo punto. Chi è il carnefice e chi la vittima è chiaro.



Probabilmente vedremo Olmert, Tzipi Livni, Gabi Ashkenazi come imputati in una nuova Norimberga? Ce lo auguriamo
, ben consapevoli, però, del sostegno incondizionato che buona parte della diplomazia internazionale (in primis gli Stati Uniti) accorda ad Israele, nonostante le legittime proteste dei propri cittadini.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Al contrario di altri tuoi post, dove le nostre opinioni divergevano sensibilmente (divergenza su cui ho preferito non intervenire anche perchè in fondo si trattava comunque di "opinioni"), su questo post siamo perfettamente allineati.
Ed essendo il sottoscritto di origine ebraica ed anche "amico di Israele" (qualunque cosa questo significhi al netto dell'etichetta "sionista"), mi faceva piacere fartelo sapere.
Israele sta diventando il peggior nemico di se stesso.

Sergio.

Andrea Chessa ha detto...

Infatti mi fa piacere saperlo. Ti ringrazio.

E il fatto che ciò venga detto da un amico di Israele ed ebreo è doppiamente importante. Se forse la maggioranza degli italiani ed europei prendesse coscienza di ciò, Israele, quando scatena le sue carneficine, ci penserebbe su due volte.

Un saluto

P.S. Se non intervieni per delle divergenze di opinioni per che cosa intervenire? Gli interventi contrari, anche aspri, sono bene accetti.

Anonimo ha detto...

Come saprai, in Israele c'è un dibattito profondamente laico sul come trovare l'accordo con i palestinesi.
Il nome più citato di questi giorni è Jeff Halper, ma più in generale, e senza dover arrivare a sposare posizioni radicalmente "pacifiste", sempre più ampie fette della popolazione sono stufe di questo "sionismo" che non è nè carne nè pesce: nè ortodossia (come potrebbero intenderla i "cassidici", che infatti sono contrari a qualunque "ufficio" politico e militare) nè progetto politico "secolare".
Questo "sionismo" è, semplicemente, la risposta inetta della più inetta classe politica mondiale: quella israeliana, all'interno della quale anche un Mastella qualunque farebbe la sua "porca figura".
Il dramma è che la benzina sul fuoco la gettano quanti, dalla diaspora azkenazita dell'Est Europa (in questo, mi spiace deluderti, il nazismo -e non solo- ha fatto danni enormi, dando argomenti a quanti non ne avrebbero altrimenti avuti), una volta diventati lobbie USA, ben guardandosi dal vivere in Israele, fomentano l'ideologia sia per coltivare interessi evidenti (la vendita di armi, etc etc) sia per illudersi di ritrovare una identità culturale che (e questo è il paradosso!) non gli appartiene, visto che gli azkenaziti tutto sono tranne che "semiti".
Il discorso sarebbe lungo e complesso, ed ammetto che non sarei bravo ad articolarlo come meriterebbe: resta la tristezza per un luogo dell'anima (quello che per tutti noi è la Zion che ci veniva raccontata da bambini) che abbiamo barattato in cambio di una "casa" (il senso di proprietà su una terra) che, per duemila anni, il cristianesimo ci ha negato.

Cordialità,

Sergio