venerdì 9 novembre 2007

Federico risponde

Il mio articolo sul dialetto sardo ha creato qualche perplessità ad un mio caro amico, che si è sentito subito in dovere di rispondermi per le rime. Ho qualcosa da rispondere immediatamente a Federico, ma devo ordinare un pò le idee per mettere giù qualcosa di decente. Tra l'altro a Federico non si perdona la prolissità perchè - perlomeno qui dentro - non costituisce reato.
Nel frattempo pubblico qui di seguito la sua risposta.


Non vorrei davvero che si facesse confusione tra aspetto prettamente tecnico, aspetto sociale e aspetto politico della lingua sarda. Mi spiego meglio: come hai ben spiegato tu la lingua sarda è un idioma a tutti gli effetti. Ha una sua grammatica, un suo vocabolario, alcune specificità fonetiche distintive. Hai ben ricordato che esistono tante varianti, dovute essenzialmente all'ampiezza del territorio sardo e alla sua bassa densità di popolazione. I tentativi che si sono fatti (e si stanno facendo) di creare a tavolino un'unica lingua (la cosiddetta limba sarda unificada, o limba de mesanìa) - attraverso la ricerca di aspetti comuni a tutte le varianti - è uno stratagemma politico affinché il sardo possa diventare a tutti gli effetti lingua ufficiale dell'Unione Europea (come è successo recentemente per il Gaelico, lingua parlata in Irlanda da 55mila persone). Personalmente sono poco favorevole a questa forzatura, sarei più propenso a salvaguardare tutte le varianti - anche a costo di non vedere il sardo lingua ufficiale dell'UE. Ma la politica si sa com'è.Per quanto riguarda il rapporto tra lingua sarda e lingua italiana, non vedo assolutamente il contrasto che dalle tue parole emerge. Anzi: la lingua sarda è politicamente riconosciuta, oltre che a livello regionale, dal Codice Civile italiano (come seconda lingua più parlata nel Paese- si calcola che 1.300.000 di persone la parli o la capisca, su un totale di 1.600.000 di abitanti - senza considerare le numerosissime comunità sarde extra moenia, che si aggirerebbero intorno ad un altro milione di teste) e il popolo sardo è considerato a tutti gli effetti una minoranza etnica (anche a livello europeo). La Sardegna fa parte (e deve continuare a fare parte) dell'Italia: chi predica l'indipendenza o cose simili non possiede una corretta visione della realtà. Tuttavia non è neanche giusto delegittimare il concetto di Nazione sarda: la comunanza di lingua - seppure con le sue varianti -, tradizioni, cultura, letteratura, etc., rende la Sardegna una nazione a tutti gli effetti, senza essere uno Stato autonomo. Non bisogna fare confusione tra i concetti di Nazione e di Stato: esistono stati plurinazionali (ad esempio il Belgio o la Svizzera), ed esistono nazioni senza stato (Palestinesi, Curdi e tanti altri). Ed è tutta questione di legami e sentimenti di appartenenza: ti assicuro che la maggior parte di sardi si considera prima 'un sardo', poi un 'italiano', senza per questo essere simpatizzante degli indipendentisti. E quando si vive fuori dalla Sardegna è un qualcosa che risalta ancora di più.Il sardo non è assolutamente una parlata a livello regionale, e non è assolutamente vero che la 'sentono e vedono solamente i sardi': a livello di esempio curioso, uno dei maggiori studiosi di lingua e letteratura sarda è giapponese! (e il sardo viene insegnato anche in qualche università).La sardità vera va sicuramente oltre gli esempi che hai citato (sicuramente reali e talvolta diffusi), e non vedo perché le istituzioni non debbano prodigarsi per salvaguardare questa identità: l'aspetto linguistico è un elemento fondamentale di una comunità, e non esistono affatto lingue di serie A e di serie B. In Sardegna si deve parlare l'italiano, ovviamente; ma non credo che si debba trascurare e far morire la lingua sarda senza almeno fare qualche tentativo per salvarla. Certo, non ci devono essere neanche discriminazioni alla rovescia: la lingua sarda non deve essere requisito fondamentale per i concorsi. Ma è anche vero che la conoscenza di un idioma in più può creare altre possibilità lavorative.Sono fermamente convinto, in conclusione, che riuscire a difendere la propria identità (sebbene piccola e quasi insignificante) a livello locale, sia una base necessaria per poter difendere quella a livello nazionale (a volte lontana e disomogenea).Perdona la prolissità.

AnimaSarda

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