giovedì 6 luglio 2017

La terra Le sia lieve, Doddore



La Sardegna ha perso un uomo. Un uomo vero. Un uomo che – a prescindere dalle sue idee, condivisibili o meno (e per noi non lo erano e non lo sono, essendo la Patria una, sacra e indivisibile) – ha avuto il coraggio di lottare e di morire fino alla fine per quello in cui credeva. Senza che nessuno sottoscrivesse alcuna petizione per lui, senza che nessun giornalista si mobilitasse per le sue istanze, senza alcun comitato di opinione come se ne sono formati tanti (per difendere l’assassino di bambino Achille Lollo, per esempio, si mobilitarono addirittura quei fiancheggiatori di criminali che rispondono al nome di Franca Rame e di Dario Fo).

È morto da solo, Doddore Meloni, ed ha avuto il coraggio di fare quello che un altro politico ben più esperto di scioperi della fame (rivelatisi sempre più o meno fasulli, come fasullo era il personaggio che li faceva) non ha fatto mai, preferendo lo spettacolo alla coerenza: andare fino in fondo. 

Doddore Meloni – fiore all’occhiello dell’indipendentismo sardo – è morto a causa dello sciopero della fame condotto contro questo Stato che egli vedeva come straniero, come usurpatore, e aveva avuto il coraggio di colpirlo, questo Stato, dove gli fa più male: “Non si pagano le tasse agli stranieri”. Avevano provato a piegarlo già quarant’anni fa per il suo (forse maldestro) tentativo di avvicinamento a Gheddafi, avevano provato a silenziarlo quando aveva occupato l’isola di Malu Entu, davanti ad Oristano, con tanto di comunicazione di indipendenza inviata alle autorità italiane. Fino a quel momento, tutto era stato più o meno passabile. Ma sulle tasse no. Sulle tasse lo Stato non scherza. Per farlo pagare lo avevano inseguito addirittura con diverse volanti, lui sulla sua Panda rossa e quegli altri dietro con lampeggianti e sirene. 

Doddore stava antipatico un po’ a tutti noi perché ha avuto il coraggio, lui con quella sua ostinata testardaggine tipicamente sarda, di metterci crudelmente davanti alle nostre mancanze, ai nostri limiti, alle nostre debolezze: il coraggio di andare fino in fondo, di resistere, anche quando tutto crolla, anche quando la nave si sta inabissando definitivamente. Chi di noi ha mai avuto quel coraggio? Chi di noi avrebbe il coraggio di fare come lui, lasciarsi morire di fame per ciò in cui si crede?

Aveva forse torto, Doddore? Non è forse vero che questo Stato è ormai diventato estraneo, per non dire nemico, ai suoi stessi cittadini? Uno Stato che tartassa al 70% le piccole imprese, che chiude gli ospedali, che insegue gli anziani per arretrati di 30 euro, che esporta laureati e importa fancazzisti africani: può considerarsi legittimo? Uno Stato che condona ad un pilota di motociclismo l’evasione di decine di milioni di euro, che permette la permanenza delle multinazionali e dei loro paradisi fiscali grazie ai quali non pagano le tasse, e che poi insegue con volanti e gazzelle un signore in Panda per qualche migliaio di euro: può considerarsi giusto?

Saint-Paulien, nel suo “I leoni morti” in cui ricordava l’eroica, disperata e tragica difesa di Berlino da parte degli ultimi reparti europei fedeli al Terzo Reich, scrisse: “Ciò che conta in guerra non sono i semplici uomini, ma l’uomo come soldato capace di difendere fino in fondo un brandello di terra o, all’estremo, un brandello di idea”. 

La Sardegna perde per i più un politico, per altri un indipendentista, per me un uomo ed un soldato. A prescindere da tutto, anche dalle sue idee, che non ho mai sostenuto.

La terra Le sia lieve, Doddore.

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