La Sardegna ha perso un uomo. Un uomo vero. Un uomo che
– a prescindere dalle sue idee, condivisibili o meno (e per noi non lo erano e
non lo sono, essendo la Patria una, sacra e indivisibile) – ha avuto il
coraggio di lottare e di morire fino alla fine per quello in cui credeva. Senza
che nessuno sottoscrivesse alcuna petizione per lui, senza che nessun
giornalista si mobilitasse per le sue istanze, senza alcun comitato di opinione
come se ne sono formati tanti (per difendere l’assassino di bambino Achille
Lollo, per esempio, si mobilitarono addirittura quei fiancheggiatori di
criminali che rispondono al nome di Franca Rame e di Dario Fo).
È morto da solo, Doddore Meloni, ed ha avuto il
coraggio di fare quello che un altro politico ben più esperto di scioperi della
fame (rivelatisi sempre più o meno fasulli, come fasullo era il personaggio che
li faceva) non ha fatto mai, preferendo lo spettacolo alla coerenza: andare
fino in fondo.
Doddore Meloni – fiore all’occhiello dell’indipendentismo
sardo – è morto a causa dello sciopero della fame condotto contro questo Stato
che egli vedeva come straniero, come usurpatore, e aveva avuto il coraggio di
colpirlo, questo Stato, dove gli fa più male: “Non si pagano le tasse agli
stranieri”. Avevano provato a piegarlo già quarant’anni fa per il suo (forse
maldestro) tentativo di avvicinamento a Gheddafi, avevano provato a silenziarlo
quando aveva occupato l’isola di Malu Entu, davanti ad Oristano, con tanto di
comunicazione di indipendenza inviata alle autorità italiane. Fino a quel
momento, tutto era stato più o meno passabile. Ma sulle tasse no. Sulle tasse
lo Stato non scherza. Per farlo pagare lo avevano inseguito addirittura con
diverse volanti, lui sulla sua Panda rossa e quegli altri dietro con
lampeggianti e sirene.
Doddore stava antipatico un po’ a tutti noi perché ha
avuto il coraggio, lui con quella sua ostinata testardaggine tipicamente sarda,
di metterci crudelmente davanti alle nostre mancanze, ai nostri limiti, alle
nostre debolezze: il coraggio di andare fino in fondo, di resistere, anche
quando tutto crolla, anche quando la nave si sta inabissando definitivamente. Chi
di noi ha mai avuto quel coraggio? Chi di noi avrebbe il coraggio di fare come
lui, lasciarsi morire di fame per ciò in cui si crede?
Aveva forse torto, Doddore? Non è forse vero che questo
Stato è ormai diventato estraneo, per non dire nemico, ai suoi stessi
cittadini? Uno Stato che tartassa al 70% le piccole imprese, che chiude gli
ospedali, che insegue gli anziani per arretrati di 30 euro, che esporta
laureati e importa fancazzisti africani: può considerarsi legittimo? Uno Stato
che condona ad un pilota di motociclismo l’evasione di decine di milioni di
euro, che permette la permanenza delle multinazionali e dei loro paradisi
fiscali grazie ai quali non pagano le tasse, e che poi insegue con volanti e
gazzelle un signore in Panda per qualche migliaio di euro: può considerarsi
giusto?
Saint-Paulien, nel suo “I leoni morti” in cui ricordava
l’eroica, disperata e tragica difesa di Berlino da parte degli ultimi reparti
europei fedeli al Terzo Reich, scrisse: “Ciò che conta in guerra non sono i
semplici uomini, ma l’uomo come soldato capace di difendere fino in fondo un
brandello di terra o, all’estremo, un brandello di idea”.
La Sardegna perde per i più un politico, per altri un
indipendentista, per me un uomo ed un soldato. A prescindere da tutto, anche
dalle sue idee, che non ho mai sostenuto.
La terra Le sia lieve, Doddore.
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