giovedì 25 giugno 2020

Basta uno striscione per scatenare il Grande Fratello antifascista



“In un’era di menzogna, dire la Verità diventa un atto rivoluzionario”. Questo aforisma di George Orwell ben si adatta alla storia che arriva dall’Inghilterra, e che, pur nella sua normalità, ha letteralmente fatto impazzire tutta la Nazione, con strascichi anche giudiziari.

Lunedì 22 giugno. Partita di Premier League tra Manchester City e Burnley. Poco prima dell’incontro si assiste alla solita, disgustosa parata: giocatori – bianchi e neri – rigorosamente inginocchiati nel nome del politicamente corretto, le magliette da gioco con la scritta “Black lives matter”. Si sente un rombo, gli spettatori alzano lo sguardo al cielo: un aereo con uno striscione sorvola lo stadio con la scritta “White lives matter”.

La partita non è ancora finita che l’indignazione generale è finita su internet, e viene poi rilanciata dalla dirigenza del Burnley: i responsabili non sono i benvenuti, collaboreremo con le autorità per trovare i responsabili di questo infame gesto. “Mi vergogno a nome di tutta la squadra”, fa eco un giocatore. 

L’infame gesto, giova ricordarlo, è ricordare l’ovvio: cioè che anche le vite dei bianchi contano, non sono quelle dei neri i quali, in nome di un’emergenza inesistente – negli Stati Uniti sono molti di più i bianchi che subiscono aggressioni da parte dei neri e, nonostante ciò, i neri hanno il primato per i reati contro la persone (aggressioni, stupri, rapine, violenze, omicidi) – stanno letteralmente mettendo a ferro e fuoco una Nazione, col beneplacito della sinistra internazionale, oramai disgustosamente schierata per l’annientamento della razza bianca.

Perché, senza il beneplacito della sinistra e di tutto il sistema radical chic che infetta televisioni e giornali, le distruzioni delle statue, il vandalismo fine a se stesso, le dichiarazioni che inneggiano apertamente al suprematismo negro – come quella di Priyamvada Gopal, insegnante della Cambridge University, che può apertamente dichiarare che “White lives doesn’t matter” (“Le vite dei bianchi non contano”), tra gli applausi della feccia sinistroide – la volontà di abbattere monumenti, statue e perfino piramidi, tutto ciò, dicevamo, verrebbe preso per quello che esattamente è, ovvero terrorismo simil-jihadista, unito alla ormai sempre più evidente di cancellare la Civiltà Europea – e quindi la Civiltà tout court – da schiacciare col ferro e con il fuoco.

Dicevamo che il gesto ha avuto anche strascichi giudiziari. L’autore del gesto, Jake Hepple, è stato bandito a vita dall’entrare allo stadio, e licenziato insieme alla sua ragazza; quest’ultima sconta la colpa di aver rifiutato un corso sull’antirazzismo propostole dall’azienda per la quale lavorava, corso che avrebbe dovuto seguire per il solo fatto di essere la ragazza dell’autore di questa goliardata la quale.

Questo è costato il licenziamento alla coppia, l’obbligo di seguire dei corsi di rieducazione, il divieto a vita di frequentare gli stadi ed un processo penale nel quale Hepple dovrà difendersi dall’accusa di aver detto l’ovvio: che anche le vite dei bianchi contano. 


Campi di rieducazione, ostracismo sociale, Tribunale del pensiero: ci torna alla mente di nuovo George Orwell ed il suo Grande Fratello, che si avvicina a passi da gigante.

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