Arrabbiato, furente, sconfitto. Ma, soprattutto,
isterico. Sono questi, primariamente, gli aggettivi che vengono in mente per
descrivere il Presidente uscente degli Stati Uniti, Barack Obama, e la sua
decisione di espellere dagli Stati Uniti 35 diplomatici russi. Per l’amministrazione
democratica, che il 20 gennaio conta di lasciare una bella gatta da pelare a
Donald Trump, si tratterebbe di una risposta all’accusa fatta dagli Stati Uniti
alla Russia: aver manipolato, mediante attacchi preparati da pirati informatici
al soldo di Mosca, le elezioni americane, falsandone quindi il risultato.
Un’accusa infamante e ridicola, oltretutto mai
dimostrata seriamente (ci ricorda da vicino la fialetta che Colin Powell agitò
davanti al mondo per giustificare l’aggressione criminale americana all’Iraq),
ma che rischia di avere effetti molto gravi innanzitutto sulla presidenza
Trump, che potrebbe aprirsi nel peggiore dei modi, e poi sul piano delle
relazioni USA-Russia, con conseguenze internazionali gravi.
La Russia, come era ovvio e legittimo, ha risposto. “Riservandoci il diritto di varare misure di
risposta, non scenderemo al livello di
‘diplomazia da cucina’, irresponsabile, e compiremo gli
ulteriori passi del ripristino dei rapporti russo-americani partendo dalla
politica che sarà condotta dall’amministrazione del presidente
eletto Donald Trump”, ha scritto in una nota ufficiale Vladimir Putin.
“Riteniamo come ostili i nuovi passi dell’amministrazione
uscente americana – ha precisato il leader russo – nonché mirati a minare ulteriormente i rapporti
fra Mosca e Washington. Tutto ciò contraddice gli interessi principali del
popolo russo e americano, tenendo conto della responsabilità particolare della Russia e degli Usa per garantire
la sicurezza globale. Così facendo, gli Usa danneggiano l’intero sistema dei
rapporti internazionali. Secondo la prassi, la parte russa ha
tutte le ragioni per una risposta adeguata”.
Siamo ben lontani dall’isterismo – sgradevole anche dal
punto di vista umano prima ancora che politico – di Barack Obama e della sua amministrazione.
Un isterismo, quello dei democratici americani, che li
porta a registrare clamorosi passi falsi non solo con Putin, bensì anche in
Medio Oriente. Per la prima volta dalla conclusione della seconda guerra
mondiale, infatti, a metà gennaio si svolgerà ad Ashtana, capitale del Kazakistan,
l’incontro a tre tra Turchia, Russia e Iran per decidere il dopo Siria. Gli Stati
Uniti saranno i grandi assenti. La Russia, in altre parole, detterà le linee
guida per la rinascita di quella regione, probabilmente senza togliere di mezzo
Assad ma anzi considerandolo come un interlocutore privilegiato della
ricostruzione. Tutto l’opposto di ciò che avrebbe voluto l’Occidente, USA in
testa, accusati addirittura dalla Turchia di aver finanziato l’ISIS (sono state
diverse, negli ultimi mesi, le notizie di ritrovamenti di arsenale militare in
mano all’ISIS in rotta di chiara fabbricazione europea ed americana).
Auguriamoci che il 20 gennaio arrivi presto e Trump si
sieda nello studio ovale. Un Trump che non abbiamo ancora visto all’opera,
questo va detto, e ben sappiamo quanto le dichiarazioni fatte in campagna
elettorale possano poi ben differire dalla prassi di governo, ma almeno ha già
candidamente ammesso di voler trovare una strada per una chiara e netta
distensione delle relazioni tra gli Stati Uniti e Mosca. E questa è già una
buona notizia.
Nessun commento:
Posta un commento