Agosto è solitamente il mese dedicato al riposo ed al divertimento, almeno per quanto riguarda la maggior parte degli italiani. Dovendo il sottoscritto rinunciare al riposo per motivi di lavoro e di gestione politica, ho deciso quantomeno di dedicarmi ad una ricerca divertente, con la quale credo di riuscire a contribuire a ridicolizzare ulteriormente i tanti compagnucci orfani del comunismo ed i tanti caproni ignoranti che si beano nel definirsi antifascisti…
L’idea che mi ha portato a realizzare l’articolo che segue me l’ha data, qualche anno fa, un anonimo utente di forum e newsgroup di internet, che firmava i suoi interventi “donquixote”; costui, con perizia di particolari ed estrema precisione, umiliava i tanti cretini comunisti presenti sugli stessi newsgroup, rispondendo a tono quando costoro trinciavano i soliti giudizi antifascisti sulla persona di Benito Mussolini, definito spesso un ignorante in possesso di un misero diploma di Maestro Elementare… Ironia su ironia, gran parte di questi giudizi viene esposta da decerebrati di sinistra, completamente privi di cultura storica e politica, ed abilissimi soltanto nello scimmiottare senza costrutto giudizi di antifascisti idioti quanto loro.
Solitamente il compagnuccio - tipo è un povero ignorante convinto che il Fascismo sia stato un movimento al soldo di borghesi e proprietari terrieri, nato per difendere i loro interessi e danneggiare il popolo lavoratore; ovviamente basterebbe una rapida occhiata alla legislazione sociale del Fascismo per smentire questa (ed altre) cretinata, ma per i cervelletti di quanti ancora oggi si proclamano fieramente comunisti senza accorgersi di seguire una dottrina politica che in ogni luogo ed in ogni tempo ha collezionato solo fallimenti, regimi dittatoriali e milioni di morti, l’informarsi su dati e fatti reali sarebbe uno sforzo troppo grande… Così come informarsi sulla caratura culturale del nostro amato Duce, il quale ha lasciato così tanti segni nella cultura italiana da non potere essere dimenticato.
Ecco dunque, a seguire, una breve raccolta di interventi di quel “donquixote”, raccordati ed arricchiti dal sottoscritto, che dimostrano con dovizia di particolari quale sia stato il ruolo di Mussolini nella cultura della sua epoca, nonché quanto siano coglioni i compagnucci della parrocchia antifascista e quanto valgano i loro luoghi comuni.
Carlo Gariglio
L’idea che mi ha portato a realizzare l’articolo che segue me l’ha data, qualche anno fa, un anonimo utente di forum e newsgroup di internet, che firmava i suoi interventi “donquixote”; costui, con perizia di particolari ed estrema precisione, umiliava i tanti cretini comunisti presenti sugli stessi newsgroup, rispondendo a tono quando costoro trinciavano i soliti giudizi antifascisti sulla persona di Benito Mussolini, definito spesso un ignorante in possesso di un misero diploma di Maestro Elementare… Ironia su ironia, gran parte di questi giudizi viene esposta da decerebrati di sinistra, completamente privi di cultura storica e politica, ed abilissimi soltanto nello scimmiottare senza costrutto giudizi di antifascisti idioti quanto loro.
Solitamente il compagnuccio - tipo è un povero ignorante convinto che il Fascismo sia stato un movimento al soldo di borghesi e proprietari terrieri, nato per difendere i loro interessi e danneggiare il popolo lavoratore; ovviamente basterebbe una rapida occhiata alla legislazione sociale del Fascismo per smentire questa (ed altre) cretinata, ma per i cervelletti di quanti ancora oggi si proclamano fieramente comunisti senza accorgersi di seguire una dottrina politica che in ogni luogo ed in ogni tempo ha collezionato solo fallimenti, regimi dittatoriali e milioni di morti, l’informarsi su dati e fatti reali sarebbe uno sforzo troppo grande… Così come informarsi sulla caratura culturale del nostro amato Duce, il quale ha lasciato così tanti segni nella cultura italiana da non potere essere dimenticato.
Ecco dunque, a seguire, una breve raccolta di interventi di quel “donquixote”, raccordati ed arricchiti dal sottoscritto, che dimostrano con dovizia di particolari quale sia stato il ruolo di Mussolini nella cultura della sua epoca, nonché quanto siano coglioni i compagnucci della parrocchia antifascista e quanto valgano i loro luoghi comuni.
Carlo Gariglio
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Mussolini è stato certamente un grande scrittore, ed ha fornito direttamente e indirettamente, immensi contributi alla cultura. Fino a poco tempo fa, vigendo accanto al tradizionale motto: “Non si può parlare male di Garibaldi”, il motto antifascista: “Non si può parlare bene di Mussolini”, erano in pochi ad avere il coraggio di dirlo, ad esempio Francesco Grisi e Augusto Simonini, che aveva scritto il saggio: “Il linguaggio di Mussolini”. Ora le cose stanno cambiando,e persino critici letterari illustri come Carlo Fruttero (”Fu un grande prosatore sia quando era socialista che all’epoca del fascismo”) o Giovanni Mariotti possono affermarlo senza suscitare scandalo.
Sottolineo che il presente articolo non ha alcuna pretesa di esaustività riguardo al tema trattato: in effetti, parlando dei contributi diretti e indiretti di Mussolini alla cultura, troppo ci sarebbe da dire. Mi limiterò ad alcuni cenni.
Come è noto, Mussolini iniziò la sua attività politica nel campo socialista: nel 1908, trovandosi in Liguria, fondò, a soli 25 anni,un settimanale socialista, “La lima”. L’anno seguente, trasferitosi nel Trentino irredento, diresse “L’avvenire del lavoratore” e collaborò al “Popolo” diretto da Cesare Battisti. In quel periodo Giuseppe Prezzolini, il direttore della “Voce”, la più prestigiosa rivista filosofico - letteraria del primo anteguerra, alla quale collaborarono i più illustri intellettuali dell’epoca (Croce, Gentile, Papini, Slataper, Boine, Serra ecc.) scoprì il talento di Mussolini e insistette perché pubblicasse articoli sulla stessa. Prezzolini aveva infatti intuito, attraverso il semplice dialogo epistolare, sia il genio politico, sia quello letterario di Mussolini.
In una lettera scritta il primo ottobre 1909, Mussolini già delineava e prefigurava quell’opera politica e spirituale che egli stesso avrebbe portato a compimento pochi anni dopo: “Ottima l’ultima iniziativa della “Voce”: far conoscere l’Italia agli Italiani. Accanto all’unità politica che va lentamente, sì, ma progressivamente consolidandosi, bisogna formare l’unita’ spirituale degli italiani. Opera difficile data la nostra storia e il nostro temperamento,ma non impossibile. Creare l’anima “italiana” è una missione superba. E’ necessario conoscersi, dal nord al sud, per temperare, armonizzare le nostre differenze, e amarci.”
In seguito, tornato in Romagna Mussolini fondò il settimanale “La lotta di classe” e cominciò a collaborare all”Avanti!” divenendo presto il leader dell’ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Nel 1913 fondò la rivista “Utopia” e divenne direttore dell’”Avanti!” (grazie alla sua direzione ed ai suoi articoli, l’”Avanti!” passò dalle 30.000 alle 80.000 copie giornaliere nel giro di poche settimane) e l’anno seguente fu uno dei principali organizzatori del celebre moto rivoluzionario, sorto ad Ancona, noto come “La settimana rossa”.
Mussolini fu, tra l’altro, il primo a valorizzare politicamente in Italia le teorie filosofiche di Georges Sorel, di William James, di Henri Bergson, di Vilfredo Pareto, ed a fornire una acuta interpretazione del pensiero di Nietzsche.
Passato all’interventismo, fondò il quotidiano “Il popolo d’Italia”, cui affiancò in seguito la rivista teorica “Gerarchia”, la cui direzione fu affidata a una donna, Margherita Sarfatti.
In seguito Mussolini scrisse diversi libri (”Diario di guerra”, “Vita di Arnaldo”, “Parlo con Bruno”), drammi teatrali (in collaborazione con Gioacchino Forzano, “Campo di maggio”, incentrato sulla figura di Napoleone, ebbe un clamoroso successo internazionale), saggi (tra i quali spicca il “Preludio a Machiavelli”), innumerevoli discorsi (alcuni dei quali ormai celeberrimi, raccolti in vari volumi; il grande Francesco Carnelutti rilevava: “Mussolini è un uomo d’azione e un oratore nello stesso tempo e, per suo merito,l’eloquenza è assurta a dignità senza precedenti”), la fondamentale “Dottrina del fascismo” (in collaborazione con Giovanni Gentile), le parti essenziali della “Carta del lavoro” (che divenne la carta costituzionale del regime fascista) e espose le sue idee nel libro - intervista “Colloqui con Mussolini”.
Per sottolineare la profonda e costante attenzione che Mussolini riservava alla cultura basterebbe ricordare un episodio verificatosi in un periodo della seconda guerra mondiale, dal punto di vista bellico, difficile e decisivo: nel 1942, in Germania, l’Ufficio Rosenberg, diretto da Alfred Baeumler, pose il veto all’inserimento di un saggio di Heidegger (che molti considerano il più grande filosofo del XX secolo e che proponeva nei suoi scritti teorie fasciste implicitamente antinaziste) nell’annale “Geistige Uberlieferung”. Tale veto fu rimosso solo in seguito alla ferma (e assai significativa) presa di posizione di Mussolini che, pur essendo impegnatissimo a gestire la difficile situazione politica e bellica, trovò il tempo di intervenire ufficialmente in tale senso presso le autorità tedesche, tramite l’ambasciatore Alfieri.
Nel periodo della Repubblica Sociale Italiana il governo deliberò il trapasso in proprietà a favore degli inquilini di tutti gli appartamenti degli Istituti per le case popolari, come attuazione del principio inserito da Mussolini nell’articolo 15 del Manifesto di Verona (la carta costituzionale della RSI):
“Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà”.
L’enunciazione di questo principio colpì profondamente Ezra Pound, il più grande poeta di lingua inglese del ventesimo secolo (insieme a Eliot) che aveva aderito entusiasticamente alla Repubblica Sociale Italiana, da lui simbolicamente definita “la città di Dioce, le cui terrazze hanno il colore delle stelle” (nel dopoguerra pagò per questa coraggiosa scelta più dell’oncia di carne di Shylock, diventando per l’America un capro espiatorio o, come scrisse Pasolini, “l’Agnello sacrificale”); egli, nei suoi “Canti pisani”, riconobbe nell’articolo 15 lo stile inconfondibile di Mussolini, lo statista-artista:
“Alla” non “della” nel Programma di Verona la vecchia mano dello stilista conserva ancora la sua abilità e l’acqua che rifluiva da quella parte del lago è silenziosa come non mai a Sirmione sotto le arcate Foresteria, Salò, Gardone a sognare la repubblica…”
Quando, subito dopo il barbaro e vile assassinio di Giovanni Gentile, avvenuto il 15 aprile 1944, alcuni collaboratori di Mussolini gli suggerirono di inviare dei sicari a Napoli, al fine di uccidere, per rappresaglia, Benedetto Croce, egli condannò immediatamente tale progetto. Eppure Croce, appena sopraggiunti gli angloamericani, non aveva risparmiato gli insulti nei suoi confronti. Quel medesimo Croce che aveva dato il proprio appoggio al fascismo persino dopo il delitto Matteotti. Quel medesimo Croce che, in occasione delle sanzioni contro l’Italia per l’intervento in Etiopia, aveva deciso di donare alla Patria, oltre che la sua fede matrimoniale, anche la sua medaglietta di senatore. Quel medesimo Croce che, da oppositore al regime fascista, aveva comunque potuto svolgere tranquillamente sotto di esso la sua attività intellettuale e culturale. Quando, durante il periodo della RSI, fu chiesto a Mussolini di commentare gli insulti che gli rivolgeva Croce, egli rispose: “Anche uomini come Benedetto Croce appartengono alla schiera di coloro che credono di dovermi combattere; ma Croce si sbaglia se crede che io lo ripaghi con eguale sentimento. Io infatti conosco molto bene l’importanza che Croce ha per l’Italia nel campo spirituale e apprezzo moltissimo la sua intelligenza e la sua energia”.
Credo che queste parole bastino a rimarcare l’abisso culturale e umano che separa Mussolini da Croce..…
E’ noto che, nel periodo della Repubblica Sociale Italiana, Mussolini occupava il poco tempo libero leggendo i “Dialoghi” di Platone e ritraducendo dall’italiano al tedesco il “Messia” di Klopstock (che gli stessi tedeschi considerano un vero e proprio “mattone”….). Un aspetto importante della notevole cultura di Mussolini è costituito in effetti dalla sua versatile e, purtroppo, assai poco “italiana” predisposizione all’apprendimento delle lingue straniere: egli parlava infatti correntemente il francese, l’inglese, il tedesco e il russo (lo aveva appreso in gioventù, nel corso di una relazione sentimentale intrattenuta con la rivoluzionaria russa Angelica Balabanoff, coniugando così l’utile col dilettevole…).
Questa conoscenza delle lingue gli fu più volte utile in ambito politico. Georges Bonnet, giornalista presente al convegno di Monaco (che fu voluto da Mussolini per salvare la pace europea, già vacillante, nel 1938), descrive Mussolini sempre pronto e sicuro nell’esprimersi in tre lingue senza l’aiuto dell’interprete (Chamberlain parlava soltanto inglese, Daladier solo francese e Hitler solo tedesco) e rapido nell’interporsi tra i tre per riassumere, contestare, precisare. Bonnet nota l’ascendente di Mussolini su Hitler, “presso il quale sembra svolgere un compito di moderatore, proponendo formule conciliative nei momenti in cui il Cancelliere, cedendo a uno dei suoi improvvisi momenti di collera, rimetteva tutto in discussione”. La stessa impressione riferisce Francois-Poncet, che mostra Mussolini comodamente affondato in una poltrona, mentre Hitler, in piedi al suo fianco, non interviene mai senza prima averlo consultato con un’occhiata.
Ormai da tempo Mussolini è stato riconosciuto come un grandissimo giornalista (Indro Montanelli, ad esempio, lo aveva recentemente definito “un maestro di giornalismo”). In realtà è stato certamente uno dei più grandi scrittori italiani del nostro secolo. Lo aveva già autorevolmente rilevato l’illustre critico letterario, di origine ebraica, Giacomo Debenedetti (che nel dopoguerra scoprì improvvisamente di essere comunista!) in un saggio pubblicato nel 1937.
Egli inserisce Mussolini nella storia letteraria italiana e assicura ai suoi scritti la gloria eterna che spetta ai grandi capolavori. Debenedetti afferma che la sua prosa “esige i corpi grandi”, come si conviene a uno scrittore “sintetico, lapidario, diatonico”, e che il suo stile stabilisce “un’identità nuova e originale tra se medesimo e la realtà operando, se così si può dire, una “risustanziazione”.
Riguardo alla capacità di Mussolini di coniare nuovi vocaboli, egli non può fare a meno di definirlo “un poeta-scienziato”. Quindi passa a analizzare le immagini e i movimenti linguistici di Mussolini “scrittore autentico”, che ha “gusto per i grandi modelli della geometria e della meccanica”, sicché nel suo “organismo sintattico” le parole “si agganciano, si addentellano l’una all’altra come ruote di un ingranaggio. La frase non ha quasi bisogno di punteggiatura, tanto esatte, istintivamente calcolate sono le relazioni che, dentro di essa, collegano i singoli termini”. Commentando i brani di un discorso di Mussolini Debenedetti afferma: “La formula pare deflagri sull’intersezione dell’intelligenza, che ha compreso, con la passione attiva, che comincia a lievitare il dato. L’intelligenza mette la lucidità, la passione mette il movimento. Con l’inesauribile creazione di siffatte formule, aggiornando di continuo e stringendo la propria cultura in sintesi icastiche e fulminee, Mussolini ha dato e va dando una nuova cultura al popolo italiano”.
Questa obiettiva analisi è stata autorevolmente confermata, ad esempio, dall’illustre critico letterario Giovanni Mariotti che, commentando recentemente la notizia dell’inserimento degli scritti di De Gaulle nella collezione della “Pleiade” (una serie di volumi che raccoglie le opere dei più grandi scrittori francesi) ha affermato che l’unico politico della storia d’Italia che meriterebbe l’inserimento delle sue opere in una ipotetica “Pleiade” italiana è proprio Mussolini.…
Particolarmente significativo è poi l’indirizzo che Mussolini volle dare alla politica artistico - culturale del fascismo. In quegli stessi anni nella Germania nazista si bruciavano i libri e si distruggevano le opere d’arte delle avanguardie, in quanto “degenerate”, e nella Russia sovietica, dopo un inizio promettente, l’arte veniva rigidamente ridotta entro i canoni del “realismo socialista” (praticamente identico al “realismo nazista”!), mentre gli artisti indipendenti e creativi andavano incontro a un destino tragico, come il povero Majakovskj, che fu costretto a suicidarsi. Il regime fascista adottò invece un totale pluralismo in campo artistico, nel quale era possibile spaziare liberamente dall’architettura tradizionale e monumentale, allo stile novecento, al razionalismo, al futurismo, fino all’astrattismo.
Il gruppo degli astrattisti, in particolare, divulgò e attuò una concezione artistica del fascismo inteso come “grecità” contrapponendosi alla “romanità” imperante e ripropose quindi una teoria dell’arte fondata “sull’armonia che fece grande la Grecia di Pericle e la Firenze medicea” (Carlo Belli).
In particolare, nel campo architettonico, Mussolini decise di intervenire personalmente per vincere l’opposizione degli ambienti tradizionalisti, legati a un’arte accademica e superata che godevano però di una grande influenza politica ed economica, e che avevano suscitato violente polemiche in relazione ai progetti architettonici di stile “razionalista”.
Egli, ricevendo a Palazzo Venezia i due Gruppi razionalisti Piccinato e Michelucci, li elogiò senza riserve, dichiarando: “Darò ordine a tutti gli enti e a tutti i ministeri perché si facciano costruzioni del nostro tempo. Non voglio vedere Case Balilla e Case del Fascio con architetture del tempo di Depretis”.
Fu grazie al suo appoggio che Terragni poté realizzare le Case del Fascio di Como e di Lissone, che a Michelucci (che in seguito progetterà l’avveniristica “Chiesa dall’Autostrada” nei pressi del casello di Firenze) fu affidata la realizzazione della stazione di Firenze e a Piccinato quella di Sabaudia; che a Luigi Moretti fu assegnata la Casa delle Armi al Foro Mussolini e a Ridolfi, De Renzi e Samona gli edifici postali principali di Roma; che Piacentini chiamò Pagano, Aschieri Michelucci e altri, a collaborare alla costruzione della città universitaria di Roma, che fu tanto cospicua la presenza dei razionalisti alle Triennali milanesi e alle mostre celebrative del regime, a cominciare da quella stessa della Rivoluzione fascista.
Fu personalmente Mussolini, tagliando le piaggerie monumentalistiche interpretate e sostenute da influenti ambienti intellettuali, a bocciare il demenziale progetto brasiniano di demolizione e ricostruzione del centro di Roma in forme accademico - classicheggianti; fu lui in pieno parlamento a stroncare il palazzo dell’INAIL, sempre di Brasini, a via IV novembre, definendolo “un infortunio al palazzo degli infortuni”; ad impedire alle mire speculative dei “Beni Stabili” di costruire l’immancabile palazzo sulle rovine appena dissepolte dei templi repubblicani di Largo Argentina e, nientedimeno, all’Accademia di San Luca di riedificare la sua sede sui resti,da poco riportati alla luce, del Foro di Cesare a Via dell’Impero; a neutralizzare gli intenti della Confindustria di erigere la sua nuova sede immediatamente ai piedi della cordonata michelangiolesca del Campidoglio.
Il migliore interprete italiano dello stile razionalista fu Giuseppe Terragni (al quale è stato recentemente dedicata una retrospettiva antologica a Milano, nel palazzo della Triennale, altro capolavoro architettonico costruito durante il Ventennio) che, dal punto di vista politico, fu fascista non per opportunismo, ma per profonda convinzione (destinato al fronte russo, nonostante la fama e il prestigio che gli erano riconosciuti, chiese di combattere in prima linea senza alcun tipo di privilegio; tornato in Italia gravemente ammalato, morì nel 1943, lasciando gli schizzi per la costruzione di una avveniristica cattedrale).
A Como è possibile ammirare alcune delle sue opere più importanti: tra le altre l’edificio “Novocomum” di via Sinigaglia 1; l’asilo infantile “Sant’Elia” di via Alciato 15; il Monumento ai Caduti (rielaborazione di un progetto di Antonio Sant’Elia, architetto futurista morto giovanissimo nella prima guerra mondiale, autore di studi e progetti avanguardistici e stupefacenti) in viale Peucher, sul lungolago, nei pressi del tempio voltiano; e soprattutto, la celeberrima Casa del Fascio, in piazza del Popolo 4, unanimemente riconosciuta come un capolavoro architettonico. L’edificio, che è stato in parte “epurato” nella parte decorativa originale (immagini stilizzate e astrattizzate di Mussolini è, come ricorda il critico David Watkin:
“impostato su una pianta perfettamente quadrata, in asse con l’abside del Duomo, situato sul lato opposto di piazza dell’Impero (…) Una fila di 16 porte in vetro, funzionanti elettricamente per permetterne l’apertura simultanea, consentiva alla milizia di riversarsi scenograficamente nell’arena politica della piazza, offrendo una perfetta espressione di convergenza della mentalità futurista con quella fascista”.
Persino un critico parziale come il comunista Cesare De Seta dopo avere acrimoniosamente osservato che Terragni “compone ossessivamente in facciata, col disegno delle finestre, il tema astrattamente semplificato del fascio”, riconosce che l’opera è “raffinata, colta, sapientemente proporzionata e modulata nel suo secco volume così da risultare elemento insostituibile e dialettico rispetto alla piazza del Duomo”.
Il dato più interessante è comunque il fatto che, ad ispirare a Terragni la realizzazione del suo capolavoro, fu una frase di Mussolini: “Il fascismo è una casa di vetro”. Terragni riuscì genialmente a tradurre in opera d’arte l’affermazione di Mussolini come spiega il critico Marco De Michelis:
“L’edificio è infatti formato da un semicubo in cui le quattro facciate, tutte diverse, sono costruite nel rapporto fra la maglia della struttura e l’articolazione delle bucature, esaltando così la trasparenza delle superfici e accentuando il rapporto tra esterno e interno”.
Mussolini stesso fu spesso motivo di ispirazione per grandi artisti. Come non ricordare, ad esempio, la celebre “Ballata dell’Arci-Mussolini” di Malaparte (”Spunta il sole/canta il gallo/Mussolini monta a cavallo”)?
Come è noto, Luigi Pirandello aderì esplicitamente e pubblicamente al fascismo nel momento in cui questo subiva la sua crisi più grave: quella seguita all’assassinio di Matteotti (in relazione al quale Mussolini non aveva alcuna responsabilità, nemmeno indiretta). Mentre numerosi fascisti (alcuni sinceri, altri divenuti tali per opportunismo abbandonavano la nave coinvolta nella bufera e ormai prossima ad affondare, Pirandello gettò sul piatto della bilancia tutto il peso del suo nome e del suo prestigio, inviando a Mussolini questo telegramma: “Eccellenza sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario. Luigi Pirandello”.
Nel corso di un’intervista-fiume (che divenne poi un famoso libro) concessa eccezionalmente al giornalista ebreo Emil Ludwig, Mussolini fece, riguardo all’arte di Pirandello un’osservazione acuta e originale: “Pirandello fa, in fondo, senza volerlo, un teatro fascista: il mondo è quale vogliamo farlo, è la nostra creazione”.
In realtà l’intuizione di Mussolini era suffragata dall’interpretazione autentica dello stesso Pirandello, che dichiarava:
“Per me Mussolini è un uomo eccezionale. Forse pochi come me sono in grado di ben comprendere la forza e la sostanza della sua azione politica. La sua azione è fatta di attivismo, che crea continuamente la sua realtà e non subisce quella che creano o tentano di creare gli altri. Mussolini sa benissimo che la realtà non c’è data, ma che siamo noi a crearla, con una continua attività del nostro spirito. E con tenacia straordinaria quest’uomo grande,che il destino ha dato fortunatamente all’Italia, svolge la sua opera poderosa per la grandezza della Nazione”.
Mussolini fu spesso oggetto di rappresentazione pittorica e scultorea, non solo da parte di artisti “tradizionali”, ma anche da parte di artisti d’avanguardia come i futuristi. Ecco come lo descrive il fondatore del movimento, Filippo Tommaso Marinetti: “Mascelle quadrate stritolatrici; labbra prominenti sprezzanti, che sputano con spavalderia e aggressività su tutto ciò che è lento pedante analitico piagnucoloso. Gli occhi corrono ultradinamici. Lampeggia a destra e a sinistra la cornea bianchissima di lupo”.
Gabriele D’Annunzio invece era particolarmente ispirato dai celebri discorsi mussoliniani: “La parola di Dante ti s’attaglia… Ti ho ammirato e ti ammiro in ogni tuo atto e in ogni tua parola… Tu non sai ancora che io mi sono messo a tradurre la tua orazione stupenda alle genti d’Irpinia nel latino dei Commentari, non senza qualche acerbità sallustiana.”
Lo stesso D’Annunzio (con un procedimento simile a quello utilizzato per “La sera fiesolana”) dedicò a Mussolini una poesia ispirata al “Cantico delle creature” di San Francesco D’Assisi:
“Sii laudato, Tu che riesci a infondere nella nostra gente per troppo tempo inerte la volontà di questo compimento. Sii laudato, Tu che tanti secoli senza gloria guerriera compisci con la composta bellezza di questo assalto e di questo acquisto! Per te oggi la Nazione trae un respiro dal profondo. E tutto è vivo, tutto respira… Sii laudato, o capo improvviso dell’Italia acefala, Tu che restituisci Roma alla predestinata Italia… O Benito Mussolini, oggi abbraccio in te il tuo coraggio impavido e la tua fede intemerata”.
Tra i tanti, immensi, meriti culturali di Mussolini, bisogna certamente ricordare il fatto che egli “lanciò” personalmente e in seguito aiutò e appoggiò, due grandi geni artistici: Giuseppe Ungaretti e Mario Sironi.
A scrivere la prefazione del “Porto sepolto”, la prima significativa raccolta di poesie di Ungaretti, fu infatti proprio Mussolini, che aveva ispirato al poeta la poesia “Popolo”:
“Insorse in mezzo ai forsennati richiamando ciascuno a dura voce e mutò in giorni audaci un fatto triste nella casa provata portò la calma rinfrancò i piangenti”.
Riferendosi ad essa Ungaretti scrisse, anni dopo: “Sono lieto e fiero, dopo tanti anni, nel vedere che in un punto il mio animo non muta, né potrà mutare: suggerita nel 1914 dall’Uomo che si affacciava allora per la prima volta al mio cuore, nell’edizione del 1919 e in questa d’oggi intitolata a Lui, pure essendo cosa futile davanti alla grandezza delle sue parole, è per me l’immagine della fedeltà,e, per questo, fra tutte le mie poesie la più cara.”
Collaboratore del “Popolo d’Italia” e “sansepolcrista”, Ungaretti elaborò nel 1924 “il primo programma fascista organico per la diffusione del nostro spirito e della nostra cultura”, e sottoscrisse, l’anno seguente, il Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile, al quale si contrappose il Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Croce. Proseguì quindi ininterrottamente la sua milizia, propagandando il fascismo in Italia e all’estero, e scrivendo il suo capolavoro, la poesia “Epigrafe per un caduto della Rivoluzione fascista”:
Ho sognato, ho creduto, ho tanto amato. Che non sono piu’ di quaggiù. Ma la bella mano che pronta Mi sorregge il passo già inerme, Mentre disanimandosi Mi pesa il braccio che ebbe volontà Per mille, E’ la mano materna della Patria. Forte, in ansia,ispirata, Premendosi al mio petto, il mio giovane cuore a sé immortala.
Apre in seguito vistose polemiche per difendere la sua fede politica: nel corso di una di esse se la piglia con Guido Piovene, e risolve ogni dubbio concludendo la diatriba con esclamazioni sacrali: “Il Duce mio! Il mio Duce!”.
A Marco Ramperti, che aveva tacciato i suoi versi di incomprensibile ermetismo, replica: “La mia poesia la capivano i contadini, miei fratelli in trincea; la capisce il mio Duce, che volle onorarla di una prefazione (…) Potrei dirgli che una vita durissima come la mia,fieramente italiana e fascista,sempre davanti a stranieri e connazionali, meriterebbe almeno di non vedersi accrescere le difficoltà da parte di giornali italiani e fascisti”.
E’ tale il suo fideismo che, indirizzando una lettera a una rivista francese, la firma: “Joseph Ungaretti, fasciste”. Riguardo all’impresa etiopica, sollecita “l’urgenza per gli italiani di riconquistare la propria potenza autoctona e universale, per la quale il popolo d’Italia è corso al fuoco nel ‘15 e nel ‘19, sicché oggi il Fascismo è uno dei grandi fattori della nuova civiltà basata sul lavoro e sul popolo”.
Sull’”Italia letteraria”, quando Mussolini pubblicò, per la morte del fratello, quella “Vita di Arnaldo” che Ungaretti definì “il segreto della sua grandezza”, scrisse, tra l’altro: “C’è un uomo ch’io venero tra i vivi, la cui presenza non si stacca mai dalla mia mente, nelle mie giornate, e nel silenzio delle mie lunghe veglie. Lo vedo lontano, solo, che riedifica la grandezza di un popolo. Sento la forza tremenda che gli ci vuole, e sento questa forza che passa in ciascuno di noi, e ci trasforma. Ma quale ricchezza di sentimenti ha dunque quest’Uomo, per essere così forte? C’è una parola di Arnaldo che egli ha sottolineato: “Abbracciare i fratelli che soffrono, e coloro che sperano.” Non è questa anche la sua parola? Quella che l’ha illuminato sin dagli anni più lontani della sua azione politica, e sino dall’infanzia,sempre! Non sentiamo noi che solo per il costante pensiero di alta pietà che regola ogni suo atto, tanta devozione, e tanta fede, e tanta ubbidienza è sempre stata attratta dalla sua persona? Così lontano! E così vicino al nostro cuore. Un uomo già da vivo circonfuso dalla luce del mito; ma che arriva a sé dai più semplici affetti.(…) E’ questo il segreto di Benito Mussolini, è questo il segreto di ogni grandezza: egli si è sempre chinato sulla sofferenza, essa è sempre stata fuoco alimentatore della sua volontà e della sua fede. Tutti gli italiani amano e venerano il loro Duce come un fratello maggiore”.
Riguardo a Sironi, bisogna rilevare anzitutto che la sua grandezza è stata riconosciuta solo in tempi recenti per ragioni esclusivamente e bassamente politiche: essendo egli sopravvissuto alla caduta del fascismo, senza peraltro mai rinnegare nulla del proprio passato, è stato particolarmente colpito, fino a poco tempo fa, dalla subdola e vergognosa censura, una sorta di tacita “damnatio memoriae”, decretata dalla incultura antifascista.
Per cercare di fare comprendere la sua grandezza mi limiterò a descrivere brevemente le vicende relative a uno dei suoi numerosi capolavori: il mosaico murale “L’Italia corporativa”, attualmente visitabile a Milano nel “Palazzo dei giornali”(ex sede del “Popolo d’Italia”) di Piazza Cavour. Tale opera fu presentata all’Esposizione universale di Parigi del 1937 e gareggiava, nel concorso artistico, con la celeberrima “Guernica”di Pablo Picasso. La situazione ambientale non poteva essere peggiore per l’artista italiano: si era nel pieno della guerra civile spagnola che vedeva la Francia schierata con i repubblicani (anarchici + comunisti) e l’Italia schierata con i nazionalisti di Franco; in Francia era al potere il Fronte Popolare(sinistre unite) violentemente antifascista; si era da poco conclusa l’impresa etiopica avversata dalla Francia; l’Italia non nascondeva le proprie rivendicazioni sulla Corsica e sulla Tunisia. Ebbene, LA GIURIA ASSEGNO’ IL GRAND PRIX ALL’OPERA DI SIRONI, nonostante tutti i tentativi di condizionamento da parte del governo e degli “intellettuali”, nonostante il suo soggetto apertamente e orgogliosamente ideologico, perché l’eccezionale contenuto artistico dell’opera non consentiva altra decisione.
Tale capolavoro corse il rischio di essere distrutto, al termine della guerra, dall’ignoranza e dalla barbarie antifascista: la persona incaricata della distruzione dell’opera, saggiamente, fece costruire delle impalcature, ma non eseguì l’ordine che gli era stato impartito. Solo per questo ci è ancora possibile ammirare quest’opera incredibile, il cui soggetto multiforme fonde mirabilmente temi politici, giuridici, economici e sociali con temi epici, mitici, religiosi e culturali, e nella quale il genio artistico fonde stili antichi (bizantino, romanico, rinascimentale - masaccesco) e contemporanei (soprattutto il cubismo e lo stile novecento).
Le ragioni della fedeltà di Sironi a Mussolini credo possano essere comprese anche riportando il ricordo del loro primo incontro (avvenuto a Milano, poco dopo la fine della prima guerra mondiale: Sironi sarebbe diventato il disegnatore del “Popolo d’Italia”) che rivela nel futuro Duce una bontà innata e una spiccata sensibilità ecologista ante-litteram. Ricorda Sironi:
“Chiesi senza avere risposta il permesso di entrare, poi mi decisi e lentamente avanzai. Un uomo curvo sulla scrivania con cappello e cappotto dal bavero rialzato (sembrava non mi avesse notato) scriveva assorto, ma evidentemente aveva avvertito la mia presenza. La stanza era gelida; la finestra del balcone aperta lasciava penetrare nebbia e freddo. Un improvviso frusciare d’ali mi fece alzare la testa; due o tre passeri con rapido volo entrando nella stanza dal balcone si posarono su di un grande armadio situato proprio alle spalle di Mussolini. Egli allora mi disse: “Non si meravigli del freddo, lascio la finestra aperta per dare la possibilità agli uccellini di venire a nutrirsi; d’inverno non hanno molte risorse in questa città’..”
In conclusione, vorrei ricordare che innumerevoli personaggi storici, molti dei quali protagonisti dell’universo culturale, hanno espresso, nei confronti di Mussolini giudizi, come dire, non del tutto negativi: Pio XI lo ha definito “l’uomo della Provvidenza” (giudizio condiviso da Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, il “papa buono”) Pio XII “il più grande uomo da me conosciuto, e senz’altro tra i più profondamente buoni” Gandhi “un superuomo”, Thomas Mann “un semidio”, Sigmund Freud “un eroe della Civiltà” (Kultur), Churchill “il più grande legislatore vivente”, Thomas Alva Edison “il più grande genio dell’età moderna”, Massimo Gorky “un uomo di intelligenza superiore”, Lloyd George “il Genio del dopoguerra” e “un uomo che desta ammirazione anche tra i suoi nemici, e che ogni giorno detta leggi circa il modo di governare i popoli in momenti difficilissimi”, Eden ha affermato che “le leggi del Duce e dei Suoi fedeli sono una pietra miliare nella evoluzione mondiale”, Baldwin che “non vi sono in Europa uomini di eccezione come Mussolini”, Hoare che “Mussolini è il massimo statista dell’Europa moderna”, Stalin che “con la morte di Mussolini scompare un grande uomo politico cui si deve rimproverare di non aver messo al muro i suoi avversari”, Stravinskij che “Mussolini è un uomo formidabile. Non credo che qualcuno abbia per Mussolini una venerazione maggiore della mia. Per me Egli è l’unico Uomo che conti nel mondo intero”, George Bernard Shaw che “Mussolini non è soltanto un uomo, ma una situazione storica”, Ezra Pound che “Jefferson fu un genio, e Mussolini un altro genio”, H.G. Wells che “Mussolini ha lasciato il suo segno nella storia”, Kipling “Vogliategli bene sempre, con un affetto ideale costante pensate che per l’Italia Egli è tutto”, Amundsen che “Soltanto Napoleone può paragonarsi a lui”, Alexis Carrel che “Cesare, Napoleone, Mussolini: tutti i grandi conduttori di popoli crescono oltre la statura umana”, l’Arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster (di recente beatificato dalla Chiesa) “Mussolini è il simbolo della Nazione, dello Stato, della Cristianità; Egli porta la Croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana le strade ai missionari del Vangelo” e che “A Benito Mussolini Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore ha accordato un premio che ravvicina la sua figura storica agli spiriti magni di Augusto e Costantino”, Piero Mascagni “Più che a qualsiasi cosa, credo con assoluta convinzione a quella fede che il Duce ha espresso agli italiani con parola ferma e sicura”, Guglielmo Marconi “Rivendico l’onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l’utilità di riunire in fascio i raggi elettrici come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d’Italia”, D’Annunzio “Io ho avuto da te, tra tanti altri benefizii portentosi, quel di vedere un uomo vivo creare il suo Mito sempiterno”, Pirandello “Mussolini recita, da protagonista, nel teatro dei secoli”, eccetera, eccetera eccetera..
E poi c’è ancora qualcuno che si stupisce perché in un sondaggio popolare promosso pochi anni dal “Corriere della Sera” per designare “l’italiano del millennio”, Mussolini si è piazzato tra i primi 5 classificati, accanto a Leonardo, Dante, Michelangelo e Cristoforo Colombo…
Sottolineo che il presente articolo non ha alcuna pretesa di esaustività riguardo al tema trattato: in effetti, parlando dei contributi diretti e indiretti di Mussolini alla cultura, troppo ci sarebbe da dire. Mi limiterò ad alcuni cenni.
Come è noto, Mussolini iniziò la sua attività politica nel campo socialista: nel 1908, trovandosi in Liguria, fondò, a soli 25 anni,un settimanale socialista, “La lima”. L’anno seguente, trasferitosi nel Trentino irredento, diresse “L’avvenire del lavoratore” e collaborò al “Popolo” diretto da Cesare Battisti. In quel periodo Giuseppe Prezzolini, il direttore della “Voce”, la più prestigiosa rivista filosofico - letteraria del primo anteguerra, alla quale collaborarono i più illustri intellettuali dell’epoca (Croce, Gentile, Papini, Slataper, Boine, Serra ecc.) scoprì il talento di Mussolini e insistette perché pubblicasse articoli sulla stessa. Prezzolini aveva infatti intuito, attraverso il semplice dialogo epistolare, sia il genio politico, sia quello letterario di Mussolini.
In una lettera scritta il primo ottobre 1909, Mussolini già delineava e prefigurava quell’opera politica e spirituale che egli stesso avrebbe portato a compimento pochi anni dopo: “Ottima l’ultima iniziativa della “Voce”: far conoscere l’Italia agli Italiani. Accanto all’unità politica che va lentamente, sì, ma progressivamente consolidandosi, bisogna formare l’unita’ spirituale degli italiani. Opera difficile data la nostra storia e il nostro temperamento,ma non impossibile. Creare l’anima “italiana” è una missione superba. E’ necessario conoscersi, dal nord al sud, per temperare, armonizzare le nostre differenze, e amarci.”
In seguito, tornato in Romagna Mussolini fondò il settimanale “La lotta di classe” e cominciò a collaborare all”Avanti!” divenendo presto il leader dell’ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Nel 1913 fondò la rivista “Utopia” e divenne direttore dell’”Avanti!” (grazie alla sua direzione ed ai suoi articoli, l’”Avanti!” passò dalle 30.000 alle 80.000 copie giornaliere nel giro di poche settimane) e l’anno seguente fu uno dei principali organizzatori del celebre moto rivoluzionario, sorto ad Ancona, noto come “La settimana rossa”.
Mussolini fu, tra l’altro, il primo a valorizzare politicamente in Italia le teorie filosofiche di Georges Sorel, di William James, di Henri Bergson, di Vilfredo Pareto, ed a fornire una acuta interpretazione del pensiero di Nietzsche.
Passato all’interventismo, fondò il quotidiano “Il popolo d’Italia”, cui affiancò in seguito la rivista teorica “Gerarchia”, la cui direzione fu affidata a una donna, Margherita Sarfatti.
In seguito Mussolini scrisse diversi libri (”Diario di guerra”, “Vita di Arnaldo”, “Parlo con Bruno”), drammi teatrali (in collaborazione con Gioacchino Forzano, “Campo di maggio”, incentrato sulla figura di Napoleone, ebbe un clamoroso successo internazionale), saggi (tra i quali spicca il “Preludio a Machiavelli”), innumerevoli discorsi (alcuni dei quali ormai celeberrimi, raccolti in vari volumi; il grande Francesco Carnelutti rilevava: “Mussolini è un uomo d’azione e un oratore nello stesso tempo e, per suo merito,l’eloquenza è assurta a dignità senza precedenti”), la fondamentale “Dottrina del fascismo” (in collaborazione con Giovanni Gentile), le parti essenziali della “Carta del lavoro” (che divenne la carta costituzionale del regime fascista) e espose le sue idee nel libro - intervista “Colloqui con Mussolini”.
Per sottolineare la profonda e costante attenzione che Mussolini riservava alla cultura basterebbe ricordare un episodio verificatosi in un periodo della seconda guerra mondiale, dal punto di vista bellico, difficile e decisivo: nel 1942, in Germania, l’Ufficio Rosenberg, diretto da Alfred Baeumler, pose il veto all’inserimento di un saggio di Heidegger (che molti considerano il più grande filosofo del XX secolo e che proponeva nei suoi scritti teorie fasciste implicitamente antinaziste) nell’annale “Geistige Uberlieferung”. Tale veto fu rimosso solo in seguito alla ferma (e assai significativa) presa di posizione di Mussolini che, pur essendo impegnatissimo a gestire la difficile situazione politica e bellica, trovò il tempo di intervenire ufficialmente in tale senso presso le autorità tedesche, tramite l’ambasciatore Alfieri.
Nel periodo della Repubblica Sociale Italiana il governo deliberò il trapasso in proprietà a favore degli inquilini di tutti gli appartamenti degli Istituti per le case popolari, come attuazione del principio inserito da Mussolini nell’articolo 15 del Manifesto di Verona (la carta costituzionale della RSI):
“Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà”.
L’enunciazione di questo principio colpì profondamente Ezra Pound, il più grande poeta di lingua inglese del ventesimo secolo (insieme a Eliot) che aveva aderito entusiasticamente alla Repubblica Sociale Italiana, da lui simbolicamente definita “la città di Dioce, le cui terrazze hanno il colore delle stelle” (nel dopoguerra pagò per questa coraggiosa scelta più dell’oncia di carne di Shylock, diventando per l’America un capro espiatorio o, come scrisse Pasolini, “l’Agnello sacrificale”); egli, nei suoi “Canti pisani”, riconobbe nell’articolo 15 lo stile inconfondibile di Mussolini, lo statista-artista:
“Alla” non “della” nel Programma di Verona la vecchia mano dello stilista conserva ancora la sua abilità e l’acqua che rifluiva da quella parte del lago è silenziosa come non mai a Sirmione sotto le arcate Foresteria, Salò, Gardone a sognare la repubblica…”
Quando, subito dopo il barbaro e vile assassinio di Giovanni Gentile, avvenuto il 15 aprile 1944, alcuni collaboratori di Mussolini gli suggerirono di inviare dei sicari a Napoli, al fine di uccidere, per rappresaglia, Benedetto Croce, egli condannò immediatamente tale progetto. Eppure Croce, appena sopraggiunti gli angloamericani, non aveva risparmiato gli insulti nei suoi confronti. Quel medesimo Croce che aveva dato il proprio appoggio al fascismo persino dopo il delitto Matteotti. Quel medesimo Croce che, in occasione delle sanzioni contro l’Italia per l’intervento in Etiopia, aveva deciso di donare alla Patria, oltre che la sua fede matrimoniale, anche la sua medaglietta di senatore. Quel medesimo Croce che, da oppositore al regime fascista, aveva comunque potuto svolgere tranquillamente sotto di esso la sua attività intellettuale e culturale. Quando, durante il periodo della RSI, fu chiesto a Mussolini di commentare gli insulti che gli rivolgeva Croce, egli rispose: “Anche uomini come Benedetto Croce appartengono alla schiera di coloro che credono di dovermi combattere; ma Croce si sbaglia se crede che io lo ripaghi con eguale sentimento. Io infatti conosco molto bene l’importanza che Croce ha per l’Italia nel campo spirituale e apprezzo moltissimo la sua intelligenza e la sua energia”.
Credo che queste parole bastino a rimarcare l’abisso culturale e umano che separa Mussolini da Croce..…
E’ noto che, nel periodo della Repubblica Sociale Italiana, Mussolini occupava il poco tempo libero leggendo i “Dialoghi” di Platone e ritraducendo dall’italiano al tedesco il “Messia” di Klopstock (che gli stessi tedeschi considerano un vero e proprio “mattone”….). Un aspetto importante della notevole cultura di Mussolini è costituito in effetti dalla sua versatile e, purtroppo, assai poco “italiana” predisposizione all’apprendimento delle lingue straniere: egli parlava infatti correntemente il francese, l’inglese, il tedesco e il russo (lo aveva appreso in gioventù, nel corso di una relazione sentimentale intrattenuta con la rivoluzionaria russa Angelica Balabanoff, coniugando così l’utile col dilettevole…).
Questa conoscenza delle lingue gli fu più volte utile in ambito politico. Georges Bonnet, giornalista presente al convegno di Monaco (che fu voluto da Mussolini per salvare la pace europea, già vacillante, nel 1938), descrive Mussolini sempre pronto e sicuro nell’esprimersi in tre lingue senza l’aiuto dell’interprete (Chamberlain parlava soltanto inglese, Daladier solo francese e Hitler solo tedesco) e rapido nell’interporsi tra i tre per riassumere, contestare, precisare. Bonnet nota l’ascendente di Mussolini su Hitler, “presso il quale sembra svolgere un compito di moderatore, proponendo formule conciliative nei momenti in cui il Cancelliere, cedendo a uno dei suoi improvvisi momenti di collera, rimetteva tutto in discussione”. La stessa impressione riferisce Francois-Poncet, che mostra Mussolini comodamente affondato in una poltrona, mentre Hitler, in piedi al suo fianco, non interviene mai senza prima averlo consultato con un’occhiata.
Ormai da tempo Mussolini è stato riconosciuto come un grandissimo giornalista (Indro Montanelli, ad esempio, lo aveva recentemente definito “un maestro di giornalismo”). In realtà è stato certamente uno dei più grandi scrittori italiani del nostro secolo. Lo aveva già autorevolmente rilevato l’illustre critico letterario, di origine ebraica, Giacomo Debenedetti (che nel dopoguerra scoprì improvvisamente di essere comunista!) in un saggio pubblicato nel 1937.
Egli inserisce Mussolini nella storia letteraria italiana e assicura ai suoi scritti la gloria eterna che spetta ai grandi capolavori. Debenedetti afferma che la sua prosa “esige i corpi grandi”, come si conviene a uno scrittore “sintetico, lapidario, diatonico”, e che il suo stile stabilisce “un’identità nuova e originale tra se medesimo e la realtà operando, se così si può dire, una “risustanziazione”.
Riguardo alla capacità di Mussolini di coniare nuovi vocaboli, egli non può fare a meno di definirlo “un poeta-scienziato”. Quindi passa a analizzare le immagini e i movimenti linguistici di Mussolini “scrittore autentico”, che ha “gusto per i grandi modelli della geometria e della meccanica”, sicché nel suo “organismo sintattico” le parole “si agganciano, si addentellano l’una all’altra come ruote di un ingranaggio. La frase non ha quasi bisogno di punteggiatura, tanto esatte, istintivamente calcolate sono le relazioni che, dentro di essa, collegano i singoli termini”. Commentando i brani di un discorso di Mussolini Debenedetti afferma: “La formula pare deflagri sull’intersezione dell’intelligenza, che ha compreso, con la passione attiva, che comincia a lievitare il dato. L’intelligenza mette la lucidità, la passione mette il movimento. Con l’inesauribile creazione di siffatte formule, aggiornando di continuo e stringendo la propria cultura in sintesi icastiche e fulminee, Mussolini ha dato e va dando una nuova cultura al popolo italiano”.
Questa obiettiva analisi è stata autorevolmente confermata, ad esempio, dall’illustre critico letterario Giovanni Mariotti che, commentando recentemente la notizia dell’inserimento degli scritti di De Gaulle nella collezione della “Pleiade” (una serie di volumi che raccoglie le opere dei più grandi scrittori francesi) ha affermato che l’unico politico della storia d’Italia che meriterebbe l’inserimento delle sue opere in una ipotetica “Pleiade” italiana è proprio Mussolini.…
Particolarmente significativo è poi l’indirizzo che Mussolini volle dare alla politica artistico - culturale del fascismo. In quegli stessi anni nella Germania nazista si bruciavano i libri e si distruggevano le opere d’arte delle avanguardie, in quanto “degenerate”, e nella Russia sovietica, dopo un inizio promettente, l’arte veniva rigidamente ridotta entro i canoni del “realismo socialista” (praticamente identico al “realismo nazista”!), mentre gli artisti indipendenti e creativi andavano incontro a un destino tragico, come il povero Majakovskj, che fu costretto a suicidarsi. Il regime fascista adottò invece un totale pluralismo in campo artistico, nel quale era possibile spaziare liberamente dall’architettura tradizionale e monumentale, allo stile novecento, al razionalismo, al futurismo, fino all’astrattismo.
Il gruppo degli astrattisti, in particolare, divulgò e attuò una concezione artistica del fascismo inteso come “grecità” contrapponendosi alla “romanità” imperante e ripropose quindi una teoria dell’arte fondata “sull’armonia che fece grande la Grecia di Pericle e la Firenze medicea” (Carlo Belli).
In particolare, nel campo architettonico, Mussolini decise di intervenire personalmente per vincere l’opposizione degli ambienti tradizionalisti, legati a un’arte accademica e superata che godevano però di una grande influenza politica ed economica, e che avevano suscitato violente polemiche in relazione ai progetti architettonici di stile “razionalista”.
Egli, ricevendo a Palazzo Venezia i due Gruppi razionalisti Piccinato e Michelucci, li elogiò senza riserve, dichiarando: “Darò ordine a tutti gli enti e a tutti i ministeri perché si facciano costruzioni del nostro tempo. Non voglio vedere Case Balilla e Case del Fascio con architetture del tempo di Depretis”.
Fu grazie al suo appoggio che Terragni poté realizzare le Case del Fascio di Como e di Lissone, che a Michelucci (che in seguito progetterà l’avveniristica “Chiesa dall’Autostrada” nei pressi del casello di Firenze) fu affidata la realizzazione della stazione di Firenze e a Piccinato quella di Sabaudia; che a Luigi Moretti fu assegnata la Casa delle Armi al Foro Mussolini e a Ridolfi, De Renzi e Samona gli edifici postali principali di Roma; che Piacentini chiamò Pagano, Aschieri Michelucci e altri, a collaborare alla costruzione della città universitaria di Roma, che fu tanto cospicua la presenza dei razionalisti alle Triennali milanesi e alle mostre celebrative del regime, a cominciare da quella stessa della Rivoluzione fascista.
Fu personalmente Mussolini, tagliando le piaggerie monumentalistiche interpretate e sostenute da influenti ambienti intellettuali, a bocciare il demenziale progetto brasiniano di demolizione e ricostruzione del centro di Roma in forme accademico - classicheggianti; fu lui in pieno parlamento a stroncare il palazzo dell’INAIL, sempre di Brasini, a via IV novembre, definendolo “un infortunio al palazzo degli infortuni”; ad impedire alle mire speculative dei “Beni Stabili” di costruire l’immancabile palazzo sulle rovine appena dissepolte dei templi repubblicani di Largo Argentina e, nientedimeno, all’Accademia di San Luca di riedificare la sua sede sui resti,da poco riportati alla luce, del Foro di Cesare a Via dell’Impero; a neutralizzare gli intenti della Confindustria di erigere la sua nuova sede immediatamente ai piedi della cordonata michelangiolesca del Campidoglio.
Il migliore interprete italiano dello stile razionalista fu Giuseppe Terragni (al quale è stato recentemente dedicata una retrospettiva antologica a Milano, nel palazzo della Triennale, altro capolavoro architettonico costruito durante il Ventennio) che, dal punto di vista politico, fu fascista non per opportunismo, ma per profonda convinzione (destinato al fronte russo, nonostante la fama e il prestigio che gli erano riconosciuti, chiese di combattere in prima linea senza alcun tipo di privilegio; tornato in Italia gravemente ammalato, morì nel 1943, lasciando gli schizzi per la costruzione di una avveniristica cattedrale).
A Como è possibile ammirare alcune delle sue opere più importanti: tra le altre l’edificio “Novocomum” di via Sinigaglia 1; l’asilo infantile “Sant’Elia” di via Alciato 15; il Monumento ai Caduti (rielaborazione di un progetto di Antonio Sant’Elia, architetto futurista morto giovanissimo nella prima guerra mondiale, autore di studi e progetti avanguardistici e stupefacenti) in viale Peucher, sul lungolago, nei pressi del tempio voltiano; e soprattutto, la celeberrima Casa del Fascio, in piazza del Popolo 4, unanimemente riconosciuta come un capolavoro architettonico. L’edificio, che è stato in parte “epurato” nella parte decorativa originale (immagini stilizzate e astrattizzate di Mussolini è, come ricorda il critico David Watkin:
“impostato su una pianta perfettamente quadrata, in asse con l’abside del Duomo, situato sul lato opposto di piazza dell’Impero (…) Una fila di 16 porte in vetro, funzionanti elettricamente per permetterne l’apertura simultanea, consentiva alla milizia di riversarsi scenograficamente nell’arena politica della piazza, offrendo una perfetta espressione di convergenza della mentalità futurista con quella fascista”.
Persino un critico parziale come il comunista Cesare De Seta dopo avere acrimoniosamente osservato che Terragni “compone ossessivamente in facciata, col disegno delle finestre, il tema astrattamente semplificato del fascio”, riconosce che l’opera è “raffinata, colta, sapientemente proporzionata e modulata nel suo secco volume così da risultare elemento insostituibile e dialettico rispetto alla piazza del Duomo”.
Il dato più interessante è comunque il fatto che, ad ispirare a Terragni la realizzazione del suo capolavoro, fu una frase di Mussolini: “Il fascismo è una casa di vetro”. Terragni riuscì genialmente a tradurre in opera d’arte l’affermazione di Mussolini come spiega il critico Marco De Michelis:
“L’edificio è infatti formato da un semicubo in cui le quattro facciate, tutte diverse, sono costruite nel rapporto fra la maglia della struttura e l’articolazione delle bucature, esaltando così la trasparenza delle superfici e accentuando il rapporto tra esterno e interno”.
Mussolini stesso fu spesso motivo di ispirazione per grandi artisti. Come non ricordare, ad esempio, la celebre “Ballata dell’Arci-Mussolini” di Malaparte (”Spunta il sole/canta il gallo/Mussolini monta a cavallo”)?
Come è noto, Luigi Pirandello aderì esplicitamente e pubblicamente al fascismo nel momento in cui questo subiva la sua crisi più grave: quella seguita all’assassinio di Matteotti (in relazione al quale Mussolini non aveva alcuna responsabilità, nemmeno indiretta). Mentre numerosi fascisti (alcuni sinceri, altri divenuti tali per opportunismo abbandonavano la nave coinvolta nella bufera e ormai prossima ad affondare, Pirandello gettò sul piatto della bilancia tutto il peso del suo nome e del suo prestigio, inviando a Mussolini questo telegramma: “Eccellenza sento che questo è il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita in silenzio. Se l’Eccellenza Vostra mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario. Luigi Pirandello”.
Nel corso di un’intervista-fiume (che divenne poi un famoso libro) concessa eccezionalmente al giornalista ebreo Emil Ludwig, Mussolini fece, riguardo all’arte di Pirandello un’osservazione acuta e originale: “Pirandello fa, in fondo, senza volerlo, un teatro fascista: il mondo è quale vogliamo farlo, è la nostra creazione”.
In realtà l’intuizione di Mussolini era suffragata dall’interpretazione autentica dello stesso Pirandello, che dichiarava:
“Per me Mussolini è un uomo eccezionale. Forse pochi come me sono in grado di ben comprendere la forza e la sostanza della sua azione politica. La sua azione è fatta di attivismo, che crea continuamente la sua realtà e non subisce quella che creano o tentano di creare gli altri. Mussolini sa benissimo che la realtà non c’è data, ma che siamo noi a crearla, con una continua attività del nostro spirito. E con tenacia straordinaria quest’uomo grande,che il destino ha dato fortunatamente all’Italia, svolge la sua opera poderosa per la grandezza della Nazione”.
Mussolini fu spesso oggetto di rappresentazione pittorica e scultorea, non solo da parte di artisti “tradizionali”, ma anche da parte di artisti d’avanguardia come i futuristi. Ecco come lo descrive il fondatore del movimento, Filippo Tommaso Marinetti: “Mascelle quadrate stritolatrici; labbra prominenti sprezzanti, che sputano con spavalderia e aggressività su tutto ciò che è lento pedante analitico piagnucoloso. Gli occhi corrono ultradinamici. Lampeggia a destra e a sinistra la cornea bianchissima di lupo”.
Gabriele D’Annunzio invece era particolarmente ispirato dai celebri discorsi mussoliniani: “La parola di Dante ti s’attaglia… Ti ho ammirato e ti ammiro in ogni tuo atto e in ogni tua parola… Tu non sai ancora che io mi sono messo a tradurre la tua orazione stupenda alle genti d’Irpinia nel latino dei Commentari, non senza qualche acerbità sallustiana.”
Lo stesso D’Annunzio (con un procedimento simile a quello utilizzato per “La sera fiesolana”) dedicò a Mussolini una poesia ispirata al “Cantico delle creature” di San Francesco D’Assisi:
“Sii laudato, Tu che riesci a infondere nella nostra gente per troppo tempo inerte la volontà di questo compimento. Sii laudato, Tu che tanti secoli senza gloria guerriera compisci con la composta bellezza di questo assalto e di questo acquisto! Per te oggi la Nazione trae un respiro dal profondo. E tutto è vivo, tutto respira… Sii laudato, o capo improvviso dell’Italia acefala, Tu che restituisci Roma alla predestinata Italia… O Benito Mussolini, oggi abbraccio in te il tuo coraggio impavido e la tua fede intemerata”.
Tra i tanti, immensi, meriti culturali di Mussolini, bisogna certamente ricordare il fatto che egli “lanciò” personalmente e in seguito aiutò e appoggiò, due grandi geni artistici: Giuseppe Ungaretti e Mario Sironi.
A scrivere la prefazione del “Porto sepolto”, la prima significativa raccolta di poesie di Ungaretti, fu infatti proprio Mussolini, che aveva ispirato al poeta la poesia “Popolo”:
“Insorse in mezzo ai forsennati richiamando ciascuno a dura voce e mutò in giorni audaci un fatto triste nella casa provata portò la calma rinfrancò i piangenti”.
Riferendosi ad essa Ungaretti scrisse, anni dopo: “Sono lieto e fiero, dopo tanti anni, nel vedere che in un punto il mio animo non muta, né potrà mutare: suggerita nel 1914 dall’Uomo che si affacciava allora per la prima volta al mio cuore, nell’edizione del 1919 e in questa d’oggi intitolata a Lui, pure essendo cosa futile davanti alla grandezza delle sue parole, è per me l’immagine della fedeltà,e, per questo, fra tutte le mie poesie la più cara.”
Collaboratore del “Popolo d’Italia” e “sansepolcrista”, Ungaretti elaborò nel 1924 “il primo programma fascista organico per la diffusione del nostro spirito e della nostra cultura”, e sottoscrisse, l’anno seguente, il Manifesto degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile, al quale si contrappose il Manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Croce. Proseguì quindi ininterrottamente la sua milizia, propagandando il fascismo in Italia e all’estero, e scrivendo il suo capolavoro, la poesia “Epigrafe per un caduto della Rivoluzione fascista”:
Ho sognato, ho creduto, ho tanto amato. Che non sono piu’ di quaggiù. Ma la bella mano che pronta Mi sorregge il passo già inerme, Mentre disanimandosi Mi pesa il braccio che ebbe volontà Per mille, E’ la mano materna della Patria. Forte, in ansia,ispirata, Premendosi al mio petto, il mio giovane cuore a sé immortala.
Apre in seguito vistose polemiche per difendere la sua fede politica: nel corso di una di esse se la piglia con Guido Piovene, e risolve ogni dubbio concludendo la diatriba con esclamazioni sacrali: “Il Duce mio! Il mio Duce!”.
A Marco Ramperti, che aveva tacciato i suoi versi di incomprensibile ermetismo, replica: “La mia poesia la capivano i contadini, miei fratelli in trincea; la capisce il mio Duce, che volle onorarla di una prefazione (…) Potrei dirgli che una vita durissima come la mia,fieramente italiana e fascista,sempre davanti a stranieri e connazionali, meriterebbe almeno di non vedersi accrescere le difficoltà da parte di giornali italiani e fascisti”.
E’ tale il suo fideismo che, indirizzando una lettera a una rivista francese, la firma: “Joseph Ungaretti, fasciste”. Riguardo all’impresa etiopica, sollecita “l’urgenza per gli italiani di riconquistare la propria potenza autoctona e universale, per la quale il popolo d’Italia è corso al fuoco nel ‘15 e nel ‘19, sicché oggi il Fascismo è uno dei grandi fattori della nuova civiltà basata sul lavoro e sul popolo”.
Sull’”Italia letteraria”, quando Mussolini pubblicò, per la morte del fratello, quella “Vita di Arnaldo” che Ungaretti definì “il segreto della sua grandezza”, scrisse, tra l’altro: “C’è un uomo ch’io venero tra i vivi, la cui presenza non si stacca mai dalla mia mente, nelle mie giornate, e nel silenzio delle mie lunghe veglie. Lo vedo lontano, solo, che riedifica la grandezza di un popolo. Sento la forza tremenda che gli ci vuole, e sento questa forza che passa in ciascuno di noi, e ci trasforma. Ma quale ricchezza di sentimenti ha dunque quest’Uomo, per essere così forte? C’è una parola di Arnaldo che egli ha sottolineato: “Abbracciare i fratelli che soffrono, e coloro che sperano.” Non è questa anche la sua parola? Quella che l’ha illuminato sin dagli anni più lontani della sua azione politica, e sino dall’infanzia,sempre! Non sentiamo noi che solo per il costante pensiero di alta pietà che regola ogni suo atto, tanta devozione, e tanta fede, e tanta ubbidienza è sempre stata attratta dalla sua persona? Così lontano! E così vicino al nostro cuore. Un uomo già da vivo circonfuso dalla luce del mito; ma che arriva a sé dai più semplici affetti.(…) E’ questo il segreto di Benito Mussolini, è questo il segreto di ogni grandezza: egli si è sempre chinato sulla sofferenza, essa è sempre stata fuoco alimentatore della sua volontà e della sua fede. Tutti gli italiani amano e venerano il loro Duce come un fratello maggiore”.
Riguardo a Sironi, bisogna rilevare anzitutto che la sua grandezza è stata riconosciuta solo in tempi recenti per ragioni esclusivamente e bassamente politiche: essendo egli sopravvissuto alla caduta del fascismo, senza peraltro mai rinnegare nulla del proprio passato, è stato particolarmente colpito, fino a poco tempo fa, dalla subdola e vergognosa censura, una sorta di tacita “damnatio memoriae”, decretata dalla incultura antifascista.
Per cercare di fare comprendere la sua grandezza mi limiterò a descrivere brevemente le vicende relative a uno dei suoi numerosi capolavori: il mosaico murale “L’Italia corporativa”, attualmente visitabile a Milano nel “Palazzo dei giornali”(ex sede del “Popolo d’Italia”) di Piazza Cavour. Tale opera fu presentata all’Esposizione universale di Parigi del 1937 e gareggiava, nel concorso artistico, con la celeberrima “Guernica”di Pablo Picasso. La situazione ambientale non poteva essere peggiore per l’artista italiano: si era nel pieno della guerra civile spagnola che vedeva la Francia schierata con i repubblicani (anarchici + comunisti) e l’Italia schierata con i nazionalisti di Franco; in Francia era al potere il Fronte Popolare(sinistre unite) violentemente antifascista; si era da poco conclusa l’impresa etiopica avversata dalla Francia; l’Italia non nascondeva le proprie rivendicazioni sulla Corsica e sulla Tunisia. Ebbene, LA GIURIA ASSEGNO’ IL GRAND PRIX ALL’OPERA DI SIRONI, nonostante tutti i tentativi di condizionamento da parte del governo e degli “intellettuali”, nonostante il suo soggetto apertamente e orgogliosamente ideologico, perché l’eccezionale contenuto artistico dell’opera non consentiva altra decisione.
Tale capolavoro corse il rischio di essere distrutto, al termine della guerra, dall’ignoranza e dalla barbarie antifascista: la persona incaricata della distruzione dell’opera, saggiamente, fece costruire delle impalcature, ma non eseguì l’ordine che gli era stato impartito. Solo per questo ci è ancora possibile ammirare quest’opera incredibile, il cui soggetto multiforme fonde mirabilmente temi politici, giuridici, economici e sociali con temi epici, mitici, religiosi e culturali, e nella quale il genio artistico fonde stili antichi (bizantino, romanico, rinascimentale - masaccesco) e contemporanei (soprattutto il cubismo e lo stile novecento).
Le ragioni della fedeltà di Sironi a Mussolini credo possano essere comprese anche riportando il ricordo del loro primo incontro (avvenuto a Milano, poco dopo la fine della prima guerra mondiale: Sironi sarebbe diventato il disegnatore del “Popolo d’Italia”) che rivela nel futuro Duce una bontà innata e una spiccata sensibilità ecologista ante-litteram. Ricorda Sironi:
“Chiesi senza avere risposta il permesso di entrare, poi mi decisi e lentamente avanzai. Un uomo curvo sulla scrivania con cappello e cappotto dal bavero rialzato (sembrava non mi avesse notato) scriveva assorto, ma evidentemente aveva avvertito la mia presenza. La stanza era gelida; la finestra del balcone aperta lasciava penetrare nebbia e freddo. Un improvviso frusciare d’ali mi fece alzare la testa; due o tre passeri con rapido volo entrando nella stanza dal balcone si posarono su di un grande armadio situato proprio alle spalle di Mussolini. Egli allora mi disse: “Non si meravigli del freddo, lascio la finestra aperta per dare la possibilità agli uccellini di venire a nutrirsi; d’inverno non hanno molte risorse in questa città’..”
In conclusione, vorrei ricordare che innumerevoli personaggi storici, molti dei quali protagonisti dell’universo culturale, hanno espresso, nei confronti di Mussolini giudizi, come dire, non del tutto negativi: Pio XI lo ha definito “l’uomo della Provvidenza” (giudizio condiviso da Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, il “papa buono”) Pio XII “il più grande uomo da me conosciuto, e senz’altro tra i più profondamente buoni” Gandhi “un superuomo”, Thomas Mann “un semidio”, Sigmund Freud “un eroe della Civiltà” (Kultur), Churchill “il più grande legislatore vivente”, Thomas Alva Edison “il più grande genio dell’età moderna”, Massimo Gorky “un uomo di intelligenza superiore”, Lloyd George “il Genio del dopoguerra” e “un uomo che desta ammirazione anche tra i suoi nemici, e che ogni giorno detta leggi circa il modo di governare i popoli in momenti difficilissimi”, Eden ha affermato che “le leggi del Duce e dei Suoi fedeli sono una pietra miliare nella evoluzione mondiale”, Baldwin che “non vi sono in Europa uomini di eccezione come Mussolini”, Hoare che “Mussolini è il massimo statista dell’Europa moderna”, Stalin che “con la morte di Mussolini scompare un grande uomo politico cui si deve rimproverare di non aver messo al muro i suoi avversari”, Stravinskij che “Mussolini è un uomo formidabile. Non credo che qualcuno abbia per Mussolini una venerazione maggiore della mia. Per me Egli è l’unico Uomo che conti nel mondo intero”, George Bernard Shaw che “Mussolini non è soltanto un uomo, ma una situazione storica”, Ezra Pound che “Jefferson fu un genio, e Mussolini un altro genio”, H.G. Wells che “Mussolini ha lasciato il suo segno nella storia”, Kipling “Vogliategli bene sempre, con un affetto ideale costante pensate che per l’Italia Egli è tutto”, Amundsen che “Soltanto Napoleone può paragonarsi a lui”, Alexis Carrel che “Cesare, Napoleone, Mussolini: tutti i grandi conduttori di popoli crescono oltre la statura umana”, l’Arcivescovo di Milano Ildefonso Schuster (di recente beatificato dalla Chiesa) “Mussolini è il simbolo della Nazione, dello Stato, della Cristianità; Egli porta la Croce di Cristo, spezza le catene degli schiavi, spiana le strade ai missionari del Vangelo” e che “A Benito Mussolini Gesù Cristo figlio di Dio Salvatore ha accordato un premio che ravvicina la sua figura storica agli spiriti magni di Augusto e Costantino”, Piero Mascagni “Più che a qualsiasi cosa, credo con assoluta convinzione a quella fede che il Duce ha espresso agli italiani con parola ferma e sicura”, Guglielmo Marconi “Rivendico l’onore di essere stato in radiotelegrafia il primo fascista, il primo a riconoscere l’utilità di riunire in fascio i raggi elettrici come Mussolini ha riconosciuto per primo in campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d’Italia”, D’Annunzio “Io ho avuto da te, tra tanti altri benefizii portentosi, quel di vedere un uomo vivo creare il suo Mito sempiterno”, Pirandello “Mussolini recita, da protagonista, nel teatro dei secoli”, eccetera, eccetera eccetera..
E poi c’è ancora qualcuno che si stupisce perché in un sondaggio popolare promosso pochi anni dal “Corriere della Sera” per designare “l’italiano del millennio”, Mussolini si è piazzato tra i primi 5 classificati, accanto a Leonardo, Dante, Michelangelo e Cristoforo Colombo…
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