venerdì 9 novembre 2007

Alcune considerazioni sul dialetto sardo

06/05/2007
In questi giorni, nel dibattito politico e intellettuale sardo, si assiste ad una diatriba che da sempre, nell’Isola, è oggetto di aspre discussioni e controversie: quello della lingua ( ma meglio sarebbe dire “dialetto” ) sarda. Sintetizzando anni e anni di articoli giornalistici, inchieste, dibattiti, ricerche, incontri e seminari, possiamo affermare che in questa controversia si riconoscono due scuole fondamentali: da una parte coloro che sostengono l’assoluta parità del sardo rispetto all’italiano ( il che presuppone considerare il sardo come una lingua a tutti gli effetti ), e conseguentemente l’insegnamento dello stesso nelle scuole; dall’altra parte, viceversa, coloro che sostengono che il sardo non può essere parificato all’italiano.
Affrontare compiutamente tale questione significherebbe esaminare tantissime branchie del sapere: dall’evoluzione delle lingue al concetto di “lingua per estensione”, passando per il concetto stesso di lingua ( che spesso tende ad essere completamente ignorato ) e alla storia socio-culturale del sardo in Sardegna; sicchè, data l’impossibilità di una analisi compiuta di questa sterminata mole culturale e storico-linguistica, in questa occasione possiamo solamente sfiorare tutti questi argomenti, e magari indicare altre fonti per una loro più precisa trattazione.
Partiamo da un fatto di attualità: mantenendo fede ad uno dei punti del suo programma ( che in verità punta a far presa sui sardi più emotivi, e mi sembra un argomento certamente secondario rispetto a tanti altri problemi più urgenti che la Sardegna si trova a dover affrontare ) la Regione Sardegna, guidata da Renato Soru, prova ad avviare le amministrazioni pubbliche e le scuole ( primi obbiettivi di tutta una serie che comprende anche le manifestazioni sportive, culturali, politiche etc… in pratica tutto ciò che tiene viva e operante una società ) sulla strada dell’utilizzo della “LSC”: Limba sarda comuna. Vale a dire, in parole povere, una comune lingua sarda ( stabilita da una apposita commissione ) che inglobi nella sua essenza tutti i punti di contatto linguistico delle varie parlate locali sarde ( logudorese, campidanese, sassarese etc. ). Il 28 aprile 2006 la Regione ha adottato per la prima volta una delibera in sardo; secondo il progetto tra breve ognuno di noi che debba scrivere o rivolgersi alle amministrazioni o agli uffici pubblici potrà farlo non usando l’italiano, bensì la propria parlata locale. Di fatto mi sembra si sia tracciata la strada per una vera e propria anarchia non solo linguistica in senso stretto, ma anche burocratica e amministrativa.
A ciò si aggiungano le ultime dichiarazioni di Soru che ha candidamente affermato, tra l’applauso dei presenti, che saranno introdotte agevolazioni per chi dimostra di sapere la lingua sarda.
Passiamo ora alle considerazioni più “tecniche” di questo tema. Innanzitutto: che cos’è una lingua? La lingua è un sistema di comunicazione storico-naturale ( storico perché muta e si modifica nel corso del tempo, naturale perché parliamo senza alcuno sforzo apparente ) articolato su più livelli. I parlanti della lingua hanno competenza della stessa su tutti i livelli: morfologico ( che riguarda le parole ), fonologico ( la pronuncia delle parole e più in generale la lingua parlata ), sintattico ( l’organizzazione delle parole in frasi di senso compiuto, o quantomeno comprensibili per il ricevente del messaggio linguistico ) e semantico ( il significato delle parole ). Il punto di partenza di una lingua è per l’appunto la parola. Tralasciando le varie problematiche sulla definizione di parola, possiamo considerare quest’ultima come composta da un significante e un significato. Per significante si intende la realizzazione pratica del segno linguistico ( la parola gatto, pronunciata o scritta ); per significato si intende la definizione, il concetto astratto del segno ( quindi, nel caso di gatto, animale felino a quattro zampe etc. ).
Dal punto di vista strettamente tecnico-linguistico il sardo è quindi una lingua. Essendo di derivazione neo-latina il sardo è pienamente un sistema linguistico che fa parte delle lingue romanze, ossia un dominio linguistico che discende direttamente dalla lingua degli Antichi Romani. Dire quindi che il sardo è un dialetto è, da questo punto di vista, un errore e una inesattezza che non trova alcuna conferma dal punto di vista glotto-linguistico. Il sardo è, dal punto di vista linguistico, glottologico e filologico, pienamente formato allo stesso modo dell’italiano, dell’inglese o del tedesco; in altre parole è pienamente sviluppato e complesso dal punto di vista morfologico, sintattico, semantico e fonologico.
Ma allora: perché il sardo è un dialetto?
La definizione di lingua è molto varia e complessa: richiederebbe pagine e pagine di discussioni e spiegazioni che sono già state scritte da studiosi molto più competenti del sottoscritto. Tuttavia la definizione di lingua non si ferma certo a dire che è un sistema di comunicazione basato su quattro livelli linguistici. Il concetto stesso di “lingua” è strettamente legato al concetto di Nazione: la lingua identifica tutti gli appartenenti ad una comunità sociale, politica e culturale, formata da individui che parlano tra loro la stessa lingua, la quale è quindi l’espressione più immediata della comunità di appartenenza, storicamente identificata nella Nazione.
Per meglio comprendere questo concetto basta richiamare velocemente alla mente come si è formata la lingua italiana. Come si sa l’italiano standard è la diretta evoluzione del fiorentino delle Tre Corone: Dante, Petrarca e Boccaccio. Successivamente alle opere dei tre più importanti e fondamentali artisti e intellettuali del Trecento italiano, la lingua delle Tre Corone veniva ritenuta fonte di massima eccellenza artistica e linguistica. Questo significò che gli artisti che vennero dopo Dante, Petrarca e Boccaccio cominciarono ad usare la loro lingua per esprimersi, e questo non solo dal punto di vista artistico. Il milanese come il siciliano, il romano come il toscano, il sardo come il piemontese iniziarono a scrivere in fiorentino: nacque la lingua italiana, attraverso un lento ma graduale processo di standardizzazione linguistica. In pratica persone e pensatori che distavano tra loro migliaia di chilometri, provenienti da culture ed esperienze artistiche ed umane diversissime tra loro, cominciavano ad utilizzare lo stesso linguaggio, unite non solo da un’esigenza artistica. Il siciliano, il piemontese, il milanese cominciarono a sentire la lingua parlata e scritta a Firenze come loro, assimilandola totalmente. Facendola propria. Certamente ci vollero secoli e secoli di commistione lingua-dialetto perché l’italiano cominciasse ad essere parlato e diffuso anche a livello parlato e popolare, e non solamente nelle corti in cui si faceva aristocratica letteratura. Per diverso tempo ( Cinquecento, Seicento, Settecento ) vi furono, scriviamo così, due “lingue”: una quella dei letterati e della cultura, e l’altra quella del popolo, che rimase in gran parte attaccato al dialetto di appartenenza. Fenomeno, questo, che continua tuttoggi, seppur in misura molto minore (. In Sardegna non è raro incontrare persone, non solo persone anziane, che sanno esprimersi solo in sardo e malamente in italiano ).
In sintesi, perché un dominio linguistico possa essere considerato lingua, la stragrande maggioranza dei parlanti appartenenti alla comunità ( e la comunità di massima estensione politica, culturale e linguistica è quella Italiana ) deve considerarla come tale.
A questa osservazione la maggior parte dei sardi sicuramente obbietterà che la Sardegna, avendo avuto un passato completamente diverso e ricco dal resto della penisola, è una storia a se. E che quindi determinate scelte e valutazioni vanno fatte in modo diverso e separato dal resto dell’Italia. Che la Sardegna abbia una storia ricchissima, che ha visto calcare la sua terra da moltitudini di genti ( i Fenici, i Nuragici, i Cartaginesi, i Greci, i Romani ) diverse per millenni, e che abbia un passato di cultura e di tradizioni millenarie e bellissime è un dato di fatto che nessuno, né tantomeno il sottoscritto, si sente di mettere in discussione. Ma i dati di fatto sono che, dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, la Storia della Sardegna e dell’Italia hanno camminato insieme e di pari passo. Che lo si voglia o no, piaccia o meno ai militanti di Sardigna Natzione o Sardigna Indipendentzia, la Sardegna è una Regione dell’Italia. E le decisioni che prende chi governa in Italia riguardano anche i Sardi e la Sardegna. Volere la Sardegna indipendente da Roma, e quindi Nazione e Stato a se, è un’assurdità che qualunque persona con un minimo di buon senso capisce essere impossibile da realizzare. La Sardegna indipendente, con una sua milizia, un suo esercito, un sistema di governo stabile che garantisca una indipendenza economica e politica da qualunque altra autorità statale, è un qualcosa che è impossibile da realizzare, ancor più in breve termine come magicamente credono di fare gli indipendentisti. Ciò, oltre a cozzare contro l’evidenza dei fatti, è un insulto a chi ha combattuto ed è morto perché l’Italia rimanesse unita, Una e Nazione. Ancor più di tutto questo è ridicolo pretendere che venga riconosciuta come lingua quella che è molto più semplicemente una parlata, peraltro assai diversificata, a livello regionale. La lingua sarda è una cosa che sentono e vedono solamente i sardi ( una parte di loro, tra l’altro ), che non ha alcun riconoscimento politico o culturale per essere considerata lingua, e che conseguentemente non è lingua, nonostante sia pienamente formata dal punto di vista linguistico. Requisito questo che, per quanto importante e fondamentale sia, da solo non basta.
Chi decide se un dominio linguistico è lingua o dialetto? La comunità intesa nel senso più ampio del termine, che, dispiace per i sardisti, è quello nazionale. Sentono gli italiani il sardo come una lingua? Accadrà che un poeta milanese, o piemontese, o fiorentino cominceranno a cercare di parlare o scrivere in sardo? Davvero crediamo che aumentare il punteggio nei concorsi pubblici a chi mostra di sapere il sardo renderà più competitivi i giovani e i lavoratori in genere? Davvero noi sardi siamo così stupidi da esaltarci per questo fuoco di paglia?
L’autocertificazione del sardo come lingua, ad esclusivo uso e consumo dei sardi, non ha alcun fondamento né valore. “La lingua sarda” cozza non solo contro la Storia, il buon senso, e il peso di centocinquanta anni di cammino comune, ma anche contro quelle stesse leggi linguistiche in nome delle quali la si vorrebbe imporre. Certamente, col progetto LSC perlomeno si supererebbe il problema delle diverse varietà del sardo presenti sull’Isola; ma quanti sardi sentirebbero davvero questa sardità ( non solo linguistica, ma anche sociale e politica )? Una sardità vera, che vada oltre il bere solo ed esclusivamente la birra Ichnusa solo perché sarda, il dire le parolaccie in sardo, il tifare Cagliari o il bruciare le automobili di provincie diverse*.

* La sardità intesa nel senso sardo del termine da molti è intesa in questo senso. Fino a qualche anno fa ( e ancora mi capita di sentire storie del genere ) era prassi che in alcuni quartieri di Sassari si bruciassero le macchine targate Cagliari ( quando ancora non erano entrate in vigore le targhe europee ) o viceversa. Ancora oggi, magari in qualche bar di periferia, non è raro sentir parlare degli abitanti di questa o quella città vantare le loro doti rispetto agli abitanti di quell’altra città. Alla faccia della sardità e della memoria condivisa.

Fonti:
- GRAFFI-SCALISE, Le lingue e il linguaggio, Il Mulino, 2002.
- Il Giornale di Sardegna ( sul progetto sardo della LSC )
- BERRUTO, Corso elementare di linguistica generale, Torino, Utet, 1997
- A.A. SOBRERO, Introduzione all’italiano contemporaneo, le strutture, Bari-Roma, Laterza, 1993
Andrea Chessa

1 commento:

Anonimo ha detto...

Non vorrei davvero che si facesse confusione tra aspetto prettamente tecnico, aspetto sociale e aspetto politico della lingua sarda. Mi spiego meglio: come hai ben spiegato tu la lingua sarda è un idioma a tutti gli effetti. Ha una sua grammatica, un suo vocabolario, alcune specificità fonetiche distintive. Hai ben ricordato che esistono tante varianti, dovute essenzialmente all'ampiezza del territorio sardo e alla sua bassa densità di popolazione. I tentativi che si sono fatti (e si stanno facendo) di creare a tavolino un'unica lingua (la cosiddetta limba sarda unificada, o limba de mesanìa) - attraverso la ricerca di aspetti comuni a tutte le varianti - è uno stratagemma politico affinché il sardo possa diventare a tutti gli effetti lingua ufficiale dell'Unione Europea (come è successo recentemente per il Gaelico, lingua parlata in Irlanda da 55mila persone). Personalmente sono poco favorevole a questa forzatura, sarei più propenso a salvaguardare tutte le varianti - anche a costo di non vedere il sardo lingua ufficiale dell'UE. Ma la politica si sa com'è.
Per quanto riguarda il rapporto tra lingua sarda e lingua italiana, non vedo assolutamente il contrasto che dalle tue parole emerge. Anzi: la lingua sarda è politicamente riconosciuta, oltre che a livello regionale, dal Codice Civile italiano (come seconda lingua più parlata nel Paese- si calcola che 1.300.000 di persone la parli o la capisca, su un totale di 1.600.000 di abitanti - senza considerare le numerosissime comunità sarde extra moenia, che si aggirerebbero intorno ad un altro milione di teste) e il popolo sardo è considerato a tutti gli effetti una minoranza etnica (anche a livello europeo). La Sardegna fa parte (e deve continuare a fare parte) dell'Italia: chi predica l'indipendenza o cose simili non possiede una corretta visione della realtà. Tuttavia non è neanche giusto delegittimare il concetto di Nazione sarda: la comunanza di lingua - seppure con le sue varianti -, tradizioni, cultura, letteratura, etc., rende la Sardegna una nazione a tutti gli effetti, senza essere uno Stato autonomo. Non bisogna fare confusione tra i concetti di Nazione e di Stato: esistono stati plurinazionali (ad esempio il Belgio o la Svizzera), ed esistono nazioni senza stato (Palestinesi, Curdi e tanti altri). Ed è tutta questione di legami e sentimenti di appartenenza: ti assicuro che la maggior parte di sardi si considera prima 'un sardo', poi un 'italiano', senza per questo essere simpatizzante degli indipendentisti. E quando si vive fuori dalla Sardegna è un qualcosa che risalta ancora di più.
Il sardo non è assolutamente una parlata a livello regionale, e non è assolutamente vero che la 'sentono e vedono solamente i sardi': a livello di esempio curioso, uno dei maggiori studiosi di lingua e letteratura sarda è giapponese! (e il sardo viene insegnato anche in qualche università).
La sardità vera va sicuramente oltre gli esempi che hai citato (sicuramente reali e talvolta diffusi), e non vedo perché le istituzioni non debbano prodigarsi per salvaguardare questa identità: l'aspetto linguistico è un elemento fondamentale di una comunità, e non esistono affatto lingue di serie A e di serie B. In Sardegna si deve parlare l'italiano, ovviamente; ma non credo che si debba trascurare e far morire la lingua sarda senza almeno fare qualche tentativo per salvarla. Certo, non ci devono essere neanche discriminazioni alla rovescia: la lingua sarda non deve essere requisito fondamentale per i concorsi. Ma è anche vero che la conoscenza di un idioma in più può creare altre possibilità lavorative.
Sono fermamente convinto, in conclusione, che riuscire a difendere la propria identità (sebbene piccola e quasi insignificante) a livello locale, sia una base necessaria per poter difendere quella a livello nazionale (a volte lontana e disomogenea).
Perdona la prolissità.