La rivolta che ha messo a ferro e fuoco gli Stati
Uniti – a seguito dell’arresto con conseguente morte di George Floyd – dimostra,
casomai ce ne fosse bisogno, diverse cose.
Anzitutto la forza dei mezzi di comunicazione di
massa: essi sono l’unico potere che ha, nel senso più “vero” del termine, il
potere di plasmare la realtà. Un fatto che non esiste, e che viene smentito dai
numeri, viene trasformato in un fatto conclamato, anzi di più: la presunta
persecuzione della quale sarebbero vittime i negri negli Stati Uniti diventa il
primo problema nazionale. Perché, basta dare un’occhiata ai numeri (la politica
è “opinione”, va bene, ma il dato plastico, spesso e volentieri, si ha con i
numeri), questa persecuzione è inesistente.
Basta un dato, una semplice tabella, presa dal BJS,
il Bureau of Justice Statistics, alle dirette dipendenze del Ministero della
Giustizia americano: negli Stati Uniti la probabilità che un nero aggredisca un
bianco è quasi 10 volte superiore al suo opposto; seguono, a grande distanza,
gli ispanici, che non possono comunque mai eguagliare i neri.
Di più: negli USA i neri sono il 10/14% della
popolazione complessiva, ma compiono, da soli, la metà delle aggressioni e
degli omicidi; per quanto riguarda le rapine, invece, sono il 67%.
Già questi dati bastano, da soli, a smentire fiumi
di inchiostro e di lacrime del politicamente corretto, che descrivono i neri
come una categoria vittima di un odio razziale sistematico da parte dei bianchi
e delle istituzioni americane.
Cosa sarebbero gli Stati Uniti se, per ogni bianco
ucciso da un nero, orde di caucasici avessero aggredito le persone di colore in
giro per le strade? Se, cioè, i bianchi americani si fossero comportati
esattamente come stanno facendo in queste ore orde di neri che rapinano,
distruggono, si danno al saccheggio più barbaro dietro il falso paravento della
“giustizia” per George Floyd?
Già, George Floyd. La stampa lo ha descritto come un
povero cristo, uno qualunque, ennesima vittima della Polizia. Vediamo rapidamente
il “curriculum” di questo martire: arrestato varie volte, nel 2007 aveva fatto
irruzione in casa di una donna incinta, con il proposito di rapinarla, e non
aveva esitato a puntarle la pistola alla pancia. Il giorno della sua morte
Floyd era letteralmente strafatto di varie droghe, chiaramente in uno stato alterato
(è per questo che sono intervenuti i poliziotti) ed irascibile, che lo
contraddistinguevano come un soggetto pericoloso.
Chi ci dà queste
informazioni? Un cattivo razzista americano? Un attivista filo-Trump, propagatore
di bufale contro i neri? Un nostalgico del Ku Klux Klan? Niente di tutto
questo. Una delle poche ad elevarsi contro l’ipocrisia ed il politicamente
(s)corretto è l’attivista politica Candace Owens, che ha osato squarciare il
velo di omertà di questo criminale finito, per l’ennesima volta, braccato dalla
Polizia:
“Non mi devo scusare per nulla. George
Floyd non può essere il mio martire. può essere il vostro, forse.” Potete anche
solo lontanamente immaginare tutti gli insulti che Candace Owens si è vista
affibbiare da coloro che, per diritto divino, si sono autoproclamati i
difensori dei diritti umani e lottatori contro il razzismo e la xenofobia: negra,
puttana, negra puttana, scimmia, traditrice della sua stessa razza… e via
dicendo. Ovviamente nessun giornale e nessun attivista politico si è preso la
briga di scrivere due righe sugli insulti e le minacce che questa ragazza ha
ricevuto per aver osato dire la verità: quando a dire “negro di merda” sono i
democratici tutto è permesso.
Di più: se pochissime sono le voci controcorrente
negli USA, ancor meno lo sono in Italia, dove il servilismo della nostra stampa
è oramai un dato di fatto. Myrta Merlino che si inginocchia, nel suo studio di “L’aria
che tira”, a compiere idealmente una fellatio al “Black lives matter”,
organizzazione terroristica di suprematisti neri, è la rappresentazione più
immediata e allo stesso tempo più triste dei nostri giornalisti: sempre
conniventi, sempre schierati, sempre vigliacchi. Dove è la Merlino quando le donne italiane vengono violentate da clandestini, o quando qualche italiano è vittima di stranieri? Dove era la Merlino quando una ragazza di 16 anni è stata violentata e messa a pezzi dentro una valigia? Dove era quando un clandestino ha preso un piccone ed è sceso in strada ad ammazzare sconosciuti a caso? Eppure gli stranieri, pur essendo non più del 7% della popolazione complessiva italiana, influiscono per il 30/40% sui reati contro la persona (rapine, aggressioni, stupri, omicidi, violenze): ha avuto tutto il tempo per indignarsi, questa "giornalista"...
In nome di un problema che non esiste, e che se
esiste esiste esattamente al contrario – neri che aggrediscono sistematicamente
e violentemente i bianchi – abbiamo visto orde di selvaggi e di subumani mettere
a ferro e fuoco le città, saccheggiare negozi, bruciare automobili,
vandalizzare i monumemti. Tali scene si sono verificate anche in Italia, e
precisamente al Palazzo Civico di Torino, dove la statua di Leopoldo II è stata
imbrattata e scheggiata.
Orde di negri, dallo scarsissimo livello di
istruzione e dal grado di scolarizzazione pressoché inesistente, si sono
accaniti contro tutto ciò che, nel bene o nel male, rappresenta la civiltà
europea e la sua evoluzione, dal quale questi esseri sono rimasti pressoché
esclusi: incendi appiccati alle automobili di lusso (che non potranno mai
acquistare), tentativi di forzare le casse bancomat delle banche (nelle quali
non potranno mai accedere), vandalizzazioni delle statue dei grandi nomi della
Civiltà del Nostro continente (Leopoldo II – sovrano illuminato, amante del
bello e della cultura, gran legislatore), statue e nomi che essi non conoscono perché
non hanno mai studiato, totalmente avulsi ed estranei al contesto sociale e
storico nel quale gli è stato dato di vivere.
E festeggiano orgogliosi e fieri, sulle rovine che
essi stessi hanno creato, in paesaggi resi spettrali dalla vittoria dell’inciviltà,
di cui un’Europa che si vergogna di se stessa è complice.
Nessun commento:
Posta un commento