Ogni anno, passato il 10 febbraio – giorno in cui si
ricordano, o si dovrebbero ricordare, le migliaia di italiani torturati e
gettati nelle foibe dai partigiani comunisti – ci troviamo mestamente a
constatare come tale giornata altro non sia, almeno per la parte politica
vincente nella seconda guerra mondiale, un’occasione per rinfocolare il tipico
odio anti-italiano che anima l’antifascismo militante e salottiero.
Constatiamo, insomma, come i morti delle foibe, rimangono
morti di serie B. Nelle trasmissioni radiofoniche, in TV, sui giornali, nei
commenti su Facebook della disprezzante sinistra al caviale.
Abbiamo visto, anche quest’anno, di tutto. Cominciando dalle
targhe di commemorazione delle vittime che sono state deturpate e imbrattate
dalla canaglia antifascista (anche a Cagliari, in piazza Martiri delle Foibe,
quest’anno la targa è stata vandalizzata senza che i media si siano premurati
di darne almeno una minima comunicazione), passando per presunti storici
negazionisti che vengono pomposamente invitati nientemeno che alla Camera dei
Deputati per esporre le tesi revisioniste (“le foibe sono colpa dei fascisti”, “nelle
foibe ci hanno messo i Fascisti e quindi fu cosa buona e giusta”, e via
dicendo) e i principali rappresentanti delle istituzioni che non trovano
nemmeno il tempo di incontrare i parenti delle vittime (il Presidente della
Repubblica, Mattarella, ha avuto anche il tempo di partecipare all’incontro di
rugby “Sei nazioni”, ma non di incontrare le associazioni degli esuli),
passando per i commenti e gli articoli e i post che sono stati pubblicati da
una sinistra radical chic aperta e democratica solo quando a venire
propagandate e sostenute sono le loro idee, ma capace di un astio e di un
livore finanche disumani quando si tratta di commemorare gli italiani.
Ultima, in ordine di tempo, Radio Deejay, nota radio
nazionale conosciuta per la musica da decerebrati che propina ventiquattro ore
su ventiquattro: stamattina i tre imbecilli della trasmissione “Chiamata Roma
Triuno Triuno” parlavano del caso di una scuola media che ha provato a studiare
il Ventennio Fascista rievocando un ballo di gala, con tanto di codice di
abbigliamento. Parte il tam tam dei tre imbecilli che irridono l’iniziativa.
Fino ai compiti per gli studenti declamati dal balcone della scuola e alle gite
a piedi, in marcia militare, niente di particolare: è la solita stupidità "sinistra". Poi la battuta: quando il
professore chiede qualcosa che non sai tu rispondi “E le foibe?”, nota battuta
che una Caterina Guzzanti, che pur l’aveva inventata per fare il verso ai
ragazzi di CasaPound, ha già abbandonato da anni. E giù di applausi.
“E le foibe?”, a solo qualche giorno dalla giornata del
ricordo, diviene una battuta per far ridere, non suscita indignazione, né ribrezzo,
bensì passa in cavalleria.
Come tutto. Come troppo.
Per capire la gravità di un tale atteggiamento, direi
di più, di un tale modo di sentire, basta semplicemente fare il solito,
facilissimo giochino: chiudere gli occhi e immaginare cosa sarebbe accaduto se
il fatto si fosse verificato a parti inverse. Se, cioè, un conduttore
radiotelevisivo, a solo qualche giorno dalla Giornata del Ricordo del 27
gennaio, per dirne una, avesse fatto in radio una battuta “E l’olocausto??” per
prendere in giro i militanti di sinistra. Probabilmente sarebbe stato cacciato
in meno di dieci secondi dalla televisione, con l’emittente che si stracciava
le vesti in scuse e lacrime, con Boldrini e Mattarella a fungere da vestali dei
“poveri sopravvissuti”, con migliaia di utenti Facebook che avrebbero inondato
di insulti e di critiche la pagina dell’emittente stessa.
Per carità, la cosa sarebbe anche plausibile ed
accettabile se il trattamento non fosse così disuguale, così ipocrita, così
melenso. Mi spiego meglio. Si potrebbe anche accettare la scarsa sensibilità di
un conduttore radiofonico nel ricordo dei martiri delle Foibe, o le lapidi
divelte, o i presidi degli antifascisti pidocchiosi per non far parlare le
associazioni degli esuli (come è accaduto in questi giorni in alcune città
italiane), o l’insofferenza, quando non il vero e proprio odio, distribuita sui
social network da una massa di stronzi che dileggiano i morti che non sono più
direttamente riconducibili alla propria parte politica. Si potrebbe accettare
tutto ciò se non ci fosse, viceversa, una tutela immane per i morti dell’altra
parte, tutelati perfino da leggi liberticide, da orde di decerebrati pronti a
stracciarsi le vesti se solo si osa toccare il culto olocaustico, da un intero apparato governativo e di sistema pronto anche a rendersi ridicolo nel partecipare ai funerali di un nigeriano mafioso, se si è appurato che questi è stato ucciso da un italiano che lo ha chiamato "negro".
Invece ci ritroviamo, oggi come ieri, al solito modello
dei “due pesi e due misure”. Perché, statene certi, la Boldrini non si
indignerà in diretta TV per questo oltraggio, allo stesso modo in cui non si è
indignata per tutti quelli che sono stati fatti i giorni precedenti e che l’avrebbero
invece vista in prima fila se si fosse trattato di presunti sopravvissuti dell’olocausto
o di qualche migrante, questa nuova figura dalle caratteristiche quasi
cristologiche. Grasso e Mattarella continueranno a trovare, ogni 10 gennaio, il
tempo per andare al torneo delle “Sei nazioni”, ma non certo per partecipare
alla commemorazione delle foibe. Altri conduttori radio seguiranno gli
imbecilli de Le Iene e faranno qualche battuta di cattivo gusto: nessuno ne
chiederà il licenziamento o riempirà le loro pagine Facebook di insulti, come
sarebbe accaduto se si fossero permessi di dileggiare, viceversa, l’unico vero
culto attualmente esistente ed imposto per legge in Europa, quello dell’olocausto.
È la cartina di tornasole della miseria umana, prima
ancora che politica, di tutto un apparato dirigente che ha preteso di
derubricare i morti in una categoria di serie A e una di serie B e che, incredibile ma vero, ci è perfettamente riuscito.
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