Il ruolo che gioca questo pennivendolo è evidente: sta lì, nello studio di Annozero, inquadrato – come ogni settimana da tanto tempo a questa parte – dalle telecamere di quel regime che egli stesso accusa di voler imbavagliare l’informazione, col taccuino in mano e la faccina compunta di chi si sente l’unto della situazione, ad insultare e lanciare infamanti accuse ai suoi nemici, guarda caso sempre e solo di una parte politica ben precisa. Nell’ultima puntata di Annozero, per la precisione, il pennivendolo in questione cercava di ricostruire le frequentazioni di Bertolaso e i ben poco edificanti affari che lo stesso intratteneva con alcuni presunti compagni di malaffare. Nicola Porro, giornalista ed editorialista de Il Giornale, rispondeva a Travaglio che il frequentare personaggi poco raccomandabili non è un sintomo, di per se stesso, che anche Bertolaso si intrattenesse in questi atti illeciti. E Travaglio, aggiungeva il Porro, lo dovrebbe sapere bene, visto che anche lui è stato accusato, in un lontano passato, di frequentare personaggi in odor di mafia. Ed è a questo punto che si scatena il teatrino: il pennivendolo, punto sul vivo, si indigna vivacemente, proclamando che lui aveva dimostrato di essere innocente e che aveva dimostrato, fatti alla mano, che quelle sue vacanze in Sicilia nel 2003 non erano state pagate dalla mafia, bensì di tasca propria. Appunto, gli risponde Porro: come a suo tempo tu hai dimostrato che quelle accuse erano infondate, come mai ora vuoi impedire a Bertolaso di fare lo stesso, e già ti lanci in acute prese di posizione giustizialiste? Era quello che chiunque di noi che non ha portato ancora il suo cervello a rottamare, dall’altra parte del televisore, avrebbe voluto far notare al giornalista saccente. Ma apriti cielo! Il Travaglio, che evidentemente non è abituato a subire sulla propria pelle lo stesso trattamento che utilizza invece per i suoi avversari, si indigna, urla e strepita come un ossesso! Come si usa toccare l’Immacolato, l’Unto del Signore del giornalismo italiano? Ed ecco quindi il pennivendolo che in tutti i modi insulta Porro, utilizzando, tra le altre cose, una delle accuse che per un giornalista è tra le più infamanti, ovvero quella di “servo del padrone”.
Ora che sono passati diversi giorni sappiamo che, evidentemente, Travaglio può insultare i suoi colleghi impunemente, in quanto può sicuramente contare su un Ordine dei Giornalisti che fa finta di non vedere le sue malefatte.
Questo linguaggio, come vediamo, non è proprio di un momento: è tipico di quello che viene descritto come uno dei migliori giornalisti italiani, e che è incapace di affrontare anche il minimo contraddittorio senza esplodere in una crisi di nervi.
Cosa direste se vi dicessi che anche i giornalisti dell’Unità di Soru, o del Corriere della Sera o della Repubblica (di De Benedetti) o dell’Espresso (sempre di De Benedetti) sono dei servetti del padrone, e quindi le loro opinioni sono da condannare a prescindere? Saremmo costretti a squalificare un buon 90% dei mass media e dell’editoria italiana. Incluso Travaglio. Non sarebbe una catastrofe irreparabile.
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