Chi ha sempre pensato che Marco Travaglio sia un giornalista prezzolato, al pari di tanti altri, nonché un personaggio ipocrita e dalla doppia morale, pronto ad insultare sempre e comunque il nemico con le accuse più infamanti, ma altrettanto pronto ad indignarsi per le accuse rivolte contro di lui, ha avuto nell’ultima puntata di Annovero l’ennesima conferma.
Il ruolo che gioca questo pennivendolo è evidente: sta lì, nello studio di Annozero, inquadrato – come ogni settimana da tanto tempo a questa parte – dalle telecamere di quel regime che egli stesso accusa di voler imbavagliare l’informazione, col taccuino in mano e la faccina compunta di chi si sente l’unto della situazione, ad insultare e lanciare infamanti accuse ai suoi nemici, guarda caso sempre e solo di una parte politica ben precisa. Nell’ultima puntata di Annozero, per la precisione, il pennivendolo in questione cercava di ricostruire le frequentazioni di Bertolaso e i ben poco edificanti affari che lo stesso intratteneva con alcuni presunti compagni di malaffare. Nicola Porro, giornalista ed editorialista de Il Giornale, rispondeva a Travaglio che il frequentare personaggi poco raccomandabili non è un sintomo, di per se stesso, che anche Bertolaso si intrattenesse in questi atti illeciti. E Travaglio, aggiungeva il Porro, lo dovrebbe sapere bene, visto che anche lui è stato accusato, in un lontano passato, di frequentare personaggi in odor di mafia. Ed è a questo punto che si scatena il teatrino: il pennivendolo, punto sul vivo, si indigna vivacemente, proclamando che lui aveva dimostrato di essere innocente e che aveva dimostrato, fatti alla mano, che quelle sue vacanze in Sicilia nel 2003 non erano state pagate dalla mafia, bensì di tasca propria. Appunto, gli risponde Porro: come a suo tempo tu hai dimostrato che quelle accuse erano infondate, come mai ora vuoi impedire a Bertolaso di fare lo stesso, e già ti lanci in acute prese di posizione giustizialiste? Era quello che chiunque di noi che non ha portato ancora il suo cervello a rottamare, dall’altra parte del televisore, avrebbe voluto far notare al giornalista saccente. Ma apriti cielo! Il Travaglio, che evidentemente non è abituato a subire sulla propria pelle lo stesso trattamento che utilizza invece per i suoi avversari, si indigna, urla e strepita come un ossesso! Come si usa toccare l’Immacolato, l’Unto del Signore del giornalismo italiano? Ed ecco quindi il pennivendolo che in tutti i modi insulta Porro, utilizzando, tra le altre cose, una delle accuse che per un giornalista è tra le più infamanti, ovvero quella di “servo del padrone”.
Ora che sono passati diversi giorni sappiamo che, evidentemente, Travaglio può insultare i suoi colleghi impunemente, in quanto può sicuramente contare su un Ordine dei Giornalisti che fa finta di non vedere le sue malefatte.

Questo linguaggio, come vediamo, non è proprio di un momento: è tipico di quello che viene descritto come uno dei migliori giornalisti italiani, e che è incapace di affrontare anche il minimo contraddittorio senza esplodere in una crisi di nervi.
Cosa direste se vi dicessi che anche i giornalisti dell’Unità di Soru, o del Corriere della Sera o della Repubblica (di De Benedetti) o dell’Espresso (sempre di De Benedetti) sono dei servetti del padrone, e quindi le loro opinioni sono da condannare a prescindere? Saremmo costretti a squalificare un buon 90% dei mass media e dell’editoria italiana. Incluso Travaglio. Non sarebbe una catastrofe irreparabile.
Nessun commento:
Posta un commento