mercoledì 24 febbraio 2010

Povero Travaglio...

Chi ha sempre pensato che Marco Travaglio sia un giornalista prezzolato, al pari di tanti altri, nonché un personaggio ipocrita e dalla doppia morale, pronto ad insultare sempre e comunque il nemico con le accuse più infamanti, ma altrettanto pronto ad indignarsi per le accuse rivolte contro di lui, ha avuto nell’ultima puntata di Annovero l’ennesima conferma.


Il ruolo che gioca questo pennivendolo è evidente: sta lì, nello studio di Annozero, inquadrato – come ogni settimana da tanto tempo a questa parte – dalle telecamere di quel regime che egli stesso accusa di voler imbavagliare l’informazione, col taccuino in mano e la faccina compunta di chi si sente l’unto della situazione, ad insultare e lanciare infamanti accuse ai suoi nemici, guarda caso sempre e solo di una parte politica ben precisa. Nell’ultima puntata di Annozero, per la precisione, il pennivendolo in questione cercava di ricostruire le frequentazioni di Bertolaso e i ben poco edificanti affari che lo stesso intratteneva con alcuni presunti compagni di malaffare. Nicola Porro, giornalista ed editorialista de Il Giornale, rispondeva a Travaglio che il frequentare personaggi poco raccomandabili non è un sintomo, di per se stesso, che anche Bertolaso si intrattenesse in questi atti illeciti. E Travaglio, aggiungeva il Porro, lo dovrebbe sapere bene, visto che anche lui è stato accusato, in un lontano passato, di frequentare personaggi in odor di mafia. Ed è a questo punto che si scatena il teatrino: il pennivendolo, punto sul vivo, si indigna vivacemente, proclamando che lui aveva dimostrato di essere innocente e che aveva dimostrato, fatti alla mano, che quelle sue vacanze in Sicilia nel 2003 non erano state pagate dalla mafia, bensì di tasca propria. Appunto, gli risponde Porro: come a suo tempo tu hai dimostrato che quelle accuse erano infondate, come mai ora vuoi impedire a Bertolaso di fare lo stesso, e già ti lanci in acute prese di posizione giustizialiste? Era quello che chiunque di noi che non ha portato ancora il suo cervello a rottamare, dall’altra parte del televisore, avrebbe voluto far notare al giornalista saccente. Ma apriti cielo! Il Travaglio, che evidentemente non è abituato a subire sulla propria pelle lo stesso trattamento che utilizza invece per i suoi avversari, si indigna, urla e strepita come un ossesso! Come si usa toccare l’Immacolato, l’Unto del Signore del giornalismo italiano? Ed ecco quindi il pennivendolo che in tutti i modi insulta Porro, utilizzando, tra le altre cose, una delle accuse che per un giornalista è tra le più infamanti, ovvero quella di “servo del padrone”.






Ora che sono passati diversi giorni sappiamo che, evidentemente, Travaglio può insultare i suoi colleghi impunemente, in quanto può sicuramente contare su un Ordine dei Giornalisti che fa finta di non vedere le sue malefatte.

Ma questa accusa di essere “servi del padrone” è significativa ed emblematica di un certo modo di pensare a sinistra, secondo il quale chiunque militi nella parte avversa allora è un servo dei padroni, un oscuro cameriere dei poteri forti. Mica come loro, che in questi anni ci hanno regalato dei veri e propri patrioti che hanno fatto il bene del Paese: Prodi, Padoa Schioppa, Draghi, Ciampi e tanti altri che sul Britannia svendevano gli ultimi pezzi di industria italiana alle nazioni straniere. Ma accusare un giornalista di essere un servo del padrone è un’accusa non solo infamante dal punto di vista professionale, ma va anche dimostrata, pena una querela certa (che il Porro sicuramente si sarà ben guardato dal fare, considerandola una perdita di tempo visto il colore rosso che aleggia in molti settori della Magistratura). Ma Il Giornale è della famiglia di Berlusconi, si dirà. È certamente vero: ma ciò non basta per lanciare simili accuse: E non fanno i giornalisti: recitano un copione, frequentano corsi specialistici in cui s’impara a fare le faccine e a ripetere ossessivamente le stesse diffamazioni. Invece di contestare i fatti che raccontano, tentano di squalificarti come persona. Poi, a missione compiuta, passano alla cassa a ritirare la paghetta. E, se non si abbassano a sufficienza, vengono redarguiti o scaricati dal padrone. Non hanno una faccia e dunque non temono di perderla.Ecco cosa scrive l’Unto del giornalismo italiano, dalle pagine del Fatto, in una letterina che ha inviato a Santoro, per piagnucolare con quest’ultimo, colpevole di non averlo difeso eccessivamente. Il bello è che Santoro, sempre dalle pagine del Fatto, gli risponde per le rime: Vivrei una tua decisione di prendere le distanze con grande amarezza, non sarebbe tuttavia una tragedia o una catastrofe irreparabile”. Capito? Pure Santoro, forse, in cuor suo si è rotto le scatole di questo personaggio pruriginoso e saccente, e gli dice: se te ne vai fuori dalle balle non ci strapperemo i capelli. E Travaglio cosa dice? Non me ne vado assolutamente, la darei vinta a quei personaggi ed al loro padrone. E ad una repentina caduta di popolarità e di introiti economici che gli garantisce la sua poltroncina, aggiungo io...

Questo linguaggio, come vediamo, non è proprio di un momento: è tipico di quello che viene descritto come uno dei migliori giornalisti italiani, e che è incapace di affrontare anche il minimo contraddittorio senza esplodere in una crisi di nervi.

A missione compiuta Porro e Belpietro passano a casa a ritirare la paghetta, dice l’Unto del Giornalismo: qui una bella querela ci starebbe tutta. Evidentemente Travaglio pensa che i suoi avversari debbano dimostrare tutto ed il contrario di tutto, mentre invece “Lui” può permettersi di lanciare accuse a vuoto.

Cosa direste se vi dicessi che anche i giornalisti dell’Unità di Soru, o del Corriere della Sera o della Repubblica (di De Benedetti) o dell’Espresso (sempre di De Benedetti) sono dei servetti del padrone, e quindi le loro opinioni sono da condannare a prescindere? Saremmo costretti a squalificare un buon 90% dei mass media e dell’editoria italiana. Incluso Travaglio. Non sarebbe una catastrofe irreparabile.

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