giovedì 18 febbraio 2010

Le piaghe di un'Italia che muore

In questi giorni l’informazione italiana litiga su due importanti avvenimenti, apparentemente slegati fra loro: la bufera mediatico-giudiziaria che investe Bertolaso e le tangenti calde calde che la Guardia di Finanza ha trovato addosso a Mirko Pennisi.

Di Bertolaso tanto si è detto e scritto. È indubbio che con Bertolaso la Protezione Civile sia arrivata ad avere una rapidità ed una efficienza senza pari, che l’hanno portata ad essere uno degli organismi di pronto intervento più qualificati in Europa e nel mondo. Del resto non poteva essere così, in un Paese dove c’è un’emergenza al giorno. Emergenze, sia detto per inciso, che fanno molto comodo: perché le procedure di emergenza e per la ricostruzione delle aree disagiate permettono di saltare gli innumerevoli meccanismi burocratici che vanno seguiti in condizioni normali.


Eppure le intercettazioni di coloro che vengono ipocritamente definiti gli uomini del fare (i fatti loro, verrebbe da aggiungere) sono agghiaccianti. A leggerle si capisce bene perché sempre più politici cerchino in tutti i modi di impedirle. Perché mentre noi comuni mortali eravamo attaccati alla TV, guardando con spavento e dolore le immagini di chi moriva sotto le macerie, e non rideva di sicuro, questi qui si sentono di notte, sghignazzano diabolicamente pensando ai soldi a palate che faranno grazie alle procedure di emergenza per la ricostruzione del dopo-terremoto. “Io stamattina ridevo alle tre e mezza dentro il letto”, dice quello… allucinante. Ecco chi sono quelli che ci comandano, che riescono a piazzare i loro uomini dentro i consigli di amministrazione che contano, che occupano le poltrone più importanti, che sghignazzano con imprenditori e politici.


Sono gli stessi che poi, per fare il loro lavoro, esigono le tangenti. Come quel Mirko Pennisi di Milano, che come Presidente della Commissione Urbanistica di Milano avrebbe il compito di vigilare sulla regolarità e sull’efficienza delle procedure relative agli appalti edilizi. E che invece si fa pagare a botte di cinquemila euro per mettere una buona parola, fare una telefonata di quelle che ti fanno avviare la pratica da parte di qualche annoiato dipendente fancazzista. Non sembra di essere migliorati molto rispetto ai tempi in cui era lo stesso Berlusconi a raccontare che negli anni 80, per poter lavorare a Milano, dovevi girare con un libretto degli assegni in mano e staccarne uno ai vari uffici preposti.


Che, in Italia, sono decine e decine, ognuno dei quali dice la sua. Non puoi smuovere neanche un mattone della tua casa se prima non hai in mano dieci chili di documentazione. Questo perché, per sistemare gli amici degli amici e i trombati della politica, lo Stato ha moltiplicato a dismisura gli enti burocratici, ciascuno dei quali esige il suo tributo di sangue da parte del cittadino.


Ma vedrete che alla fine, come accade normalmente in Italia, non pagherà nessuno. Pennisi lo ricicleranno in qualche modo, loro hanno sempre il sorriso sulle labbra: sanno che qualcuno, nelle logge che contano, si muoverà per salvargli il deretano: sono o non sono dei “fratelli” che si sono giurati eterna fedeltà?


Il criminale che se la ride sotto il letto e il politico “cassato” con la mazzetta ancora dentro la tasca sono due facce della stessa Italia: malata, corrotta, ipocrita, arrogante, spietata.


In altri tempi, quando ancora eravamo civili, ci sarebbe bastato molto meno per andare a cercarli casa per casa. Ma c’è Antonella Clerici a Sanremo: chi si muove più?

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