E' sopratutto grazie all'ordinanza Martini di agosto, che prevede per tutti i cani l'iscrizione all'anagrafe canina e il microchip, che l'estate 2009 ha segnato un netto calo, il 51% in meno, degli abbandoni di animali. Politiche contro il randagismo sono inserite anche nella Finanziaria: per il 2010 è previsto infatti uno stanziamento di 3.415.000 di euro che al 60% dovranno essere usati per sterilizzare i randagi e per incentivare lo stesso procedimento negli animali "di proprietà". Questi interventi sono in parte utili, ma la risoluzione del problema effettivo, cioè che i cani sono troppi ed è per questo che ci sono tanti randagi in giro e i canili sono stracolmi, resta lontana.
Non si verrà mai a capo del problema finché continuerà da parte di allevatori professionali e amatoriali la "produzione" massiccia e incontrollata di cuccioli, che prendono il posto dei trovatelli e sono spesso le vittime dell'abbandono da parte di chi sceglie un cane e un gatto solo per fare affari. Come per ogni forma di investimento, anche se qui in ballo ci sono esseri viventi, lo scopo di chi alleva è la massimizzazione del profitto: è per questo che le mamme, le cosiddette fattrici, possono "sfornare" nella loro vita un gran numero di cuccioli perché non esiste un limite preciso di età oltre il quale evitare gli accoppiamenti. Serve un certificato dopo i 7 anni, spiegano all'Enci, l'associazione degli allevatori di cani, ma si arriva tranquillamente fino ai 9-10 anni.
Secondo il codice deontologico dell'associazione, gli allevatori sono tenuti a rispettare le leggi vigenti sul benessere degli animali, ma di fatto non esiste alcun organo deputato al controllo e nel regolamento ufficiale l'associazione si limita a enunciare i rigorosi parametri che escludono dall' ottenimento del pedigree (ovvero di fatto dalla vendita) i cuccioli nati da accoppiamenti avvenuti accidentalmente tra cani non selezionati all'uopo, quelli con determinate patologie e quelli in generale fuori dallo standard internazionale della razza.
E' istintivo allora chiedersi che fine facciano gli animali scartati o le mamme che non possono più figliare. Purtroppo non è un'illazione degli animalisti, ma quanto ammettono gli stessi soci dell'Enci, che per tanti di loro il destino sia un'illegale soppressione. Perché, del resto, degli imprenditori dovrebbero spendere per mantenere in vita animali inutili, se il loro interesse è puramente economico? E la molla del profitto è quella che spinge anche la maggioranza dei compratori. E' tanto lampante questo che, come spiega un allevatore, esiste una regola non scritta, ma praticata in generale, per cui se un acquirente scopre che il suo esemplare è affetto da patologie congenite, non riconosciute o riconoscibili alla vendita e che precludano, ad esempio, la partecipazione ai concorsi di bellezza, può richiedere la metà della cifra spesa o addirittura il cambio del cane.
Di recente, poi, è venuto alla luce un caso molto grave che fa riflettere sulle aberrazioni cui può portare la logica del profitto e la mancanza dei controlli in un settore così delicato. Nel gennaio 2009 il Nirda, il nucleo della Forestale che si occupa dei reati contro gli animali, ha messo sotto sequestro l'allevamento di cani pointer "Del Vento" di Ravenna per gravi evidenze di maltrattamento. L'allevatore applicava alla luce del sole un metodo di "selezione naturale" che presupponeva la non regolare distribuzione del cibo e dell'acqua, affinché solo gli animali più forti sopravvivessero attraverso la sopraffazione dei più deboli. Chi non riusciva dimostrava di non esser adatto a prolificare. Al momento dell'incursione della Forestale sono stati trovati quasi 220 animali, 30 i cuccioli, ridotti a pelle e ossa, pieni di ferite e di parassiti, ricoperti di feci che per stessa ammissione del proprietario non venivano rimosse da anni. Gli animali sopravvissuti sono tuttora ricoverati presso una struttura dell'associazione Animal Liberation , in attesa che la magistratura si esprima sulla denuncia di maltrattamento e gli animali possano essere eventualmente adottati. Il proprietario era in possesso del regolare "affisso" Enci, che è stato poi sospeso al momento del sequestro in attesa della sentenza. E' inquietante, e fa pensare, che anche di fronte a una situazione di tale evidente gravità da comportare un intervento immediato delle autorità, la reazione della cinofilia non sia stata di aperta condanna, anzi. L'allevatore è stato invece appoggiato apertamente dal Pointer Club d'Italia, l'associazione dei "produttori" di questa razza di cani da caccia, che, in contrasto con la stessa Enci, ne giustificava l'operato e si preoccupava che la sottrazione dei cani all'uomo potesse mettere a rischio il prezioso valore genetico dei cani.
E ancora oggi sul sito di un'importante rivista venatoria si leggono i commenti di solerti difensori della razza pura che lamentano lo stato dei cani mostrati, più in carne e liberi, sul sito di Animal Liberation , «rovinati perché troppo grassi rispetto allo standard», e auspicano una revisione della legge sul benessere degli animali perché non possano più accadere casi simili. Ovvero che la vita dei cani possa contare di più del business che si fa sulla loro pelle.
Leonora Pigliucci
Fonte: www.liberazione.it
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