mercoledì 3 ottobre 2012

Di che vi stupite? In Italia sono tutti come Piazza



L’episodio di teppismo (perché in altro modo non si può definire) che ha visti protagonisti Antonio Piazza, Presidente dell’ALER (Azienda per l’Edilizia Residenziale) di Lecco e un disabile, è sintomatico dell'inciviltà italica. Antonio Piazza, il Presidente, arriva con la sua Jaguar davanti alla sede dell’ALER. Deve parcheggiare e non sa dove mettere la macchina. C’è un parcheggio libero, ma è riservato ai disabili. Antonio Piazza, simpaticamente, se ne fotte e, bello inamidato e profumato, parcheggia il suo bel macchinone nel posto riservato. Ma succede che arriva un disabile e, trovando il suo posto occupato da un auto che non espone il tagliando – e che quindi, automaticamente, non ha il permesso per parcheggiare – fa quello che ogni cittadino dovrebbe fare: chiama i Carabinieri, che redigono regolare tagliando di contravvenzione. Quando il Piazza scende in strada, a riprendersi comodamente la sua macchina, si trova la multa sul parabrezza. Si incazza. Riesce a risalire a chi ha chiamato i Carabinieri. E cosa fa? Quello che fa un teppistello da quattro soldi: buca le ruote del disabile; di chi, cioè, ha solo e semplicemente cercato di far rispettare un suo diritto. 

Quanto accaduto a Lecco sarebbe un caso eclatante di per sé stesso, se non fosse per un piccolo particolare. Questo quotidiano episodio di inciviltà accade ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, in ogni città italiana. La maleducazione e l’inciviltà non conoscono distinzioni regionali, non c'è nord o sud che tenga. Provate a guardare, quando camminate per la strada o quando parcheggiate la vostra auto in un centro commerciale, se le macchine che sostano nei parcheggi per disabili hanno il tagliandino colorato. Nove volte su dieci la risposta sarà: no. Volete forse che l’italidiota medio, che deve rincoglionirsi tra gli scaffali del suo centro commerciale preferito, a comprare cose inutili, spenda venti secondi in più per parcheggiare un po’ più lontano rispetto a quanto gli permette di fare il parcheggio per disabili? Non sia mai! Pensate che per ogni persona che ruba un parcheggio – lo “ruba” proprio fisicamente, in quanto si appropria di uno spazio che non è affatto suo ma che è, non per niente, riservato – c’è un potenziale disabile che, una volta arrivato lì, deve aspettare interminabili minuti, a volte anche ore, perché si liberi il suo parcheggio; oppure deve girare sperando di trovarne un altro, magari a pagamento, che sia nelle vicinanze di quello che gli è stato rubato. Ora, non so se l’avete mai notato, ma i parcheggi per disabili sono più larghi, più spaziosi, dei parcheggi normali. Ciò non è un caso: l’uscita del disabile dalla sua auto deve essere facilitata, deve esserci anche lo spazio per approntare una carrozzina, per montarla o per smontarla. Recentemente, accompagnando un amico che a causa di un incidente stradale si è ritrovato su una sedia a rotelle, mi rendo conto di come movimenti che per noi sono naturali, semplici, scontati e banali, che compiamo quasi senza accorgercene, siano, per chi è costretto su una carrozzella, impossibili. Per carità, non fraintendetemi: l’ho sempre saputo e non ho mai parcheggiato in un parcheggio riservato. Ma vedere con i propri occhi che anche superare un piccolissimo scalino, andare in bagno a fare la pipì, affrontare una leggera salita, scegliere un ristorante carino dove andare a cenare fuori, trovare un parcheggio in cui poter montare e smontare la carrozzina quando si scende o sale dall’auto, vedere che tutte queste cose diventano concretamente e realmente delle difficoltà insormontabili, indubbiamente colpisce e, se si ha un minimo di senso civico, non può lasciare indifferenti. 

Ora, come spesso accade, all’inciviltà e alla maleducazione si aggiunge l’arroganza e la protervia. Spesso mi è capitato di dire: “Signora/signore, mi scusi se glielo dico, ma lei sta parcheggiando in un parcheggio riservato”. Le risposte sono un campionario sintomatico dell'italica maleducazione: “Fatti i cazzi tuoi”, “Tanto sono solo 5 minuti”, “Ma adesso c’è poca gente e se vogliono trovano anche i parcheggi non riservati”. Ora, quando mi sento dire così, rispondo sempre a tono: sono anche cazzi miei, dato che sono un cittadino italiano. Anzi, mi stupisco, detto tra noi, che non ci sia ancora scappato il morto (io o l'altro interlocutore). Ma cosa direste se, entrando nel vostro box auto, lo trovaste occupato da un estraneo che vi risponde “Fatti i cazzi tuoi!”, “Tanto ci rimango solo per cinque minuti” oppure “Guardi che se vuole trova parcheggio anche in strada?” Non la prendereste bene. Un disabile, queste cose, se le sente dire tutti i giorni, e più volte al giorno. I subumani che rubano spazio ai disabili sono gli stessi che buttano la carta o la cicca della sigaretta per terra, che lasciano l’immondezza al lato strada (le strade delle località vacanziere sarde, quest’estate, gridavano vendetta a Dio!), che parcheggiano in doppia fila per andare a comprarsi le sigarette (“Tanto sono solo cinque minuti”), che parcheggiano negli spazi per disabili, che mentre fanno manovra ti “sbucciano” la macchina e scappano via, e altro ancora.

L’ho sempre detto: se vogliamo risollevarci moralmente e culturalmente come popolo dobbiamo ripartire dall’ABC. Abbiamo dimenticato i più elementari rudimenti del vivere civile: saluta quando entri in un negozio (non come gli asociali e i subumani che entrano con lo sguardo basso, come se stessero entrando nel bagno di casa), non gettare la cartaccia per terra (la mamma ci rimproverava se per sbaglio la facevamo cadere a casa nostra, figuriamoci fuori!), non parcheggiare nelle strisce gialle o nei parcheggi con il simbolo della carrozzina (trovate un auto parcheggiata nello spazio per disabili che esponga regolarmente il tagliandino, se ce la fate!), non circolare in strada con la musica a tutto volume (moda inventata dai negri americani dei ghetti e che gli italiani, come ogni idiozia estera, hanno diligentemente importato), non suonare il clacson se non è estremamente necessario (non si chiama l’amico che incontri per caso strombazzando come un cretino!), lavati le mani quando esci da un bagno… E si potrebbe continuare per ore. 

A furia di far entrare feccia allogena, stranieri e immigrati, abbiamo perso quella naturale grazia che contraddistingueva il popolo italiano. Imbastardimento e imbarbarimento sono andati di pari passo. La cultura delle classi più nobili e aristocratiche dell’Italia, che era assorta addirittura a scuola di buone maniere (si pensi al successo e alla divulgazione de Il Galateo di Giovanni della Casa all'estero) e attirava i nobili delle altre Nazioni qui da noi, ad imparare l’arte del ben vivere, era modello di riferimento anche per le classi subalterne ed umili. Punto di riferimento e insieme di norme etiche, prima ancora che estetiche. Il contadino poteva anche non aver la lepre alle spezie cucinata dal cuoco di corte, ma non tollerava che i bambini urlassero durante il pranzo, o si alzassero da tavola prima che i “grandi” avessero finito. E questo sentimento era generalizzato. A Goethe, l’Italia resterà impressa nel cuore per quella naturale grazia ed eleganza dei suoi abitanti, quel chiassoso ma genuino vociferare mai volgare, mai noioso. Si perdeva nei vicoli di Napoli a guardare la gente, mentre i fattorini portano la verdura fuori città, mentre sostano a metà mattina bevendo qualcosa in compagnia… Era un popolo, quello italiano, che ispirava una naturale simpatia, perché aveva, quantomeno, dei modelli di sviluppo etici, per quanto non politici.

Se guardiamo al giorno d’oggi quelle che in un altro periodo sarebbero state le “elites”, invece, c'è da piangere. Da chi dovremmo imparare le buone maniere? Dal massone Fiorito, grasso come un (povero!) suino che sta andando al macello, che si intasca un milione e trecentomila euro e poi ride sfacciatamente davanti alla telecamera, sicuro che qualche fratello di loggia riuscirà a tirarlo fuori? Chi dovrebbe insegnarci il bon ton? Nicole Minetti? Fabrizio Corona? Chi dovrebbe fungere da esempio di morigeratezza? Wladimir Luxuria? Nichi Vendola? Silvio Berlusconi?

Antonio Piazza, candidamente, afferma: “E’ da almeno tre anni che parcheggio qui, lo fanno tutti, che problema c’è?” Piazza, che lei parcheggi lì da anni non è una scusante, semmai è un’aggravante! E il “così fan tutti” o “mal comune mezzo gaudio”, in una Nazione che voglia dirsi civile, non ha senso di esistere. 

Ho la soluzione. L’italiano medio, ignorante e arrogante per definizione, avulso a qualunque tentativo di cambiamento e incivilimento, riesce a cambiare solo quando gli si tocca il portafoglio. Perché anziché imporre tasse su tasse su tasse non multiamo l’inciviltà? Rafforziamo i controlli sulle cicche che vengono buttate a terra, sui parcheggi dei disabili usati illecitamente, sui parcheggi in doppia fila, sull’immondizia gettata in mezzo alla strada. La maggioranza degli italiani sono tutti come Piazza (in questo senso siamo ben rappresentati), arroganti e saccenti. Per risollevare questo Paese ripartiamo da quelli del “Ma sono sono 5 minuti!”, “Ma tanto sto andando via!”, “Ma tanto tutti gli altri parcheggi sono liberi”, “Ma è già pieno di cicche di sigaretta a terra!”, “Ma io ho sempre fatto così”. E’ dall’ABC della civiltà, che dobbiamo ripartire.

2 commenti:

Hector ha detto...

amico mio, non sono stati solo gli stranieri, ma anche il lavaggio di quel poco cervello che abbiamo, dovuto alla cosiddetta commedia all'italiana che ci han dato come modelli la subumanità più varia, i furbetti arroganti e volgari, alla Sordi, all'Amici Miei, alla B oldi e Cristian De Sica insieme alle soap-opera. M odelli culturalmente negativi che abbiamo ormai da un quarantennio

Andrea Chessa ha detto...

Hai perfettamente ragione. L'ho scritto in questa frase " Imbastardimento e imbarbarimento sono andati di pari passo." ma forse avrei dovuto sviluppare un po' meglio il concetto. Buttato lì, e lasciato cadere, è troppo poco.