sabato 24 aprile 2010

Viva la Resistenza. Quella vera

Ripropongo un mio articolo di due anni fa. Datato, ma sempre attuale.
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Ogni anno, quando si avvicina il 25 aprile, i gendarmi della memoria propagano, su giornali, riviste e tv, le solite menzogne che gli italiani sono costretti a sorbirsi ormai da decenni. In questo periodo, colui che non ha portato ancora il suo cervello alla rottamazione, è costretto annualmente ad impallidire per la capacità dei gendarmi di fare quello che neanche il più originale dei Goebbels avrebbe anche solo potuto lontanamente concepire: ecco quindi che la sconfitta militare diventa grande vittoria, l’invasione straniera “liberazione”, gli Alleati del giorno prima cattivi ed invasori, i vigliacchi che sparano a tradimento improvvisamente assurgono al grado di “partigiani liberatori”. Certamente, la Storia la scrivono i vincitori, e i vinti devono tacere. Ma non è detto che i vinti debbano tacere per sempre.
Ogni anno, nei cuori di coloro che non hanno tradito, il 25 aprile diventa uno dei tanti spunti di riflessione per constatare la totale degradazione morale, spirituale e politica della Patria. E’ una degradazione che parte da lontano: comincia con la seconda guerra mondiale.
E’ la guerra dell’Occidente che un tempo era Europa e non Stati Uniti d’America, del valore e dell’onore che chiamano a raccolta i più giovani spiriti europei per la creazione dell’Ordine Nuovo di Patria, Onore, Fedeltà, Tradizione ( che non è conservatorismo ), è la guerra del sangue contro l’oro.
L’umiliazione italiana, l’inizio della discesa comincia da lì. Dalla vergogna dell’otto settembre, giorno in cui l’alleato di ieri diventava il nemico di oggi; dai partigiani che, a guerra finita, scendono dalle montagne per sparare alle spalle contro un nemico già sconfitto: non guerra civile, ma vendetta cieca e sadica; dagli Italiani che acclamano i “liberatori” contro i quali hanno combattuto fino al giorno prima; dai corpi senza vita di due amanti sputati, aggrediti, violati; dai Fascisti che sparano e distruggono le effigie del Duce e dell’Italia Fascista che avevano acclamato fino al giorno prima.
Accanto a questi esempi la seconda guerra mondiale fu il banco di prova in cui i Fascisti misero a prova la loro fede. E tante furono le occasioni di onore, di gloria, di disinteressato eroismo. Come non ricordare con commozione i camerati che lì, tra quelle fangose trincee persero la vita? Sono immagini nebulose, lontane, eppure ancora vive e dolorose per chi ama la sua Nazione e la propria gente, per chi sente quel sacrificio nel cuore, lontano dalle squallide celebrazioni resistenziali.
Ad Ardea, a Pratica di Mare, i Fascisti della Folgore si immolano fino all’ultimo uomo per contenere l’avanzata dell’invasione. Partono più di mille, ne resteranno meno di 50.
Nel Lazio le SS Italiane, pur di tenere il fronte, vengono letteralmente dimezzate, e ancora, nella loro ritirata, sparano le loro ultime cartuccie contro il nemico.
In Russia, nelle gelide steppe comandate dal generale Inverno, i camerati dell’ARMIR compiono atti di puro eroismo e di valore assoluto. A questa triste mattanza fa seguito il bollettino n°630 del Comando Militare Sovietico: “Unicamente il Corpo Alpino d’Armata Italiana deve considerarsi imbattuto sul suolo sovietico”.
Mentre l’Europa, questo gigante di milioni di Fascisti e Nazionalsocialisti europei, cade e agonizza in un incessante rogo di bombe, in una mattanza totale e sanguinosa contro le plutocrazie occidentali, i Russi entrano in Germania. I liberatori cominciano subito con quello che sanno fare meglio: stuprano, uccidono, saccheggiano. Anche le bambine vengono ripetutamente violentate, stuprate e dilaniate. Davanti a questa strage la volontà di resistenza dei tedeschi si fa incrollabile: si mobilitano tutti gli uomini dai sedici ai sessanta anni, si preparano le micidiali V1 e V2, si aumenta la produzione bellica. I Russi hanno violato il Reich, lasciando dietro di loro montagne di morti, di stupri, di crimini, eppure la culla della riscossa europea, la Germania, non crolla. I Russi arrivano a Berlino, strada per strada, casa per casa, fino al bunker del Fuhrer. E’ qui che i camerati della SS Charlemagne, i monaci tibetani, le donne tedesche si avventano con disperata furia sui carri armati. E’ una mattanza dolorosa, incalcolabile, commovente e coraggiosa: è l’estremo atto della Germania che non cade e che non si arrende.
E’ qui che migliaia di camerati europei sacrificano la propria vita. E’ qui che, tra le raffiche dei mitragliatori e le bombe che cadono a grappolo, si sente il grido dei giovani hitleriani, tredicenni eppur già uomini: “Continueremo a lottare / anche fino a quando il mondo intorno a noi cadrà in pezzi”.
La bandiera sovietica della falce e martello splende sulla Cancelleria Tedesca. Il Fuhrer, che è rimasto a Berlino nonostante gli innumerevoli consigli per la sua sicurezza personale, si è già sparato alla tempia. All’ufficiale che, poco prima del gesto gli chiederà “Per chi combattiamo noi adesso?” il Fuhrer Adolf Hitler risponde. “Per l’uomo che verrà”.
In Italia, nel frattempo, sono arrivati gli americani. Hanno cominciato dalla Sicilia, incontrando nessuna resistenza nonostante buone postazioni e buoni armamenti permettessero agli italiani perlomeno di contenere l’avanzata a stelle e strisce, e cominciano a risalire tutto lo stivale. Vittorio Emanuele III, resosi conto del cambio di vento, detronizza Mussolini per sostituirlo col massone Badoglio. Scappa poi, seguito da un codazzo di ufficiali che si affollano davanti alla sua nave, ciascuno reclamando un proprio posto per la fuga: è una delle pagine più tristi e più disonorevoli dell’intera Storia italiana.
Per chi è orgoglioso della sua Patria, ricordare questi momenti spinge a vergognarsi di esserlo.

Gli americani salgono tutta l’Italia, si affacciano minacciosi al nord. E’ qui che Pavolini, uno degli uomini più risoluti del Fascismo, organizza le squadre d’azione per l’estrema difesa delle ultime postazioni. Le priorità sono la ridistribuzione delle terre ( si concretizza la socializzazione delle imprese ), il funzionamento delle fabbriche, il contenimento dei sabotaggi e della guerriglia partigiana, la difesa del Duce, liberato da Skorzeny sul Gran Sasso: è un’altra dimostrazione di amicizia di Hitler. Nella tragedia finale c’è la Valtellina, l’estremo sacrificio dei camerati italiani: se il Fascismo deve cadere, allora cadrà gloriosamente. Ma c’è ancora da combattere: è alla RSI e alle Brigate Nere che spetta il compito di difendere l’italianità dell’Istria, della Dalmazia, della Venezia Giulia.Nonostante la sentenza del Tribunale Supremo Militare ( 1954 ) questi uomini non sono ancora inequivocabilmente riconosciuti militari belligeranti.E' nelle rughe di queste terre che uomini, bambini, donne e sacerdoti cadono per sparire nel niente. E' la tragedia delle foibe. Voluta dai partigiani di Tito, aiutati da quelli italiani.

Chi non può combattere, chi non accetta di vivere in un mondo di rovine, sceglie l’estremo sacrificio, il più sofferto, il più personale: il suicidio. E’ Manlio Morgagni, il Direttore della Stefani, che lascia scritte queste parole: "Mio Duce! L'esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto! Non è atto di viltà quello che compio: non ho più energia, non ho più vita. Da più di trenta anni tu, Duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua. Ti ho servito, un tempo, come amico, ho proseguito a farlo, con passione di gregario sempre con devozione assoluta. Ti domando perdono se sparisco. Muoio col tuo nome sulle labbra e un'invocazione per la salvezza dell'Italia. Morgagni". Bagliori accecanti e dolorosi, in cui il nome dell’Italia esce pulito.
I partigiani scendono dai loro nascondigli sui monti: la guerra è finita, può cominciare la mattanza. E’ il preludio di un vero e proprio “genocidio politico” che continuerà fino a dopo gli anni’50 e che passa per i camerati di Oderzo, o per i giovani fascisti della prigione di Schio,
ampiamente conosciuti da decenni ma che qualche giornalista sinistrorso, in vena di un po’ di pubblicità, finge di spolverare adesso.
Milioni di camerati, cementati dalla fede Fascista, hanno combattuto nelle trincee la guerra che ha deciso i futuri assetti dell’Europa e del mondo.
Coloro che oggi stuprano l’Iraq e l’Afghanistan, che sostengono l’unico Stato canaglia del Medio Oriente, il terzo o quarto esercito del mondo, che si appropria di terre altrui, sterminando un intero popolo in nome della sicurezza, hanno già incenerito l’Italia, Dresda, Amburgo, Montecassino, Hiroshima e Nagasaki.
Coloro che ancora oggi piagnucolano per una guerra al cui scoppio essi stessi contribuirono fattivamente, nel 1944, per bocca dell’ebreo Ilija Ehrenburg, così parlavano: “Soldati dell’Armata Rossa! Prendete le donne tedesche, umiliate il loro orgoglio razziale!”: fu senza dubbio un incitamento che venne preso molto sul serio.
Contro la mistificazione di oggi, l’ipocrisia, la commozione a comando, l’intimidazione dei gendarmi della memoria, come devono porsi i Fascisti oggi? Cominciamo a cantare: “Continueremo a lottare / anche fino a quando il mondo intorno a noi cadrà in pezzi”.

Andrea Chessa

4 commenti:

fabrizio dolci ha detto...

come ogni anno alle porte del 25 aprile la tristezza mi assale.

se penso ai camerati morti dimostrando un coraggio unico e irripetuto

se penso alle ausiliarie fasciste torturate e stuprate,i cui corpi ancora non si tovano

se penso ai piccoli balilla poco piu che bambini,anch'essi non sfuggirono al terrore rosso.

per me e una giornata di lutto,e vedere i "festeggiamenti" mi da il voltastomaco.

considera che io abito a reggio emilia a pochi chilometri dal "museo" dei fratelli cervi,qui e uno schifo.

pero a sentire le tue parole mi tira su di morale,da fascista vero e non uno dei tanti ridicoli "estremisti" continua cosi!

A NOI!

anche fino a quando il mondo intorno a noi cadrà in pezzi

Andrea Chessa ha detto...

Caro camerata,
non dobbiamo mai smettere di dimenticare i nostri martiri ed i nostri morti, nè dobbiamo lasciarci sedurre dalle sirene dell'antifascismo e del presente.
Restiamo in piedi, e continuiamo a cantare in mezzo a queste rovine.

Un saluto

Dimitris ha detto...

Testo magnifico. Bravo, Andrea!

Andrea Chessa ha detto...

Ti ringrazio, camerata.