giovedì 23 ottobre 2008

Acqua, fango e lacrime


Più di duecento sfollati; 600 famiglie isolate; più di 20 milioni di euro di danni; quattro morti: Speranza Sollai, Mariano Spiga, Licia Zucca, Antonello Porcu.
Poche righe bastano a dare l’idea della tragedia che ieri si è abbattuta su Cagliari e dintorni, raffigurata dall’acqua che tutto travolge e niente può fermare.
Cagliari stessa, fin dalle prime ore della mattina, si sveglia sotto l’acqua che corre per le vie, travolge persone, sballotta le automobili quà e là, inonda di fango le case, i negozi. Saltano i tombini, le fognature si ostruiscono, la circolazione di buona parte del traffico cittadino è completamente paralizzata. Via dell’Agricoltura, Via Villanova, Via Garibaldi e Via Manno (tradizionale meta dello “shopping” cittadino), Viale Marconi, Viale Diaz… Sono solo alcune vie tra le più colpite, dove l’acqua si alza minacciosa senza conoscere alcun ostacolo, alcuna barriera. Sembra di essere catapultati di colpo dentro le immagini di New Orleans che gli italiani guardavano alla televisione solo qualche mese fa: le macchine che galleggiano tra le vie, senza alcun controllo; i cittadini che cercano di farsi strada con l’acqua fino alla vita; le suppellettili delle case e dei negozi trascinati via e ciondolanti nel torrente, quasi come se l’acqua non si accontentasse di angariare i cagliaritani, ma addirittura di sbeffeggiarli; i passanti che, in un immenso sforzo collettivo e aiutati dai sempre encomiabili Vigili del Fuoco, dalla Polizia e dai Carabinieri, cercano di far ripartire le auto ingolfate dall’acqua, di mettere in sano e salvo i passanti bloccati dentro le cantine, di combattere quest’acqua che una via per passare la trova sempre.
Ma come se non bastasse, a pochi chilometri da Cagliari si consuma la vera tragedia: il maltempo esige le sue vittime e adesso, prima di lasciar riprendere un po’ di fiato alla popolazione stremata, ne prende quattro: Speranza Sollai, affogata nella sua cantina dalla furia dell’acqua; Mariano Spiga, Licia Zucca e Antonello Porcu, travolti dal fiume mentre viaggiavano in auto, chi per raggiungere il posto di lavoro, chi mentre si reca al suo terreno per cominciare una giornata di lavoro.
Le autorità cercano di fare quel che possono: si prestano subito le prime cure; si cerca di recuperare coloro che rimangono isolati nei terreni e nelle campagne, circondati e minacciati dall’acqua; si allestiscono i primi posti letto; si cerca cibo e medicine per le persone più anziane e per i bambini. E’ una umanità provata e stremata quella che si presenta in queste ore drammatiche. Intere famiglie hanno perso la casa, altre l’hanno avuta parzialmente rovinata, altre si ritrovano con i frigoriferi, le lavatrici, i divani o le credenze del salotto completamente immarcescite dall’acqua e dal fango.
Le città di Capoterra e di Sestu escono notevolmente ridimensionate nella loro stessa geografia
: molte case non esistono più, le strade sono spaccate, alcuni ponti sono crollati, gli stessi luoghi della collettività sono danneggiati: le scuole, le palestre pubbliche, gli uffici pubblici, le chiese. In questa tragedia che si abbatte di colpo Polizia e Carabinieri sono costrette a dedicare una parte dei propri attivi a prevenire lo sciacallaggio. Già i primi furfanti cercano di entrare nelle case di chi ha dovuto abbandonarle in fretta e furia, facendosi largo tra le macerie e cercando qualcosa da poter razziare: un mobile salvato dall’acqua, un materasso, la credenzina di un bagno, un bidet…. E’ la squallida e vergognosa conclusione di una giornata che ha scritto col sangue e con le lacrime la Storia della Sardegna e dell’Italia.
E mentre alcuni piangono i propri morti, altri la perdita della propria casa, altri ancora le proprie automobili, i propri elettrodomestici, i giardini delle loro case disintegrati dal fango, cominciano già a farsi sentire le prime avvisaglie di una polemica che si vuole infinita. Il sistema di soccorso ha funzionato al meglio? C’è stata buona coordinazione tra le forze di soccorso e le forze dell’ordine? Le istituzioni hanno reagito bene oppure erano impreparate? Queste considerazioni, nei giorni del dolore e della rabbia, non hanno ragione di essere fatte: non renderebbero onore ai tantissimi volontari, vigili del fuoco, poliziotti, carabinieri e semplici cittadini che hanno lavorato ore e ore, indefessamente e senza sosta, per alleviare, seppur un minimo, le sofferenze dei cittadini colpiti da questa calamità, per mettere in sicurezza le case, per soccorrere i cittadini isolati in mezzo ai loro terreni, per fornire coperte, cibo e medicinali ai più sfortunati. Viene da piangere davanti a questi uomini incondizionatamente dediti al soccorso dell’”altro”, davanti ai cittadini che danno le loro coperte agli sfollati, davanti ai bambini che si siedono accanto a chi piange il proprio dolore, cercando di condividerlo, o di alleviarlo.
Il bilancio, si è già avuto modo di sottolinearlo, è drammatico. Non solo in termini economici, ma in termini di vite umane e di affetti, di gran lunga più importanti. Ma è una situazione, spiace dirlo e scriverlo, che non sarebbe mai successa se Capoterra e Sestu, ma Capoterra in particolare, non fossero state invase, negli anni passati, dalla cementificazione selvaggia. Le strade, le scuole pubbliche, le palestre, per anni e anni sono state costruite sopra i torrenti, troppo vicine al fiume. Troppo poco spazio si è lasciato per i letti dei fiumi, soffocati dal cemento. Adesso, che in un solo giorno cadono 370 millimetri di pioggia in questa terra (in tutto l’anno di media ne cadono 550), quegli stessi letti dei fiumi, i torrenti, gli argini e i convogli dell’acqua si risvegliano dal loro torpore per riprendersi quello che l’uomo ha loro rubato. E che, nella sua furia, ha distrutto le case e le vite di chi quelle abitazioni le ha comperate, inconsapevole della situazione, e non di quelli amministratori e imprenditori criminali che le case le hanno costruite. Dopo il fango e le lacrime, una politica responsabile e sana dovrebbe chiarire anche questo.

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