“Non sputare in alto, ché in faccia ti ritorna”, diceva mio nonno.
Il politicamente corretto fa un’altra illustre vittima. Siamo negli Stati Uniti, e stavolta l’obbiettivo dei benpensanti è Alexi McCammond. Carriera rapida e veloce, a 27 anni questo genietto afroamericano del giornalismo si è trovata a condurre Teen Vogue (dicono le stesse cazzate di Vogue, ma per un pubblico di imbecilli adolescenti). Nemmeno il tempo di sedersi sulla scrivania del Direttore e stringere le mani di congratulazioni per la nuova nomina che qualcuno, però, ha voluto giocarle un brutto scherzo, andando a ripescare alcuni interventi affidati alla sua bacheca di Facebook, in cui la McCammond ironizza su negri, asiatici ed omosessuali, addirittura dieci anni fa, quando la McCammond, cioè, aveva 17 anni. Beninteso, per quest’ironia considerata greve e sconveniente la ragazza aveva già chiesto scusa due anni fa (se invece fai ironia sui ciccioni o sui pelati nessuno si indigna: quella è satira – ma questo è un altro discorso), ma evidentemente non è bastato. In attesa di reintrodurre le punizioni corporali ed il cilicio per l’autoflagellazione, alla redazione di Teen Vogue sono arrivate una marea di lettere di protesta da parte di una pletora di minchioni in fase ormonale, e gli investitori hanno minacciato di chiudere il portafogli: toccata nel vivo – cioè il vil denaro – la redazione di Teen Vogue ha dato il benservito alla giornalista.
L’ideologia politicamente corretta è una sorta di Grande Fratello orwelliano che tutto vede, tutto sente, e nulla perdona: nessuno è al sicuro, nemmeno una giornalista donna, giovane, di colore, premiata con encomi dall’Associazione dei Giornalisti Neri americana (si, esiste un’associazione simile, ma dubitiamo che esista un’associazione simile per i giornalisti di carnagione chiara) – che quindi avrebbe tutte le carte in regola per essere la rappresentante perfetta dell’informazione mainestream – chiamata invece a scusarsi per degli interventi ironici di quando era adolescente, fatta fuori senza tanti complimenti per accontentare una generazione di adolescenti rincoglioniti da genitori altrettanto rincoglioniti.
È la “cancel culture”, bellezza, e non ci possiamo fare niente. O no?
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