venerdì 21 aprile 2017

Del Grande: ecco per chi si mobilita questa Italia



“L’Italia si mobilita per Gabriele Del Grande”, “Facciamo un appello per la sua liberazione”, “Gabriele Del Grande e la libertà di tutti”, etc. In queste ore la cronaca, e il dibattito politico, sono tutti imperniati non sulla crisi economica, non sul problema immigratorio che si configura sempre più come una vera e propria invasione di massa, non sulle difficoltà di famiglie e imprese, non sul problema occupazionale. No. Tutti parlano di Gabriele Del Grande. E chi sarebbe, questo simpatico ragazzo per il quale Boldrini, Mattarella, Saviano e Vespa cercano di mobilitare le folle?

Basta andare sul suo blog, Fortress Europe, e spulciare qualche minuto internet, per rendersene prontamente conto: ragazzotto di sinistra, fiero sostenitore dell’invasione africana che sta subendo l’Europa, Gabriele Del Grande è il modello perfetto dello studente Erasmus che oscilla tra l’Italia, la Grecia, la Gran Bretagna e il Medio Oriente, giocando a fare il giornalista d’assalto, l’indipendente, lo schierato anticonformista. A sinistra, ovviamente, ché a fare gli anticonformisti dall’altra parte non conviene minimamente, e se finisci nei guai in qualche gattabuia straniera col cavolo che Saviano e Mattarella e la Boldrini si mobilitano per te. 

Uno sguardo al suo blog lascia quantomeno interdetti. Ecco cosa scrive dei terroristi che combatte contro Assad, paragonati a moderni partigiani (e da questo punto di vista potrebbe pure avere ragione: terroristi gli uni, terroristi gli altri): Gli uomini di religione [la] chiamano jihad. Ed è quello che sta spingendo centinaia di giovani da tutto il mondo a unirsi alla rivoluzione siriana. Ragazzi come Abu Zeid e Abu Moaz, che in Siria sono arrivati da molto lontano. Non tutti hanno una formazione islamista radicale. Tanti sono venuti semplicemente per seguire un grande ideale di solidarietà con la comunità musulmana sunnita siriana, a cui sentono di appartenere al di là delle frontiere. Né più né meno come i comunisti italiani che nel 1936 andarono in Spagna a combattere contro il fascismo”. Bravi ragazzi, sognatori e disinteressati, questi moderni “no pasaran” che combattono il crudele dittatore. 

Più avanti si legge: “Gronda sangue  il sacco sulle spalle del vecchio appena uscito dalla sede della brigata islamista. Dentro ci sono i vestiti degli shabbiha catturati nei giorni scorsi. Si tratta dei criminali assoldati dal regime per perseguitare gli oppositori. A tagliare loro la gola è stato l’afgano, con una specie di spada. I corpi li hanno sepolti nella piazzola sotto il cavalcavia, dove hanno già sotterrato un’altra ventina di sgherri del regime giustiziati alla stessa maniera”. Che bravi ragazzi, questi partigiani siriani: tagliano le gole degli shabiha (i volontari di Assad, in Siria, vengono appellati così in senso dispregiativo), gli sgherri del regime, ma signora!, vedesse quanto sono belli e bravi, che visi paciocconi che hanno questi birbanti! 

Nell’articolo “Siria: i primi villaggi cristiani nelle mani degli insorti” Del Grande ci comunica che per gli shabiha catturati, i lealisti di Bashar Al Assad, “di solito è prevista la condanna a morte. Previa indagine del tribunale islamico da poco istituito nella vicina Darkush”. Sono moderni e civili, questi partigiani siriani: mica sgozzano  il nemico così, alla membro di segugio, no!, hanno pure il Tribunale!, sono civilissimi.

I terroristi siriani, che armati dall’Occidente corrotto e abbruttito cercano di rovesciare il governo di quello che è, a tutti gli effetti, un Presidente democraticamente eletto, sono descritti con toni romantici, cavallereschi. Nell’articolo “Speciale Siria. Internazionalisti o terroristi?” leggiamo: “Lasciati i fucili all'ingresso della clinica e trascinati dalla voce di petto di Abu Zeid, avevano intrattenuto medici e infermieri per una buona mezz'ora con tutto un repertorio di canzoni di guerra. Canzoni che incoraggiano i ragazzi a impugnare le armi, a dire addio ai propri familiari e a partire per la guerra. Una guerra combattuta nel nome di dio per porre fine all'ingiustizia e all'oppressione e per diffondere l'islam. Senza temere mai di morire. Perché chi muore da martire nella via del signore, vivrà in paradiso in eterno. È quello che gli uomini di religione chiamano jihad. Ed è quello che sta spingendo centinaia di giovani da tutto il mondo a unirsi alla rivoluzione siriana. Ragazzi come Abu Zeid e Abu Moaz, che in Siria sono arrivati da molto lontano.” No comment. 

Sulla triste bandiera nera, simbolo dei terroristi anti-Assad e che abbiamo visto anche mostrate in alcune manifestazione svoltesi in Italia: “Per anni quella bandiera nera è stata usata da una miriade di sigle del terrorismo islamico. Nella Siria di oggi però è diventata il simbolo dell'internazionalismo islamista.” Non certamente del terrorismo islamico, ci mancherebbe altro!

Insomma: pieno sostegno, celato solo apparentemente da una sorta di neutralità mista a benevolenza,  ai terroristi. 

Sul fronte immigrazione, altro grande cavallo di battaglia del blog di Del Grande, anche qui non ci discostiamo dalla solita cantilena immigrazionista e terzomondista che i media battono con la grancassa. Già la prima pagina del blog, non appena vi si accede, mostra una cronologia, dal 1988 ad oggi, dei clandestini morti in mare cercando di raggiungere le coste italiane: un grande randello morale mediante il quale il lettore dovrebbe cominciare, fin da subito, a sentirsi in colpa. Infatti gli immigrati che in massa invadono le coste italiane non sono quello che sono, cioè cittadini di nazioni sovrane straniere che cercano illegalmente di entrare in territorio altrui senza averne il permesso, bensì le “vittime di questi anni di repressione della libertà di movimento”. Le frontiere non esistono. I sacri diritti di una nazione di decidere chi accogliere e chi no all’interno del proprio territorio sono solo ostacoli burocratici all’invasione, pomposamente definita “accoglienza”. 

Dulcis in fundo: sapete da chi è stato finanziato il blog di questo freelancer anticonformista? Dalla Open Society Institute, già dal nome testa di ariete del meticciato globale e del multi razzismo d’accatto. E sapete di chi è la Open Society Institute? Di George Soros. Esatto, proprio lui. Il criminale di guerra responsabile della svalutazione della lira italiana (e della crisi economica che ne seguì), dei colpi di Stato in diversi paesi, e di altre simpatiche cosette che in nazioni ancora civili gli varrebbero l’arresto, se solo osasse metterci piede (come l’Ungheria di Orban).

Ecco per chi Boldrini, Saviano, Mattarella e tutta l’intellighenzia di sinistra, che continua a monopolizzare gran parte dell’informazione di questo Paese, fa il tifo. Non per noi comuni mortali, vessati dalle tasse e da un fisico esoso e rapace, dal senso di insicurezza e di malessere creata da una immigrazione incontrollata che ingrassa solo ong e cooperative rosse, dalla insicurezza lavorativa ed economica di uno Stato che per i terremotati italiani spende un euro e mezzo ma che per gli invasori africani ne stanzia tre in più. No, noi comuni mortali, che abbiamo la colpa gravissima di essere italiani e bianchi, possiamo pure schiattare. Tutta l’attenzione deve essere sugli universitari che fanno le spie o al massimo sui giornalisti che giocano a fare gli alternativi di sinistra, difendendo clandestini e terroristi musulmani con i soldini di George Soros e che, a volte, finiscono dove non dovrebbero essere.

Ognuno è libero di andare in giro a fare il paladino dei terroristi e a difendere l’immigrazione incontrollata che sta contribuendo a disintegrare la sua stessa Nazione. Non ci uniremo, però, al piagnisteo dominante e alle prese di posizione democratiche.

La Turchia non è l’Italia, dove al massimo ti danno un buffetto sulla guancia e la si finisce a tarallucci  e vino. Lì, almeno, sanno che cosa significhi violare confini che si ritengono sacri ed inviolabili. Ed Erdogan non è Gentiloni.

Tanti auguri.

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