Se esiste un momento, nella storia
delle civiltà, in cui la decadenza si tocca con mano, si sente, si respira, si
vive quotidianamente, questo è quello attuale. I romani del 476 d.C. avevano,
quantomeno, una scusante: essendo immersi in quel tempo, ed essendo il primo e
il più grande impero che il mondo abbia mai conosciuto, era semplicemente
inconcepibile che Roma, voluta dagli dei e plasmata con la mano degli uomini,
potesse cadere. Per mano dei germanici, per giunta! Invece, come sappiamo,
accadde, più o meno (non è in questa sede il caso di dibattere dell’influenza
del cristianesimo sulla caduta e sulla fine dell’Impero Romano) esattamente
così.
Lungi noi dall'essere un Impero, ma è indubbio che la sovranità
nazionale dell’Italia, così come ci intestardiamo a concepirla e a sognarla
ancora, sul solco di quella Tradizione di regole e giustizia che i popoli si
sono autoimposti per secoli e secoli e che hanno permesso il fiorire della
civiltà e del progresso, è sostanzialmente cancellata. Dai grandi mutamenti che
viviamo alle polemiche di bottega, assistiamo ad un degrado dello Stato quale
mai si era visto.
L’invasione migratoria, innanzitutto. Nessuno di noi ha mai
pensato di innalzare muri, costruire frontiere, imbastire blocchi navali:
abbiamo sempre pensato che il confronto fra culture e persone diverse fosse
necessario e auspicabile. Quella che sta subendo l’Italia, però, altro non è
che una vera e propria invasione, attuata con mezzi solo apparentemente
pacifici, che sta rapidamente disgregando non solo la componente etnica,
culturale e spirituale di quello che un tempo non avremmo esitato a definire
come il popolo italiano, bensì anche le sue istituzioni, il suo Stato sociale,
i suoi fondamentali punti di riferimento. Sarebbe facile bollare questa invasione
del continente italiano ed europeo come il risultato di politiche buoniste,
frutto delle scelte scellerate di una classe politica che, mentre rimane
saldamente trincerata dietro le sue posizioni di privilegio economico, sociale
e politico, un giorno si e l’altro pure trova necessario indicarci col suo
ditino moralizzatore per darci dei razzisti se solo osiamo ribellarci
all’immigrazione, definita come un qualcosa di quasi necessario, addirittura
inevitabile, quasi fosse un imposizione della Storia e contro la quale gli
uomini non possono assolutamente opporsi. Ciò ha anche la sua importanza, senza
alcun dubbio, ma non tutti sanno che l’imbastardimento del continente europeo,
nelle sue componenti razziali quanto spirituali, è invece un piano ben studiato
a tavolino e che, dopo la sconfitta dei Fascismi nel secondo conflitto
mondiale, ha potuto trovare, lentamente ma inesorabilmente, piena applicazione.
Fu infatti il Conte Richard Kalergi, massone di alto rango, colui che fin dal
1922, anno in cui fondò il suo movimento “Paneuropa”, pensò al continente non come
ad un insieme di nazioni, ognuna dotata della propria specificità, delle
proprie caratteristiche culturali, economiche, morali e spirituali, bensì come
ad un unico, immenso calderone multirazziale nel quale i popoli sarebbero
confluiti per perdere ognuno le proprie caratteristiche fondamentali e
diventare una informe massa di sudditi, manovrabili a piacimento dalle elites
mondialiste.
Eccome come Gerd Honsik, nel suo “Il piano Kalergi”, descrive
l’idea che, pian piano, si insediò nei think-thank intellettuali, nei salotti
dell’intellettualità europea e, infine, nelle stanze dei bottoni della
politica:
Kalergi proclama l’abolizione del diritto di
autodeterminazione dei popoli e, successivamente, l’eliminazione delle nazioni
per mezzo dei movimenti etnici separatisti o l’immigrazione allogena di massa.
Affinchè l’Europa sia dominabile dall’elite, pretende di trasformare i popoli
omogenei in una razza mescolata di bianchi, negri e asiatici. A questi meticci egli
attribuisce crudeltà, infedeltà e altre caratteristiche che, secondo lui,
devono essere create coscientemente perché sono indispensabili per conseguire
la superiorità dell’elite. Eliminando per prima la democrazia, ossia il governo
del popolo, e poi il popolo medesimo attraverso la mescolanza razziale, la
razza bianca deve essere sostituita da una razza meticcia facilmente
dominabile. Abolendo il principio dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge
e evitando qualunque critica alle minoranze con leggi straordinarie che le
proteggano, si riuscirà a reprimere la massa. I politici del suo tempo diedero
ascolto a Kalergi, le potenze occidentali si basarono sul suo piano e le
banche, la stampa e i servizi segreti americani finanziarono i suoi progetti. I
capi della politica europea sanno bene che è lui l’autore di questa Europa che
si dirige a Bruxelles e a Maastricht. Kalergi, sconosciuto all’opinione
pubblica, nelle classi di storia e tra i deputati è considerato come il padre
di Maastricht e del multiculturalismo. La novità del suo piano non è che
accetta il genocidio come mezzo per raggiungere il potere, ma che pretende
creare dei subumani, i quali grazie alle loro caratteristiche negative come
l’incapacità e l’instabilità, garantiscano la tolleranza e l’accettazione di
quella “razza nobile”.
Una abnorme massa di bestie, senza più alcuna
cultura da difendere, senza religione, senza tradizione, è ben più facilmente
malleabile e dominabile di un popolo di patrioti, che amano la propria Patria,
la propria terra e, all’occorrenza, sono anche disposti a combattere e a dare
la propria vita per difendere quei valori superiori nei quali credono.
In un
mondo anche solo di cinquant’anni fa avremmo potuto esprimere senza timore
tutto il nostro odio e il nostro disprezzo per i giovani di venti, trenta,
quaranta e cinquant’anni che partono per scappare dalle miserie della propria
Patria anziché imbracciare un fucile per difenderla come hanno fatto i nostri
avi e, più generalmente, come hanno sempre fatto le comunità nazionali quando,
a torto o a ragione, si sono trovate minacciate nella propria libertà e
finanche nella propria esistenza. Del resto cosa hanno fatto Fascisti e
partigiani, pur su posizioni diametralmente opposte, se non imbracciare il
fucile per lottare in nome di quegli ideali che, a torto o a ragione,
professavano? Viceversa, oggi, esprimere un simile concetto non solo significa
per il suo autore una condanna unanime come razzista, omofobo e Fascista, ma
viene usato, nella retorica disgustosamente pietista e buonista propinata ogni
giorno a piene mani dai media di massa, come scusa per favorire quella
invasione a causa della quale un sempre maggior numero di italiani vive in
situazioni di insicurezza, disagio, malessere costante, quando non in situazioni
di vera e propria criminalità.
Il mantra buonista, ormai, viene imposto dal
Sistema come qualcosa in cui credere senza fare domande, come una vera e
propria religione laica e che, proprio come una religione, ha i suoi dogmi
(“Scappano dalla miseria e dalla guerra”, “Noi occidentali siamo in gran parte
responsabili delle loro sventure”), i suoi martiri (la figura del “migrante”,
termine utilizzato della neolingua orwelliana per definire quello che è rimarrà
solo e semplicemente un immigrato clandestino, quando non un vero e proprio
parassita che, per tutta una serie di ragioni dipendenti o meno dalla sua
volontà, si trova a sussistere esclusivamente con i mezzi di sussistenza e di
vita che altri gli forniscono, cioè da parassita), i suoi nemici di sempre (il razzista,
il fascista, l’omofobo, colui che rifiuta di integrarsi).
Apro una piccola
parentesi: chi ha detto che io debba integrarmi? Cosa dovrei imparare da una
cultura, come è spesso e volentieri quella africana, che è decenni, se non
secoli, indietro a noi per quanto riguarda le regole di civiltà e di
convivenza? Cosa mai avrei da imparare da gente simile? E se, pur avendo
qualcosa da imparare, non volessi farlo e volessi rimanere rinchiuso nella mia
crassa ignoranza e nella mia bieca “chiusura mentale”? Anche i mentalmente
chiusi, ammesso e non concesso che lo siano veramente, dovrebbero poter avere
il diritto di rimanere tali.
Questa immigrazione di massa, come dicevo sopra,
viene descritta come un qualcosa di necessario, di ineluttabile, di quasi auspicabile
per poter creare quella sorta di Paradiso sulla terra in cui, liberi finalmente
dalle nostre antiche costrizioni mentali come le nozioni di razza, di cultura,
di religione, di Patria, potremo vivere tutti insieme, e liberi. Se certe
stupidaggini non venissero propagandate dai media con una tale insistenza e con
una tale forza da far presa su una grandissima parte degli italiani, sarebbe
addirittura imbarazzante parlarne. La prima reazione degli antirazzisti, questa
massa di personaggi costantemente animata da un imbecille senso di colpa nei
confronti del mondo africano e che pretende di mondare, essa stessa, per tutti
quanti (anche coloro che responsabili non si sentono affatto), quelle colpe di
cui si sente responsabile disintegrando e annichilendo i propri simili, è
quella di etichettare tutti coloro che si oppongono all’immigrazione come dei
trogloditi, dei violenti, degli insensibili alla sofferenza altrui, dei
violenti fascisti che si trincerano dietro le proprie posizioni di privilegio.
Bastava poco per capire, come la cronaca e come le inchieste giudiziarie
mettono in luce tutti i giorni, che coloro che si arricchiscono con
l’immigrazione sono essenzialmente la Chiesa e le cooperative rosse, e che i
cattivi fascisti, il più delle volte, spesso e volentieri sono semplici
cittadini, che sono costretti ad urlare con forza per vedersi riconoscere i
diritti che, in uno Stato civile, sarebbero semplicemente acquisiti: il diritto
di precedenza nell’assegnazione di una casa popolare o di un posto di lavoro,
il diritto a vivere nel proprio quartiere senza essere costretto ad avere a che
fare quotidianamente con ladri, assassini, spacciatori e prostitute, tutte
categorie che, di fatto, si sono impossessati dei quartieri di molte città che
sono diventati “cosa loro”.
Poiché l’olezzo di tali balle è diventato talmente
forte che anche coloro che facevano finta di sentire solo odore di lavanda e
vaniglia non possono ormai fare più finta di niente, e vedono montare sempre di
più la rabbia di una sempre maggiore parte di italiani (i quali, spesso,
condividono con questi indegni esseri la colpa di non essersi opposti come
avrebbero dovuto e potuto alle politiche mondialiste e liberiste di questa
gentaglia, quando non hanno la colpa, gravissima, di averli votati e sostenuti
per anni), siamo costretti, alla TV o sui giornali, ad avere a che fare con
la nuova figura formata da questi presunti mediatori culturali che, se da un lato cercano di portare avanti le loro
ragioni, basate semplicemente su un disgustoso buonismo pietista che favorisce
gente lontana da noi (ma molto vicina a loro) per discriminare chi invece parla
la nostra stessa lingua e ha il nostro stesso colore della pelle, spesso e
volentieri sentenziano: “Capiamo le vostre paure, spesso si ha paura di ciò che
non si conosce”. Questo pensiero, oltre che ridicolo, è anche profondamente
offensivo, in quanto sembra quasi di avere a che fare non con dei cittadini che
difendono i loro diritti, ma con dei cavernicoli incapaci di relazionarsi con
chiunque non sia il suo vicino di casa, e spesso nemmeno con quello. Gioverebbe
ricordare, ai soloni ed ai fanatici dell’accoglienza, che l’Italia, e con essa
l’Europa tutta, è una comunità storicamente abituata al contatto con genti
straniere, con culture diverse, con popolazioni solo apparentemente lontane da
noi. Sentirci dare dei “mentalmente chiusi” da gente i cui popoli, spesso e
volentieri, vivono ancora in capanne è francamente assai fastidioso.
Che ci voglia una certa dose di
coraggio, anche fisico, nel difendere la sovranità della propria Nazione, ce lo
dimostra qualunque giornale degli ultimi giorni. Semplici fatti di cronaca che
però assumono una rilevanza ben più importante di quella che potrebbe sembrare
apparentemente.
A cosa mi riferisco, in particolare?
È presto detto. Qualche giorno fa Vittorio Brumotti, il campione di bike trail
e inviato speciale del programma Mediaset “Striscia la Notizia” è stato
aggredito, per questioni futili, da un gruppo di albanesi mentre pedalava con
la sua mountain bike. Immediatamente, sui social network e non solo, la sua
prima preoccupazione è stata quella di non alimentare alcun episodio di
razzismo dichiarando chiaramente: “Sono stato pestato da un gruppo di albanesi,
ma mi raccomando, ragazzi: non facciamo i razzisti”. Potete solo immaginare
quanto sia forte il regime se un uomo di spettacolo, quale è Brumotti, subisce un pestaggio violentissimo e immediatamente dopo si sente in dovere, per salvarsi la carriera (che, ci
auguriamo di no per lui, ovviamente!, è in serio pericolo, visto che è stato
pestato con talmente tanta rabbia e violenza che la parete dell’occhio si è
staccata e dovrà subire un delicatissimo intervento chirurgico che, se non
riuscirà, potrebbe compromettere per sempre la sua capacità visiva), di chiedere di non commentare con insulti razzisti sulla sua pagina Facebook.
Solo un malato di mente, drogato
dalla propaganda mondialista e mass mediatica incessante, può lasciarsi andare
in sproloqui antirazzisti dopo essere stato appena pestato. Brumotti è un
personaggio pubblico, e deve garantirsi la carriera: mai gli sarebbe permesso
un minimo sgarro. Peccato che la stessa cosa non possano dire Frank e sua
moglie, i due commercianti di Brescia che sono stati uccisi da una coppia di
pakistani perché – udite udite! – gli rubavano il lavoro. Nemmeno noi, che pure
in quanto a pessimismo spesso e volentieri non scherziamo affatto, ci saremmo
mai immaginati gli stranieri che uccidono perché gli italiani, in Italia, gli
rubano il lavoro.
Mai ci saremmo immaginati di vedere
gente proveniente dall’Africa protestare, da comodi alberghi a 4 stelle che
molti italiani, tartassati da uno Stato tanto prepotente quanto sanguisuga, nemmeno
si sognano, per il troppo caldo. Mai ci saremmo sognati di vedere gente che
scappa dalla propria Terra (e già questo, lo ripetiamo, solo qualche decennio
fa, quando ancora le comunità avevano ancora qualche ombra di patriottismo,
sarebbe stato considerato un crimine intollerabile) a causa della guerra e
della fame buttare i piatti della Caritas in mezzo alla strada, perché non
confacenti alle prescrizioni religiose dei clandestini o perché, più
semplicemente, poco buoni.
Che questo Stato sia assente, ormai,
è palese anche a chi, per lo stesso Stato, ci lavora. Lo dice molto bene
Francesco Florit, gip in forza al Tribunale di Udine, che è costretto
candidamente ad ammettere quello che a chiunque non sia un malato di mente
devastato dal cancro dell’antirazzismo appare chiaro ed inconfutabile: che in
Italia la certezza della pena è inesistente, che lo Stato ha una manica larga,
anzi larghissima, con i delinquenti, ancor più se sono clandestini, e che pertanto sempre più persone vengono qui perché
si può delinquere tranquillamente. Perché una Boldrini, un Nichi Vendola, un
magistrato che ti dà le attenuanti, qualcuno in tua difesa, sia come sia, in
questo Paese lo trovi sempre.
Lo hanno dimostrato bene i Casamonica,
omaggiando il loro boss esperto in armi, estorsione, riciclaggio di denaro
sporco, droga e prostituzione, che si permettono funerali sfarzosi,
costringendo tutta la politica, da destra e da sinistra, a clamorosi distinguo,
prese di posizione, “non sapevamo”, “se sapevamo ci siamo dimenticati”, “se non
c’ero dormivo”.
Uno Stato del genere, terra di
conquista per ladri, immigrati di varia risma, delinquenti comuni, mafiosi,
massoni ed assassini, non merita i Falcone, i Borsellino, i Mori, e tutti
coloro che si sono silenziosamente ed eroicamente sacrificato per il bene di
questa nazione smemorata ed ingrata. Uno Stato del genere, che non riesce
nemmeno a fermare due zingarelle in metropolitana (a proposito: avete mai preso
la metropolitana a Roma? Avete visto con quale arroganza e impunità le
borseggiatrici rom importunano i passeggeri nei pressi delle biglietterie,
minacciano chi le scaccia via, sbeffeggiano ed insultano le forze dell’ordine?)
cosa può pensare di fare contro un clan mafioso potentissimo, che ha
ramificazioni economiche ed affaristiche in tutta Europa, e che non esita a
sparare per raggiungere i suoi obiettivi?
Noi, invece, che cosa possiamo fare
in tutto questo? Resistere. Resistere ad oltranza. Difendere un’Idea, difendere
noi stessi, impersonare nei nostri atteggiamenti, nel nostro disprezzo e nel
nostro odio verso questo mondo in rovina, l’ultima, estrema forma di
resistenza. Prima o poi il vento dovrà cambiare direzione. E chissà che, dai
semi che abbiamo piantato noi, non possa giungere qualcuno o qualcosa migliore
di noi, ma che a noi dovrà essere, almeno un minimo, debitore.
Perché sappiamo che Roma cadde. E risorse. Di nuovo.
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