giovedì 10 giugno 2010

Settanta anni fa non sbagliammo



No. Non fu un errore, la guerra che Mussolini dichiarò alle potenze capitalistiche il 10 giugno di settanta anni fa. Fu la scelta più importante e rischiosa, nella quale un’Idea che da sempre si era proposta come baluardo per i deboli e i diseredati giocava la partita del destino. Nove mesi prima la guerra era stata dichiarata dai capitalisti e dagli occulti poteri massonici transnazionali alla Germania. Quella Nazione gloriosa e potente che qualcuno, sfregandosi le mani puntute, già vedeva come terra di conquista, e che invece in otto anni si era risollevata e chiedeva giustizia per i torti e le umiliazioni subite. E per piegare questo popolo, così saturo di onore e di disciplina, si era pensato a tutto. Ma laddove non riuscì Weimar e la prima guerra mondiale arrivarono le continue provocazioni polacche, il continuo e reiterato massacro dei civili tedeschi alle frontiere, che spinsero i Tedeschi a farsi giustizia da soli, viste le orecchie da mercante di chi già da allora pretendeva di detenere esso solo il monopolio della giustizia e dei buoni sentimenti da ballo di gala.

E così eccola, la guerra: da una parte c’è il Sangue, c’è lo Spirito, c’è l’Onore e la Tradizione; dall’altra il dollaro, la squadra e il compasso. Da una parte ci sono i giovani fascisti europei, che come una unica legione bagnano del loro sangue questa martoriata terra d’Europa, dalla Russia all’Africa, da Stalingrado ad El Alamein; dall’altra ci sono i plutocratici, quelli che detengono il monopolio mondiale delle ricchezze e non lo vogliono dividere con nessuno.

Certo: noi Fascisti non siamo esenti da colpe. Lo stesso Mussolini ne ha diverse, ma non quelle che solitamente gli vengono attribuite. Quelle di aver parlato tanto di guerra, e di non essersi preparato abbastanza per poterla fare davvero. Quella di non aver messo al muro i traditori del 25 luglio. Quella di non aver voluto combattere a Milano (troppo gli sarebbe costato vedere la sua cara Milano, la città in cui ha conosciuto uno dei suoi ultimi e più importanti trionfi politici, bagnata dal sangue della guerra civile) di aver voluto fare la Resistenza a Salò, quando non era più né utile né consigliabile. Tutto questo, forse, gli avrebbe risparmiato la macabra esposizione di Piazzale Loreto, il tragico epilogo di un conflitto sanguinosissimo e cruento dove l’onore della Nazione italiana è stato già calpestato l’8 settembre del ’43.

Ma anche lì, in quelle ore di infamia, mentre i reparti ed i soldati si rincorrono sbandati, completamente confusi e senza direttiva a causa di un Re fellone che per salvare la pelle corre dietro i carri armati degli invasori stranieri, c’è ancora spazio per sognare, e per continuare a combattere. Interi reparti ed interi battaglioni di camicie nere scelgono di non abbandonare Mussolini, e di condividere il suo destino. Perché se il Fascismo deve cadere, allora dovrà farlo gloriosamente. Si è iniziata la guerra con la Germania, e si continuerà a combatterla con essa.

E quanto stonano i partigiani di allora, così screanzati e squallidi nel loro chinare la testa al vincitore, nel saltare sul carro più conveniente, con quegli splendidi soldati che combattono in Russia, in mezzo alla neve gelida! Si rimpiccioliscono, quasi scompaiono, al confronto con i camerati tredicenni che insultano e sbeffeggiano i loro carnefici gridando “Viva Mussolini! Viva l’Italia” prima di essere falciati dal plotone di esecuzione! Quanta differenza con i camerati di Salò e della Repubblica Sociale che accorrono, a guerra perduta, nelle terre orientali, per salvare l’Onore dell’Italia in quei luoghi e per aiutare i compatrioti in difficoltà braccati, seviziati, torturati ed uccisi dai partigiani rossi! Quanto stonano i voltafaccia degli intellettualini di oggi, celebri scrittori resistenzialisti che ieri furono Fascisti fino a che parve comodo a loro, con chi, a guerra finita, ancora sparava dai tetti all’invasore americano! Quanto brillano, ancora oggi, i gagliardetti ed i distintivi di chi scelse di dare i suoi tredici, quattordici, venti anni alla Patria! Quanta differenze abissale di sangue, di spirito e di temperamento tra gli attentatori di Via Rasella – che solo per una disposizione giuridica è impedito chiamare “vigliacchi” e “assassini” – e i giovani della guardia hitleriana che, pugnali in pugno, contendono metro per metro agli invasori russi la strada verso il bunker di Berlino, dove un Fuhrer che ha disatteso qualunque consiglio per la sua incolumità personale ancora scrive il suo testamento, cerca di dare disposizioni, consulta febbrilmente la carta geografica!

E tutto ciò quando sarebbe stato molto più facile pentirsi, collaborare con l’invasore. Un invasore che del resto, già dalle prime settimane di guerra, aveva ben dimostrato la sua concezione di libertà: stupri, bombardamenti sui civili (Amburgo, Dresda, Zara, Hiroshima reclamano ancora giustizia!), eccidi di massa, sevizie, torture. Non era forse Ilia Ehrenburg l’intellettuale ebreo che arringava i giovani soldati dell’Armata Rossa così: “Uomini, soldati! Piegate ed annientate i tedeschi! Prendete le loro donne! Stupratele, ed umiliate così il loro orgoglio razziale!”? I liberatori non si fecero certo pregare a seguire così umano consiglio.

Non avevano niente da dare, i Fascisti, se non la loro vita. Non erano intenzionati a cedere nulla di nulla che appartenesse all’Italia, se non il loro sangue di guerrieri e di Fascisti. Perché alla gerarchia del dollaro, opposero quella del sangue. Alla nobiltà del blasone e del conto in banca dei Rotschild e dei Rockfeller, opposero quella dello spirito. La guerra del sangue contro l’oro. Tradizione, Onore, Fedeltà, Spirito, Cameratismo contro dollaro, falce e martello, squadra e compasso. Settanta anni fa non sbagliammo. E fanculo ai detrattori di ieri, di oggi e di domani.

7 commenti:

dars ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
dars ha detto...

Solo da poco tempo ho capito che la guerra è stata colpa di inghilterra e francia. La Germania rivoleva solo le terre che gli erano state tolte:Boemia, Ruhr e Prussia. I francesi e gli inglesi avevano impoverito la germania, con il drastico trattato di Versallies.
Se gli inglesi e francesi avrebbero accontentato Hilter la guerra non sarebbe scoppiata. Purtroppo l'Italia entrò in guerra poco preparata tecnicamente. La colpa non era del Duce, ma delle industrie d'armamenti, in primis la FIAT, e dei vertici militari, ed anche della monarchia (collusa con la massoneria). Se i nostri valorsi soldati avessero avuto mezzi migliori (pari a quelli tedeschi), la guerra avrebbe avuto un'altra piega. Inoltre per la guerra in Grecia si sono sprecate risorse materali ed umane che sarebbero state utili in Nord Africa, e la Germania avrebbe potuto iniziare nei tempi previsti l'operazione Barbarossa, e forse Mosca sarebbe stata espugnata.

Andrea Chessa ha detto...

Concordo. I nostri errori in guerra furono importanti.

Anonimo ha detto...

Hai ragione, Andrea. Che fanculo ai detrattori di ieri, di oggi e di domani.
Dimitris

ettore ha detto...

la scelta di entrare in guerra fu giusta, ma il Duce fu troppo umano...Marina ed esercito avrebbero avuto bisogno di una purga da Maggiore e capitano difregata in su. Così come le fabbriche andavano nazionalizzate che ancora nel '43 ci fosse chi costruiva i cr 42 contro gli spitfire la diceva lunga. dopo l'otto settembre i tedeschi trovarono i magazzini italiani pieni di materiale mentre i nostri soldati crepavano e dovevano arrangiarsi. ed anche nel partito ci sarebbe stata la necessità dell'epurazione!

Unknown ha detto...

se vi piace la guerra ce ne sono un sacco in giro per il mondo. sceglietene una, armatevi e partite.
ciao

dars ha detto...

La guerra non piace a nessuno, ma si rende necessaria per difendere la propria nazione o i propri interessi (politici ed economici). Secondo perchè gli americani fanno le guerre? Mica combattano per difendere la democrazia e la libertà (come vogliono farci credere), ma per solo per il petrolio. Gli U.S.A., per il fatto che si credono il faro della civiltà (?), vogliono dominare il mondo, e chiunque rappresenti un impedimento al progetto viene definito un criminale, una canaglia - il male assoluto - da combattere ad ogni costo.