domenica 21 settembre 2008

Sono diventati statalisti. Senza dirlo.


Qualche lettore mi chiede di parlare della Lehman Brothers e della situazione economica generale. Li ringrazio innanzitutto per la fiducia. Certamente, per chi non si occupa di queste cose, perché magari ha preferito una facoltà umanistica a quella di Economia, e non lavora neanche nel settore, caratteristiche che si adattano al sottoscritto, è certamente difficile cercare di tirare un bilancio accurato e valido della situazione.
Parto comunque da una considerazione; poiché non mi ritengo un ipocrita, né in politica né nella vita, non posso nascondere una cosa: vedere le foto dei “truffatori legalizzati” della Lehman Brothers, che escono dai palazzi con la loro oggettistica raccolta dentro una scatola di cartone, di colpo disoccupati dopo anni e anni di arricchimento illecito sulle spalle dei normali cittadini, mi ha dato una certa soddisfazione. Sicuramente è vero, come ho sentito e letto da qualcuno, che adesso quei caporioni della finanza globale in giacca e cravatta andranno a fare danni da altre parti; cadono sempre in piedi, bene o male.
Il camerata Dimitri, inoltre, mi informa dalla Grecia che la Lehman Brothers (fondata da ebrei) ha fatto parte, nella prima metà del secolo scorso, di quella parte (maggioritaria) della finanza internazionale che finanziò lo sterminio (vero, stavolta) di trenta milioni di contadini russi da parte di Stalin e dei suoi nipotini (Dimitri, che ringrazio pubblicamente come ho già fatto in privato, mi fornisce anche questi due libri che testimoniano quello che diciamo: Soljénitsyne, Lénine à Zurich, Parigi: Éditions du Seuil, 1975; Eric Laurent, La corde pour les pendre..., Parigi: Arthème Fayard, 1985). Se è giustizia divina, direi che ha impiegato un po’ più di tempo del previsto.
La banca dei fratelli Lehman – la quarta degli Stati Uniti – fino a poche settimane fa era data per inaffondabile e al riparo da qualunque crisi finanziaria; magari qualche scossone qua e la, qualche mal di mare a causa della grande burrasca, ma in generale, secondo le cosiddette “agenzie di rating” (le stesse che, prima di declassarla, hanno atteso che la situazione superasse il punto di non ritorno), capace di fornire una buona navigazione. Invece anche la Lehman Brothers, l’inaffondabile, è colata a picco. A differenza dei recenti casi di salvataggio operati dalla Federal Riserve (Fannie, Freddie, Aig, colossi finanziari su tutto il mercato globale della finanza speculativa, arruffona e usuraia), questa banca è stata lasciata al suo destino, costretta a cadere sotto il pugno implacabile del mercato, dopo aver dilapidato miliardi di dollari che si volatilizzavano, ora dopo ora, nella vertiginosa caduta del suo titolo in Borsa. Barclays e Bank of America, resesi conto che il dissesto finanziario era tale da risultare economicamente assai svantaggioso, hanno interrotto di colpo le trattative per l’acquisto della Lehman Brothers, preferendo accollarsi la Merryll Lynch con un esborso di 50 miliardi di dollari. Il destino della banca, che ha perso più della metà del suo valore e del suo patrimonio, è irrimediabilmente segnato. Molto probabilmente verrà smembrata e i suoi pezzi venduti separatamente, con una perdita di posti di lavoro che è calcolata in circa cinquemila, e con i clienti che vedranno andare in fumo tutti i loro risparmi.
Non male per un’economia di mercato che ci avevano garantito essere solidissima, capace di regolamentarsi da se senza alcun intervento statale. Invece l’intervento statale c’è stato eccome: per ragioni di “sicurezza nazionale” (tenete a mente queste due parole) l’America ha comprato, e di fatto nazionalizzato, alcune tra le più importanti banche americane, tra cui Fannie e Freddie. In sostanza quello che, in misura enormemente più piccola per quanto riguarda i capitali investiti, faceva la mussoliniana IRI con le aziende in fallimento. Avete capito? “Sicurezza nazionale”; eppure hanno passato decenni a raccontarci che il capitalismo, il libero mercato, la libera concorrenza senza alcuna regolamentazione – che il mercato imponeva da se, come se i plutocrati finanziari fossero dei buoni samaritani e non dei leoni affamati – erano la cosa migliore di questo mondo e che chiunque proponeva un minimo di regolamentazione o di controllo statale era un pericoloso folle estremista, un dirigista, un oscurantista, un fascista (quest’ultimo termine, almeno per noi, non è un insulto). Ora invece, quando interessa a loro (i plutocrati), se ne fregano delle leggi del libero mercato per nazionalizzare, ossia salvare dalla bancarotta, banche che hanno giocato con i capitali dei loro clienti come uno sceicco arabo al casinò, che hanno dilapidato interi risparmi con la finanza creativa, che rifilando gli swap hanno rovinato milioni di aziende e di istituti, che con i mutui subprime hanno privato milioni di famiglie della casa.
E in Italia? L’Italia è l’unico paese di cretini in cui le regole della finanza globale, che salassa noi comuni mortali sempre di più, continuano a venir seguite con scrupolosa coerenza. Il caso Alitalia ne è l’esempio emblematico; pur di salvare il carrozzone fallimentare da cui attingere voti, favorire clientelismi e sistemare politici trombati sopra belle poltrone in pelle, si è innanzitutto mandata a quel paese AirFrance – l’unica disposta ad accollarsi l’Alitalia in fallimento –, poi si è dato un bell’aiuto di Stato (300 milioni di euro) che poi, quando l’Unione Europea ha sollevato il ditino e ha rimproverato il “nostro” governo, è stato mascherato da “cordata di volenterosi imprenditori italiani” che, come tutta l’imprenditoria italiana (che non imprende con capitali propri ma con quelli dei cittadini), scaricherà sui propri conti correnti i vantaggi e sulle nostre tasche gli svantaggi. Perlomeno quelli di AirFrance compravano il carrozzone in blocco, con spese (molte) e guadagni (pochi, per lo meno inizialmente).
L’attuale situazione internazionale dimostra, con disarmante evidenza, che tutto quello che ci hanno raccontato sull’economia e sul capitalismo non funziona più, ammesso e non concesso che abbia mai funzionato effettivamente. Qui non si tratta del fallimento di Lehman Brothers, o della nazionalizzazione di Fannie Mac, bensì della crisi irreversibile di un intero sistema economico e finanziario che sta cadendo letteralmente a pezzi. E cade sopra di noi.
Se questi “signori” fossero stati coerenti con quello che ci impongono da quando hanno vinto la loro guerra nel ’45, ci saremmo tolti la soddisfazione di vedere anche i dipendenti di Aig, di Fannie e di Freddie andarsene dal loro ufficio con una scatola di cartone. Chissà che non ci toglieremo anche questa magra soddisfazione. Loro intanto, pur di difendere i loro soldi, sono diventati statalisti. Senza dirlo, in punta di piedi. E a noi continuano a raccontare balle.
Chessa Andrea

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