Di Carlo Gariglio - Segretario Nazionale MFL.
Pubblicato sul mensile "Costruire" - aprile 1999.
Da più parti negli ultimi tempi sentiamo e leggiamo prese di posizione sconcertanti da parte di “fascisti” o presunti tali i quali, probabilmente per farsi belli di fronte alla Storia e, più modestamente, di fronte al tentacolare potere giudaico-massonico, passano il tempo ad auto-lodarsi, a riempirsi la bocca di revisionismo, a rammentare i fasti del passato Ventennio e soprattutto, i più anziani, a rammentare eroiche e titaniche battaglie alle quali avrebbero partecipato. Purtroppo, questi eroi ai quali mi sto riferendo concludono un po’ troppo spesso le loro vanaglorie con dei puerili e miserabili distinguo, cercando di scindere le proprie responsabilità (?) da quelle dei “biechi” nazisti, con i quali nessuno vuol avere nulla a che fare.Queste prese di posizione da parte di chi la guerra l’ha combattuta (o dice di averlo fatto), hanno come risultato immediato l’apprendimento di questi distinguo da parte dei più giovani, i quali, senza avere tutti i torti, sono portati a pensare che chi certe cose le ha viste, dovrebbe avere una capacità di giudizio maggiore di chi la dottrina la impara da costoro.Ora, tanto per rinfrescare la memoria a certi imbecilli che dimostrano di non aver compreso neppure ciò che hanno vissuto, nonché ai loro sciagurati discepoli, sarebbe il caso di ricordare una volta per tutte le migliaia di ragazzi europei che, sotto le insegne delle Waffen SS, sacrificarono la loro vita per difendere un’idea, una civiltà e delle tradizioni che certi vigliacchi dediti ai distinguo più che ai combattimenti non sono degni di rappresentare.L’Europa intera vide l’affermazione di movimenti fascisteggianti, i quali, ispirandosi direttamente al Fascismo Mussoliniano già noto fin dagli anni 20, adattarono alla propria specificità nazionale e culturale un’ideologia che, di base, era sempre la stessa; certamente vi furono delle differenze anche sostanziali. Il Rexismo belga di Degrelle ebbe un’impronta più marcatamente cristiana, al pari del movimento romeno di Codreanu, mentre il Nazismo accentuò l’anti-ebraismo a causa della situazione interna della Germania post 1918; tuttavia, i volontari che diedero la vita nella lotta al bolscevismo ed al capitalismo americano, difendendo ad oltranza il suolo europeo dai nuovi barbari, non si fermarono a disquisire sul nazismo, sugli ebrei, sui crimini presunti che qualcuno avrebbe inventato dopo il 1945, trovando legioni di cretini (anche fra i “fascisti”) pronti a crederci.Per tutti questi vigliacchi che screditano il nome del Fascismo, e che probabilmente hanno salvato la pelle proprio a causa di questi distinguo e di queste dissociazioni, per gli idioti che si affannano a revisionare la storia del Fascismo, prendendo per buona quella degli altri movimenti, per i senza attributi che cedettero le armi a quattro pezzenti partigiani male armati, mentre all’est una intera generazione di combattenti si sacrificava anche per loro, battendosi da partigiani neri fino quasi gli anni 50 contro il comunismo, e soprattutto per gli incauti discepoli di costoro, più bravi a dividere che ad unire, riproduciamo la lettera postuma che il volontario spagnolo della “Division Azul” J. L. Somez Tello dedicò al poeta francese Robert Brasillach, fucilato dopo un processo farsa voluto da De Gaulle; difficilmente costoro ai quali la dedico capiranno lo spirito di chi sacrificò la propria vita per difendere un’idea UNICA, resa immortale dal cameratismo dei combattenti di tutta Europa. Speriamo almeno serva loro per VERGOGNARSI DI ESISTERE!
Carlo Gariglio – Vice Segr. Naz. MFL
No camerata Brasillach, poeta sincero, amico di Spagna, fucilato il 6 febbraio 1945, non è solo a te che han posto le catene dei carcerati nella prigione mostruosa di Fresnes, ove tu sentisti, cocente, l’ultimo brivido, pensando alla gioventù d’ogni popolo europeo. Quelle catene le portiamo tutti, alle caviglie, dal 1945. Ognuno di noi, come te, è un grande ed illustre prigioniero. La differenza è data solo dal particolare che tu fosti fisicamente messo al muro e fucilato. Noi, una gioventù come mai ne è esistita altra, una gioventù d’Europa che è caduta con Rommel in Africa, con Dietle a Narvik, con Degrelle a Derenkowez, con il principe Borghese nelle fila della X MAS, in disperata difesa della Venezia Giulia una giovinezza sacrificatasi nei cento giorni dell’accerchiamento di Francoforte, nei tre mesi dell’assedio di Konigsberg, caduta difendendo Stalingrado e Roma, combattendo per Budapest e Vienna, travolta nella lotta eroica al metrò di Berlino e fra le macerie di Colonia, una gioventù che non è quella di Adenauer, immolatasi a Parigi contro i senegalesi lanciati a liberare la Francia e a miticizzare la Germania bionda e pura di Wagner, una generazione caduta fucilata con Borsani, l’ex combattente cieco, una gioventù per la quale i venticinque anni sono stati, come nei tuoi poemi: “La zuppa scarsa, i muri freddi, la marcia orgogliosa”, noi abbiamo diritto di invidiare la tua morte. Tu sei morto quando tutto era bello, puro, fresco, come la primavera dei soldati. La primavera dei soldati d’Europa, alzata come una nube rossa sui carri armati e sui cannoni, come una stella sulle baionette. Tu sei morto come Andrea Chénier, a trentasei anni, e come lui hai contato fino all’agonia gli assassinati, i dolori, i martiri. Ciò è più bello che veder rispuntare tra le rovine del nostro sogno i serpi del tradimento. Ti fucilarono perché eri giovane, entusiasta, impetuoso, sincero e violento come il mondo che desideriamo costruire. Noi, in un mondo vecchio e codardo siamo fucilati ogni giorno. E non possiamo neanche avere la soddisfazione che tu hai avuto, di mostrare il petto e dire al plotone di esecuzione: “Sparate qui”.“Sento il dolore del mio paese con le sue città in fiamme – le sofferenze infertegli dai suoi nemici e dai suoi alleati – sento l’agonia del mio paese lacerato nel suo corpo e nella sua anima, chiuso sotto le trappole di ferro della sofferenza.” Questi sono i versi del “Mio Paese”. Noi anche sentiamo il dolore di questo Paese comune per il quale fummo soldati desiosi del più bello degli ideali, dell’Europa. E ci addolora quello che viene fatto all’Europa dai suoi nemici e dai suoi alleati. Sai tu, Robert Brasillach, fucilato per aver creduto nell’Europa dei soldati, nell’Europa di Carlo Magno e di Roma, che domani forse dovremo morire per l’Europa dei mercanti e dei giudei?“Oh gioventù, al fondo di questa nebbia troverai, prima che sia troppo tardi, la forza di scongiurare la catastrofe? Solo in te crede e confida il mio cuore preso dalla morte.” Non è questo testamento di Brasillach la consegna delle sorti del mondo alla gioventù? Noi crediamo in questo atto di fede. Tu hai visto altri cadere, prima del tuo cammino di morte. Che stupenda, che pura è quella morte dei fucilati, dei torturati, degli assassinati? Tu hai visto morire sotto le raffiche i fanciulli tedeschi di 12 anni combattenti contro i senegalesi in difesa della Patria, tu hai visto a S. Maria Novella a Firenze i giovani squadristi di 15 anni morire con il braccio alto ed il grido di Mussolini sulle labbra.Tu hai intuito per loro. “Su qualsiasi muro – nel fondo di qualunque quartiere basso delle nostre città – nel fango, ovunque – i fucili della guardia mobile uccidono senza pietà – i nostri fratelli della guerra civile”.“Sono simili, marciano con lo stesso passo. Le spalle segnate dalla responsabilità severa di essere uomini. E fraternamente mi parlano a voce bassa”.Ci chiamano a voce bassa. Non li odi, giovane del nostro tempo? Ora possono gridare i massoni di Strasburgo e gli altri massoni che non si sa dove siano. Ora possono gridare quelli che dicono che vanno difendere l’Europa e commerciano con la Russia: i capitalisti della democrazia, gli Joanovic di queste manifestazioni immortali dell’animo europeo. Noi udiamo gli uomini che Brasillach chiamò ad assistere al suo processo. Processo? L’avvocato lo difese semplicemente citando i suoi versi che dicevano: “Se domani la vita sarà concessa - questi uomini che si piegano contro il muro - non sembreranno figure del passato?” Il 19 gennaio Robert Brasillach è condannato a morte.Il 1° febbraio la sua morte è decisa. “Io ho trascorso questa notte sul Monte degli Olivi. Ero indegno, o Signore, di cercare Voi? Io non lo so, ma la catena era stretta attorno alla mia caviglia ed io sudavo, come voi, il mio sudore.” Il 5 febbraio gli portano la notizia che sarà fucilato il giorno seguente. La domanda di grazia firmata da Claudel, Cocteau, Colette, da trenta Accademici, dagli studenti di Parigi, è stata respinta. Il giorno 6 egli è di fronte al sole ed alla morte.All’alba Robert Brasillach viene prelevato da Fresnes, tra una fitta schiera di gendarmi armati di mitra. Guarda la fotografia di sua madre e dice: “Desidero morire con essa sopra il cuore”. I corridoi di Fresnes sono ampi, oscuri e tetri. La voce di Brasillach grida: “Arrivederci Beraud, arrivederci Comballe” Il patibolo si alza a Montrouge. Brasillach sorride quando vede i dodici fucili puntarglisi addosso. Lo legano al palo. Egli ha la testa alta e sorridente. Per l’ultima volta grida “Viva la Francia”. Cade stroncato da dodici proiettili. “Tu cercavi nella notte negra una luce per illuminarti…” E’ bello morire così. E’ bello pensare che a questa Europa, che non è quella di Strasburgo, né quella dei difensori dell’ultima ora, noi possiamo offrire le stille del sangue di Brasillach, che il suo difensore ha raccolto su di un foglio di carta. Sono cinque gocce di sangue: quella di José Antonio, le due di quelli che non si possono nominare, quella di Codreanu e quella di Robert Brasillach. Cinque stupende gocce di sangue, le nostre cinque rose.
J. L. Gomez Tello
J. L. Gomez Tello
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