“Due giorni fa è stato ucciso Willy Monteiro, 21enne italiano dalla pelle nera, da un gruppo di 4 fasci che l’hanno ammazzato a calci. Il problema lo risolvi cambiando e cancellando la cultura fascista e sempre resistente in questo Paese, non cancellando il mezzo tramite cui i fasci hanno fatto violenza. I problema non lo risolvi nascondendolo sotto il tappeto, lo si risolve con la cultura e l’istruzione”.
Non sono le parole buttate “ad minchiam” da qualche drogato dei centri sociali, ma della imprenditrice Chiara Ferragni, che le ha rilanciate tramite il proprio sito internet @spaghettipolitics. Parole straordinariamente dure per chi, fino all’altro ieri, della politica se ne è sempre fregata (almeno quella virtuale), pensando di più a fare soldi.
Effettivamente ci sarebbe molto da discutere su questa pletora di pagliacci che sceglie di scendere in campo facendo professione di antifascismo. Quest’ultimo si configura sempre di più come l’abito buono per tutte le stagioni, indossabile a comando per insultare e denigrare “i fasci”. Il fascio, il Fascista, ha uno specchio semantico indefinito ed indefinibile, che cambia a seconda delle circostanze di tempo, di modo e di luogo, estensibile o rimodellabile a piacere, a seconda della convenienza politica o della situazione del momento, utilissimo per mostrare agli altri che fai parte del sistema, che non sei “fascio”, e quindi puoi rientrare a pieno titolo nella categoria di coloro che in questa Nazione possono permettersi il lusso di sedersi dalla parte dei giusti, dei buoni, dei democratici.
Sarà, forse, un argomento da riprendere più in là.
Quello che ci preme, al momento, è far notare come sia proprio una come Chiara Ferragni a parlare di cultura, ancor più se si parla di cultura fascista, quella che, secondo la narrazione politicamente corretta, avevano i 4 balordi che hanno massacrato di botte Willy Monteiro. Dubitiamo fortemente che questi cialtroni abbiano mai letto qualcosa di diverso dal manuale dell’Iphone o dell’autoradio del loro SUV, però, facendo un giro sui profili social dei personaggi, non vediamo assolutamente traccia di qualcosa che si possa annoverare come Cultura Fascista.
Allora: andiamola a vedere più da vicino la cultura dei criminali di Colleferro. Avrà ragione la Ferragni?
Tra i vari profili non troviamo traccia di Ezra Pound, che ha rimodellato le categorie dell’epica poetica moderna; per restare in tema di poeti, non ci è parso di scorgere nemmeno Robert Brasillach, il supremo cantore della sconfitta di una Nazione e, con essa, di un intero continente; parlando di Cultura Fascista, dubitiamo fortemente che i fratelli Bianchi abbiano mai letto qualcosa di Giovanni Gentile, o di Pirandello, o di Ungaretti; crediamo che se hanno sentito parlare di Guglielmo Marconi è solo ed esclusivamente per una via della loro città intitolata al glorioso scienziato inventore della radio moderna come ancora oggi la conosciamo (e grazie al quale il marito della signora è diventato famoso), che orgogliosamente affermò: «Io rivendico a me stesso l’Onore di essere stato in radiotelegrafia il primo Fascista, il primo a riconoscere l’utilità di riunire in fascio i raggi elettrici, come l’on. Mussolini ha riconosciuto per primo nel campo politico la necessità di riunire in fascio le energie sane del Paese per la maggiore grandezza d’Italia»; dubitiamo anche che i fratelli Bianchi abbiano mai fatto un giro in qualche parte d’Italia che non fosse il locale di tendenza del momento, magari per ammirare l’architettura Fascista che plasmò e modellò l’intera Nazione, magari cercando di comprendere come, perché ed in che modo l’architettura Fascista si inseriva nei piani nazionali del Fascismo (Terragni, Piccinato, Michelucci vi dicono qualcosa?); dubitiamo che i “signori” in questione, ed anche la Ferragni, abbiano mai letto qualcosa dello stesso Duce, il quale ormai viene riconosciuto un ottimo giornalista (tanto da diventare il preferito di un altro intellettuale italiano che non era l’ultimo degli imbecilli, tal Giovanni Prezzolini, che volle Mussolini alla direzione de La Voce), un profondo conoscitore di Friedrich Nietzsche (fu tra i primi intellettuali italiani a comprenderlo e ad introdurlo ai lettori italiani), scrisse libri che ancora oggi vengono considerati dei capolavori (“Diario di guerra”, “Vita di Arnaldo, “Parlo con Bruno” – quest’ultimo struggente e commovente nel ricordare il figlio morto per la Patria), drammi teatrali che ebbero un incredibile successo internazionale (“Campo di Maggio”, sulla figura di Napoleone, fu tradotto in tantissime lingue e portato sulle scene dei più importanti teatri europei), collaborò nel compilare la “Dottrina del Fascismo” (in collaborazione con Giovanni Gentile, documento dal valore storico e filosofico importantissimo ancora oggi), scrisse la “Carta del Lavoro” (una vera e propria carta costituzionale del regime Fascista, che poi venne ripresa in molti punti dai padri costituenti della neonata Repubblica Italiana), profondo conoscitore di Heidegger (creò pure un incidente diplomatico con gli amici tedeschi per difenderlo e permetterne la divulgazione), un grande conoscitore delle lingue straniere (parlava correttamente il francese, l’inglese ed il tedesco, tanto da potersi permettere di colloquiare in privato con Adolf Hitler senza l’aiuto di un interprete), e potremmo continuare all’infinito, citando le molteplici discipline nelle quali Mussolini si dilettava (filosofiche, artistiche, e finanche fisiche – praticava sport come la scherma, il nuoto e l’equitazione) e le decine e decine di testimonianze di uomini del suo tempo che lo lodarono ed incensarono (da Gabriele D’Annunzio a Horson Wells, da Edison a Freud, passando per Thomas Mann e Pio XII, concludendo, ma solo per ragioni di spazio, con Churchill ed il Mahatma Gandi, il quale volle pure conoscerlo di persona, e per questo si recò personalmente a Roma in visita ufficiale).
Insomma: la Cultura Fascista che la Ferragni insulta per cercare di annoverarsi tra i grandi intellettuali antifascisti della Nazione (al fianco della Parietti e di Andrea Scanzi) - Cultura che insulta perché non la conosce, perché non l’ha mai letta, nemmeno di sfuggita – ha plasmato questa Nazione in ogni campo (sociale, artistico, filosofico, architettonico, economico, sociale e politico), guadagnandosi il rispetto degli italiani prima, e di tutto il mondo dopo.
Semmai la cultura che i 4 criminali di Colleferro sfoggiavano nei loro profili Facebook erano di tutt’altra natura, la stessa cultura (se così si può chiamare) che ha permesso a quella che in una Nazione civile sarebbe rimasta una nullità di diventare una grandissima imprenditrice, ed al maritino di farsi chiamare “cantante” ed “artista”: la cultura dell’apparenza, della ignoranza sfoggiata come stile di vita, della musica rap e trap che inneggiano continuamente alla violenza ed al nichilismo più imbecille, dei tatuaggi che scimmiottano le gang mafiose sudamericane. La stessa cultura che loro due, Chiara Ferragni e Fedez, pompano continuamente nelle teste di quegli stessi ragazzi che poi mettono “Mi piace” a loro due, a Beppe Grillo, a Matteo Renzi ed alle associazioni LGBT, salvo poi andare a massacrare la gente in giro per la strada. Vediamo la “cultura” del marito, Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, dispensata a piene mani attraverso le sue canzoni. Prendiamo, ad esempio, “Dai cazzo” (la canzone si chiama veramente così):
Poco importa se i colleghi dicono che io non spacco
A loro brucia il culo, io ho le ortiche sopra il cazzo
Mettiti le scarpe di cemento con il tacco
E va affondo assieme a tutti i tuoi cazzoni dischi pacco
Quando io stavo alle jam tu ti mangiavi la bruschetta
Il tuo dj porta i piatti, tra il coltello e la forchetta
La tua tipa biondo platino avrà pure la frangetta
Ma quando la baci sembri che ti slingui David Guetta
Citiamo un altro passo di un altro pezzo di alta poetica, “TVTB” (si chiama davvero così:
Quando twerka con le chiappe
applaude (clap clap clap clap clap)
In mezzo alle gambe tengo il ferro (ra ta ta ta ta)
La massaggio con la lingua, sì ma dall'interno (wa wa wa wa)
Bitch ogni giorno non mi lasciano libero (no)
Le ordino da casa come su Deliveroo
Schiocco le dita, arriva in un secondo
C'ho il teletras-porno (woo)
Gangbang sopra di una Bentley
Belvedere, anche tua mamma è una mia ex (eskere)
Le piace bere a canna, non vuole il bicchiere (skrrt)
Questa qua si è sposata uno che gioca a fare il rapper con tanto di fisico completamente tatuato e testi pieni di sessismo e misoginia (per usare le etichette che agli antifascisti piacciono tanto) – tralasciamo il fatto che le ha prese pure dal vicino di sessant’anni – e che venga a darci lezioni di cultura, noi che possiamo cacare in testa ad entrambi ed a tutti i loro sostenitori messi insieme, è quantomai ridicolo: niente altro che il tentativo di accaparrarsi una fetta di pubblico più grande, di mettersi dalla parte giusta della barricata, ché sparare sulla Croce Rossa è reato, ma sui Fascisti, tra poco, no.
I 4 balordi di Colleferro vengono dalla vostra sub-cultura (“sub” nel senso di subumano, di untermensch), e non certo dalla nostra. Ficcatevi il vostro ditino saccente in quel posto di cui parlate spesso nelle vostre canzonette, e magari leggete qualcosa di Leon Degrelle: può farvi solo bene.
1 commento:
Amen!
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