No,
no, no e ancora no. Non ci saranno mai abbastanza politici corrotti,
pennivendoli collusi e ricchioni festanti su carri addobbati a festa per
convincerci a difendere l’indifendibile: lo sfruttamento della donna per
permettere che il capriccio di due frocetti borghesi divenga diritto. Perché una
coppia di omosessuali, piaccia o non piaccia ai fautori del multiculturalismo e
ai progressisti d’accatto, non può procreare. E, piaccia o non piaccia, lo
sviluppo sano di un bambino si ha con un uomo e una donna, portatori, ognuno a
proprio modo, di valori, modi di fare, tendenze inalienabili, diversi e complementari
l’uno all’altro, e perciò fondamentali alla nascita del bambino.
La
neolingua orwelliana chiama le adozioni omosessuali col nome di “maternità
surrogata”: ma cos’altro è se non lo sfruttamento di una donna, magari in gravi
difficoltà economiche o desiderosa comunque di migliorare la propria condizione
sociale ed umana?
Nella
fattispecie, come può definirsi il viaggio di una coppia omosessuale in America
(patria d’adozione degli invertiti e dei pederasti), con uno dei due che
eiacula volgarmente in una provetta che poi viene impiantata nel corpo di una
donna che contemporaneamente utilizza l’utero di un’altra donna? Questi non
sono diritti, questa non è civiltà: è solo ed unicamente pura, autentica depravazione.
Che
i due finocchi in questione, precisamente un ex governatore della Regione
Puglia (lo stesso che, quando Berlusconi “osava” organizzare delle cene per i
fatti suoi e con persone perfettamente consenzienti e consce di quello che
stavano andando a fare nella villa dell’allora Presidente del Consiglio,
gridava a squarciagola contro il vergognoso mercimonio delle donne e la
mercificazione del loro corpo ridotto a mero oggetto sessuale) e il suo “compagno”,
ora vorrebbero imporre nel proprio Paese, vale a dire l’Italia, spacciandolo
per civiltà, quando la stragrande maggioranza della popolazione è contraria e
quando, val la pena di ricordarlo, in Italia tutto ciò è espressamente vietato.
Sarebbe,
né più né meno, come se io andassi in India a sposare una bambina di 10 anni
per poi tornare in Italia, dove il matrimonio con le bambine è, grazie al
Cielo!, vietato, per reclamare a gran voce questo presunto diritto che nella
civilissima India mi viene accordato, e nel mio Paese d’elezione invece no.
E
allora, forse, bisogna partire dai fondamentali, dalle regole basilari di una
civiltà, e ancor più da quelle regole basilari che le civiltà hanno ritenuto
necessario, in millenni e millenni di Storia dell’umanità, imporre a se stesse
per provvedere alla loro stessa sopravvivenza, per superare l’istinto becero
che è linea di demarcazione netta tra l’uomo e le bestie che non hanno alcuna
ragione.
Se
dobbiamo ripartire dai fondamentali, dalle regole basilari, dall’ABC dell’esistenza
e della vita, se ci troviamo a dover difendere in piazza qualcosa di così sacro
e che fino a poco tempo fa ritenevamo addirittura scontato come la famiglia e
la sacralità del matrimonio, significa, né più né meno, che non siamo andati
avanti ma stiamo andando pericolosamente all’indietro. Quando ti trovi a dover
difendere il sacro e l’ovvio significa che tutto è lecito, che non vi è più
alcuna linea di demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che
non crediamo più in niente e pertanto, di riflesso, tutto può essere rimesso in
discussione: la famiglia tradizionale, il far crescere dei bambini con un uomo
ed una donna, il matrimonio omosessuale, espressione, quest’ultima, che fino a
poco tempo fa sarebbe stata considerata un vero e proprio obbrobrio giuridico,
ancor prima che morale.
Se
le obiezioni dei sodomiti e dei loro reggicoda non fossero così ossessivamente
ripetute alla TV, così indefessamente ripetute fino allo sfinimento da media
corrotti, politici conniventi e artisti (come quelli di Sanremo, tutti belli in
fila, come provette pecorelle, col loro nastrino colorato) che di artistico non
hanno nulla ma per vendere qualche disco in più sanno bene come fare le puttane
della volgar massa, sarebbe ridicolo anche solo doverne parlare. Invece occorre
farlo, poiché, come detto, qui ci troviamo davanti ad una guerra di civiltà, a
dover difendere l’ovvio, il sacro.
“Le
unioni omosessuali non sono meno diritti, ma diritti anche per chi, fino ad
ora, non ne aveva. Ma se due omosessuali si sposano a te cosa ti tolgono?” Questa
è la prima “obiezione” che ci siamo sentiti dire milioni di volte. Frase, di
per se, implicitamente squalificante e degradante, che insinua vigliaccamente
che i difensori della famiglia tradizionale (si, siamo i difensori della
famiglia naturale e tradizionale, difensori del sacro e dell’inviolabile)
vogliano togliere dei diritti a qualcuno. E allora, innanzitutto, dobbiamo
avere il coraggio di dire quello che ben pochi hanno il coraggio di dire: avere
dei figli non è un diritto. Lo ripetiamo: i bambini, i figli, non sono un
diritto. Non lo sono per una coppia di eterosessuali, che possono giustamente
vederseli portar via nel caso di gravi condotte o mancanze, e, a maggior
ragione, non lo sono nemmeno per gli omosessuali, che non possono nemmeno
averli dal punto di vista biologico.
Si
dirà: “Il tuo ragionamento, se coerente, esclude anche le coppie sterili”. E invece
no. Tant’è che una coppia sterile, che non riesce ad avere dei figli, è per l’appunto
una anomalia, qualcosa di “non normale”, e può anche recarsi da un medico per
risolvere quello che è, per l’appunto, un problema. Una coppia di omosessuali
che si rechi da un medico poiché non riesce ad avere figli sarebbe, come
minimo, sottoposta a visita psichiatrica.
Ho
sempre ritenuto giusto, e continuo a ritenerlo, che a nessuno debbano essere
negati i diritti fondamentali, nemmeno agli omosessuali: il diritto ad avere
una vita dignitosa, a non morire di fame, ad avere un tetto sulla testa, a
vedere riconosciuta la propria dignità economica, sociale, umana, lavorativa. Io
ho diritto a non morire di fame, a non essere umiliato nella mia sfera intima,
economica e sociale, ad avere le stesse possibilità che hanno tutti gli altri,
e ciò a prescindere dal mio sesso, dalla mia razza e dalla mia religione. Ma i
bambini non sono un diritto. Nessuno vuole togliere i diritti agli omosessuali
di avere dei figli poiché, per l’appunto, tale diritto essi non ce l’hanno a
prescindere: avere dei figli non è un diritto, né per una coppia naturale, né tantomeno
per una coppia omosessuale. Tant’è che, se la mamma si prostituisce in casa
davanti ai bambini e il papà si droga, qualunque giudice può togliere loro la patria
potestà, e portar via i bambini da quella casa, e poco importa che tali figli
li abbiano potuti avere biologicamente.
Scusateci,
ma non riusciamo a difendere il capriccio di due finocchietti borghesi che
vogliono pomposamente spacciarlo per “diritto”, e chi con loro. Non vogliamo un
mondo dove, guardando un bambino, si chieda “Quanto l’hai pagato?” Non vogliamo
un mondo dove le donne siano considerate delle fabbriche di figli e dove questi
ultimi vengano recapitati a casa, come un pacco di Amazon.
Voi
continuate pure a retrocedere.
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