mercoledì 2 marzo 2016

Quando diritto fa rima con capriccio



No, no, no e ancora no. Non ci saranno mai abbastanza politici corrotti, pennivendoli collusi e ricchioni festanti su carri addobbati a festa per convincerci a difendere l’indifendibile: lo sfruttamento della donna per permettere che il capriccio di due frocetti borghesi divenga diritto. Perché una coppia di omosessuali, piaccia o non piaccia ai fautori del multiculturalismo e ai progressisti d’accatto, non può procreare. E, piaccia o non piaccia, lo sviluppo sano di un bambino si ha con un uomo e una donna, portatori, ognuno a proprio modo, di valori, modi di fare, tendenze inalienabili, diversi e complementari l’uno all’altro, e perciò fondamentali alla nascita del bambino.

La neolingua orwelliana chiama le adozioni omosessuali col nome di “maternità surrogata”: ma cos’altro è se non lo sfruttamento di una donna, magari in gravi difficoltà economiche o desiderosa comunque di migliorare la propria condizione sociale ed umana?
Nella fattispecie, come può definirsi il viaggio di una coppia omosessuale in America (patria d’adozione degli invertiti e dei pederasti), con uno dei due che eiacula volgarmente in una provetta che poi viene impiantata nel corpo di una donna che contemporaneamente utilizza l’utero di un’altra donna? Questi non sono diritti, questa non è civiltà: è solo ed unicamente pura, autentica depravazione.

Che i due finocchi in questione, precisamente un ex governatore della Regione Puglia (lo stesso che, quando Berlusconi “osava” organizzare delle cene per i fatti suoi e con persone perfettamente consenzienti e consce di quello che stavano andando a fare nella villa dell’allora Presidente del Consiglio, gridava a squarciagola contro il vergognoso mercimonio delle donne e la mercificazione del loro corpo ridotto a mero oggetto sessuale) e il suo “compagno”, ora vorrebbero imporre nel proprio Paese, vale a dire l’Italia, spacciandolo per civiltà, quando la stragrande maggioranza della popolazione è contraria e quando, val la pena di ricordarlo, in Italia tutto ciò è espressamente vietato.

Sarebbe, né più né meno, come se io andassi in India a sposare una bambina di 10 anni per poi tornare in Italia, dove il matrimonio con le bambine è, grazie al Cielo!, vietato, per reclamare a gran voce questo presunto diritto che nella civilissima India mi viene accordato, e nel mio Paese d’elezione invece no.

E allora, forse, bisogna partire dai fondamentali, dalle regole basilari di una civiltà, e ancor più da quelle regole basilari che le civiltà hanno ritenuto necessario, in millenni e millenni di Storia dell’umanità, imporre a se stesse per provvedere alla loro stessa sopravvivenza, per superare l’istinto becero che è linea di demarcazione netta tra l’uomo e le bestie che non hanno alcuna ragione. 

Se dobbiamo ripartire dai fondamentali, dalle regole basilari, dall’ABC dell’esistenza e della vita, se ci troviamo a dover difendere in piazza qualcosa di così sacro e che fino a poco tempo fa ritenevamo addirittura scontato come la famiglia e la sacralità del matrimonio, significa, né più né meno, che non siamo andati avanti ma stiamo andando pericolosamente all’indietro. Quando ti trovi a dover difendere il sacro e l’ovvio significa che tutto è lecito, che non vi è più alcuna linea di demarcazione tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, che non crediamo più in niente e pertanto, di riflesso, tutto può essere rimesso in discussione: la famiglia tradizionale, il far crescere dei bambini con un uomo ed una donna, il matrimonio omosessuale, espressione, quest’ultima, che fino a poco tempo fa sarebbe stata considerata un vero e proprio obbrobrio giuridico, ancor prima che morale. 

Se le obiezioni dei sodomiti e dei loro reggicoda non fossero così ossessivamente ripetute alla TV, così indefessamente ripetute fino allo sfinimento da media corrotti, politici conniventi e artisti (come quelli di Sanremo, tutti belli in fila, come provette pecorelle, col loro nastrino colorato) che di artistico non hanno nulla ma per vendere qualche disco in più sanno bene come fare le puttane della volgar massa, sarebbe ridicolo anche solo doverne parlare. Invece occorre farlo, poiché, come detto, qui ci troviamo davanti ad una guerra di civiltà, a dover difendere l’ovvio, il sacro.

“Le unioni omosessuali non sono meno diritti, ma diritti anche per chi, fino ad ora, non ne aveva. Ma se due omosessuali si sposano a te cosa ti tolgono?” Questa è la prima “obiezione” che ci siamo sentiti dire milioni di volte. Frase, di per se, implicitamente squalificante e degradante, che insinua vigliaccamente che i difensori della famiglia tradizionale (si, siamo i difensori della famiglia naturale e tradizionale, difensori del sacro e dell’inviolabile) vogliano togliere dei diritti a qualcuno. E allora, innanzitutto, dobbiamo avere il coraggio di dire quello che ben pochi hanno il coraggio di dire: avere dei figli non è un diritto. Lo ripetiamo: i bambini, i figli, non sono un diritto. Non lo sono per una coppia di eterosessuali, che possono giustamente vederseli portar via nel caso di gravi condotte o mancanze, e, a maggior ragione, non lo sono nemmeno per gli omosessuali, che non possono nemmeno averli dal punto di vista biologico.

Si dirà: “Il tuo ragionamento, se coerente, esclude anche le coppie sterili”. E invece no. Tant’è che una coppia sterile, che non riesce ad avere dei figli, è per l’appunto una anomalia, qualcosa di “non normale”, e può anche recarsi da un medico per risolvere quello che è, per l’appunto, un problema. Una coppia di omosessuali che si rechi da un medico poiché non riesce ad avere figli sarebbe, come minimo, sottoposta a visita psichiatrica. 

Ho sempre ritenuto giusto, e continuo a ritenerlo, che a nessuno debbano essere negati i diritti fondamentali, nemmeno agli omosessuali: il diritto ad avere una vita dignitosa, a non morire di fame, ad avere un tetto sulla testa, a vedere riconosciuta la propria dignità economica, sociale, umana, lavorativa. Io ho diritto a non morire di fame, a non essere umiliato nella mia sfera intima, economica e sociale, ad avere le stesse possibilità che hanno tutti gli altri, e ciò a prescindere dal mio sesso, dalla mia razza e dalla mia religione. Ma i bambini non sono un diritto. Nessuno vuole togliere i diritti agli omosessuali di avere dei figli poiché, per l’appunto, tale diritto essi non ce l’hanno a prescindere: avere dei figli non è un diritto, né per una coppia naturale, né tantomeno per una coppia omosessuale. Tant’è che, se la mamma si prostituisce in casa davanti ai bambini e il papà si droga, qualunque giudice può togliere loro la patria potestà, e portar via i bambini da quella casa, e poco importa che tali figli li abbiano potuti avere biologicamente. 

Scusateci, ma non riusciamo a difendere il capriccio di due finocchietti borghesi che vogliono pomposamente spacciarlo per “diritto”, e chi con loro. Non vogliamo un mondo dove, guardando un bambino, si chieda “Quanto l’hai pagato?” Non vogliamo un mondo dove le donne siano considerate delle fabbriche di figli e dove questi ultimi vengano recapitati a casa, come un pacco di Amazon.

Voi continuate pure a retrocedere.

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