Lo sanno ormai bene, i nostri lettori e i camerati. Non siamo ipocriti e non siamo buonisti. Non siamo sostenitori ad oltranza del detto “Dei morti se ne parla sempre bene”. Non ci accoderemo al coro dei noiosi e ridicoli politicanti, per cui chiunque di loro muoia diventa automaticamente un “venerabile” (maestro?) padre della patria (in minuscolo, perché la loro patria non è la nostra) da incensare e da immolare sull’altare dell’italica democrazia.
Siamo fatti così, forse male, ma sempre diretti e sinceri. Quando le canaglie crepano, noi ce ne rallegriamo. Del resto, il ragionamento del sottoscritto è semplice: se in questa repubblichetta di merda “Uccidere un Fascista non è reato”, e lo si può fare tranquillamente nei tempi e nei modi che più si preferiscono (a colpi di chiave inglese, a pistolettate, bruciandoli vivi) con la certezza che non ci sarà nessuno sbirro o nessun magistrato che verrà a suonare a casa (la Giustizia è troppo impegnata a rincorrere chi fa il saluto romano), ancor meno dovrebbe essere reato non unirsi allo stomachevole piagnucolio del politicamente corretto, per coltivare in silenzio il proprio sentimento. Non ci appelleremo nemmeno alla giustizia divina, che in questa circostanza ha dimostrato di essere quantomeno ritardataria, se non assente del tutto.
E quindi perdonateci se a noi, con la morte di Oscar Luigi Scalfaro, non viene da piangere. Poiché la Storia l’abbiamo studiata, senza fermarci al primo Sabbatucci che ci hanno rifilato o al documentario con intervista al solito miracoloso scampato ai campi di sterminio nazisti che piagnucola alla TV, il personaggio lo conosciamo bene.
Ce lo ricordiamo, il bravo Oscarino. Lo ricordiamo quando pronuncia, a reti unificate, il suo indignato “Io non ci sto”. E’ una frase che il buon Oscarino si è dimenticato di pronunciare durante Mani Pulite, quando cavalca l’onda del giustizialismo sulla scia di Di Pietro, e misteriosamente viene solo sfiorato dalle inchieste che invece distruggono la vita politica e umana di tanti suoi colleghi ed ex compagni di partito. Lo stesso “Io non ci sto” che dimenticò di pronunciare quando, caduto il primo governo Berlusconi per opera della Lega Nord di Umberto Bossi, anziché sciogliere le Camere e dare la parola agli elettori decise di chiamare sullo scranno di Palazzo Chigi il sempreverde Lamberto Dini. Il vizietto gli resta anche con la caduta di Romano Prodi, quando premier diventa invece Massimo D’Alema.
Ma se il politico e il Presidente della Repubblica aveva delle ombre, ne ha ancor di più l’uomo. Chi ricorda il famoso “caso del prendisole”? Il moralizzatore Oscarino, nel ristorante romano “Da Chiarina”, insulta Edith Mingoni in Toussan, che ebbe il solo e unico torto di togliersi il coprispalle a causa del gran caldo, arrivando anche a prenderla a schiaffi e ad insultarla. L’episodio termina in questura e sui giornali: qualcuno accusa il cattolicissimo Oscarino di essere un moralista bigotto. Il marito della donna offesa sfida Oscarino a duello. Ma il coraggiosissimo Oscarino non accetta. Il che provoca le ire di un principe, di fatto e non solo di nome: il mitico Totò. Che, in una lettera pubblicata dall’Avanti!, accusa Scalfaro di essere non solo un gran maleducato, ma anche un inetto e un vigliacco.
Questo era l’uomo.
Ma ben altre sono le ombre che si addensano sull’uomo e sul magistrato. Magistrato che comincia la sua carriera nel 1943, su al nord, con la Repubblica Sociale Italiana, alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia, quindi dopo aver giurato fedeltà alla RSI e al suo Duce. Poi, come tanti altri voltagabbana, l’improvviso cambio di casacca che lo porta a chiedere e ottenere le condanne a morte di Enrico Vezzalini, Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno, Raffaele Infante, Giovanni Pompa. Sono i mesi dell’immediato dopoguerra, quelli dove i vigliacchi e i traditori si accaniscono sull’avversario ormai sconfitto e piegato. Sono i mesi e gli anni delle esecuzioni sommarie, dei crimini partigiani, delle stragi antifasciste. Lo stesso Scalfaro dirà, in seguito, che le prove per condannare a morte i giovani ragazzi erano ben poche: alla figlia di Domenico Ricci, che gli chiederà espressamente un parere in merito alla innocenza o colpevolezza del padre, Scalfaro risponderà così: “Non ho elementi per rispondere”. Dopo averlo condannato a morte, si badi bene.
Sono ombre sinistre, crudeli, dimenticate e insabbiate dalla storiografia antifascista: sono le ombre che quantomeno dovrebbero portare ad una revisione delle proprie azioni, ad un esame di coscienza quando la tempesta della guerra passa, la cattiveria dell’animo si affievolisce e si guarda a quel periodo storico con più distacco e più serenità. Ammesso che una coscienza la si abbia, ovviamente.
Scusateci se non ci uniamo al coro dei piagnucolosi e dei commossi. Ma questo era l’uomo, e noi non ci sentiamo affatto di piangerlo. Anzi…
Siamo fatti così, forse male, ma sempre diretti e sinceri. Quando le canaglie crepano, noi ce ne rallegriamo. Del resto, il ragionamento del sottoscritto è semplice: se in questa repubblichetta di merda “Uccidere un Fascista non è reato”, e lo si può fare tranquillamente nei tempi e nei modi che più si preferiscono (a colpi di chiave inglese, a pistolettate, bruciandoli vivi) con la certezza che non ci sarà nessuno sbirro o nessun magistrato che verrà a suonare a casa (la Giustizia è troppo impegnata a rincorrere chi fa il saluto romano), ancor meno dovrebbe essere reato non unirsi allo stomachevole piagnucolio del politicamente corretto, per coltivare in silenzio il proprio sentimento. Non ci appelleremo nemmeno alla giustizia divina, che in questa circostanza ha dimostrato di essere quantomeno ritardataria, se non assente del tutto.
E quindi perdonateci se a noi, con la morte di Oscar Luigi Scalfaro, non viene da piangere. Poiché la Storia l’abbiamo studiata, senza fermarci al primo Sabbatucci che ci hanno rifilato o al documentario con intervista al solito miracoloso scampato ai campi di sterminio nazisti che piagnucola alla TV, il personaggio lo conosciamo bene.
Ce lo ricordiamo, il bravo Oscarino. Lo ricordiamo quando pronuncia, a reti unificate, il suo indignato “Io non ci sto”. E’ una frase che il buon Oscarino si è dimenticato di pronunciare durante Mani Pulite, quando cavalca l’onda del giustizialismo sulla scia di Di Pietro, e misteriosamente viene solo sfiorato dalle inchieste che invece distruggono la vita politica e umana di tanti suoi colleghi ed ex compagni di partito. Lo stesso “Io non ci sto” che dimenticò di pronunciare quando, caduto il primo governo Berlusconi per opera della Lega Nord di Umberto Bossi, anziché sciogliere le Camere e dare la parola agli elettori decise di chiamare sullo scranno di Palazzo Chigi il sempreverde Lamberto Dini. Il vizietto gli resta anche con la caduta di Romano Prodi, quando premier diventa invece Massimo D’Alema.
Ma se il politico e il Presidente della Repubblica aveva delle ombre, ne ha ancor di più l’uomo. Chi ricorda il famoso “caso del prendisole”? Il moralizzatore Oscarino, nel ristorante romano “Da Chiarina”, insulta Edith Mingoni in Toussan, che ebbe il solo e unico torto di togliersi il coprispalle a causa del gran caldo, arrivando anche a prenderla a schiaffi e ad insultarla. L’episodio termina in questura e sui giornali: qualcuno accusa il cattolicissimo Oscarino di essere un moralista bigotto. Il marito della donna offesa sfida Oscarino a duello. Ma il coraggiosissimo Oscarino non accetta. Il che provoca le ire di un principe, di fatto e non solo di nome: il mitico Totò. Che, in una lettera pubblicata dall’Avanti!, accusa Scalfaro di essere non solo un gran maleducato, ma anche un inetto e un vigliacco.
Questo era l’uomo.
Ma ben altre sono le ombre che si addensano sull’uomo e sul magistrato. Magistrato che comincia la sua carriera nel 1943, su al nord, con la Repubblica Sociale Italiana, alle dipendenze del Ministero di Grazia e Giustizia, quindi dopo aver giurato fedeltà alla RSI e al suo Duce. Poi, come tanti altri voltagabbana, l’improvviso cambio di casacca che lo porta a chiedere e ottenere le condanne a morte di Enrico Vezzalini, Arturo Missiato, Domenico Ricci, Salvatore Santoro, Giovanni Zeno, Raffaele Infante, Giovanni Pompa. Sono i mesi dell’immediato dopoguerra, quelli dove i vigliacchi e i traditori si accaniscono sull’avversario ormai sconfitto e piegato. Sono i mesi e gli anni delle esecuzioni sommarie, dei crimini partigiani, delle stragi antifasciste. Lo stesso Scalfaro dirà, in seguito, che le prove per condannare a morte i giovani ragazzi erano ben poche: alla figlia di Domenico Ricci, che gli chiederà espressamente un parere in merito alla innocenza o colpevolezza del padre, Scalfaro risponderà così: “Non ho elementi per rispondere”. Dopo averlo condannato a morte, si badi bene.
Sono ombre sinistre, crudeli, dimenticate e insabbiate dalla storiografia antifascista: sono le ombre che quantomeno dovrebbero portare ad una revisione delle proprie azioni, ad un esame di coscienza quando la tempesta della guerra passa, la cattiveria dell’animo si affievolisce e si guarda a quel periodo storico con più distacco e più serenità. Ammesso che una coscienza la si abbia, ovviamente.
Scusateci se non ci uniamo al coro dei piagnucolosi e dei commossi. Ma questo era l’uomo, e noi non ci sentiamo affatto di piangerlo. Anzi…
5 commenti:
Bell'articolo Andrea,niente da aggiungere. Questo blog e una ventata d'aria fresca,ormai sono anni che non guardo più la tv,ma anche su internet regna spesso un'ipocrisia e un perbenismo da far venire il voltastomaco,spesso da gli stessi che fino a qualche anno fa cantavano "uccidere un fascista non e reato" o i cui nonni stupravano allegramente le ausiliarie fasciste o bambine come Giuseppina Ghersi.
Tra l'altro il modello democratico in genere si sta mostrando per quello che è realmente,cioè l'ultracapitalismo più sfrenato che ci sta trascinando tutti in un mare di m....
Belli i tempi (1926) in cui Mussolini rivalutava la Lira del 30% per dare più potere d'acquisto agli operai,danneggiando le grosse imprese e le esportazioni,alla faccia di tutti gli economisti moderni.
A Noi
Dolci Fabrizio
Caro Fabrizio,
io ringrazio te per i complimenti.
A proposito: ti richiedo se puoi contattarmi in privato a sardegna@fascismoeliberta.info o darmi una mail o qualcosa alla quale contattarti. Io ho cliccato sul tuo nome, mi appaiono alcune informazioni sul tuo profilo di Blogger ma niente per contattarti. Niente di grave, ti spiegherò tutto quando ci mettiamo in contatto privatamente. Grazie.
Ti ho mandato una mail,se per caso non ti e arrivata o per qualunque problema contattami qua
dolci-fabrizio@virgilio.it
La tua mail mi è arrivata e ti ho risposto. Non ti è arrivato nulla?
Molto strano qui non e arrivato nulla riprova quando hai tempo.
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