La percezione degli americani e degli europei del pericolo del terrorismo islamico, che minaccia tutto l’Occidente, viene meno, e per fare si che l’attenzione e la tensione degli occidentali ritorni alta è quindi necessario un nuovo 11 settembre. Un nuovo, catastrofico attacco, che faccia ancora più vittime e giustifichi quindi non solo le presenti guerre al terrore, quelle che hanno incenerito l’Afghanistan e l’Iraq, ma anche quelle che dovrebbero essere cominciate prima che si chiuda l’amministrazione Bush, l’Iran prima di tutto.
Questi ragionamenti non sono le farneticazioni di un vecchio pazzo, ma di colui che è stato, fino al 2006, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti d’America. In seguito al Freedom Information Act, una legislazione emanata negli anni ’60 per vincolare e regolamentare la divulgazione al grande pubblico di documenti e materiale segreto relativo alla politica degli USA, è possibile quindi al lettore comune – prevalentemente utente della rete Internet, dato che la stampa italiana si è ben guardata dal dare o anche solo dal prendere in considerazione questo tipo di informazione - leggere ( e anche ascoltare, se non hanno ancora bloccato in qualche modo il file audio ) le frasi agghiaccianti che Donald Rumsfeld scambia con un militare USA. Ci troviamo davanti a delle confidenze riservate che Rumsfeld avrebbe fatto davanti ad analisti militari, giornalisti, politici neo-con.
Il militare è Michael Delong ( importante esponente delle Forze Armate americane, nonché capo della commissione di inchiesta americana sulla strage del Cermis ) che, rispondendo a Rumsfeld dice: “Politicamente, fino a che non si verificherà non raccoglierete consenso”; si riferisce ad un altro attacco terroristico, ovviamente, che permetta di dire all’Occidente e al mondo: “Vedete voi occidentali senza spina dorsale? Avete nicchiato sulla guerra al terrorismo, ed eccovi ora altri morti!” Rumsfeld risponde: “Questo è quello che stavo per dire. Questo Presidente è vittima del suo successo. Non abbiamo avuto più un attacco in cinque anni. In questa società la percezione della minaccia è così bassa che non c'è da stupirsi che i modelli di comportamento riflettano un assetto da bassa minaccia. Lo stesso in Europa, c'è una percezione di bassa minaccia. La correzione a ciò, ritengo, passi per un attacco. Quando si verificherà, allora ognuno sarà caricato per un altro [ non si capisce il resto delle parole ] ed è una vergogna che noi non si abbia la maturità di riconoscere la serietà delle minacce.. la loro letalità... la carneficina che può essere imposta alla nostra società è così reale, attuale e seria, che sapete come noi lo si abbia compreso, ma la società, più ci si allontana dall'11 settembre, meno... sempre meno...”.
Successivamente la discussione verte sull’Iraq occupato, dove gli americani sono letteralmente impantanati in quella che Rumsfeld stesso aveva definito “una passeggiata” dove gli iracheni li avrebbero “accolti a braccia aperte”. Rumsfeld, a questo proposito, afferma che in Iraq, per riprendere il controllo, si potrebbe utilizzare un nuovo Sangman Rhee. Questo fu lo spietato dittatore filoamericano della Corea del Nord che, durante il suo potere negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, si macchiò di gravi crimini e omicidi di massa perpetrati contro la sua stessa popolazione.
Mi piacerebbe, a questo proposito, chiedere a Rumsfeld come mai, se l’Iraq è stato invaso per “liberarlo” da un dittatore feroce e sanguinario, quale è descritto Saddam Hussein, l’ex Segretario della Difesa pensi di sostituirlo con un altro di non minor tenore.
Senza dubbio, a prescindere o meno dal contesto all’interno del quale possono essere collocate, sono dichiarazioni pesanti. Di per se, però, non sono dichiarazioni tali da far gridare allo scandalo, al complotto, all’11 settembre come affare interno dell’amministrazione USA.
Le affermazioni di Rumsfeld, quando egli parla candidamente di un nuovo attacco terroristico per sollecitare gli americani a fare la guerra, sono senza dubbio agghiaccianti. Fa paura quel gelido calcolo politico, quel qualche migliaio di morti che Rumsfeld quasi sembra si auspichi per ridare fiato alla politica neoconservatrice, buttato lì come fosse un qualcosa di normale. Eppure non siamo oltre il gelido calcolo politico: è un dato di fatto storicamente acquisito che, in situazioni di estremo pericolo o percepite come tali da un popolo, come ad esempio guerre, invasioni, catastrofi naturali e simili, una popolazione si stringa attorno ai suoi capi e ai suoi rappresentanti chiedendo loro di fronteggiare energicamente quella data situazione. E’ altrettanto scontato, inoltre, pensare che più una popolazione trascorra il tempo in uno stato di tranquillità, lontana da un determinato pericolo, più l’ansia o la paura nei confronti di quello stesso pericolo verrà a diminuire. Pensiamo all’Italia: la paura da parte della popolazione di attacchi terroristici è assai bassa in quanto, dall’11 settembre in poi, ma anche prima, il nostro Paese non ha mai subito alcun attacco terroristico. All’anno molti di più sono i morti sul lavoro, i morti o i mutilati per gli incidenti stradali del sabato sera, i morti per mano della mafia.
Per urlare al complotto, all’11 settembre come “cosa fatta da loro” ( dagli americani ), mi sembra un po’ poco. Del resto, le pubblicazioni su internet, carta e tv su alcuni aspetti mai chiariti dell’attacco alle Torri Gemelle, bastano di per se e non hanno bisogno di così deboli amici per aiutarci a capire che, probabilmente, la versione ufficiale dell’11 settembre è ben lontana dalla realtà.
Mi sembrano, queste dichiarazioni, servite su un piatto d’argento ( nonostante non si sia sentito, in Italia, un solo accenno a questa questione ), un qualcosa di troppo facile, di troppo pulito, di troppo preparato. Non dimentichiamoci che sono state rese pubbliche dalla stessa amministrazione USA, mediante una legge di quasi quarant’anni fa, e gli Stati Uniti non si fanno il minimo scrupolo a segregare delle carte ritenute riservate o compromettenti.
Nonostante tutto, però, non andrebbero sottovalutate. Non sarebbe la prima volta che il governo americano sfrutta questo genere di eventi per pilotare gli umori della sua popolazione. A distanza di decenni sappiamo che lo stesso attacco a Pearl Harbour era ampiamente previsto da parte delle alte sfere militari degli Usa; si sarebbe potuta evitare quella carneficina solo spostando gran parte delle navi e degli aerei di quella base, ma si preferì prendere in pieno petto l’attacco giapponese per poi potersi presentare con una buona motivazione per entrare a combattere la guerra dell’oro. E, del resto, una nuova Pearl Harbour era auspicata dal PNAC ( Project for the New American Century ), il think-thank americano tra i più potenti con al suo interno numerosi ebrei, neocon, massoni e membri del Bilderberg Group, nonché altri personaggi americani minori, e si è verificata l’11 settembre del 2001. Quel pretesto, che sempre più analisi indipendenti, ricerche, libri, ricostruzioni virtuali etc. tendono ad accreditare come un lavoro interno, sappiamo che è stata l’occasione per incenerire l’Iraq e destituire un Presidente, Saddam Hussein, che faceva gli interessi del suo Paese e rischiava, con la sua relativa modernità, di diventare un vicino troppo scomodo per Israele. Sappiamo che la guerra al terrorismo è un pretesto che ha incenerito un altro Stato, l’Afghanistan, e sempre nel nome della nostra sicurezza si vorrebbe incenerire anche l’Iran, uno dei pochissimi stati nazionali ancora non piegato alla politica mondialista.
Questi ragionamenti non sono le farneticazioni di un vecchio pazzo, ma di colui che è stato, fino al 2006, il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti d’America. In seguito al Freedom Information Act, una legislazione emanata negli anni ’60 per vincolare e regolamentare la divulgazione al grande pubblico di documenti e materiale segreto relativo alla politica degli USA, è possibile quindi al lettore comune – prevalentemente utente della rete Internet, dato che la stampa italiana si è ben guardata dal dare o anche solo dal prendere in considerazione questo tipo di informazione - leggere ( e anche ascoltare, se non hanno ancora bloccato in qualche modo il file audio ) le frasi agghiaccianti che Donald Rumsfeld scambia con un militare USA. Ci troviamo davanti a delle confidenze riservate che Rumsfeld avrebbe fatto davanti ad analisti militari, giornalisti, politici neo-con.
Il militare è Michael Delong ( importante esponente delle Forze Armate americane, nonché capo della commissione di inchiesta americana sulla strage del Cermis ) che, rispondendo a Rumsfeld dice: “Politicamente, fino a che non si verificherà non raccoglierete consenso”; si riferisce ad un altro attacco terroristico, ovviamente, che permetta di dire all’Occidente e al mondo: “Vedete voi occidentali senza spina dorsale? Avete nicchiato sulla guerra al terrorismo, ed eccovi ora altri morti!” Rumsfeld risponde: “Questo è quello che stavo per dire. Questo Presidente è vittima del suo successo. Non abbiamo avuto più un attacco in cinque anni. In questa società la percezione della minaccia è così bassa che non c'è da stupirsi che i modelli di comportamento riflettano un assetto da bassa minaccia. Lo stesso in Europa, c'è una percezione di bassa minaccia. La correzione a ciò, ritengo, passi per un attacco. Quando si verificherà, allora ognuno sarà caricato per un altro [ non si capisce il resto delle parole ] ed è una vergogna che noi non si abbia la maturità di riconoscere la serietà delle minacce.. la loro letalità... la carneficina che può essere imposta alla nostra società è così reale, attuale e seria, che sapete come noi lo si abbia compreso, ma la società, più ci si allontana dall'11 settembre, meno... sempre meno...”.
Successivamente la discussione verte sull’Iraq occupato, dove gli americani sono letteralmente impantanati in quella che Rumsfeld stesso aveva definito “una passeggiata” dove gli iracheni li avrebbero “accolti a braccia aperte”. Rumsfeld, a questo proposito, afferma che in Iraq, per riprendere il controllo, si potrebbe utilizzare un nuovo Sangman Rhee. Questo fu lo spietato dittatore filoamericano della Corea del Nord che, durante il suo potere negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, si macchiò di gravi crimini e omicidi di massa perpetrati contro la sua stessa popolazione.
Mi piacerebbe, a questo proposito, chiedere a Rumsfeld come mai, se l’Iraq è stato invaso per “liberarlo” da un dittatore feroce e sanguinario, quale è descritto Saddam Hussein, l’ex Segretario della Difesa pensi di sostituirlo con un altro di non minor tenore.
Senza dubbio, a prescindere o meno dal contesto all’interno del quale possono essere collocate, sono dichiarazioni pesanti. Di per se, però, non sono dichiarazioni tali da far gridare allo scandalo, al complotto, all’11 settembre come affare interno dell’amministrazione USA.
Le affermazioni di Rumsfeld, quando egli parla candidamente di un nuovo attacco terroristico per sollecitare gli americani a fare la guerra, sono senza dubbio agghiaccianti. Fa paura quel gelido calcolo politico, quel qualche migliaio di morti che Rumsfeld quasi sembra si auspichi per ridare fiato alla politica neoconservatrice, buttato lì come fosse un qualcosa di normale. Eppure non siamo oltre il gelido calcolo politico: è un dato di fatto storicamente acquisito che, in situazioni di estremo pericolo o percepite come tali da un popolo, come ad esempio guerre, invasioni, catastrofi naturali e simili, una popolazione si stringa attorno ai suoi capi e ai suoi rappresentanti chiedendo loro di fronteggiare energicamente quella data situazione. E’ altrettanto scontato, inoltre, pensare che più una popolazione trascorra il tempo in uno stato di tranquillità, lontana da un determinato pericolo, più l’ansia o la paura nei confronti di quello stesso pericolo verrà a diminuire. Pensiamo all’Italia: la paura da parte della popolazione di attacchi terroristici è assai bassa in quanto, dall’11 settembre in poi, ma anche prima, il nostro Paese non ha mai subito alcun attacco terroristico. All’anno molti di più sono i morti sul lavoro, i morti o i mutilati per gli incidenti stradali del sabato sera, i morti per mano della mafia.
Per urlare al complotto, all’11 settembre come “cosa fatta da loro” ( dagli americani ), mi sembra un po’ poco. Del resto, le pubblicazioni su internet, carta e tv su alcuni aspetti mai chiariti dell’attacco alle Torri Gemelle, bastano di per se e non hanno bisogno di così deboli amici per aiutarci a capire che, probabilmente, la versione ufficiale dell’11 settembre è ben lontana dalla realtà.
Mi sembrano, queste dichiarazioni, servite su un piatto d’argento ( nonostante non si sia sentito, in Italia, un solo accenno a questa questione ), un qualcosa di troppo facile, di troppo pulito, di troppo preparato. Non dimentichiamoci che sono state rese pubbliche dalla stessa amministrazione USA, mediante una legge di quasi quarant’anni fa, e gli Stati Uniti non si fanno il minimo scrupolo a segregare delle carte ritenute riservate o compromettenti.
Nonostante tutto, però, non andrebbero sottovalutate. Non sarebbe la prima volta che il governo americano sfrutta questo genere di eventi per pilotare gli umori della sua popolazione. A distanza di decenni sappiamo che lo stesso attacco a Pearl Harbour era ampiamente previsto da parte delle alte sfere militari degli Usa; si sarebbe potuta evitare quella carneficina solo spostando gran parte delle navi e degli aerei di quella base, ma si preferì prendere in pieno petto l’attacco giapponese per poi potersi presentare con una buona motivazione per entrare a combattere la guerra dell’oro. E, del resto, una nuova Pearl Harbour era auspicata dal PNAC ( Project for the New American Century ), il think-thank americano tra i più potenti con al suo interno numerosi ebrei, neocon, massoni e membri del Bilderberg Group, nonché altri personaggi americani minori, e si è verificata l’11 settembre del 2001. Quel pretesto, che sempre più analisi indipendenti, ricerche, libri, ricostruzioni virtuali etc. tendono ad accreditare come un lavoro interno, sappiamo che è stata l’occasione per incenerire l’Iraq e destituire un Presidente, Saddam Hussein, che faceva gli interessi del suo Paese e rischiava, con la sua relativa modernità, di diventare un vicino troppo scomodo per Israele. Sappiamo che la guerra al terrorismo è un pretesto che ha incenerito un altro Stato, l’Afghanistan, e sempre nel nome della nostra sicurezza si vorrebbe incenerire anche l’Iran, uno dei pochissimi stati nazionali ancora non piegato alla politica mondialista.
Sappiamo anche che Bush è alla fine del suo mandato, che si moltiplicano gli appelli per entrare in guerra con l'Iran, che diverse portaerei da guerra stanziano vicino alle acque iraniane, che solo qualche mese fa le navi americane hanno cercato il pretesto per un "casus belli". Stanno punzecchiando l'Iran piano piano. Un attentato, magari un "false flag", come vengono chiamati in gergo quegli attentati fatti da una fazione per far ricadere la colpa sulla fazione nemica, magari potrebbe rinnovare l'odio antimusulmano e spingere la popolazione ad "apprezzare" maggiormente la guerra che l'amministrazione Bush sembra voler fare a tutti i costi.
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