Finalmente l’hanno preso,
il bastardo. Dopo una latitanza più che trentennale che lo ha portato dal
Brasile alla Bolivia, passando per la Francia, sempre di governi di sinistra,
quindi, per definizione, conniventi con gli assassini e con i terroristi.
Perché Cesare Battisti
solo e semplicemente questo è, e non nient’altro. Come hanno confermato le
quattro sentenze di ergastolo per omicidio: due per aver partecipato
materialmente ai delitti, una per essere stato attivo autore morale, la quarta
per aver partecipato alla pianificazione ed esecuzione del delitto. Sentenze di
quello Stato Italiano che egli voleva combattere nel nome del comunismo,
militando nei PAC, i Proletari Armati per il Comunismo: quei simpatyci
ragazzetti che cantavano che “uccidere un Fascista non è reato”, e i più
burrascosi di loro si mettevano pure a compierlo, quello che non era un reato,
crivellando a colpi di Skorpion i ragazzi di destra o spaccando loro la testa a
colpi di Hazet 36, con tanto di applausi dai banchi della sinistra del Comune
di Milano e famiglia Fo (Dario e Franca) che si attivano per far scappare gli
assassini di bambini.
I comunisti e i sinistri
erano (sono) così: crudeli e vendicativi con i nemici, permissivi e comprensivi
con gli amici, che erano e rimangono sempre “compagni che sbagliano”. Anche quando
uccidono (è proprio Battisti a sparare) Antonio Santoro, il maresciallo dei
Carabinieri che aveva il solo ed unico torto di indagare sui rossi, in un
periodo in cui sui rossi non indagava nessuno ed anzi, come abbiamo già
ampiamente detto, gli applausi per i delitti venivano direttamente dai consigli
comunali; anche quando progetta l’omicidio di Pierluigi Torregiani, un
gioielliere che aveva avuto il solo torto di rispondere al fuoco durante un
tentativo di rapina (argomento, ancora oggi, di triste attualità), e in quella
esecuzione mirata resterà disabile il figlio di Pierluigi, Alberto, e Vincenzo
Consoli, collega del Torregiani; sono sempre compagni che sbagliano anche
quando viene ucciso il macellaio Lino Sabbadin, o l’agente della Digos Andrea
Campagna, colpevole, come Santoro, di indagare su coloro che erano descritti ed
idealizzati come una sorta di moderni cavalieri, martiri della libertà contro
lo Stato repressivo e polizesco, quello Stato talmente repressivo e polizesco
che per fronteggiare le bande armata comuniste dovette dotarsi di una
legislazione di emergenza.
La sinistra di quegli anni
era questa: da una parte c’era chi sparava, chi egemonizzava la presenza nelle
scuole e nelle Università con l’intimidazione fisica e la violenza, chi
monopolizzava i giornali e le sedi dei partiti, e dall’altra parte, la
maggioranza, chi applaudiva a tale stato di cose. Applaudiva, nel vero senso
della parola: come coloro che sedevano tra i banchi della sinistra del Comune
di Milano e che, quando in aula arrivò la notizia che un ragazzo di 19 anni,
Sergio Ramelli, era stato ritrovato sul marciapiede con la testa fracassata a
colpi di chiave inglese, si lasciarono andare ad uno scrosciante applauso di
gioia. Oppure, se non applaudiva, lavorava dietro le quinte per garantire l’impunità
a chi dava fuoco ai bambini. Come Franca Rame e Dario Fo, che si attivarono con
una struttura semiclandestina, il Soccorso Rosso, per far scappare dall’Italia
coloro che bruciarono vivi i Fratelli Mattei, di ventidue e dodici anni,
colpevoli solo di essere i figli di un rappresentante del Movimento Sociale
Italiano di Primavalle: nessuno di loro ha mai pagato, e molti di loro, anzi,
ricoprono ruoli di rilievo nelle istituzioni e nella pubblicistica (di
sinistra, ovviamente).
La sinistra italiana era
ed è questa qui. Come spiegarsi altrimenti l’appello a Cesare Battisti che all’epoca
firmarono personaggi come Valerio Evangelisti, Massimo Carlotto, Tiziano
Scarpa, Nanni Balestrini, Daniel Pennac, Giuseppe Genna, Giorgio
Agamben, Girolamo De Michele, Vauro, Lello Voce, Pino
Cacucci, Christian Raimo, Sandrone Dazieri, Loredana Lipperini, Marco
Philopat, Gianfranco Manfredi, Laura Grimaldi, Antonio Moresco, Carla
Benedetti, Stefano Tassinari, e, ultimo ma non meno importante, un ragazzo
che allora cercava di farsi strada nel mondo degli scrittori, di nome Roberto
Saviano? Il quale, dopo cinque anni, e precisamente dopo aver raggiunto la fama
col suo libro “Gomorra”, si ricorderà di quell’appello e chiederà di ritirare
la sua firma. Vigliacco e infame, fino all’ultimo.
La notizia che la Bolivia
ci avrebbe rimandato indietro Cesare Battisti ci ha inizialmente rallegrato,
non lo nascondiamo. Poi, però, ci siamo un pochino intristiti. Perché abbiamo
pensato a dove siamo, in Italia. Infatti lo abbiamo visto scendere dall’aereo
senza manette, cosa, questa, incomprensibile ai più. Il segnale che avrebbe
dato un Cesare Battisti ammanettato sarebbe stato simbolico ma, come tutti i
simboli, fortissimo: lo Stato c’è, lo Stato non si è arreso dopo tutti questi
anni. E va bene, ce ne siamo fatti una ragione: godiamoci la cattura. Poi i
vermi, quelli stessi della sinistra del Comune di Milano, solo un po’ più
giovani, hanno cominciato a cianciare di carcere inumano, di un uomo solo e
malato che lascia un figlioletto, di pene alternative al carcere, di Italia
vendicativa (tutte questioni che non si ponevano mentre uccideva o si faceva fare le foto mentre cazzeggiava al mare).

Una sola domanda si pone
chi scrive: era così difficile trovare due galantuomini dei servizi segreti da
mandare in Brasile con due proiettili in canna?