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giovedì 10 giugno 2021

Ottantuno anni fa il Sangue contro l'oro

Ottantuno anni fa l'Italia si ergeva ad estremo baluardo dell'Onore e del Sangue ario contro l'innominabile lobby che da 2000 anni avvelena i pozzi della Tradizione dell'Europa.
Hanno vinto una guerra, ma non l'ultima battaglia. Non ancora.
Lunga vita a coloro che difesero la Civiltà.
 

 

mercoledì 28 aprile 2021

lunedì 26 aprile 2021

Tenetevi pure il vostro 25 aprile...

Ogni anno, ogni maledetto 25 aprile, quando torme di pagliacci scendono in strada a celebrare il tradimento, il disonore militare, la sconfitta della Nazione ed il suo declassamento a mera colonia americana, spunta puntualmente fuori qualcuno che ci parla di “pacificazione”. 

Da una parte uomini e Patrioti, che non abbandonarono la Nazione nel suo momento più drammatico, arruolati nelle Brigate Nere, nei reparti della Repubblica Sociale Italiana, nelle SS Italiane, al fianco dei gloriosi alleati Nazionalsocialisti, pronti ad immolarsi in Russia, in Africa, in Egitto, in quell'Italia che non si voleva far cadere nelle mani degli americani. Dall'altra i partigiani, vili banditi e teppisti, come ampiamente dimostrato dalla sentenza 747 del Tribunale Supremo Militare (anno 1954, ben nove anni dopo la caduta del Fascismo, giova ricordarlo), che qualifica come legittimi soldati i combattenti inquadrati nelle formazioni Fasciste - appartenenti ad uno Stato legalmente riconosciuto (la Repubblica Sociale Italiana) da gran parte degli Stati allora in guerra, contro i banditi, non qualificabili come belligeranti. In poche parole: vili terroristi.

Ebbene: Noi non vogliamo nessuna pacificazione tra repubblicani Fascisti e partigiani. Non vogliamo sederci con gli eredi di coloro che hanno svenduto la Patria, che sparavano a legittimi soldati alle spalle, che si nascondevano sui monti solo per razziare e depredare, che violentavano donne e bambine indifese colpevoli solo di amare un fascista o di averlo come padre, che salutavano come “liberatori” gli assassini di Dresda, di Hiroshima, di Nagasaki, di Gorla, il tutto mentre c’era ancora chi dava il proprio sangue per non infrangere un giuramento che e poter dimostrare che l’Italia non era fatta solo di vigliacchi opportunisti e voltagabbana. 

Mentre voi celebrate stupratori e banditi noi rimaniamo in silenzio, a ricordare coloro che non ci sono più ma che ancora oggi ci marciano accanto, nell’attesa di tornare a rendere grandi questa Nazione che avete distrutto, impoverito, umiliato e depredato. 

Conosciamo molto bene la differenza tra chi diede tutto per la Patria e chi la svendette al miglior offerente, e non vogliamo sederci al tavolo con loro, né oggi, né domani, né mai.

Disprezzo per gli omuncoli, lunga vita a coloro che scelsero la parte sbagliata e non indietreggiarono.

mercoledì 18 novembre 2020

Adesso c'è anche il delitto di "sovranismo": l'ennesima sentenza dei magistrati comunisti


Quando parliamo della Magistratura come il vero cancro dell’Italia, puntualmente qualcuno ci accusa di essere troppo pesanti nei giudizi, troppo “estremisti”. Come se il caso Palamara – che ha scoperchiato, seppur in minima parte, la mafia che tutto decide all’interno delle aule di Tribunale – non avesse insegnato alcunché.

Poi, però, arriva qualche sentenza palesemente politicizzata – e quando arrivano le sentenze palesemente politicizzate sono sempre e comunque dirette verso una ed una sola parte politica – a darci puntualmente ragione.

Di cosa parliamo? È presto detto. La sentenza politicizzata arriva dal Gup di Milano, Manuela Cannavale, per la commemorazione che si è svolta il 29 aprile del 2019 per ricordare il martirio di Sergio Ramelli, un ragazzo di destra che nel 1976, dopo una serie incredibile di aggressioni e di umiliazioni (anche avvallate dallo stesso personale della scuola frequentata da Sergio), fu ucciso a colpi di chiave inglese da un kommando di Avanguardia Operaia. Cosa lo portò alla morte? Essere di destra ed aver scritto un tema scolastico contro le Brigate Rosse, allora come oggi considerate dei compagni nel migliore dei casi come “compagni che sbagliano”, nel peggiore come moderni Don Chisciotte che, anziché affrontare i mulini a vento, aggredivano in 5 contro 1 i pericolosi Fascisti a colpi di chiave inglese. Fu proprio dopo essere stato colpito alla testa con una chiave inglese che Sergio Ramelli venne lasciato riverso sull’asfalto, con tanto di vergognoso applauso dai banchi comunali della sinistra milanese non appena si venne a sapere della notizia.

Come viene motivata la condanna del GUP Cannavale per i partecipanti alla manifestazione del 29 aprile 2019 in ricordo di Sergio Ramelli?

“Una manifestazione posta in essere al solo scopo di eseguire riti e gesti del disciolto Partito Fascista, al solo scopo di evocare i tempi del Fascismo con grandissima partecipazione emotiva da parte di tutti i manifestanti, perfetto ordine, pedissequa ripetizione delle frasi, dei gesti, delle ritualità appartenenti al solo Fascismo e ciò allo scopo di provocare adesioni e consensi e di concorrere alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione di organizzazioni Fasciste”.

Ancora:

La manifestazione è stata fatta con lo scopo di ricostituire il Partito Nazionale Fascista, è la prima affermazione del GUP. Verrebbe da dire che questi Fascisti non siano proprio dei geni di guerra: la commemorazione per Ramelli avviene, puntuale ogni anno, dal ’76 in poi, e la ricostituzione del PNF non è mai avvenuta. Perché dovrebbe avvenire adesso, a più di quarant’anni di distanza? La spiegazione viene data poco dopo, quando il GUP afferma:

“non è stata mai attuale come nel presente momento storico, nel quale episodi di intolleranza e violenza dovuti a motivi razziali sono all’ordine del giorno e si assiste ad una pericolosa deriva sovranista" […] “certamente creano in soggetti che si ritrovano nelle loro idee una suggestione, una forza, una evocazione del passato regime tali da rappresentare un concreto tentativo di proselitismo e, quindi, un concreto pericolo di raccogliere adesioni finalizzate alla ricostruzione di un partito fascista“.

L’impostazione politica di questa sentenza è evidente per due motivi: viene, seppur implicitamente, richiamato un reato che non ci risulta esistere nel Codice Penale, vale a dire quello di “sovranismo”. Per l’ennesima volta assistiamo ad un giudice che, anziché limitarsi a stabilire se una condotta sia legittima o meno in base alla legislazione vigente, pretende di dare patenti di correttezza sanzionando le condotte politiche che magari a lei non piacciono (ed alla stragrande maggioranza dei suoi colleghi), ma che sono legittime per una certa parte della restante popolazione (anzi: la maggior parte). In questo senso la sentenza serve a “contenere la deriva sovranista”, il cui campanello d’allarme è:

“1.200 persone delle diverse realtà extraparlamentari di destra riunite in modo compatto, che insieme rispondono alla chiamata del presente e alzano il braccio nel saluto romano con orgoglio ed entusiasmo”.

Ecco ciò che preoccupa il giudice: prima si trattava di 4 gatti, ora sono di più, e quindi bisogna fermarli in qualche modo. Forse non ve ne siete accorti, ma è quello che noi di Fascismo e Libertà abbiamo sempre detto ed affermato: la nostra stessa esistenza viene blandamente tollerata perché siamo un Movimento piccolino. Quando e se mai cresceremo in numeri ed in militanti ci schiacceranno come si fa con uno scarafaggio. Né più, né meno. E quale miglior modo di una sentenza politicizzata per fermare le opinioni altrui? A parte il fatto che nei “Presente!” a Sergio Ramelli spesso si sono contate molte più persone delle 1200 dell’anno scorso, preoccupa questa deriva giudiziaria che si arroga unilateralmente il diritto di condannare “derive sovraniste” che, a tutti gli effetti, non costituiscono alcun reato, ma anzi sono idee politiche che trovano piena legittimità e rilevanza all’interno del dettato democratico della Nazione. Dobbiamo aspettarci a breve un giudice od un suo delegato che guarderanno mentre votiamo, per accertarci che il nostro voto vada solo ai partiti di sinistra e non ai pericolosi fascio-leghisti? E se una sentenza palesemente politicizzata dichiara la sua intenzione di voler contenere “le derive sovraniste”, allora anche aggredire o fare del male ad un esponente politico delle stesse potrebbe essere meno grave rispetto all’aggredire un esponente dell’area progressista, proprio perché la sua aggressione è servita a contenere le derive suddette? Vedete? Sono sempre quelli che "Uccidere un Fascista non è reato", oggi come ieri.

Il caso Palamara è solo la punta di un iceberg. È nei Tribunali, ogni giorno, in qualunque parte d’Italia, spesso a telecamere spente, che la Magistratura, con sentenze giudiziarie palesemente politicizzate ed impegnate, interviene cercando di influenzare l’andamento politico della Nazione, quasi come una sorta di garante del verbo illuminato progressista ed antifascista, funzione che, evidentemente, non le compete affatto, essendo il suo scopo quello di sanzionare se una condotta sia legittima o meno, Codice Penale alla mano.

Ieri ridevate, perché la repressione era (ed è) riservata ai bastardi Fascisti. Ridete anche oggi, perché il trattamento è riservato agli analfabeti funzionali negazionisti del Covid-19. Auguratevi di poter continuare a ridere anche domani.

venerdì 23 ottobre 2020

Mancò la Fortuna, non il Valore

EL ALAMEIN, 23 OTTOBRE 1942: LA FOLGORE ENTRA NELLA LEGGENDA.

“Dobbiamo davvero inchinarci davanti ai resti di quelli che furono i leoni della Folgore…” Con queste parole, pronunciate alla Camera dei Comuni di Londra, Winston Churchill rese onore all’eroico sacrificio dei soldati italiani a El Alamein, in quelle drammatiche giornate di fine nell’ottobre del 1942 che infiammarono le sabbie del deserto con il riverbero di una lotta disperata e leggendaria.

“La Divisione Folgore ha resistito al di là di ogni possibile speranza”, lanciò nell’etere Radio Cairo l’8 novembre 1942 per bocca del corrispondente Heartbrington. “Gli ultimi superstiti della Folgore sono stati raccolti esanimi nel deserto. La Folgore è caduta con le armi in pugno”, rieccheggiò la BBC da Londra.

L’onore delle armi del nemico, la testimonianza più autentica, l’unica che, in fondo, valga davvero qualcosa.

Ma che cosa avvenne, precisamente, 60 anni fa nel corso della “madre di tutte le battaglie“?

L’attacco decisivo degli inglesi e dei loro alleati contro le linee italo-tedesche in Africa settentrionale si scatenò, nei giorni dal 23 al 29 ottobre 1942, lungo il settore difeso dalla divisione paracadutisti Folgore a El Alamein.

L’Ottava Armata inglese aveva schierato nel settore, la 7a Divisione corazzata, i Desert Rats, “i Topi del deserto”, un’unità di veterani di molte battaglie africane, e tre divisioni di fanteria. Un totale di circa 50.000 uomini, con 400 pezzi di artiglieria, 350 carri e 250 blindati. Le scorte di munizioni, viveri ed equipaggiamenti erano praticamente illimitate.

Gli italiani mettevano in campo circa 3.500 paracadutisti, più altri 1.000 uomini (31° Battaglione guastatori d’Africa e un battaglione di fanteria della Divisione Pavia), un’ottantina di pezzi d’artiglieria, 5 carri, nessun veicolo proprio, penuria assoluta di munizioni ed equipaggiamenti, viveri in quantità e qualità talmente misere da causare serie malattie debilitanti a più del 30% della forza effettiva.

In sintesi i rapporti di forza erano di 1 a 13 per gli uomini, 1 a 5 per le artiglierie, 1 a 70 per i carri. Tuttavia, i paracadutisti della Folgore, l’ultimo baluardo superato il quale il nemico sarebbe dilagato alle spalle dell’Armata italo-tedesca, si erano apprestati alla difesa, lungo un fronte di 15 chilometri, decisi a vendere cara la pelle.

Ai ripetuti attacchi degli inglesi, i paracadutisti risposero con incredibile determinazione ed energia, respingendo ogni tentativo di sfondamento e infliggendo al nemico gravi perdite, al prezzo di grandi sacrifici: circa 1.100 tra morti, feriti e dispersi. L’inaspettata resistenza, protrattasi per una settimana, costrinse i comandi inglesi a sospendere ogni ulteriore iniziativa su quel fronte e a concentrare altrove lo sforzo offensivo. Quando, il 2 novembre, in seguito al generale ordine di ripiegamento, la Folgore dovette abbandonare le posizioni, la sua linea di resistenza era ancora intatta ma i resti della Divisione si sarebbero poi dissolti, nel giro di pochi giorni, nel corso della tragica ritirata nel deserto.

Nel corso dei decenni, con il venir meno di pregiudiziali ideologiche e di interpretazioni storiche riduttive, la battaglia di El Alamein, per lungo tempo ufficialmente “dimenticata“, ha guadagnato lo spazio che le compete nell’attenzione degli storici e nel rispetto delle autorità nazionali.

La battaglia di El Alamein rimane uno degli esempi più significativi di coraggio e abnegazione nella storia delle nostre truppe. A oltre sessant’anni di distanza, El Alamein e il valore del soldato italiano testimoniato dagli stessi avversari di allora, diventa simbolo della ritrovata unità del popolo italiano attorno a valori forti, riconosciuti e condivisi, un’occasione per ricostruire una memoria nazionale da confrontare con quella di tutti i popoli protagonisti di quelle pagine di storia.

Noi siamo orgogliosi di esserne gli eredi. Respiriamo il loro coraggio.

mercoledì 1 luglio 2020

"Mancò la Fortuna, ma non il Valore": 78 anni fa i soldati Italiani diventavano Eterni.

1 luglio 1942.

Gli Spartani hanno le loro Termopili, i Tedeschi hanno il bunker di Berlino, gli Italiani hanno El Alamein.

In netta inferiorità numerica, senza munizioni, con l'alleato Nazionalsocialista impossibilitato ad intervenire, questi eroi italiani resistono "oltre ogni limite delle possibilità umane", come dirà la CNN. Fino all'ultima pallottola, fino all'ultima granata, senza acqua né viveri, con le uniformi sbrindellate, il mondo, attonito, ha visto compierso l'impossibile.

Due settimane di resistenza disperata e fieramente Italiana contro quel Tredicesimo Corpo d'Armata Inglese che rimase stupefatto quando, nel prendere in consegna gli ultimi sopravvissuti, li trova sporchi, stanchi ed affamati, ma in fila militare, col braccio destro alzato nel saluto Fascista.

Essi hanno trasmigrato dal piano fisico per diventare Dei Immortali, fondendosi con l'Eterno.

"Mancò la Fortuna, ma non il Valore": così un ceppo rende Onore agli Eroi.

Italiano di oggi: davanti al loro sacrificio china il capo, taci, non chiederti quanti sono i nemici ma solo dove siano, non chiederti in quanti siete voi ed in quanti sono loro, non indietreggiare nemmeno di un solo, fottuto millimetro. Loro non lo hanno fatto.

lunedì 29 giugno 2020

Sallusti scriva pure i suoi articoli strappalacrime, ma non faccia paragoni con una Storia che non conosce



Leggendo alcuni articoli, sovente, mi viene da interrogarmi se l’autore sia ignorante, in malafede, voglia conformarsi al politicamente corretto antifascista, oppure un miscuglio di tutte queste cose insieme.

È quello che mi è accaduto ieri, a pagina 11 di Libero, leggendo l’articolo di Giovanni Sallusti a commento dell’episodio di cronaca nera che ha sconvolto l’Italia: Mario Bressi che, accecato dalla gelosia, uccide le sue due figlie per fare un dispetto alla moglie dalla quale si stava separando e poi si getta nel vuoto, uccidendosi.

Capiamo le invettive di un Sallusti sconvolto quando scrive (giustamente): “Non definitelo comodamente bestia, perché gli animali non si sarebbero mai lasciati alle spalle uno scempio del genere”. Condividiamo. Sarebbe il caso di indagare un po’ più a fondo, però, e chiedersi cosa accada nell’animo di un uomo che ha combattuto per la propria famiglia, che ha creduto in dei valori e ha fatto dei sacrifici per essi, e che la vede disintegrarsi sotto i suoi occhi per i futili capricci della donna che ha amato, la quale, un bel giorno, si invaghisce di un altro e ti sbatte fuori di casa come l’ultimo dei coglioni, grazie alla legge italiana che ti costringe a pagare anche quando sei tu, palesemente, il “cornuto e mazziato”. Così sembrava andare la vita di Mario Bressi.

Capiamo però perfettamente che Giovanni Sallusti non si sia addentrato in queste considerazioni, preferendo giocare sull’immediato, sulla “pelle” del lettore, sulle disgustose emozioni che provoca in una persona normale l’omicidio di due bambine da parte del padre, per motivi di gelosia.

Quello che non capiamo, però, sono gli accostamenti storici fatti “ad minchiam”, giusto per raccattare qualche applauso politicamente corretto, quando il giornalista scrive: “Mario Bressi si è congedato dal mondo oltre il patologico, oltre il criminale, in una dimensione che perde i riferimenti anche più perversi e prevede solo un tetro compiacimento dell’Io ridotto a discarica, ha fatto qualcosa che in passato ad esempio fece Joseph Goebbels, per dire quanto bisogna scendere negli scantinati dell’essere, uccidere i propri figli.

Della serie: se ti riduci a compiere la stessa scelta che fece l’allora Ministro per la Propaganda del Terzo Reich, significa che hai raggiunto gli abissi più profondi della degradazione dell’animo umano.

Come al solito i gerarchi Nazionalsocialisti, quando non Adolf Hitler in persona, vengono presi ad esempio del Male più assoluto, come in questo caso.

Sarebbe bene che Giovanni Sallusti si rileggesse qualcosa su ciò che accadeva in quei giorni, a Berlino, quando Joseph e Magda Goebbels presero la tremenda decisione di avvelenare i propri figli, e non fu certamente una scelta a cuor leggero. Forse testi come “Le ultime ore dell’Europa” di Adriano Romualdi, o “I leoni morti” di Saint-Paulien, per citare solo due dei testi fondamentali per capire la Storia (non quella scritta da massoni o da giudei, certamente), aprirebbero gli occhi al giornalista antifascista.

Il quale scoprirebbe cosa accadeva in quei giorni, a Berlino, mentre i diavoli rossi della SS Charlemagne, i disperati, gli ultimi ancora capaci di combattere dopo i massacri indiscriminati, difendevano il bunker di Adolf Hitler dalle orde dell’Armata Rossa, superiore almeno dieci volte di numero, i cui soldati stupravano indistintamente tutte le donne dai 7 agli 80 anni per poi inchiodarle alle porte della case, uccidevano, torturavano, galvanizzati dalle parole dell’ebreo Ilija Ehrenburg, che così scriveva loro: “Soldati dell’Armata Rossa! Uccidete! Uccidete! Schiacciate la belva fascista nella sua tana! Prendete come preda le donne tedesche! Umiliate il loro orgoglio razziale! Uccidete i fascisti! Uccideteli tutti! Tutti i fascisti sono colpevoli! I nati, ed i non nati!”.

Davanti ad un carnaio simile, all’inferno che scende in terra portato dai selvaggi demoni bolscevichi, “ogni atto di viltà era un crimine intollerabile”, come scrisse Adriano Romualdi: fu a quello scopo, infatti che Adolf Hitler costituì il “volksturm”, il richiamo dei riservisti e l’arruolamento di tutti i ragazzi dai 16 anni in su (ma molti più piccoli si arruoleranno volontariamente, il panzerfaust di sghimbescio sulla traversa della bicicletta – momenti di gloria che rendono il popolo tedesco, almeno quello fino al ’45, degno di essere omaggiato e ricordato) per difendere la Patria dall’invasore e ricacciarlo indietro.

Fu in questo inferno, con il sacrosanto terrore di quello che sarebbe accaduto ai loro figli se solo fossero caduti in mano nemica – ai figli di uno dei Ministri più importanti di quel Terzo Reich che cadeva gloriosamente in un inferno di fiamme e di acciaio – che Magda e Joseph Gobbels scelsero, con la morte nel cuore, di dare ai propri figli una morte indolore, che sarebbe stata di gran lunga preferibile a ciò che avrebbero subito se fossero disgraziatamente caduti nelle mani dei barbari sovietici. La stessa pietosa mano guidò quella del Fuhrer – quell’Adolf Hitler che, nonostante gli innumerevoli consigli per la propria sicurezza personale, era testardamente voluto restare a Berlino per difenderla fino alla fine, per restare accanto al popolo tedesco – nei confronti della sua cagnetta Blondie: chi aveva fatto così tanto per il benessere animale, introducendo una legislazione all’avanguardia nella protezione dei diritti degli animali, a tal punto che farebbe impallidire anche gli animalisti più esagitati di oggi, tremava al solo pensiero di cosa sarebbe accaduto ad una delle creature che più aveva amato in terra.


Paragonare questi due avvenimenti, a prescindere dalla contestualizzazione che deve necessariamente essere fatta, ed il tutto allo scopo di raccattare qualche applauso dagli antifascisti della destra, è un’operazione che può fare solo chi è profondamente in malafede o solo chi è profondamente ignorante. Scelga Sallusti cosa preferisce essere.

sabato 25 aprile 2020

Festeggiate voi, traditori bastardi

Ogni anno, quando i vigliacchi e i traditori della Nazione scendono in piazza a festeggiare la sconfitta ed il disonore militare, sentiamo qualcuno tra i nostri ciarlare di pacificazione e di parificazione tra partigiani e repubblicani.
Ebbene: non vogliamo nessuna pacificazione! Benché meno vogliamo che vigliacchi e terroristi vengano paragonati ai gloriosi combattenti della Repubblica Sociale, delle SS Italiane e di tutti coloro che, mentre la Patria moriva, versarono il loro Sangue per difenderLa.
Oggi come ieri: disprezzo per i traditori, lunga vita a chi cadde per l'Onore.

lunedì 13 gennaio 2020

Giampaolo Pansa è morto, ma qualcuno lo avrebbe ucciso anche prima


Giampaolo Pansa non ci è mai stato simpatico e, come al solito, non l’abbiamo mai nascosto. 

Contiguo al potere mediatico di una estrema sinistra che ha occultato i crimini della Resistenza per decenni, anche dalle nostre parti (politiche) è stato spesso incensato per il “Ciclo dei vinti”, i libri sulle atrocità dei partigiani (il più conosciuto è, per l’appunto, “Il sangue dei vinti”) che ebbero – e questo glielo si deve riconoscere – il merito di portare all’attenzione del grande pubblico i crimini dei partigiani, aprendo il vaso di Pandora sulle atrocità, le stragi e le violenze compiute da coloro che si sono auto-eletti come i difensori della libertà. Noi, però, non gli dobbiamo niente: gran parte di ciò che Pansa ha scritto – probabilmente in forma più romanzata e più “leggibile” per il lettore moderno, tradizionalmente poco avvezzo alla pedanteria dal tradizionale saggio storico – fu scritto a suo tempo da Giorgio Pisanò, giornalista ex MSI e fondatore di Fascismo e Libertà (fatto, questo, spesso e volentieri taciuto).


Perché Pansa non ci stava simpatico e Pisanò si? Perché Pisanò, contrariamente a Pansa, pagò le sue scelte politiche e professionali di persona, subendo l’ostracismo e l’odio (umano e politico, perché a sinistra non scindono le due cose) di quella parte politica di cui Giampaolo Pansa, viceversa, è stato uno dei cantori più celebrati per decenni. Fino a quello che, a sinistra, viene ancora percepito come un voltafaccia: l’inaugurazione del “Ciclo dei vinti” è costato al giornalista piemontese le peggiori accuse da parte di quella sinistra che sulla mistificazione della Storia ha costruito la sua fortuna, quali quella di trasformismo, di contiguità con i Fascisti, perfino di traditore e di calunniatore, perché l’aura della Resistenza, Pisanò e qualche altro scrittore solitario a parte, era immacolata, e  tale sarebbe dovuta rimanere.

Non ci è stato molto simpatico, e va bene. Però, quando una persona non ci sta simpatica e passa a miglior vita, abbiamo la decenza di tacere e di chinare la testa.

Un giro sulle pagine Facebook di sinistra che affrontano la morte di Giampaolo Pansa basta a farci venire la nausea: "E' morto un revisionista di m****", "Uno di meno", "Sarebbe dovuto crepare prima", e via di questo passo.

Perché ne parliamo? Perché loro sono quelli che non odiano, tutto pace, amore e fiorellini, quelli dell'#odiareticosta, delle commissioni parlamentari contro l'odio, dei patentini per votare, del dito puntato contro chi rivendica il sacrosanto diritto di pensarla diversamente dai mantra del politicamente corretto sinistrorso (immigrazionista, terzomondista, buonista a comando), dei “webeti”, degli “analfabeti funzionali”...

L'odio viscerale verso gli avversari politici e l'ipocrisia dell'applicare agli altri ciò che si disattende completamente per se stessi: ecco l'essenza della sinistra.