Visualizzazione post con etichetta CINEMA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CINEMA. Mostra tutti i post

venerdì 3 ottobre 2008

Spike Lee dice una verità, i partigiani piagnucolano


“Le dichiarazioni di Spike Lee, come partigiani, ci indignano. Ha fatto un film che non rappresenta assolutamente quello che è accaduto a Sant’Anna di Stazzema”. Queste sono le dichiarazioni di Giovanni Cipollini, sezione ANPI di Terrasanta, che controbatte così alle affermazioni rilasciate dal regista americano Spike Lee alla presentazione del suo film, prossimamente nelle sale cinematografiche italiane, “Miracolo a Sant’Anna”. Spike Lee ha dichiarato, evidentemente poco consapevole del potere mediatico e “culturale” che la lobby partigiana e comunista esercita sull’opinione pubblica italiana: “Dopo le rappresaglie i partigiani si nascondevano e lasciavano i civili inermi e soli a vedersela con i tedeschi”. Rappresaglie che, aggiungiamo noi, per quanto assolutamente contrarie alla dignità umana e al rispetto che deve aversi per qualunque essere vivente, erano consentite dalle vigenti leggi di guerra. Aggiungiamo ancora che, rispetto alla proporzione utilizzata dagli americani (50 italiani da uccidere per ogni soldato italiano ucciso), la rappresaglia tedesca appare ben più mite, contentandosi solo di una proporzione di 10 a 1. Nonostante la dichiarazione del regista americano contenga una verità incontestabile, vale a dire il carattere militarmente scorretto e codardo della guerriglia partigiana, verità che è stata nascosta grazie a sessanta anni di disinformazione e idiota propaganda antifascista, i partigiani, o quello che di loro ne è rimasto (ammesso e non concesso che siano esistiti veramente), si indignano e promettono battaglia. Solo figurata, ovviamente…
E’ triste constatare come i presunti valori della “memoria condivisa” diventino valori un po’ meno condivisi quando qualcuno osa contestare, seppur in minima parte, le balle che i traditori partigiani, che hanno costruito la loro vittoria su una guerra combattuta da altri, hanno saputo abilmente rifilare agli italiani, complici una stampa asservita ed una politica che non ha mai voluto indignare eccessivamente gli invasori americani. Ci voleva un regista americano per ricordare quello che è incontestabilmente affermato in una sentenza militare, nonché dagli storici non allineati al potere del compasso e martello? Cioè che i partigiani, lungi dall’operare nel rispetto delle leggi di guerra, si nascondevano nelle montagne per poi sparare a tradimento i loro connazionali in divisa, lasciando poi sola la popolazione civile a vedersela con le “scontate” rappresaglie tedesche? Capiamo che ai partigiani la cosa non va proprio giù. Sono stati abituati, per decenni, ad avere artisti (come Dario Fo, combattente RSI), registi, scrittori (come Giorgio Bocca, il “valoroso” partigiano abile a sparare a tradimento che fino al 1940 lodava le leggi razziali del Fascismo) e attori pronti a fare da cassa di risonanza alle loro balle clamorose; sono stati abituati, per più di sessanta anni, a sparare impunemente le loro menzogne sulla cosiddetta “resistenza” senza che nessuno li chiamasse mai a pagare dazio per tutte le bugie che hanno proferito; sono stati abituati a vantare come una vittoria quella che in realtà è stata una vergognosissima pagina della nostra Storia nazionale, caratterizzata dal tradimento militare, dalla fellonia, dalla vergogna nel vedere la propria Patria svenduta al nemico per trenta denari; sono stati abituati a qualificarsi combattenti, in barba ad una sentenza del Tribunale Supremo Militare, precisamente quella del 26 aprile 1954, che qualifica inequivocabilmente i combattenti della RSI come “combattenti regolari”, mentre smentisce categoricamente la stessa cosa per i partigiani: in sintesi, militari regolari (quelli della RSI) contro rubagalline che uccidevano a tradimento; sono stati abituati ad essere santificati come eroi e salvatori della Patria, mentre seppero solo uccidere e sparare alle spalle di veri soldati alla conclusione di una guerra da altri combattuta, contro chi invece scelse di non rivolgere improvvisamente le armi contro colui con il quale aveva combattuto, fianco a fianco, fino al giorno prima.
Attenzione: stiamo attenti a non comportarci, noi Fascisti, allo stesso modo del canagliumine comunista, sempre pronto a dichiarazioni roboanti contro i cattolici, ma pronti ad elevarli sull’altare non appena un giornaletto osa andare contro il governo di centro destra italiano sulla questione immigrazione. Spike Lee, subito dopo, afferma: “Che il film possa aprire una discussione sul passato dell’Italia è una cosa positiva. Ci sono diverse interpretazioni su ciò che è successo, ma il fatto è che il 12 agosto 1944 la 16° divisione delle SS massacrò 550 persone tra cui donne e bambini”. Il film, come prevedibile, non si discosta poi molto dalla solita propaganda di guerra alleata: i nazisti belve assetate di sangue, incuranti di uomini, donne e bambini, e i soldati americani come salvatori della patria. Basta dire solo che il film ha avuto la benedizione del comunista che ieri lodava i carri armati sovietici che sterminavano i civli e oggi si è convertito al Nuovo Ordine Mondiale, Giorgio Napolitano. Sempre a proposito della strage di Sant'Anna di Stazzema, consigliamo a Spike Lee ed alla canea rosso/partigiana la lettura del libro di Giorgio Pisanò “Sangue chiama sangue”, all’interno del quale si dedica un ampio resoconto di ricostruzione storica a questo drammatico evento della Storia italiana, riproposto anche sul nostro sito web a questo indirizzo: http://www.fascismoeliberta.info/phpf/readarticle.php?article_id=7. I traditori partigiani ed il regista americano avranno delle belle sorprese.

domenica 20 gennaio 2008

IL ruolo dell'ebraismo nella cinematografia statunitense

Dietro il sogno americano
Il ruolo dell’ebraismo nella cinematografia statunitense
Tratto dal libro: "Dietro il sogno americano", Gianantonio Valli, ed. Barbarossa
Se da una parte tutte le maggiori case di produzione hollywoodiane sono strettamente in mani ebraiche (ma lo sono anche catapecchie cinematografiche come la Producers Releasing Company, del ragioniere Leon Fromkess), ebraiche sono anche le prime banche che finanziano l'industria filmica. L'unica, parziale eccezione è rappresentata dalla Bank of Italy, fondata nel 1904 a San Francisco da Amedeo Peter Giannini, un immigrato italiano nato nel 1870 a San Josè. Dotato di un talento e di una forza d'animo eccezionali, dopo il praticantato bancario egli ottiene i primi capitali per la sua impresa dai fratelli Herman Wolf ed lsaiah Wolf Hellman, due dei più potenti banchieri della California (il secondo è inoltre il fondatore, nel 1872, della prima sinagoga del B’nai B’rith di San Francisco).
Fattosi largo a forza in uno establishment ostile, allora dominato dai banchieri anglosassoni, l'italiano si appoggia agli ebrei, stipulando, attraverso il produttore Sol Lesser, un'alleanza con i produttori di Hollywood e con i banchieri di New York interessati allo sviluppo dell'industria cinematografica.Il propulsore di tale impegno non è però direttamente Amedeo, ma suo fratello Attilio, detto «Doc» per via di una sua laurea in medicina. Quando la Bank of Italy rileva la fallita Bowery and East River Bank di New York, è ancora Sol Lesser a consolidare la banca di Giannini attraverso il coinvolgimento di Attilio nelle attività finanziarie delle compagnie di produzione. In tal modo «Doc» diviene la prima fonte di capitale per Marcus Loew, Lewis Selznick, Florenz Ziegfeld e dozzine di altri impresari ebrei, sia teatrali che cinematografici: «una collaborazione tra outsiders», la definisce Neal Gabler.
Fondata nel 1919, la Loews Incorporated vede l'interessamento anche di altri banchieri. Come abbiamo accennato parlando della MGM, è per questo motivo che nella direzione della Loew compaiono i «gentili» W.C. Durant, dirigente della General Motors, e H. Gibson, presidente della Liberty National Bank. Un altro banchiere perno dello sviluppo dell'industria cinematografica americana è Otto Hermann Kahn. Nato nel 1867 a Mannheim dal banchiere Bernard Otto, dopo un periodo di lavoro nella filiale londinese della Deutsche Bank, nel 1893 è nominato direttore della filiale newyorkese della Speyer & Co. Tre anni più tardi egli sposa Addie Wolff, figlia di Abraham, socio nella Kuhn Loeb & Co., nella quale banca viene assunto l'anno seguente - «verosimilmente per il fatto che era stata fondata da ebrei come lui», ci informa piamente il Gabler - divenendone un'autorità.
In tempo rimarchevolmente breve, da impiegato Otto diviene alto dirigente e socio. Dal 1903 al 1917 è presidente del Consiglio di Amministrazione della Metropolitan Opera Company. Adolph Zukor, già finanziato da Pierpont Morgan, lo contatta intorno al 1919 tramite suo fratello Felix Kahn, proprietario di una delle più estese catene teatrali newyorkesi. Quando la Paramount apre la sua campagna di acquisti di teatri (nel 1921 possiede od ha costruito ben trecentotre locali di prima visione), Felix cede la sua catena, venendo cooptato nella casa e divenendone uno dei massimi dirigenti, oltre che amico intimo di Zukor. Alla fine degli anni Venti, delle quindicimila sale cinematografiche sparse sul territorio degli Stati Uniti, la Paramount ne controlla un terzo.Cosi si esprime ancora il Gabler: «Zukor aveva una forte affinità con i Kahn. I due fratelli erano apostati dal giudaismo, senza speranza di assimilazione, sebbene essi fossero in proposito più decisi che non Zukor. Otto aveva completamente rigettato il giudaismo e si era fatto episcopaliano. Essi affettavano uno stile di vita "imperiale", pensando di consolidare in tal modo il loro status di gentleman. Ed ancora credevano nelle arti come mezzo di mobilità sociale. In effetti, sembra che Otto Kalm si riferisse a Zukor quando, pochi anni più tardi notificò ad un gruppo di soggettisti e produttori che "nell'arte come in ogni cosa il popolo americano ama essere guidato in alto e in avanti", continuando poi a riferirsi "alla grande importanza ed alla potenzialità del cinema come industria, influenza sociale ed arte"».
Un gustoso aneddoto sul suo conto merita a questo punto di essere riportato. Fattosi protestante, Kahn cerca per anni di ignorare e di far ignorare la sua origine ebraica. Passando un giorno per la Quinta Strada in compagnia dell'umorista ebreo Marshall Wilder, affetto da una gobba pronunciata, egli indica al compagno la chiesa della quale è assiduo fedele, dicendogli: «Marshall, sai che una volta ero ebreo?». «Sì, Otto» - è la risposta di Wilder, evidentemente memore del fatto che olim haebreus semper haebreus - «e anch'io una volta ero gobbo». Come la Kuhn, Loeb & Co. per la Triangle (insieme a Rockefeller) e per Zukor, cosi altri banchieri ebrei finanziatori dei tycoons hollywoodiani sono S.W. Straus per Carl Laemmle e Goldman, Sachs & Co. per i fratelli Warner. Solo Williarn Fox avrebbe «osato» accordi con banchieri «gentili» non legati alla finanza ebraica, e subito l'A T & T, Halsey, Stuart & Co. ed altri finanzieri avrebbero cospirato per sottrargli il potere di controllo sulla filmografia sonora, campo nel quale Fox si trovava allora all'avanguardia e nel quale essi avevano investito considerevoli mezzi finanziari.
La crisi dell'ottobre 1929 costringe le grandi case a fare ricorso alla Chase National Bank di Rockefeller, oppure alla Atlas Corporation di Morgan, che impongono una drastica politica di organizzazione e sottomettono alla fine la produzione al loro diretto controllo. «Il 1935» - scrive Sadoul - «è l'anno in cui le conseguenze della crisi economica e della nuova "guerra dei brevetti sonori" portano ad un rafforzato controllo dei grandi gruppi finanziari sulla città del cinema. Otto Grandi regnano ormai su Hollywood; cinque "maggiori": la Paramount, la Warner, la Loew-MGM, la Fox e la RKO insieme con tre "minori": la Universal, la Columbia e la United Artists. Le cinque case maggiori totalizzano l'88 per cento del giro d'affari, sono proprietarie di 4.000 grandi cinematografi-chiave e producono l'80 per cento delle superproduzioni. Insieme con le tre case minori, monopolizzano il 95 per cento della distribuzione. Questi Otto Grandi sono consociati nella Motion Picture Producers of America (MPPA) e a loro volta sono controllati - il più spesso a due o tre mandate - dal gruppo Rockefeller o dal gruppo Morgan. Per di più, alcune di esse sono legate a W. Randolph Hearst, a Du Pont De Nemours, alla General Motors, alla General Electric e a varie grandi banche. L'alta finanza americana, direttamente proprietaria di Hollywood, sceglie attraverso i suoi fiduciari i soggetti dei film, che, prima di venir realizzati da un cineasta, debbono piacere ad una manciata di finanzieri».
I veri padroni degli oligopoli cinematografici rappresentati dalle maggiori case di produzione sono ancor oggi i grandi finanzieri di Wall Street (anch'essi nella maggior parte di ascendenza ebraica).
I maggiori trust finanziari e bancari statunitensi, le «Big Three», sono ancor oggi i gruppi Rockefeller, Morgan, e la Kuhn Loeb & Co. Come continua Georges Sadoul, l'attività dei monopoli cinematografici di Hollywood sarà da allora prevalentemente diretta da fini commerciali: «I dirigenti, che sono praticamente i delegati dell'alta finanza, stabiliscono con precisione quanto deve rendere ogni film e se il bilancio risulta in deficit tutti quelli che hanno concorso a crearlo (attori, directors e producers) si troveranno presto o tardi licenziati. I finanziatori americani padroni di Hollywood liquidano spietatamente questi executives, che sembrano tanto potenti, non appena il bilancio delle grandi case da essi dirette si rivela passivo». Tuttavia, nota sempre Sadoul, in talune circostanze i finanzieri di Wall Street autorizzano delle spese «disinteressate». Uno degli esempi più chiari si manifesta nel primo decennio del dopoguerra.
Nel 1948 la Fox è la prima a lanciare un film anticomunista, «La cortina di ferro», in appoggio alla guerra fredda. Con una contemporaneità significativa, la manovra propagandistica viene ripresa largamente dalla stampa, dalla televisione e dalle case editrici. Film senza alcuna qualità artistica, «La cortina di ferro» provoca subito, sia negli USA che all'estero, vive proteste. Il suo mancato successo commerciale non impedisce tuttavia ad Hollywood di continuare a produrre per sei o sette anni numerose pellicole anticomuniste - con eguale insuccesso. «Per la Fox, la MGM, la Warner, la RKO, la Paramount questa serie costituì certamente un deficit di molti milioni di dollari. Ma lo sforzo delle cinque majors fu disinteressato soltanto in apparenza, poiché queste grandi case erano in effetti legate anima e corpo agli interessi dei gruppi Morgan e Rockefeller, alle grandi fabbriche di armi e di forniture militari o di bombe atomiche che gravitano intorno alle ditte Kodak, Du Pont de Nemours, General Motors, General Electric, etc.».
I film anticomunisti contribuiscono a creare nell'opinione pubblica il panico della guerra fredda e pertanto a determinare commesse militari, atomiche o di altro genere, a tutto vantaggio delle grandi ditte e degli interessi che controllano anche le maggiori case cinematografiche di Hollywood. Pertanto il bilancio complessivo è largamente attivo.I legami che uniscono Hollywood al mondo del big business risultano quanto più chiari nella pittoresca figura del multimiliardario «gentile» Howard Hughes. Nato nel 1905 (e deceduto nel 1976), questo figlio di un milionario californiano si interessa ben presto, come abbiamo visto, al cinema (nel 1932 è tra l'altro produttore di Scarface). Fin dall'età di venticinque anni finanzia, e talvolta anche dirige, numerose pellicole nelle quali ha gran parte l'aviazione, attività tra l'altro a lui cara anche dal punto di vista sportivo. Mentre conquista alcuni record come aviatore, egli consolida così la fama di talune dive che godono dei suoi favori.
Nel 1948 il Nostro acquista per parecchi milioni di dollari, dal gruppo finanziario Rockefeller, la RKO. Per sette anni la società resta apparentemente in deficit, e nel 1955 Hughes la rivende ad un gruppo di grossi industriali della gomma. «Si disse allora» - scrive Sadoul - «che la RKO era stata per lui un capriccio da miliardario che accoppiava a quella aviatoria la passione per le dive. Ma il settimanale Time ricorda, il 17 ottobre 1955, da dove vengono i miliardi di Hughes. La fonte della notizia ne garantisce la veridicità, dato che questa pubblicazione americana opera nell'ambito degli interessi Morgan e, assieme alle rivelazioni, pubblica anche due pagine di pubblicità pagate da Hughes»'.
In breve, secondo la rivista, Flughes è uno dei dieci maggiori proprietari di industrie belliche americane. Nel bilancio militare degli USA la Howard Hughes Aircraft Co. (i cui stabilimenti occupano un'area di trenta ettari in California e in Arizona) incide ogni anno per duecento milioni di dollari sulla fornitura di missili teleguidati fabbricati da una delle aziende affiliate, la CSTI. Oltre a queste due società, il Nostro domina anche la Hughes Tool Co. e la TWA, la più grande compagnia aerea internazionale americana. Queste aziende impiegano complessivamente cinquantamila persone ed il loro giro d'affari annuo raggiunge i settecento milioni di dollari (tutti i dati sono ovviamente da riferire al 1955).La RKO, durante il periodo in cui è di proprietà privata di Hughes, moltiplica la produzione di film anticomunisti e di film di guerra che si svolgono in Corea od altrove, e dove l'aviazione ha un posto di primo piano. Citiamo, per tutti, The Bridges at Toko-ri, «I ponti di Toko-Ri» (1954), del «gentile» Mark Robson, prodotto da William Perlberg e George Seaton, con gli attori «gentili» William Holden e Grace Kelly.
Anche se il loro bilancio complessivo è quindi deficitario, la loro propaganda contribuisce tuttavia a determinare una situazione che viene cosi riassunta da Time: «Gli Stati Uniti avevano ormai trasmesso tutte le loro commesse di materiale antiaereo ad un unico gruppo finanziario, affidandosi completamente nelle mani di Howard Hughes, come egli stesso ebbe a dichiarare». E’ dunque difficile considerare la grande produzione filmica americana indipendentemente dai grandi gruppi industriali e finanziari che la controllano, poiché, nell'azione tendente a monopolizzare il cinema mondiale, Hollywood è collegata, da oltre mezzo secolo, agli altri grandi monopoli statunitensi (banche, petrolio, industrie aviatorie, automobilistiche, elettriche, chimiche ed atomiche).